Omissione dell’adozione del provvedimento finale

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 26 settembre 2019, n. 6444.

La massima estrapolata:

L’omissione dell’adozione del provvedimento finale assume il valore di silenzio-inadempimento (o rifiuto) solo nel caso in cui sussiste un obbligo giuridico di provvedere, cioè di adottare un provvedimento amministrativo esplicito, volto ad incidere, positivamente o negativamente, su una posizione giuridica differenziata, attivando un apposito procedimento amministrativo.

Sentenza 26 settembre 2019, n. 6444

Data udienza 11 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7903 del 2018, proposto da Bi. Gr. En. Sh. ed altri, in persona del rispettivo legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Ig. La. e Ca. Gi. Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ig. La. in Roma, via (…);
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri ed altri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 7478/2018, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed altri;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2019 il Cons. Alessandro Verrico e uditi per le parti l’avvocato Ig. La. e l’avvocato dello Stato Gi. Sa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso R.G. 1560/2018 dinanzi al T.a.r. per il Lazio, Bi. Gr. En. Sh., unitamente ad altri, impugnavano il silenzio-inadempimento delle Amministrazioni resistenti, individuate nella Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel Ministero dello Sviluppo Economico e nel Ministero dell’Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare, in ordine all’atto di significazione, invito e diffida, presentato dai ricorrenti stessi in data 4 agosto 2017, ad attuare l’accordo tra Italia e Albania del 10 maggio 2006 diretto a disciplinare le procedure di verifica del possesso dei requisiti necessari per l’importazione e l’esportazione di energia elettrica prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili da e verso l’Italia e l’Albania nonché le modalità di rilascio dei “certificati verdi” o di “equipollenti forme di incentivazione”. Con tale atto di diffida si chiedeva, in particolare, di prevedere “l’ammontare dell’incentivo”, “di pari durata e di entità inferiore” rispetto a quello riconosciuto in Italia “alle fonti e alle tipologie impiantistiche da cui l’elettricità è prodotta in Albania”.
2. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. III-ter, con la sentenza n. 7478 pubblicata il 5 luglio 2018, ha dichiarato il ricorso inammissibile e ha compensato le spese del giudizio tra le parti. Il Tribunale, in particolare:
a) ha respinto l’eccezione di compromesso per arbitrato estero, in quanto l’articolo dell’accordo che lo prevede si applica solo per la risoluzione di controversie tra i contraenti, ossia tra gli Stati;
b) ha accolto l’eccezione di difetto di giurisdizione, sostenendo, in particolare, che:
b.1) l’accordo di cui si chiede l’attuazione è stato superato dalla successiva legislazione (dal d.l. n. 159/2007, dalla legge finanziaria 2008 e, infine, dal d.lgs. n. 28/2011 – il quale ultimo, in particolare, ha riformato il sistema di incentivazione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili, prevedendo una graduale sostituzione dei certificati verdi con sistema di tipo feed-in tariff), che ha sostituito il relativo meccanismo dell’emissione di certificati verdi (come sistema degli incentivi alla produzione di energia elettrica mediante fonti rinnovabili) con altre modalità di incentivazione;
b.2) non vi è obbligo di provvedere nel senso di dover adeguare l’accordo del 2006 al nuovo assetto normativo, rientrando tale possibilità nelle prerogative politiche (e non potendo essere effettuato mediante un mero procedimento amministrativo); quindi non è ravvisabile una pretesa soggettiva alla conclusione positiva di un negoziato per l’adeguamento dell’accordo;
c) ha ritenuto, in conclusione, il ricorso inammissibile ex art. 7 c.p.a., essendo stata chiesta l’adozione di un atto politico.
3. Con il ricorso in appello all’esame gli originari ricorrenti hanno chiesto l’annullamento della citata sentenza, censurandola sotto i seguenti profili:
i) “erroneità della sentenza n. 7478/2018 – errores in iudicando – difetto di motivazione – travisamento dei fatti – contraddittorietà – in merito alla ritenuta inammissibilità del ricorso per difetto assoluto di giurisdizione”: gli appellanti sostengono la natura self-executing delle norme pattizie ed il livello meramente amministrativo delle disposizioni di attuazione dell’accordo del 2006 tra Italia ed Albania (codici iafr, procedure tecniche di accertamento quali-quantitative dell’energia prodotta, assegnazione formale della tariffa incentivante), non ritenendo necessaria alcuna ratifica dell’accordo o atto politico conseguente;
ii) “erroneità della sentenza n. 7478/2018 – errores in iudicando – violazione di legge – violazione e falsa applicazione della l. 241/1990 e s.m.i. ed in particolar modo dell’art. 2 – violazione degli accordi del 2006 e del 2009 – violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 28/2011 ed in particolar modo dell’art. 36, comma 1 -violazione del principio di buona fede e buon andamento della p.a. – violazione dell’art. 97 Cost. – eccesso di potere – ingiustizia manifesta – sviamento del potere – travisamento dei fatti – ingiustizia manifesta”: ad avviso degli appellanti, laddove dovesse ritenersi che le modifiche avvenute nella normativa nazionale di incentivazione di fonti di energia rinnovabile non consentano l’attuazione tout court dell’Accordo del 2006, il Governo Italiano “sarebbe, per espressa disposizione dell’Accordo del 2006, comunque tenuto a ricercare con il Governo Albanese un soluzione di equipollente profilo”.
3.1. Si sono costituiti in giudizio, per resistere, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dello Sviluppo Economico e il Ministero dell’Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare, i quali, con memoria, si sono opposti all’appello e ne hanno chiesto il rigetto.
3.2. Le parti hanno altresì depositato ulteriori memorie, insistendo nelle proprie difese e conclusioni.
4. La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla camera di consiglio dell’11 luglio 2019.
5. L’appello è infondato e deve, pertanto, essere respinto, con le precisazioni di motivazione di seguito esposte.
5.1. I due motivi di appello sono meritevoli di unitaria trattazione in quanto strettamente connessi tra loro.
5.2. Il Collegio, al riguardo, deve premettere che:
i) in attuazione della previsione di cui all’art. 20, comma 4, d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, in data 10 maggio 2006 il Ministero delle Attività produttive (ora Ministero dello Sviluppo Economico) e il Ministero dell’Ambiente, della Tutela e del Mare sottoscrivevano con il Ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Energia della Repubblica dell’Albania un Accordo con il quale i due Stati riconoscevano espressamente le modalità di certificazione dell’energia elettrica da fonte rinnovabile e la reciprocità dei relativi sistemi di incentivazione basati sul meccanismo di mercato dei certificati verdi. In particolare, con il predetto Accordo si intendevano regolare le procedure di verifica del possesso dei requisiti necessari per l’importazione e l’esportazione di energia elettrica prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili da e verso l’Italia e l’Albania nonché le modalità di rilascio dei relativi certificati verdi ovvero di diversa forma di incentivazione;
ii) ai sensi dell’art. 7, comma 1 dell’Accordo, lo stesso ha una durata iniziale di tre anni con rinnovo tacito per uno o più ulteriori periodi di tre anni in assenza di una formale risoluzione da parte di uno degli Stati firmatari, da comunicarsi con preavviso scritto di trenta giorni rispetto alla scadenza; ai sensi del comma 2 del citato articolo, tuttavia, nel caso in cui, successivamente alla firma dell’Accordo, fossero intervenute eventuali variazioni o integrazioni alle procedure di qualificazione degli impianti rinnovabili vigenti nei singoli paesi, tali da farle differire sostanzialmente da quelle adottate dall’altro Paese, le stesse dovevano essere reciprocamente comunicate nonché approvate entro un termine di 60 giorni, pena la risoluzione di diritto dell’Accordo;
iii) gli appellanti sono titolari di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili rientranti nel campo di applicazione dell’Accordo del 2006 (cfr. artt. 4 e 5 dell’Accordo);
iv) in data 10 marzo 2009, le Amministrazioni, parti del precedente Accordo del 2006, attesa la “necessità di un aggiornamento dell’Accordo del 10 maggio 2006 in materia di certificati verdi, con lo scopo di consentire il mantenimento delle condizioni per la vigenza dell’Accordo stesso e la valorizzazione dell’elettricità da fonti rinnovabili prodotta in Albania ed importata in Italia”, avevano stipulato un nuovo Accordo (Accordo del 2009), sebbene non abbiano in seguito mai provveduto a ratificarlo;
v) con il d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28 ed il successivo d.m. 6 luglio 2012 veniva radicalmente modificato il sistema degli incentivi alla produzione di energia elettrica mediante fonti rinnovabili.
5.3. Ciò considerato, il Collegio osserva che:
a) non sussiste nella fattispecie in esame un generale obbligo di concludere un procedimento ex art 2 della legge n. 241 del 1990 non venendo in rilievo un procedimento amministrativo da concludersi entro un determinato termine di legge e non essendo ravvisabile, in capo ai soggetti potenzialmente destinatari dell’esecuzione dell’Accordo, alcuna posizione giuridica soggettiva riconducibile all’interesse legittimo;
b) invero, le disposizioni degli Accordi conclusi dall’Italia con l’Albania negli anni 2006 e 2009, a differenza di quanto sostenuto dagli appellanti, non presentano una natura self-executing, con la conseguenza che, ai fini dell’attuazione delle norme pattizie, da parte dello Stato italiano, non è sufficiente l’adozione di atti meramente amministrativi (asseritamente identificabili, secondo le deduzioni degli appellanti, nelle seguenti misure: codici iafr, procedure tecniche di accertamento quali-quantitative dell’energia prodotta, assegnazione formale della tariffa incentivante), essendo invece necessari atti cui, in ciò concordando con la sentenza impugnata, occorre riconoscere natura di atto politico;
c) ne consegue che non può derivare direttamente dal medesimo accordo un obbligo di rilascio dei “certificati verdi” o di “equipollenti forme di incentivazione”, essendo necessaria l’adozione di appositi atti esecutivi,
d) ad ogni modo, l’accordo di cui si chiede l’attuazione è di per sé idoneo a vincolare esclusivamente le parti contraenti, da individuare negli Stati firmatari, senza radicare – stante la sua natura di atto politico – alcuna posizione giuridica soggettiva in capo ai privati, i quali, pertanto, non possono vantare alcuna pretesa di sorta all’esecuzione dello stesso.
5.4. In conclusione, in ragione di quanto esposto, non si ritengono sussistenti nel caso di specie i presupposti per poter esercitare l’azione avverso il silenzio inadempimento, non essendo per l’appunto ravvisabile alcuna forma di tale silenzio nella condotta tenuta dalle Amministrazioni appellate rispetto all’atto di significazione, invito e diffida, presentato agli appellanti in data 4 agosto 2017.
5.4.1. Del resto, è costante la giurisprudenza nell’affermare che l’omissione dell’adozione del provvedimento finale assume il valore di silenzio-inadempimento (o rifiuto) solo nel caso in cui sussiste un obbligo giuridico di provvedere, cioè di adottare un provvedimento amministrativo esplicito, volto ad incidere, positivamente o negativamente, su una posizione giuridica differenziata, attivando un apposito procedimento amministrativo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27 dicembre 2017, n. 6096; id., 17 gennaio 2014, n. 233).
Invero, con il ricorso avverso il silenzio sono tutelabili unicamente le pretese che rientrino nell’ambito della giurisdizione amministrativa e siano “giustiziabili” (nel senso che sia ravvisabile un dovere della p.a. di provvedere nei confronti dell’istante).
Il rito speciale oggi disciplinato dagli artt. 117 e ss. del c.p.a. non ha infatti lo scopo di tutelare la posizione del privato di fronte a qualsiasi tipo di inerzia comportamentale della p.a., bensì specificamente quello “di apprestare una garanzia avverso il mancato esercizio di potestà pubbliche discrezionali, dal quale non può prescindersi al fine di valutare la compatibilità con l’interesse pubblico di quello sostanziale dedotto dall’interessato” (Cons. Stato, sez. VI, 23 gennaio 2019, n. 577).
6. L’appello, in definitiva, va respinto in quanto infondato, in relazione alla pluralità di profili innanzi evidenziati, e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata.
7. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello R.G. n. 7903/2018, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna gli appellanti, in solido tra loro, al pagamento in favore delle Amministrazioni appellate delle spese del presente grado di giudizio, nella misura di euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2019, con l’intervento dei magistrati:
Oberdan Forlenza – Presidente FF
Luca Lamberti – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere, Estensore
Nicola D’Angelo – Consigliere
Luca Monteferrante – Consigliere

 

 

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