Corte di Cassazione, civile, Sentenza|29 settembre 2022| n. 28399.

Onere della prova del carattere ritorsivo del recesso attuato dal datore di lavoro

L’onere della prova del carattere ritorsivo del recesso attuato dal datore di lavoro grava sul lavoratore e può essere assolto con la dimostrazione di elementi specifici tali da far ritenere con sufficiente certezza l’intento di rappresaglia, dovendo tale intento aver avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro.

Sentenza|29 settembre 2022| n. 28399. Onere della prova del carattere ritorsivo del recesso attuato dal datore di lavoro

Data udienza 11 luglio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Controversie di lavoro – Licenziamento ritorsivo – Intento di rappresaglia – Efficacia determinativa esclusiva – Onere della prova

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere

Dott. MICHELINI Gualtiero – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 6430/2019 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), in proprio e nella qualita’ di legale rappresentante della (OMISSIS) ONLUS, domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1013/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 22/10/2018 R.G.N. 247/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/07/2022 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, visto il Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

Onere della prova del carattere ritorsivo del recesso attuato dal datore di lavoro

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) ha agito in giudizio nei confronti della sua datrice di lavoro Associazione (OMISSIS) Onlus (d’ora in avanti, (OMISSIS)) e del legale rappresentante della stessa, (OMISSIS), per far dichiarare la nullita’ o l’illegittimita’ del licenziamento, intimato il 27.6.2016, per riduzione di personale a seguito di Delibera dell’ASL di (OMISSIS) n. 1111 del 27.6.2016.
2. Il Tribunale di Brindisi ha dichiarato la nullita’ del licenziamento perche’ ritorsivo ed ha condannato la (OMISSIS) e il legale rappresentante a reintegrare il lavoratore e a risarcirgli il danno, ai sensi della L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 2, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, escludendo l’applicabilita’ del Decreto Legislativo n. 23 del 2015 in ragione del patto in tal senso concluso tra le parti.
3. La Corte d’appello di Lecce, adita dalla parte datoriale, in riforma della sentenza di primo grado, ha giudicato illegittimo il licenziamento, ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro ed ha condannato la (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento di una indennita’ risarcitoria onnicomprensiva in misura pari a quindici mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori di legge.
4. La Corte territoriale ha escluso il carattere ritorsivo del licenziamento sulla base delle seguenti considerazioni: le pretese del dipendente di ottenere l’applicazione del c.c.n.l. ANFASS Onlus, in luogo del c.c.n.l. ANPAS, erano state accolte dalla datrice di lavoro, sia pure dietro sollecitazione sindacale, e i lavoratori avevano ottenuto l’inquadramento contrattuale e le differenze retributive rivendicate; la richiesta del lavoratore di ricevere i dispositivi di protezione individuale, avanzata con lettera del 18.2.16, non poteva ritenersi correlata al licenziamento in quanto era stata sottoscritta non solo dall’ (OMISSIS) e dagli altri lavoratori part time (poi licenziati), ma anche da lavoratori full time non destinatari di alcun licenziamento; la richiesta del lavoratore di trasformazione del contratto da part time in full time, rimasta inascoltata, aveva alla base la problematica dell’esubero dei dipendenti rispetto al limite massimo previsto dalle norme regionali, che era stata affrontata con l’accordo sindacale del 29.5.2015 e che e’ alla base del licenziamento intimato dalla (OMISSIS).
5. Ha, comunque, ritenuto che una eventuale finalita’ ritorsiva non potesse costituire motivo illecito determinate data l’esistenza di un giustificato motivo oggettivo di recesso accertato in base ai seguenti dati:
– a seguito del bando dell’Asl di (OMISSIS) del 9.5.2013, il servizio sanitario di trasporto di emergenza-urgenza 118 nel territorio di (OMISSIS) e’ stato affidato alla ASP di (OMISSIS) che ha destinato al servizio 118 di (OMISSIS), in virtu’ di clausola sociale, quattro dipendenti a tempo pieno;
– nello schema di convenzione allegato al bando era stabilito (articolo 5) che l’Associazione aggiudicataria, secondo quanto previsto dalle deliberazioni di Giunta Regionale n. 1479 del 30.6.2011 e n. 1788 del 2.8.2011, avrebbe potuto avvalersi di lavoratori subordinati nel numero massimo di 4 unita’ full time (o di 8 unita’ particolo time), per ogni postazione 118 affidata in convenzione;
– la ASP di (OMISSIS), per esigenze organizzative non meglio precisate, ha assunto ulteriori sei dipendenti a tempo pieno, tra cui (OMISSIS); tale assunzione ha provocato un “grave aggravio di uscite rispetto alle entrate” e indotto la ASP di (OMISSIS) a rinunciare alla gestione del servizio per eccessiva onerosita’ sopravvenuta;
– per far fronte all’emergenza causata da tale rinuncia, la ASL di (OMISSIS), con deliberazione n. 860 del 22.5.2015 e a seguito di pubblico sorteggio, ha affidato temporaneamente la gestione del 118 di (OMISSIS) all’Associazione (OMISSIS) che, per effetto della clausola sociale, avrebbe dovuto assumere con contratti a tempo pieno i dieci dipendenti precedentemente adibiti a quella postazione;
– la convenzione stipulata tra la ASL di (OMISSIS) e la (OMISSIS) il 28.5.2015, nella parte normativa, ricalcava la convenzione gia’ stipulata con la ASP di (OMISSIS), il cui articolo 5 fissava il numero di lavoratori subordinati per ogni postazione 118 nel numero massimo di 4 unita’ full time (o di 8 unita’ part time);
– per risolvere la contraddittorieta’ creatasi tra la delibera n. 860 del 22.5.2015 (contenente la clausola sociale che imponeva alla (OMISSIS) l’assunzione a tempo pieno dei dieci dipendenti) e la convenzione del 28.5.2015 (che limitava il numero massimo di dipendenti a quattro full time oppure 8 part time), il 29 maggio 2015 si era svolto un incontro tra le due associazioni ( (OMISSIS) e ASP di (OMISSIS)), i lavoratori e il sindacato, nel corso del quale si era stabilito che la (OMISSIS) avrebbe assunto immediatamente con contratto a tempo indeterminato full time solo i quattro lavoratori in forza presso l’ASP di (OMISSIS) sin dal momento dell’aggiudicazione del servizio mentre gli altri sei lavoratori, assunti dalla citata ASP in epoca posteriore (tra cui (OMISSIS)) sarebbero stati assunti con contratto part-time a tempo determinato fino a dicembre 2015 e con contratto part-time a tempo indeterminato per il periodo successivo;
– (OMISSIS), unitamente ad altri due lavoratori ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), con lettera del 26.5.2016 diretta all’ASL di (OMISSIS) e alla (OMISSIS), ha denunciato il mancato rispetto della delibera n. 860 del 22.5.2015 e, specificamente, la mancata assunzione con contratto full time;
– a seguito di tale lettera, l’ASL di (OMISSIS), con delibera n. 1111 del 27.6.2016, ha provveduto alla “parziale rettifica in autotutela della deliberazione n. 860 del 22.5.2015” in maniera da renderla conforme all’articolo 5 della convenzione del 28.5.2015 (e alle deliberazioni di Giunta Regionale n. 1479 del 30.6.2011 e n. 1788 del 2.8.2011) sul numero di lavoratori addetti ad ogni singola postazione di 118;
– secondo la Corte d’appello, l’assunzione da parte di (OMISSIS) dei sei lavoratori (tra cui (OMISSIS)) in esubero dalla ASL di (OMISSIS) era stata effettuata solo in ragione della delibera n. 860/2015 e non per autonome esigenze di personale; la successiva delibera di rettifica n. 1111/2016 aveva imposto a (OMISSIS) di ricondurre il numero dei dipendenti entro i limiti consentiti e cio’ integrava un’esigenza di riduzione del personale;
il licenziamento di (OMISSIS) era pertanto giustificato dal motivo oggettivo di riduzione del personale, in termini di soppressione dei posti creati in eccesso;
– la (OMISSIS), tuttavia, non aveva adempiuto all’onere di provare l’impossibilita’ di ricollocare il lavoratore in altri settori aziendali o in altre mansioni, sebbene risultasse che nel mese di giugno 2016 (OMISSIS) fosse stato inserito nei turni di lavoro presso la postazione 118 di (OMISSIS) e sebbene risultasse che il 6 luglio 2016, pochi giorni dopo il licenziamento di (OMISSIS) e degli altri lavoratori assunti part-time, la (OMISSIS) avesse riassunto due di essi, con le medesime mansioni; questi dati dimostravano l’esistenza della possibilita’ di repechage;
– che l’allegazione di (OMISSIS), di aver riassunto due lavoratori part time in seguito al licenziamento di un dipendente full time per motivi disciplinari, non smentiva la possibilita’ di repechage per la sostanziale contestualita’ dei licenziamenti, non avendo inoltre l’Associazione allegato e provato i criteri adoperati per la scelta dei lavoratori riassunti, con conseguente illegittimita’ del recesso intimato all’attuale ricorrente.
6. Avverso tale sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. (OMISSIS), in proprio e quale legale rappresentante della (OMISSIS) Onlus, ha resistito con controricorso.
7. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte. E’ stata depositata memoria nell’interesse di (OMISSIS), ma senza il rispetto del termine fissato dall’articolo 378 c.p.c..

Onere della prova del carattere ritorsivo del recesso attuato dal datore di lavoro

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. Con il primo motivo di ricorso e’ dedotta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, nonche’ errata interpretazione dell’istruttoria.
9. Si censura come illogica la motivazione della sentenza d’appello nella parte in cui ha escluso la natura ritorsiva del licenziamento senza considerare tutte le richieste avanzate dal lavoratore nei confronti della societa’ e nonostante la mancanza di prova, di cui era onerata la parte datoriale, sulla necessita’ di riduzione del personale e sui criteri adoperati per la selezione dei lavoratori riassunti ed anzi nonostante l’accertata violazione dell’obbligo di repechage; si rileva che la Corte di merito ha ritenuto dimostrata l’esigenza di riduzione del personale senza considerare il dato, logicamente contraddittorio con tale assunto, che dopo la delibera del 22.5.2015 e il successivo incontro sindacale la (OMISSIS) abbia atteso un anno prima di licenziare l’ (OMISSIS) e gli altri due dipendenti; si assume che alla data del recesso le esigenze produttive e organizzative della (OMISSIS) non fossero cambiate si’ da richiedere una riduzione di personale ma, al contrario, aumentate poiche’ con delibera n. 713 del 26.4.2016 era stata temporaneamente affidata alla predetta Associazione la gestione del 118 (OMISSIS) e lo stesso (OMISSIS) era stato inserito nei turni di giugno 2016 tra i dipendenti che avrebbero dovuto prestare attivita’ presso quest’ultima postazione.
10. Con il secondo motivo di ricorso e’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della deliberazione n. 1111/2016 nonche’ della L. n. 223 del 1991.
11. Si censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto che la delibera n. 860/2015, contenente un bando di gara, potesse essere parzialmente revocata o annullata successivamente alla aggiudicazione, eliminando una condizione economica essenziale (clausola sociale), il tutto a favore della aggiudicataria cosi’ esentata da un onere che la stessa aveva volontariamente e consapevolmente assunto; si sostiene che, per la stretta consequenzialita’ tra l’aggiudicazione della gara pubblica e la stipula del relativo contratto, l’annullamento a seguito di autotutela della procedura amministrativa comportasse la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto; che nel caso di specie la pubblica amministrazione ha proceduto all’annullamento della delibera senza trarre le doverose conseguenze in termini di revoca della aggiudicazione e automatica caducazione del contratto; che l’illegittimita’ della delibera 1111/2016, di revoca o annullamento parziale della delibera 860/2015, avrebbe dovuto determinare l’illegittimita’ del licenziamento, atteso che quest’ultimo aveva come unica motivazione la citata delibera 1111.

Onere della prova del carattere ritorsivo del recesso attuato dal datore di lavoro

12. Il primo motivo di ricorso e’ fondato nei limiti di seguito esposti.
13. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. 23583 del 2019; Cass. 9468 del 2019; Cass. 28453 del 2018; Cass. 26035 del 2018; Cass. 27325 del 2017), la tutela che l’ordinamento riconosce in caso di licenziamento ritorsivo, cioe’ la nullita’ del provvedimento espulsivo in quanto fondato su un motivo illecito, ai sensi della L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 1, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, applicabile ratione temporis, presuppone che l’intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volonta’ di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso (Cass. n. 14816 del 2005), dovendosi escludere la necessita’ di procedere ad un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni causative del recesso, ossia quelle riconducibili ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento (Cass. n. 5555 del 2011).
14. Il motivo illecito puo’ ritenersi esclusivo e determinante quando il licenziamento non sarebbe stato intimato se tale motivo non ci fosse stato, e quindi deve costituire l’unica effettiva ragione del recesso, indipendentemente dalle ragioni formalmente addotte.
15. L’onere della prova del carattere ritorsivo del provvedimento adottato dal datore di lavoro grava sul lavoratore e puo’ essere assolto con la dimostrazione di elementi specifici tali da far ritenere con sufficiente certezza l’intento di rappresaglia, dovendo tale intento aver avuto efficacia determinativa esclusiva della volonta’ del datore di lavoro (v. Cass. n. 10047 del 2004; n. 18283 del 2010).
16. Si e’ ulteriormente precisato (Cass. 23583 del 2019 cit.) che ove il lavoratore deduca la nullita’ del licenziamento per il suo carattere ritorsivo, la verifica di fatti dal medesimo allegati a fondamento della domanda richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del recesso, poiche’ la nullita’ per motivo illecito ai sensi dell’articolo 1345 c.c., richiede che questo abbia carattere determinante e che il motivo addotto a sostegno del licenziamento sia solo formale e apparente (Cass. n. 9468 del 2019).
17. Infatti, l’allegazione, da parte del lavoratore, del carattere ritorsivo del licenziamento intimatogli non esonera il datore di lavoro dall’onere di provare, ai sensi della L. n. 604 del 1966, articolo 5, l’esistenza di giusta causa o giustificato motivo del recesso; solo ove tale prova sia stata almeno apparentemente fornita incombe sul lavoratore l’onere di dimostrare l’illiceita’ del motivo unico e determinante (l’intento ritorsivo) che si cela dietro il negozio di recesso (in tal senso Cass. 26035 del 2016; 23149 del 2016; Cass. 6501 del 2013).
18. Al fine di delimitare il contenuto dell’onere di prova di cui al citato articolo 5, occorre considerare che, secondo l’indirizzo di questa Corte, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, costituiscono presupposti di legittimita’ del recesso sia le ragioni inerenti all’attivita’ produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa e sia l’impossibilita’ di ricollocare altrove il lavoratore (Cass. 10435 del 2018; n. 29102 del 2019).
19. Cio’ comporta che l’onere probatorio del datore di lavoro deve necessariamente investire entrambi gli elementi costitutivi del legittimo esercizio del potere di recesso, sia le ragioni economiche e sia l’impossibilita’ di cd. “repechage.
20. La Corte d’appello non si e’ attenuta ai principi finora enunciati sia perche’, nel procedimento logico da essa seguito, ha posposto la valutazione sulla prova del giustificato motivo oggettivo addotto dal datore di lavoro a base del licenziamento rispetto all’esame degli indici di ritorsivita’ allegati dal lavoratore, cosi’ omettendo di valutare l’illegittimita’ del recesso unitamente agli indici di ritorsivita’; inoltre, perche’ ha scisso la valutazione del motivo oggettivo di licenziamento tenendo distinte le due componenti, cioe’ l’esigenza economica di riduzione del personale e l’impossibilita’ di ricollocazione del lavoratore ed ha ritenuto che la sussistenza delle ragioni economiche fosse idonea e sufficiente ad escludere l’intento ritorsivo, la’ dove, invece, l’esclusione del motivo illecito puo’ derivare unicamente dalla ricorrenza di entrambi i requisiti costituitivi della legittimita’ del recesso (questioni analoghe sono affrontate in Cass. n. 23149 del 2016, relativa ad una ipotesi di licenziamento collettivo, in cui si e’ definita erronea la “scissione del profilo attinente le motivazioni del licenziamento collettivo da quello relativo ai criteri che hanno governato la scelta dei lavoratori da licenziare”, ribadendosi che “dal punto di vista del singolo lavoratore, infatti, i presupposti del legittimo esercizio del potere di recesso attengono ad entrambi tali requisiti, ovvero la sussistenza delle ragioni oggettive della procedura e l’incidenza delle stesse sulla specifica posizione del lavoratore: solo nella sussistenza di entrambi puo’ dirsi legittimo il recesso ed esclusa la rilevanza del motivo illecito”).
21. Il modo di procedere adottato dalla Corte territoriale, contrario ai principi sopra richiamati e alla sequenza logica che deve guidare il giudice nella valutazione del giustificato motivo oggettivo di licenziamento e della nullita’ del recesso perche’ sorretto dal motivo ritorsivo unico e determinante, si e’ tradotto in una motivazione che reca affermazioni logicamente e giuridicamente inconciliabili, cio’ in violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Il primo motivo di ricorso deve quindi trovare accoglimento.
22. Il secondo motivo di ricorso e’ inammissibile in quanto, anzitutto, pone questioni che non risultano affrontate nella sentenza d’appello, senza che sia indicato in che termini e in quali atti processuali dei gradi di merito tali questioni siano state poste.
23. Questa Corte ha chiarito che, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, e’ onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilita’ per novita’ della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicita’ di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. n. 23675 del 2013; n. 20703 del 2015; n. 18795 del 2015; n. 11166 del 2018).

Onere della prova del carattere ritorsivo del recesso attuato dal datore di lavoro

24. Inoltre, la violazione di un atto amministrativo non puo’ costituire motivo di ricorso per cassazione sotto il profilo della violazione di legge, non contenendo esso norme di diritto, ma essendo piuttosto qualificabile tra gli atti unilaterali, in riferimento ai quali puo’ essere denunciata per cassazione soltanto la violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, nella misura in cui essi sono applicabili anche agli atti unilaterali, ovvero il vizio di motivazione (v. Cass. n. 5966 del 2022; S.U. n. 16612 del 2008; Cass. n. 14732 del 1999), nei limiti ora segnati dalle S.U. di questa (v. Cass., S.U. nn. 8053 e 8054 del 2014).
25. Per le ragioni esposte, accolto il primo motivo di ricorso e dichiarato inammissibile il secondo motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che provvedera’ ad un nuovo esame della fattispecie uniformandosi ai principi richiamati, oltre che alla regolazione delle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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