Omesso esame di un fatto storico

Corte di Cassazione, sezione lavoro, Ordinanza 11 marzo 2019, n. 6934.

La massima estrapolata:

Costituisce un vizio specifico denunziabile per Cassazione, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe portato ad un esito diverso della controversia) fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Ordinanza 11 marzo 2019, n. 6934

Data udienza 16 ottobre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 17068-2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., (gia’ (OMISSIS) Foggia S.r.l.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1004/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 06/04/2017 R.G.N. 218/2016.

RILEVATO

CHE:
1. La Corte di appello di Bari ha confermato la sentenza del Tribunale di Foggia che aveva accertato la legittimita’ del licenziamento intimato il 1 giugno 2004 da (OMISSIS) s.p.a. a (OMISSIS) in relazione all’avvenuto superamento del periodo di comporto ed aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno conseguente alla condotta illecita datoriale.
2. La Corte territoriale, in esito ad una ricostruzione teorica della nozione di mobbing, ha escluso che in concreto con la sua condotta il datore di lavoro avesse inciso lesivamente sul profilo professionale correlato alle mansioni gia’ assegnate al (OMISSIS). Ha evidenziato che la nuova unita’ assunta era stata destinata ad un ambito diverso da quello di appartenenza del lavoratore, il quale era si’ tenuto a coordinarsi col nuovo assunto, ma le sue mansioni non erano state ridotte o peggiorate. Ha, quindi, evidenziato che non erano stati neppure allegati episodi sintomatici della vessatorieta’ della condotta datoriale ed ha escluso che una mera riduzione quantitativa potesse incidere sulla professionalita’ del lavoratore impoverendola. Inoltre, ha posto in rilievo che l’inserimento nell’organigramma aziendale di un nuovo livello di coordinamento non era, di per se’, sintomatico di una dequalificazione tenuto conto che erano state conservate sia l’ambito di responsabilita’ sia le attribuzioni sue proprie nonostante il coordinamento. Ha escluso che le determinazioni aziendali esprimessero un intento persecutorio da parte del datore di lavoro ed ha comunque accertato che nessuna concreta ricaduta avevano comunque avuto sulla prestazione, atteso che nel periodo in esame il lavoratore era rimasto assente per malattie e ferie. Ha verificato inoltre che dalle modifiche introdotte non era derivato al lavoratore alcun pregiudizio economico ed ha escluso che le disposizioni impartite con la lettera del 28 agosto 2003 rivelassero un comportamento ostile osservando che si trattava di direttive generali che non avevano alcuna incidenza sull’autonomia decisionale e sulla professionalita’ del lavoratore. Quanto alla rideterminazione territoriale dell’area di competenza del (OMISSIS) la Corte di merito ha evidenziato che si trattava di una delimitazione quantitativa ma non qualitativa. Le direttive impartite circa l’uso dell’auto aziendale, poi, erano connaturate al fatto che la vettura era data in uso per lo svolgimento dell’attivita’ lavorativa. Allo stesso modo l’organizzazione dell’attivita’ giornaliera e la sistemazione logistica erano riconducibili alla potesta’ organizzativa datoriale e non rivelavano alcun intento persecutorio. Non avendo ravvisato alcuna condotta illecita la Corte di merito ha escluso che le patologie che avevano determinato le assenze fossero causalmente derivate da un comportamento datoriale stressante. Quanto poi agli accertamenti peritali disposti nel giudizio intercorso con l’INAIL, il giudice di appello ha ritenuto che, in disparte la loro con divisibilita’, questi non potessero fare stato tra le parti. Conclusivamente la Corte di merito, esclusa la riconducibilita’ delle assenze ad una malattia professionale o comunque connessa ad una condotta datoriale, ha ritenuto che era stato superato il periodo di comporto ed ha confermato la gia’ accertata legittimita’ del licenziamento intimato al (OMISSIS).
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) affidato a quattro motivi ed ulteriormente illustrato da memoria. La (OMISSIS) s.p.a. ha opposto difese con tempestivo controricorso.

CONSIDERATO

CHE:
4. Con il primo motivo di ricorso e’ denunciato l’omesso esame di fatti decisivi in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Ad avviso del ricorrente la Corte di merito nell’escludere il demansionamento avrebbe omesso di prendere in esame il contenuto del contratto di assunzione individuale e gli ulteriori accordi intercorsi tra le parti; l’identita’ di inquadramento attribuito al ricorrente ed all’ing. (OMISSIS), entrambi di sesto livello del c.c.n.l. edili e, cio’ nonostante, la collocazione del ricorrente in posizione subordinata al (OMISSIS); la mancata erogazione al (OMISSIS) delle voci retributive connesse allo svolgimento delle mansioni di responsabile commerciale. Sostiene il ricorrente che tutti questi elementi di fatti, trascurati dalla sentenza di appello, sarebbero stati decisivi, ove presi in esame, per ritenere accertato il denunciato demansionamento.
5. Con il secondo motivo di ricorso e’ lamentata la violazione dell’articolo 2043, 2087, 2103 e 2697 c.c. e dell’articolo 78 del c.c.n.l. edili del 29.6.2000, del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articoli 3 e 4 e dell’articolo 32 Cost.. Sostiene il ricorrente che era risultato dimostrato il demansionamento subito dal (OMISSIS) e l’inadempimento datoriale. Sottolinea che sin dal primo grado era stata evidenziata la vessatorieta’ della condotta tenuta dalla Societa’. Che era onere del datore di lavoro dimostrare che, al contrario, il (OMISSIS) si era reso inadempiente ai suoi obblighi. Evidenzia che, per effetto della modifica organizzativa e dell’introduzione di una sovraordinata figura di coordinamento, il ricorrente era stato di fatto privato di mansioni sue proprie. Erroneamente la Corte di appello aveva escluso l’esistenza di un nesso causale tra il mutamento delle mansioni ed il danno lamentato e non aveva tenuto nella dovuta considerazione le ulteriori circostanze di fatto, pure allegate e dimostrate, che confermavano l’atteggiamento vessatorio dal quale era derivata la patologia psichica denunciata ed accertata con conseguente diritto al risarcimento del danno.
6. Con il terzo motivo di ricorso e’ denunciata in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame di fatti decisivi per avere la Corte di appello, nel verificare la legittimita’ del licenziamento intimato in relazione all’avvenuto superamento del periodo di comporto, trascurato di considerare che con provvedimento dell’Inail era sta riconosciuta l’origine professionale delle patologie in relazione alle quali il (OMISSIS) si era assentato dal lavoro, sicche’ tali assenze non potevano essere computate ai fini del comporto. La Corte territoriale aveva affermato che la sentenza resa nel giudizio con l’Inail non poteva far stato tra il lavoratore ed il datore di lavoro, che di quel giudizio non era stato parte, senza considerare pero’ che cio’ che doveva essere valutato nel presente giudizio era il provvedimento dell’Inail che aveva riconosciuto la natura professionale della malattia di cui la datrice di lavoro era stata posta a conoscenza. Erroneamente percio’, LA Corte di merito al pari del primo giudice, avrebbe trascurato di tenere presente tale circostanza decisiva tenuto conto del fatto che il datore di lavoro, che ne era onerato, non aveva provato che le assenze fossero imputabili a patologie diverse.
7. Con l’ultimo motivo di ricorso e’ denunciata infine la violazione degli articoli 1362 e 2110 c.c., dell’articolo 68 del c.c.n.l. Edili Industria del 29.1.2000 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965 e degli articoli 3 e 38 Cost. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Ad avviso del ricorrente, una volta accertata la natura professionale della malattia tutte le assenze ad esse riferibili non dovevano essere computate ai fini del compimento del periodo di comporto anche in applicazione della disposizione collettiva (l’articolo 68 citato) che espressamente lo prevede.
8. Tanto premesso rileva il Collegio che le censure che investono la sentenza sotto il profilo del vizio di motivazione (primo e terzo motivo di ricorso) sono inammissibili.
8.1. Rileva il Collegio che dagli atti risulta che sia la sentenza del Tribunale che la sentenza della Corte di appello nel rigettare le domande dell’odierno ricorrente hanno negato l’esistenza di un mobbing e/o di un demansionamento; hanno percio’ escluso il diritto del (OMISSIS) al risarcimento del danno; hanno confermato la legittimita’ del licenziamento per superamento del periodo di comporto, escludendo che fosse risultata provata la riconducibilita’ delle assenze a patologie di origine professionale.
8.2. Osserva inoltre la Corte che al procedimento in esame trova applicazione, ai sensi del Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, l’articolo 348 ter c.p.c., comma 5. L’appello avverso la sentenza di primo grado e’ stato depositato, infatti, quando il termine di trenta giorni dall’entrata in vigore della L. n. 134 del 2012, era oramai decorso. Il ricorso in appello iscritto al r.g. del 2016 e’ stato proposto avverso una sentenza del Tribunale di Foggia del 14 gennaio 2016 e, come e’ noto, la norma si applica a decorrere dall’11.9.2012. Tanto premesso ove, come nel caso in esame, la sentenza di appello confermi la motivazione della sentenza di primo grado – c.d. doppia conforme – il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilita’, ai sensi del citato comma 5, del motivo formulato ex articolo 360 c.p.c., comma 1 n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse. Ove, come nel caso in esame, non sia posto chiaramente in rilievo quali siano i profili di diversita’ tra le due motivazioni, le censure formulate ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 cit. devono essere dichiarate inammissibili.
8.3. Peraltro sia la censura con la quale e’ investito sotto il profilo del vizio di motivazione il capo della decisione che ha escluso il demansionamento (primo motivo), sia quella con la quale e’ censurata l’accertata legittimita’ del licenziamento per superamento del periodo di comporto (terzo motivo), non superano comunque il vaglio di ammissibilita’ poiche’ entrambe – lungi dal denunciare un omesso esame di fatto decisivo che se preso in considerazione avrebbe determinato un esito diverso del giudizio – si risolvono nella richiesta di un diverso esame delle emergenze istruttorie che e’ precluso nel giudizio di legittimita’.
8.4. Per effetto della riformulazione disposta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, nel senso che il sindacato sulla motivazione e’ ridotto al “minimo costituzionale” sicche’ e’ denunciabile in cassazione solo quell’anomalia che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, poiche’ attiene all’esistenza della motivazione in se’ e sempre che il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Sotto altro profilo, poi, con la norma novellata e’ stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) ma resta fermo che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte Cass. S.U. 07/04/2014 n. 8053).
8.5. Nel caso in esame si deve escludere che la sentenza presenti carenze tali da far ritenere mancante o apparente la motivazione ovvero perplesso ed incomprensibile il percorso logico esposto dal giudice di appello e posto a sostegno della sua decisione. La sentenza non trascura di prendere in esame i fatti allegati. Valutata le prove acquisite ed esclude sia l’esistenza del demansionamento sia la riconducibilita’ delle assenze a patologie di origine professionale, e come tali non computabili ai fini del compimento del periodo di comporto. Le censure, per come formulate, mirano piuttosto ad ottenere da questa Corte una rivalutazione, in una prospettiva piu’ favorevole, delle emergenze istruttorie che sono state esaminate dalla Corte di merito la quale, nell’esercizio del potere discrezionale ci cui e’ titolare, ha operato una scelta di quelle che ha ritenuto convincenti nella complessiva ricostruzione del fatto.
9. Venendo all’esame dei motivi formulati in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (secondo e quarto motivo) essi, nei limiti in cui possono essere ritenuti ammissibili, sono infondati e devono essere rigettati.
9.1. La Corte territoriale, con una valutazione in concreto delle emergenze istruttorie ha infatti escluso che, per effetto della modifica organizzativa apportata dalla Societa’, il (OMISSIS) sia stato deprivato di compiti qualificanti propri delle mansioni attribuitegli cosi’ da poter ritenere accertato il demansionamento denunciato essendo risultato positivamente provato che questi, pur in seguito alla innovazione organizzativa, aveva conservato immutate la responsabilita’ e le attribuzioni nell’ambito dell’unita’ organizzativa con pari rilevanza tecnico funzionale (v. sentenza a pag. 12 e 13). Inoltre il giudice di appello ha accertato che dalla documentazione versata in atti era risultato escluso che il lavoratore avesse perso quei benefici economici propri della qualifica rivestita gia’ in godimento. Ha verificato che il potere di coordinamento attribuito all’ing. (OMISSIS) non aveva inciso l’autonomia decisionale e la capacita’ professionale del (OMISSIS). Ancora una volta il ricorrente nel denunciare una violazione di legge ripercorre in realta’, secondo una diversa e piu’ favorevole prospettazione, i fatti allegati dimostrati e gia’ valutati dalla Corte di merito, di cui pretende un nuovo esame non consentito.
9.2. Quanto alla denunciata errata interpretazione dell’articolo 68 del c.c.n.l. Edili Industria del 29.1.2000 ed alle altre violazione di legge si osserva che la Corte di merito ha escluso il carattere professionale della malattia e, conseguentemente, con una corretta interpretazione delle norme denunciate ed in particolare della norma collettiva, ha affermato che le stesse dovevano necessariamente essere computate nel calcolo del periodo di comporto che, percio’, era stato superato. E’ ben vero che non possono porsi a carico del lavoratore le conseguenze del pregiudizio da lui subito a causa dell’attivita’ lavorativa espletata ma, allo stesso tempo la certificazione INAIL non costituisce prova legale della natura professionale della malattia o del carattere lavorativo dell’infortunio, ma solo un dato valutativo idoneo, in mancanza di elementi probatori di segno opposto per l’applicabilita’ della speciale disciplina del comporto prevista dalla disposizione contrattuale. Nella specie la Corte di merito ha valutato tutti gli elementi a sua disposizione, ivi compresa la certificazione Inail, ed e’ pervenuta al motivato convincimento che la patologia non rientrava tra quelle di natura professionale traendo da tale accertamento tutte le conseguenze in termini di computo del comporto ed attenendosi ad una corretta interpretazione delle norme conforme a quella offerta anche da questa Corte (arg. ex Cass. 12/06/2013 n. 14756).
10. In conclusione, per le ragioni sopra esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Va poi dato atto che ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 13, comma 1 bis citato D.P.R..

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ che si liquidano in Euro 4000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15/0 per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 13, comma 1 bis citato D.P.R..

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