L’onere di fornire la prova che l’opera ubicata su area esterna al centro abitato

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 2 luglio 2020, n. 4267.

La massima estrapolata:

In materia di interventi edilizi l’onere di fornire la prova che l’opera ubicata su area esterna al centro abitato esista da epoca antecedente alla data di entrata in vigore della L. 6/8/1967, n. 765, così da escludere la necessità di titolo edilizio, grava sul privato e non sull’amministrazione, la quale, in presenza di un manufatto non assistito da un titolo abilitativo che lo legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarlo ai sensi di legge .

Sentenza 2 luglio 2020, n. 4267

Data udienza 18 giugno 2020

Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Opere realizzate fuori dal centro abitato in epoca antecedente L. 6/8/1967, n. 765 – Onere della prova – Titolo edilizio

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4633 del 2016, proposto da
Co. Ca. e Vi. D. Am., rappresentati e difesi dall’avvocato Fr. Ar., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. An. Di Gi., in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ca. e Gi. Se., con domicilio eletto presso lo studio Al. Pl., in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania – Salerno Sezione Seconda n. 02601/2015, resa tra le parti, concernente la demolizione di opere edilizie abusive.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Udita la relazione esposta dal Cons. Alessandro Maggio nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2020, svoltasi, ai sensi dell’art. 84, comma 5, del D.L.n. 18 del 17 marzo 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare 13 marzo 2020, n. 6305 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ordinanza 11/2/2014 n. 19 il Comune di (omissis) ha ingiunto ai sig.ri Co. Ca. e Vi. D. Am. la demolizione di opere abusive, consistenti nella trasformazione e nell’ampliamento di un vano sottotetto, realizzate in assenza di titolo edilizio.
Ritenendo il provvedimento repressivo illegittimo i sig.ri Ca. e D. Am. lo hanno impugnato con ricorso al T.A.R. Campania – Salerno,
Successivamente il Comune ha adottato l’ordinanza 13/11/2014, n. 91 con la quale ha reiterato la sanzione demolitoria nei confronti dei sig.ri Ca. e D. Am., estendendola ai loro danti causa.
I sig.ri Ca. e D. Am. hanno, quindi, gravato la nuova ordinanza con motivi aggiunti.
L’adito Tribunale con sentenza 11/12/2015, n. 2601 ha respinto l’impugnazione.
Avverso la sentenza i sig.ri Ca. e D. Am. hanno proposto appello.
Per resistere al ricorso si è costituito in giudizio il Comune di (omissis).
Con successive memorie le parti hanno meglio illustrato le rispettive tesi difensive.
All’udienza telematica del 18/6/2020 la causa è passata in decisione.
Col primo motivo gli appellanti denunciano l’errore commesso dal Tribunale nell’affermare che spettasse agli odierni appellanti dimostrare che l’opera contestata fosse stata realizzata antecedentemente al 1967 e che gli elementi probatori da costoro forniti non fossero idonei allo scopo.
La conclusione non sarebbe condivisibile in quanto:
a) non terrebbe conto del fatto che l’immobile è stato acquistato dai sig.ri Ca. e D. Am. nel 2004, per cui non poteva imporsi loro di produrre documentazione antecedente a tale data;
b) non potrebbe negarsi valore probatorio né alle concordi dichiarazioni rilasciate dagli altri residenti nella stessa strada dove è ubicato il fabbricato oggetto del contestato intervento in cui si afferma che il medesimo non sarebbe stato oggetto di alcuna trasformazione, né alla dichiarazione resa dagli alienanti in sede di rogito notarile con cui si attesta che “la costruzione dell’immobile in oggetto è stata iniziata ed ultimata in data anteriore al 1967” e che “non ricorre alcuna delle ipotesi di abusivismo”.
Peraltro sarebbero stati contestati in radice gli allegati fotografici uniti all’esposto che ha stimolato l’intervento repressivo dell’amministrazione appellata.
Col secondo motivo si deduce che la sentenza appellata non avrebbe considerato che l’impugnato provvedimento repressivo sarebbe affetto da una petizione di principio, in quanto gli elementi posti a base dell’asserita abusività del manufatto (l’esposto di persona non meglio identificata con foto allegate recanti la data del 2/7/1984; l’assenza agli atti del Comune di apposito titolo abilitativo; una scheda di rilevazione dei danni post sismici in cui l’unità abitativa oggetto di contestazione viene definita “sottotetto”), non dimostrerebbero né singolarmente, né cumulativamente soppesati l’esistenza dell’illecito edilizio.
E invero:
a) la data impressa nel retro delle foto sarebbe priva dei necessari requisiti di certezza e comunque plurimi elementi consentirebbero di confutare la veridicità delle stesse foto;
b) il riferimento fatto nell’ordinanza al fatto che la trasformazione del sottotetto sarebbe stata denunciata al catasto con atto n. 17357 del 5/7/2006 sarebbe frutto di un errore materiale, non riguardando la detta variazione l’immobile degli appellanti;
c) la scheda di rilevazione dei danni prodotti dal sisma del 1980 farebbe riferimento a un sottotetto senza specificare altezze e dimensioni e comunque dalla stessa si ricaverebbe l’esistenza di due sottotetti (uno al secondo e uno al terzo livello) per cui potrebbe ritersi che quello posto al secondo livello, di proprietà dei ricorrenti, avesse già la consistenza attuale, per cui, a tutto concedersi, potrebbe ipotizzarsi soltanto una modifica della destinazione d’uso.
Le doglianze, che si prestano a una trattazione congiunta, non meritano accoglimento.
In base a un consolidato orientamento giurisprudenziale che il Collegio condivide e alle cui motivazioni può farsi rinvio, l’onere di fornire la prova che l’opera ubicata su area esterna al centro abitato esista da epoca antecedente alla data di entrata in vigore della L. 6/8/1967, n. 765, così da escludere la necessità di titolo edilizio, grava sul privato e non sull’amministrazione, la quale, in presenza di un manufatto non assistito da un titolo abilitativo che lo legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarlo ai sensi di legge (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. VI, 7/1/2020, n. 106; 18/10/2019, n. 7072; 6/2/2019, n. 903).
Tale prova dev’essere rigorosa e deve fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi, dovendosi, tra l’altro, negare ogni rilevanza a semplici dichiarazioni rese da terzi o a dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, ivi comprese quelle attestanti la costruzione del manufatto ante 1967, incluse nei contratti di compravendita ex art. 46 del D.P.R. 6/6/2001, n. 380, in quanto non suscettibili di essere verificate (Cons. Stato, Sez. VI, 4/3/2019, n. 1476; 9/7/2018, n. 4168; Sez. IV, 30/3/2018, n. 2020).
In base agli enunciati principi di diritto, l’onere di dimostrare che la trasformazione del vano sottotetto era avvenuta prima del 1967, gravava sugli appellanti, senza che tale onere potesse subire attenuazioni in considerazione della data (anno 2004) in cui costoro hanno acquistato l’immobile, incombendo sui medesimi il dovere di acquisire dai danti causa, secondo canoni di ordinaria diligenza, ogni elemento utile a comprovare la costruzione ante 1967.
Nel caso di specie i sig.ri Ca. e D. Am. non hanno fornito alcuna adeguata prova del fatto che l’intervento edilizio sanzionato sia stato realizzato prima del 1967, non rilevando allo scopo, giusta quanto più sopra rilevato, né le dichiarazioni rese da terzi, né la contestazione delle foto allegate all’esposto che ha indotto l’amministrazione a verificare la legittimità delle opere fatte oggetto dell’avversata ordinanza di demolizione e delle altre circostanze in essa indicate.
Non giova, peraltro, agli appellanti nemmeno il riferimento, contenuto nella memoria depositata in data 14/5/2020, alla sentenza di questa Sezione 16/3/2020, n. 1890, la quale ammette un temperamento al principio sull’onere della prova in ordine all’ultimazione, entro una certa data, di un’opera edilizia abusiva, nell’ipotesi in cui il privato, da un lato, porti a sostegno della propria tesi sulla realizzazione dell’intervento prima di una certa data elementi rilevanti e, dall’altro, o l’amministrazione, non analizzi debitamente tali elementi, o vi siano fattori incerti in ordine alla presumibile data della realizzazione del manufatto privo di titolo edilizio.
Nel caso di specie, infatti, gli appellanti hanno prodotto, a sostegno del loro assunto, unicamente dichiarazioni provenienti da terzi e ciò non è, evidentemente, sufficiente a giustificare l’invocato temperamento dell’onere probatorio, senza contare che nessuna delle dette dichiarazioni attesta che l’unità abitativa degli appellanti sia stata realizzata antecedentemente al 1967.
Atteso che alla luce di quanto sopra rilevato non spetta all’amministrazione dare la prova dell’abusività dell’opera sanzionata, risultando questa dalla riscontrata assenza di titolo edilizio e dalla mancata prova, da parte degli appellanti, dell’esecuzione dell’intervento in data precedente all’entrata in vigore della c.d. “legge ponte” (L. n. 765/1967), diviene superfluo l’esame delle censure prospettate col secondo motivo d’appello, essendo queste rivolte a contestare le circostanze che hanno indotto l’amministrazione a ritenere sussistente l’illecito edilizio.
Col terzo e quarto motivo si deduce, rispettivamente, che il Tribunale avrebbe errato a non considerare come il provvedimento repressivo fosse viziato in quanto:
a) privo di qualunque valutazione del pregiudizio sofferto dagli appellanti, i quali avrebbero maturato un significativo affidamento in ordine alla legittimità della situazione di fatto;
b) non preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento.
Le due doglianze, che possono essere trattate in un unico contesto, non meritano accoglimento.
Per consolidato orientamento giurisprudenziale, da cui il Collegio non ritiene di doversi discostare, in presenza di interventi abusivi l’ordine di demolizione assume carattere doveroso e vincolato, con conseguente irrilevanza del pregiudizio subito dai destinatari e del loro eventuale affidamento in ordine alla conservazione della situazione abusiva (Cons. Stato, Sez. VI, 4/10/2019, n. 6720; 24/4/2019, n. 2656; Sez. II, 19/6/2019, n. 4184).
E’ inoltre da escludersi, in considerazione della suddetta natura vincolata dell’atto, la necessità della previa comunicazione di avvio del procedimento (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. VI, 25/2/2019, n. 1281; Sez. II, 29/7/2019, n. 5317).
L’appello va, in definitiva, respinto.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Sussistono eccezionali ragioni per disporre l’integrale compensazione di spese e onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere, Estensore
Dario Simeoli – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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