Nullità della citazione di primo grado per vizi della vocatio in ius

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|26 gennaio 2022| n. 2258.

Nullità della citazione di primo grado per vizi della vocatio in ius.

Nel caso di nullità della citazione di primo grado per vizi inerenti alla “vocatio in ius” (nella specie, per inosservanza del termine a comparire), ove il vizio non sia stato rilevato dal giudice ai sensi dell’art. 164 c.p.c. e il processo sia proseguito in assenza di costituzione in giudizio del convenuto, alla deduzione della nullità come motivo di gravame consegue che il giudice di appello, non ricorrendo un’ipotesi di rimessione della causa al primo giudice, deve ordinare, in quanto possibile, la rinnovazione degli atti compiuti nel grado precedente, mentre l’appellante, già dichiarato contumace, può chiedere di essere rimesso in termini per il compimento delle attività precluse se dimostra che la nullità della citazione gli ha impedito di avere conoscenza del processo, ai sensi dell’art. 294 c.p.c.

Sentenza|26 gennaio 2022| n. 2258. Nullità della citazione di primo grado per vizi della vocatio in ius

Data udienza 11 gennaio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Appello – Nullità della citazione di primo grado per vizi della vocatio in ius in assenza di costituzione del convenuto e in mancanza di nullità rilevata d’ufficio ex art. 164 cpc – Obbligo di rinnovazione degli atti compiuti in primo grado – Ammissibilità della rimessione in termini del convenuto per compiere attività precluse – Onere della prova della mancata conoscenza del processo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f.

Dott. MANNA Felice – Presidente di sez.

Dott. MANZON Enrico – Consigliere

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. MARULLI Marco – Consigliere

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 3521-2019 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.R.L., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonche’ contro
(OMISSIS) S.R.L.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 5193/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 26/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11/01/2022 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NARDECCHIA GIOVANNI BATTISTA, il quale ha concluso per il rigetto dei primi due motivi di ricorso, con rimessione alla Terza Sezione civile per la decisione degli ulteriori motivi;
uditi gli Avvocati.

Nullità della citazione di primo grado per vizi della vocatio in ius

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) ha proposto ricorso articolato in sei motivi avverso la sentenza n. 5193/2018 della Corte d’appello di Roma, depositata il 26 luglio 2018.
Resiste con controricorso la (OMISSIS) s.r.l., mentre l’altra intimata (OMISSIS) s.r.l. non ha svolto attivita’ difensive.
La Corte d’appello di Roma ha parzialmente accolto il gravame avanzato da (OMISSIS) contro la sentenza n. 1337/2013 del Tribunale di Roma, ed ha invece respinto l’appello incidentale della (OMISSIS) s.r.l., dichiarando nulla la pronuncia di primo grado in conseguenza della nullita’ della citazione correlata all’assegnazione di un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge, e tuttavia condannando lo stesso (OMISSIS), quale fideiussore della (OMISSIS) s.r.l., al pagamento in favore della (OMISSIS) s.r.l. della somma di Euro 347.888,33, oltre IVA e interessi convenzionali, derivante dalla risoluzione per inadempimento della (OMISSIS) s.r.l. agli obblighi posti dal contratto di affitto di cava del 14 ottobre 2004.
La (OMISSIS) s.r.l., con citazione del 25 settembre 2008, aveva convenuto in giudizio la (OMISSIS) s.r.l. per chiedere l’adempimento del contratto di affitto del 14 ottobre 2004, avente ad oggetto una cava di inerti, sabbia e ghiaia. La (OMISSIS) s.r.l. aveva tuttavia proposto domanda riconvenzionale per la risoluzione del contratto dovuta ad inadempimento della affittuaria (OMISSIS) s.r.l., nonche’ richiesto l’autorizzazione a chiamare in causa il fideiussore di quest’ultima, (OMISSIS), al fine di ottenerne la condanna in solido con la debitrice principale. Come verificato nella sentenza impugnata, la notificazione della citazione del terzo chiamato in causa (OMISSIS) si era perfezionata il 28 giugno 2009, mentre la nuova udienza allo scopo di consentirne la comparizione era stata fissata per il 3 novembre 2009.

 

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La Corte d’appello di Roma ha premesso che l’acclarata nullita’ della citazione non costituisse ragione di rimessione della causa al primo giudice, giacche’ non compresa fra le ipotesi tassative di cui agli articoli 353 e 354 c.p.c. La sentenza impugnata ha altresi’ evidenziato che la nullita’ della citazione rivolta nei confronti di (OMISSIS) non aveva provocato una lesione dell’integrita’ del contraddittorio in primo grado, non essendo in tale fase il fideiussore un litisconsorte necessario. In prosieguo, la Corte di Roma ha esposto che l’appellante principale, invalidamente citato in primo grado, non resta soggetto alle preclusioni e decadenze connesse alla mancata partecipazione alla fase precedente, potendo con l’atto di appello proporre tutte le difese e richieste anche istruttorie e produrre documenti. Al contrario, la Corte d’appello ha respinto l’istanza di (OMISSIS) diretta alla concessione di un termine ex articolo 183 c.p.c., comma 6, per il deposito di memorie, l’indicazione dei mezzi di prova e le produzioni documentali, trattandosi di norma che non opera nel giudizio di appello e di attivita’ che l’appellante avrebbe dovuto compiere gia’ con l’atto di appello.
Nel merito, la Corte d’appello di Roma: ha escluso la ravvisabilita’ della nullita’ del contratto di affitto per il contrasto con un vincolo paesaggistico gravante sull’area dov’e’ sita la cava; ha fondato sull’articolo 1591 c.c. la condanna della affittuaria e del fideiussore al pagamento del minimo garantito nonostante l’intervenuta risoluzione del contratto; ha condiviso l’interpretazione del primo giudice sulle clausole contrattuali inerenti allo stesso minimo garantito, smentendone altresi’ la nullita’; ha negato la sussistenza di ragioni di inesigibilita’ del corrispettivo legate alla mancata emissione delle fatture.
Con ordinanza interlocutoria n. 18297/2021 del 25 giugno 2021, pronunciata all’esito della pubblica udienza del 19 maggio 2021, la Terza Sezione civile, rilevata la sussistenza di questione di diritto di particolare importanza, decisa peraltro in senso difforme da precedenti pronunce della Corte, quanto agli effetti della rilevazione nel giudizio di appello della nullita’ della citazione introduttiva ed alla conseguente rinnovazione, in sede di gravame, delle attivita’ compiute in primo grado, ha rimesso il ricorso al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite.
E’ stata altresi’ acquisita la relazione predisposta dall’Ufficio del Massimario.
Il pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Giovanni Battista Nardecchia, ha presentato memoria contenente conclusioni scritte, chiedendo il rigetto dei primi due motivi di ricorso e la rimessione alla Terza Sezione civile per la decisione degli ulteriori motivi.
Ha presentato memoria la controricorrente (OMISSIS) s.r.l.

 

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. il primo motivo del ricorso di (OMISSIS) denuncia la violazione degli articoli 99, 100, 101, 102, 353 e 354 c.p.c., nonche’ degli articoli 1453 c.c. e ss., per avere la Corte d’appello erroneamente omesso di procedere alla rimessione della causa al primo giudice, ex articolo 354 c.p.c. La censura evidenzia che la Corte d’appello si e’ limitata ad enunciare il generico principio della facoltativita’ del litisconsorzio nel rapporto processuale di primo grado tra creditore, debitore principale e fideiussore, ove il primo agisca per ottenere il pagamento nei confronti sia del debitore che del garante, senza considerare che, nella specie, la domanda riconvenzionale della (OMISSIS) s.r.l. era volta ad ottenere la declaratoria di risoluzione del contratto del 14 ottobre 2004 per l’inadempimento della affittuaria (OMISSIS) s.r.l., con pretese conseguenziali di condanna al pagamento di somme di denaro rivolte in solido verso la debitrice principale ed il fideiussore. Tendendo, percio’, la domanda della (OMISSIS) s.r.l. alla risoluzione del contratto anche nella parte relativa all’obbligo fideiussorio del (OMISSIS), questi non poteva non considerarsi parte necessaria del giudizio di primo grado.
1.1. Puo’ superarsi l’eccezione di inammissibilita’ sollevata dalla controricorrente, in ordine all’erronea indicazione del vizio come riconducibile all’articolo 360 c.p.c., comma, 1, n. 3 (anziche’ n. 4). Come precisato da Cass. Sez. Unite, 24 luglio 2013, n. 17931, il ricorso per cassazione deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione espressamente e tassativamente previste dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, senza che sia necessaria l’adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi.
E’ parimenti infondata l’ulteriore eccezione che la controricorrente (OMISSIS) s.r.l. solleva con riguardo al primo motivo di ricorso, secondo cui il ricorrente, nel censurare la violazione di regole processuali, avrebbe dovuto specificare il concreto pregiudizio subito. Il motivo denuncia la lesione dei diritti processuali essenziali al contraddittorio ed alla difesa giudiziale, con riferimento ai quali la parte non ha alcun onere di allegare o di dimostrare che la violazione della norma le abbia provocato un pregiudizio specifico ulteriore rispetto a quello relativo al compiuto esercizio di quegli stessi diritti (Cass. Sez. Unite, 25 novembre 2021, n. 36596).

 

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1.2. Il primo motivo del ricorso di (OMISSIS) e’ del tutto infondato.
1.2.1. Esso sottende che operasse, nella specie, il principio secondo cui, all’interno di una controversia con pluralita’ di convenuti in qualita’ di litisconsorti necessari, la nullita’ dell’atto di citazione in primo grado nei confronti di uno dei medesimi litisconsorti, che non si sia costituito, produce un vizio originario dell’integrita’ del contraddittorio che giustifica la rimessione del giudizio al primo giudice, ex articolo 354 c.p.c., comma 2. L’assunto deriva, tuttavia, dall’erroneo presupposto interpretativo secondo cui nella controversia promossa, come nella specie, dal concedente per la risoluzione di un contratto di affitto, sia l’affittuario che il fideiussore di quest’ultimo rivestono la qualita’ di litisconsorti necessari per ragioni di diritto sostanziale, non potendo la risoluzione contrattuale essere utilmente pronunciata se non nei confronti di tutte le parti dell’unico rapporto in contestazione. E’ vero, al contrario, che il negozio fideiussorio interviene tra il fideiussore ed il creditore, quand’anche il debitore si sia obbligato per contratto a prestare una fideiussione (articolo 1943 c.c.), sicche’ il debitore resta estraneo al negozio fideiussorio, cosi’ come il fideiussore non deve necessariamente partecipare all’accordo tra debitore e creditore.
La prestazione di garanzia fideiussoria non inserisce, quindi, un terzo soggetto nell’ambito del rapporto fra debitore principale e creditore, ma costituisce un rapporto autonomo e distinto, collegato con il primo da relazione di accessorieta’ (insorgendo l’obbligazione del fideiussore dall’inadempimento dell’obbligazione principale). La domanda di risoluzione del contratto per inadempimento non contiene, pertanto, la domanda di risolvere altresi’ la garanzia fideiussoria dell’obbligo inadempiuto; anzi, l’inadempimento del debitore principale rende attuale ed operante l’obbligo del fideiussore di adempiere in luogo di lui, e percio’ la risoluzione per inadempimento serve proprio per esporre il fideiussore alle conseguenze relative. Ne consegue che, nella controversia promossa dal creditore per sentir risolvere il contratto intercorrente col debitore principale non insorge necessita’ di integrazione del contraddittorio nei confronti del fideiussore, non vertendosi in situazione di litisconsorzio necessario (arg. da Cass. Sez. 2, 5 ottobre 1978, n. 4433; Cass. Sez. 1, 30 gennaio 1985, n. 579; anche da Cass. Sez. 2, 27 giugno 1992, n. 8064; Cass. Sez. 3, 13 giugno 2006, n. 13652).
1.2.2. Rileva, piuttosto, nel caso in esame, la regola, correttamente applicata dalla Corte d’appello di Roma, per la quale il rapporto processuale tra creditore, debitore principale e fideiussore configura, nel primo grado del giudizio, un litisconsorzio facoltativo, potendo il creditore agire separatamente, a norma dell’articolo 1944 c.c., comma 1, nei confronti dei due debitori solidali, salva poi la necessita’ del litisconsorzio processuale nei gradi d’impugnazione, ove siano riproposti temi comuni al debitore principale e al fideiussore (cosi’ Cass. Sez. 3, 26 luglio 2019, n. 20313; Cass. Sez. 3, 20 luglio 2016, n. 14829; Cass. Sez. 1, 1 ottobre 2012, n. 16669).

 

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Risultando, pertanto, acclarata la nullita’, dedotta con l’atto di appello, della citazione introduttiva di primo grado nei confronti del fideiussore convenuto litisconsorte facoltativo, ivi rimasto contumace, per l’assegnazione di un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge (articolo 164 c.p.c., comma 1), non si da’ luogo alla rimessione della causa al primo giudice, atteso che tale ipotesi non e’ assimilabile ai casi tassativamente indicati negli articoli 353 e 354 c.p.c.
2. Il secondo motivo di ricorso allega la violazione dell’articolo 183 c.p.c., comma 6, articoli 342 e 359 c.p.c., alla luce degli articoli 24 e 111 Cost., avendo la Corte di Roma respinto la richiesta di rimettere in termini l’appellante principale, a fronte della nullita’ della sentenza di primo grado per il vizio della vocatio in ius, per il deposito di memorie, l’indicazione dei mezzi di prova e le produzioni documentali ai sensi dell’articolo 183 c.p.c., comma 6.
2.1. Anche per il secondo motivo di ricorso vanno dapprima disattese le eccezioni pregiudiziali della controricorrente (OMISSIS) s.r.l., identiche a quelle esaminate in relazione al primo motivo. Sono agevolmente superabili altresi’ le considerazioni che la controricorrente svolge nella memoria ex articolo 378 c.p.c., secondo cui “la citazione per chiamata di terzo, al momento in cui e’ stata notificata, era valida”, giacche’ “avvenuta, secondo quando stabilito dall’articolo 140 c.p.c. all’epoca vigente (cioe’ prima della sentenza n. 3/2010 della Corte Costituzionale intervenuta il 14/01/2010), il 18/06/2009 per l’udienza del 3/11/2009. Il 18/06/2009 e’, infatti, la data del timbro postale di spedizione della raccomandata da parte dell’ufficiale giudiziario….”. Tale questione, esplicitamente decisa dalla Corte d’appello di Roma (nel senso che “la notificazione dell’atto di chiamata in causa in primo grado si e’ perfezionata ex articolo 140 c.p.c…. pacificamente soltanto in data 28.6.2009”), non e’ stata oggetto di ricorso incidentale. La deduzione e’, peraltro, palesemente infondata, ove si consideri che l’efficacia di una sentenza dichiarativa della illegittimita’ costituzionale di una norma processuale si estende sia agli atti del processo successivi alla pubblicazione di essa, sia agli atti processuali compiuti in precedenza, la cui validita’ sia tuttavia ancora oggetto di sindacato.
3. La decisione del secondo motivo di ricorso pone dunque in rilievo la questione di diritto che l’ordinanza interlocutoria n. 18297/2021 del 25 giugno 2021 segnala come risolta dalla giurisprudenza della Corte “in modi talora contrastanti e, in ogni caso, da ultimo, insoddisfacenti”.

 

Nullità della citazione di primo grado per vizi della vocatio in ius

 

3.1. L’excursus dell’ordinanza interlocutoria prende le mosse dalla sentenza 21 marzo 2001, n. 122, resa da queste Sezioni Unite. In tale pronuncia si affermo’ che il principio secondo cui il giudice di appello, il quale ravvisi la sussistenza della nullita’ della vocatio in jus in primo grado, in un giudizio soggetto al rito del lavoro, per inosservanza del termine di comparizione di cui all’articolo 415 c.p.c., comma 5, e’ investito del potere – dovere di dichiarare la nullita’, trattenere la causa e decidere nel merito, dovesse essere “integrato con l’ulteriore precisazione che, in tale evenienza l’appellante, contumace in primo grado, deve essere ammesso a svolgere (in relazione alle questioni di merito dibattute in primo grado, delle quali deve necessariamente chiedere il riesame, a pena di inammissibilita’ dell’appello: v. sent. n. 12541/98 di queste S.U.) tutte le attivita’ assertive e probatorie precluse dalla nullita’. Tale principio, accolto da una parte della giurisprudenza in relazione al giudizio ordinario, sul rilievo che, diversamente, l’appellante sarebbe ingiustificatamente pregiudicato dalla nullita’ verificatasi in suo danno (sent. n. 3878/77; n. 724/82; n. 11834/92; n, 12102/95; n. 7436/96; n. 2251/97; n. 6879/99; n. 7054/99), merita infatti di essere esteso, per analoga ragione, anche al giudizio soggetto al rito del lavoro”.
Va considerato che, per giustificare la mancata rimessione al giudice di primo grado, le Sezioni Unite rimarcarono come, quando ricorra l’inosservanza dei termini di comparizione, la notifica dell’atto introduttivo si postula come valida, sicche’ il contatto tra attore e convenuto si e’ realizzato ed il contraddittorio e’ potenzialmente instaurato: “(i)l convenuto che, pur avendo avuto notizia del giudizio intentato nei suoi confronti, rileva la violazione del termine di comparizione, non si costituisce per libera scelta di strategia processuale, riservandosi la tutela in sede di impugnazione”.
La sentenza n. 122/2001 aggiunse che “non puo’ negarsi che l’ammissione dell’appellante a svolgere tutte le attivita’ che avrebbe potuto svolgere in primo grado, se il processo si fosse ritualmente instaurato, comporta indubbiamente una deviazione dalla struttura del giudizio di appello secondo il rito del lavoro, quale giudizio di mero riesame. Occorre tuttavia considerare che la preclusione di tali attivita’ sarebbe lesiva del diritto di difesa della parte danneggiata dalla nullita’. L’alterazione della funzione del giudizio di appello e’ quindi giustificata dalla prevalenza del principio costituzionale”.
3.2. Il principio di diritto enunciato dalla Sezioni Unite nel 2001 e’ stato piu’ volte condiviso nelle successive pronunce aventi ad oggetto controversie soggette al rito del lavoro (da ultimo, Cass. Sez. Lavoro, 26 luglio 2013, n. 18168; Cass. Sez. Lavoro, 18 maggio 2010, n. 12101) ed anche in decisioni relative al giudizio ordinario di cognizione (si vedano, indicativamente, Cass. Sez. 3, 14 giugno 2016, n. 12156; Cass. Sez. 1, 11 novembre 2010, n. 22914; Cass. Sez. 2, 13 dicembre 2005, n. 27411; Cass. Sez. 1, 15 settembre 2004, n. 18571) del 15/09/2004), non essendo, del resto, decisiva la considerazione che nell’uno o nell’altro la nullita’ per il mancato rispetto dei termini a comparire sia attribuibile prevalentemente al comportamento del giudice o dell’attore.
3.3. L’ordinanza interlocutoria della Terza Sezione civile dedica, peraltro, specifica attenzione ad un precedente che, pur richiamando il principio dettato dalla sentenza n. 122/2001 delle Sezioni Unite, recava un significativo corollario: Cass. Sez. Lavoro, 24 aprile 2004, n. 16680, dopo aver ribadito la nullita’ della decisione di primo grado in caso di inosservanza dei termini a comparire e l’obbligo del giudice d’appello di ammettere l’appellante ad esercitare in sede di gravame tutte le attivita’ che avrebbe potuto svolgere in primo grado, onerava il convenuto di indicare, con l’atto d’appello, quali attivita’ defensionali gli fossero rimaste impedite in primo grado a causa della riduzione del termine e volesse percio’ svolgere in appello.
3.4. La sostanziale uniformita’ dell’orientamento giurisprudenziale finora sintetizzato e’ stata rotta, come segnala l’ordinanza interlocutoria, da Cass. Sez. 6 – 3, 7 maggio 2013, n. 10580. Tale pronuncia decise un caso di mancato rispetto del termine a comparire nel decreto di fissazione dell’udienza ex articolo 415 c.p.c. I convenuti, rimasti contumaci in primo grado, avevano poi spiegato appello, chiedendo di esercitare tutte le attivita’ che essi avrebbero potuto svolgere in primo grado e proponendo in via subordinata altresi’ una domanda riconvenzionale. I giudici dell’appello, dichiarata la nullita’ della sentenza di primo grado e rinnovato il giudizio sulla domanda attorea, avevano dichiarato inammissibile la riconvenzionale. L’ordinanza n. 10580 del 2013 di questa Corte rigetto’ il ricorso sulla base della seguente motivazione. Premessi i differenti ambiti delle nullita’ per vizi della vocatio in ius e della editio actionis nell’ambito dell’articolo 164 c.p.c., la pronuncia in esame rilevo’ come tale norma disciplini il rilievo delle invalidita’ della citazione con riferimento al momento iniziale del processo, segnato dalla prima udienza, senza occuparsi delle conseguenze del mancato rilievo della nullita’ dell’atto introduttivo in difetto di costituzione del convenuto, ne’ precisare se il potere di rinnovazione del giudice possa essere esercitato anche nel successivo corso del processo di primo grado o nei gradi successivi. Sovviene tuttavia, secondo Cass. n. 10580/2013, il disposto dell’articolo 101 c.p.c., comma 1, a norma del quale “il giudice, salvo che la legge disponga altrimenti, non puo’ statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale e’ proposta non e’ stata regolarmente citata e non e’ comparsa”, il che convaliderebbe la conclusione sistematica per cui il potere di rilevazione della nullita’ della citazione va esercitato dal giudice d’ufficio fino al momento della decisione di primo grado. Resa quest’ultima, invece, la nullita’ della citazione e della stessa sentenza andrebbe soggetta alla regola dettata dall’articolo 161 c.p.c., dovendo, percio’, essere dedotta dal convenuto soccombente come motivo di impugnazione. Dovrebbe, invero, considerarsi che quando il giudice abbia omesso di rilevare d’ufficio la nullita’ della citazione, la posizione del convenuto “diventa quella del contumace”. Percio’, nell’eventualita’ che il convenuto, destinatario di una citazione nulla, e rimasto ab initio contumace, decida successivamente di “entrare nel processo” durante il corso del giudizio di primo grado o attraverso l’appello, la sua condizione processuale andrebbe regolata alla stregua dell’articolo 294 c.p.c., comma 1, in base al quale “il contumace che si costituisce puo’ chiedere al giudice istruttore di essere ammesso a compiere attivita’ che gli sarebbero precluse, se dimostra che la nullita’ della citazione o della sua notificazione gli ha impedito di avere conoscenza del processo o che la costituzione e’ stata impedita da causa a lui non imputabile”. La pronuncia di nullita’ della citazione imporrebbe, cosi’, quanto all’attivita’ processuale gia’ espletata, l’estensione per dipendenza ai sensi dell’articolo 159 c.p.c., comma 1, e la rinnovazione a norma dell’articolo 162 c.p.c., comma 1, pur indipendentemente dalla dimostrazione della mancata conoscenza del processo in capo al convenuto. Quanto invece alle attivita’ rimesse alla iniziativa del convenuto ed ormai precluse dallo stadio del giudizio, l’articolo 294 c.p.c., comma 1, imporrebbe al contumace che si costituisce di dar prova che la nullita’ della citazione gli abbia impedito di avere utile e tempestiva conoscenza del processo, cosi’ da giustificarne la rimessione in termini. La deroga che, in tale prospettiva, l’articolo 294 c.p.c. apporterebbe alla generalizzata operativita’ dell’articolo 162 c.p.c., in ragione del comportamento inerte serbato inizialmente dal convenuto contumace che fosse a conoscenza del processo, troverebbe un suo radicamento, stando alla ricostruzione prediletta da Cass. n. 10580/2013, nei principi costituzionali sul giusto processo, specie in quello della sua ragionevole durata. Cio’ detto, al di la’ delle particolarita’ della singola vicenda, Cass. n. 10580/2013 chiariva anche che l’unica nullita’ della citazione per vizi della vocatio in ius che appare in astratto tale da impedire al convenuto la conoscenza del processo e’ quella legata all’elemento di cui all’articolo 163 c.p.c., comma 3, n. 1, ovvero l’indicazione del giudice davanti al quale la domanda e’ proposta, indicazione che, se omessa o assolutamente incerta, non consente alla parte evocata in lite di esercitare il proprio diritto di difesa sulla domanda. Nessuna delle altre nullita’ relative alla vocatio in ius (come anche alla editio actionis) determinerebbe, di regola, una mancata conoscenza del processo; cio’, in particolare, quanto alla violazione dei termini di comparizione o alla mancanza dell’avvertimento previsto dal numero 7) dell’articolo 163 c.p.c., vizi in rapporto ai quali la stessa costituzione del convenuto non nega a questo la facolta’ di chiedere al giudice la fissazione di una nuova udienza (articolo 164 c.p.c., comma 3). La conclusione raggiunta da Cass. n. 10580/2013 e’, quindi, che “per tutte le ipotesi di nullita’ della citazione diverse da quelle della mancanza di indicazione del giudice o dell’assoluta incertezza di essa, la posizione del convenuto dichiarato erroneamente contumace, che si costituisca tardivamente ai sensi dell’articolo 294 c.p.c., e’ quella di chi, fermo che puo’ esigere la rinnovazione dell’attivita’ altrui svolta prima della sua costituzione, non puo’ compiere attivita’ ormai precluse nel momento della costituzione, in quanto la citazione notificatagli con una di dette nullita’ lo aveva comunque messo in grado di costituirsi e di far valere oltre alla nullita’, la pretesa allo svolgimento delle attivita’ precluse. E cio’ perche’ la nullita’ della citazione non gli ha impedito di conoscere il processo e, quindi, di costituirsi”. Da cio’ discenderebbe che, quando il convenuto deduca la nullita’ della citazione introduttiva come motivo di appello, in conformita’ alla regola dettata dall’articolo 294 c.p.c., egli avra’ diritto alla rinnovazione degli atti compiuti in primo grado (come suppone l’articolo 354 c.p.c., u.c.), nonche’ al compimento delle attivita’ che gli sono ormai precluse ma solo se “le circostanze del caso concreto hanno determinato anche la mancata conoscenza della pendenza del processo”.
3.5. La soluzione interpretativa prescelta da Cass. Sez. 6 – 3, 7 maggio 2013, n. 10580, e’ stata di seguito richiamata da Cass. Sez. 1, 26 luglio 2016, n. 15414. Quest’ultima pronuncia, in realta’, riguardava una fattispecie in cui il giudice di primo grado aveva dichiarato la nullita’ della citazione recante l’invito a costituirsi dinanzi ad un tribunale diverso a quello indicato come adito ex articolo 163 c.p.c., comma 3, n. 1). La Corte d’appello, decidendo sul gravame formulato dall’attore, nella perdurante contumacia dei convenuti, e dunque senza richiesta proveniente dagli stessi, aveva non di meno disposto la rinnovazione degli atti nulli, fissando udienza di trattazione, previa concessione del termine ex articolo 183 c.p.c. anche ai contumaci.
3.6. Seppur non menzionata nella ordinanza interlocutoria, come ulteriore tassello del composito mosaico giurisprudenziale in argomento va certamente ricordata anche Cass. Sez. 3, 28 marzo 2017, n. 7885. Questa pronuncia si trovava al cospetto di un atto di citazione per opposizione a decreto ingiuntivo privo della indicazione del giorno dell’udienza di comparizione e, dunque, affetto da nullita’ per vizio della vocatio in ius. Facendo applicazione dell’articolo 164 c.p.c., la sentenza n. 7885 del 2017 ritenne sanata retroattivamente detta nullita’ in forza della proposizione dell’appello. Seguendo, peraltro, i principi enucleati da Cass. Sez. Unite, 19 aprile 2010, n. 9217, Cass. n. 7885 del 2017 chiari’ che la sanatoria della nullita’ della citazione, garantita anche in sede di gravame dalla permanente operativita’ dell’articolo 164 c.p.c., non esclude l’invalidita’ del giudizio di primo grado e la conseguente nullita’ della sentenza, imponendo, tuttavia, al giudice di appello di trattare la causa nel merito, “rinnovando a norma dell’articolo 162 c.p.c. gli atti dichiarati nulli, quando sia possibile e necessario”.
Nel “dosare” tale necessita’ della rinnovazione degli atti nulli compiuti in primo grado, la sentenza n. 7885 del 2017 ritenne, peraltro, di aderire alla sentenza n. 10580 del 2013: poiche’ il ravvisato vizio di nullita’ della citazione per mancata indicazione della data dell’udienza di comparizione non poteva aver impedito al convenuto di avere comunque notizia della pendenza della lite, questi, alla luce dell’articolo 294 c.p.c., non aveva diritto a compiere le attivita’ rimaste per lui precluse nel giudizio di primo grado, atteso che “un comportamento processuale improntato ai principi della correttezza e della buona fede” gli avrebbe consentito di “attivarsi per conoscere la situazione di un giudizio della cui esistenza egli era pacificamente informato”.
3.8. L’archetipo argomentativo delle sentenze n. 10580 del 2013 e n. 7885 del 2017 e’ stato riprodotto da Cass. Sez. 3, 15 gennaio 2020, n. 544, con riguardo alla nullita’ per vizi della vocatio in ius di una citazione per opposizione a decreto ingiuntivo, nullita’ rimasta sanata ex tunc in seguito alla proposizione dell’appello ad opera dell’opposto contumace in primo grado.
3.9. La sanatoria retroattiva ex articolo 164 c.p.c. della citazione, in conseguenza della proposizione dell’appello da parte del convenuto rimasto dapprima contumace, e la necessita’ di rinnovare nel giudizio di gravame, “quando possibile e necessario”, gli atti nulli, sono state riaffermate da Cass. Sez. 3, 8 giugno 2012, n. 9306 (in ipotesi di citazione nulla per l’assegnazione di un termine a comparire inferiore a quello previsto dalla legge) e da Cass. Sez. 6 – 2, 7 gennaio 2021, n. 32 (in ipotesi di nullita’ della citazione introduttiva del primo grado per mancanza dell’avvertimento ex articolo 163 c.p.c., comma 3, n. 7).
3.10. La giurisprudenza della Corte ha anche chiarito che l’effetto sanante prodotto dalla proposizione dell’appello si limita alla nullita’ della citazione viziata nella vocatio in ius e non si comunica agli atti successivi dipendenti, dei quali percio’ il giudice di appello deve ordinare la rinnovazione (Cass. Sez. 3, 15 maggio 2009, n. 11317; Cass. Sez. Lavoro, 12 ottobre 2017, n. 24017).
4. L’ordinanza interlocutoria n. 18297/2021 pronunciata dalla Terza Sezione civile reputa non “del tutto convincente” la soluzione offerta dalla sentenza n. 10580 del 2013, con cui si affida all’articolo 294 c.p.c., oltre alla disciplina dell’ipotesi riguardante la richiesta di rimessione in termini da parte del contumace che si costituisce nel giudizio di primo grado, anche la regolamentazione delle conseguenze in appello dell’erronea dichiarazione di contumacia avvenuta in primo grado nonostante la nullita’ dell’atto di citazione. Tale ricostruzione, ad avviso dell’ordinanza interlocutoria, muoverebbe dal contestabile presupposto della sussistenza di un onere processuale del convenuto di costituirsi in ogni caso in giudizio, la’ dove abbia ricevuto un atto nullo che non gli abbia impedito di avere nozione del processo, e cio’ a fronte della irregolarita’ della vocatio in ius imputabile all’attore e della inosservanza del dovere di disporre la rinnovazione ex articolo 164 c.p.c. imputabile al giudice. Sottraendo all’appellante la possibilita’ di svolgere tutte le attivita’ assertive e probatorie precluse dalla nullita’ della citazione originaria, si verificherebbe, secondo l’ordinanza della Terza Sezione civile, un ingiustificato pregiudizio della parte come conseguenza della nullita’ verificatasi in suo danno. L’ordinanza n. 18297/2021 riferisce la tesi dottrinale che riconduce alla costituzione tardiva del convenuto, il quale eccepisca la nullita’ della citazione, ex articolo 164 c.p.c., comma 3, l’effetto inevitabile della “riapertura” piena e incondizionata del processo, desumibile dalla previsione della necessaria fissazione di una nuova udienza nel rispetto dei termini prima udienza ex articolo 183 c.p.c. Viene altrimenti rievocata una diversa teoria che prospetta tre distinte soluzioni: una che generalizza il funzionamento degli articoli 164 e 162 c.p.c., una che distingue fra rinnovazione degli atti nulli e rimessione in termini ed una che poggia sull’articolo 294 c.p.c. e sulla convalidazione soggettiva ex articolo 157 c.p.c., comma 2.
5. Come ben evidenzia l’ordinanza interlocutoria, le difformita’ di decisioni giurisprudenziali, che negli ultimi anni si sono riscontrate sulla questione in oggetto, fanno eco ad una simmetrica divaricazione di opinioni riscontrabile in dottrina.
5.1. Una prima tesi induce a ritenere che la costituzione oltre la prima udienza effettuata del convenuto, il quale deduca l’inosservanza dei termini a comparire (o la mancanza dell’avvertimento ex articolo 163 c.p.c., comma 3, n. 7), comporti sempre la regressione del processo alla prima udienza, ai sensi dell’articolo 164 c.p.c., comma 3, senza percio’ che il contumace soffra delle eventuali preclusioni o decadenze medio tempore maturate.
A questa soluzione si obietta, in maniera apparentemente inoppugnabile, che la lettura prescelta non si cura del coordinamento dell’articolo 164 c.p.c., comma 3, con l’articolo 156 c.p.c., articolo 159 c.p.c., comma 1, articoli 162, 164 e 294 c.p.c.
5.2. Una seconda tesi relega il funzionamento dell’articolo 164 c.p.c., comma 3, alla sola ipotesi in cui il convenuto si costituisca entro la prima udienza, lasciando operare per il resto l’articolo 294 c.p.c.: il convenuto che, al momento della sua tardiva costituzione, eccepisca la nullita’ della citazione ha diritto di ottenere soltanto la rinnovazione, ex articolo 162 c.p.c., degli atti istruttori pregressi, colpiti per estensione dall’invalidita’ dell’atto introduttivo; se il convenuto intenda, invece, svolgere ulteriori attivita’ difensive per le quali sono gia’ maturate preclusioni, egli deve ottenere la rimessione in termini alle condizioni previste dal citato articolo 294.
Qualora poi il convenuto, destinatario di una citazione nulla per vizi della vocatio in ius, rimanga contumace per l’intero giudizio di primo grado e deduca la nullita’ in appello, non trattandosi, com’e’ pacifico, di caso che comporti la rimessione al primo giudice, il giudice d’appello, dichiarata la nullita’ della citazione, deve parimenti procedere alla rinnovazione degli atti dipendenti da essa ed eventualmente consentire all’appellante il superamento delle preclusioni maturate nei suoi confronti seguendo il criterio dettato dall’articolo 294 c.p.c., comma 1, e cioe’ se vi sia prova che il vizio dell’atto introduttivo fosse tale da impedire al convenuto l’individuazione degli elementi essenziali del processo e percio’ giustificarne la contumacia nell’intero corso del primo grado. Nel coordinamento tra l’articolo 164 e l’articolo 294 codice di rito, si avrebbe che, esaurita la fase di operativita’ della prima norma, la restituzione in termini non si configura piu’ come un diritto automatico spettante al convenuto, restando, piuttosto, affidata al vaglio di meritevolezza postulato dalla seconda disposizione.
A questa soluzione si obietta che non vi sarebbe ragione di disporre la rinnovazione degli atti istruttori compiuti in primo grado nel contraddittorio con l’ex contumace senza rimettere lo stesso in termini ai fini dell’esercizio dei poteri di cui quegli atti sono emanazione. In tal senso, l’articolo 294 c.p.c. dovrebbe rappresentare un coerente completamento delle discipline della nullita’ dettate dagli articoli 156, 159, 162 e 164 c.p.c.:
rinnovazione degli atti nulli e rimessione in termini per il compimento delle attivita’ precluse in conseguenza della nullita’ sarebbero, quindi, rimedi concorrenti e non alternativi.
5.3. Una terza tesi ravvisa la necessita’ di coordinare l’articolo 294 c.p.c., comma 1, con il limite soggettivo di rilevabilita’ della nullita’ stabilito dall’articolo 157 c.p.c., comma 2, limite correlato alla “prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso”, cioe’ al primo atto del processo seguente al verificarsi o comunque alla conoscenza della nullita’ stessa. In tal senso, il convenuto che, nonostante la nullita’ della citazione, abbia avuto notizia di essa (quando, percio’, non si tratti della omissione o assoluta incertezza dei requisiti stabiliti nell’articolo 163 c.p.c., nn. 1 e 2), non potrebbe piu’ opporre la medesima nullita’ oltre il segmento procedimentale di prossimita’ segnato dall’articolo 157 c.p.c., comma 2, ne’ chiedere la rimessione in termini ai sensi dell’articolo 294 c.p.c., comma 1. Se la citazione manca della indicazione della data dell’udienza o dell’avvertimento previsto dal n. 7) dell’articolo 163 c.p.c., oppure viola i termini a comparire, il convenuto ha conoscenza del processo e puo’ costituirsi entro la prima udienza, sicche’ opera l’articolo 157 c.p.c., comma 2. Altrimenti, ove il convenuto non si costituisce e il giudice non rileva d’ufficio la nullita’, come postula l’articolo 164 c.p.c., comma 2, la nullita’ della citazione rimane sanata in base, appunto, all’articolo 157 c.p.c., comma 2, e se il convenuto si costituisce nel prosieguo del processo non deve farsi luogo ne’ a rinnovazione ne’ a rimessione in termini ex articolo 294 c.p.c.
6. Queste Sezioni Unite ritengono che la difformita’ di pronunce segnalata dalla ordinanza interlocutoria della Terza Sezione Civile vada composta dando continuita’ all’interpretazione prescelta da Cass. Sez. 6 – 3, 7 maggio 2013, n. 10580, nel senso, cioe’, di lasciare regolata dall’articolo 294 c.p.c. la questione degli effetti della rilevazione della nullita’ della citazione come motivo d’appello, distinguendo fra rinnovazione degli atti nulli compiuti in primo grado, a norma dell’articolo 354 c.p.c., comma 4, e articolo 356 c.p.c., e rimessione in termini per le attivita’ segnate da preclusioni condizionata alla dimostrazione della mancata conoscenza del processo.
6.1 La nullita’ della citazione introduttiva del giudizio di primo grado per vizi della vocatio in ius, riguardando l’atto preordinato all’instaurazione del contraddittorio, ove il convenuto non si costituisca e non sia rilevata d’ufficio dal giudice (articolo 164 c.p.c.), comporta l’estensione a tutti gli atti del processo che ne sono dipendenti (articolo 159 c.p.c., comma 1), ovvero agli atti che devono compiersi nel contraddittorio delle parti. Allorche’ tale nullita’ non sia stata sanata dalla costituzione del convenuto ne’ rilevata d’ufficio, non operando per essa il regime di cui all’articolo 157 c.p.c., comma 2, la stessa nullita’ si converte in motivo di impugnazione e deve percio’ essere fatta valere dal contumace mediante appello, contemporaneamente spiegato, a pena di inammissibilita’, anche in rapporto alle statuizioni di merito (da ultimo, Cass. Sez. Unite, 25 novembre 2021, n. 36596). La proposizione dell’appello, d’altro canto, non sana ex se la nullita’ degli atti successivi dipendenti dalla citazione viziata. Il giudice d’appello, preso atto della nullita’ del giudizio di primo grado e della stessa sentenza, non potendo disporre la rimessione al primo giudice, ai sensi dell’articolo 354 c.p.c., e’ dunque tenuto a trattare la causa nel merito, rinnovando gli atti dichiarati nulli.
6.2. La rinnovazione degli atti nulli che sia ordinata dal giudice d’appello coinvolge, peraltro, le attivita’ difensive correlate e strettamente conseguenziali all’atto rinnovato, ma non equivale alla rimessione in termini integrale ed automatica del contumace nello svolgimento di tutte le attivita’ difensive impedite dalla mancata instaurazione del contraddittorio. La rimessione in termini e’, infatti, ristretta dall’articolo 294 c.p.c. alle sole attivita’ ormai precluse il cui tempestivo svolgimento sia stato impedito dall’ignoranza del processo.
Gia’ nel sistema del c.p.c. del 1865, l’articolo 58, comma 2 individuava, quale generale limite della rinnovazione di un atto nullo, la scadenza del “termine perentorio per farlo”.
6.3. Dunque, il giudice d’appello dispone la rinnovazione degli atti nulli espletati in primo grado, dipendenti dalla nullita’ della citazione, mediante ripetizione degli stessi nel contraddittorio delle parti, cosi’ riattribuendo al convenuto, che era rimasto contumace, quei poteri difensivi inesercitati ma non soggetti a preclusione. Secondo principio generale, invero, la rinnovazione, ad esempio, di una prova gia’ invalidamente assunta si esaurisce nella nuova assunzione della stessa conformemente all’originaria allegazione del deducente, ostando la declaratoria di nullita’ al verificarsi di preclusioni o decadenze in dipendenza della iniziale assunzione, ma senza che in occasione della rinnovazione possa essere introdotta dalla controparte una prova contraria. La rimessione in termini, viceversa, e’ rimedio che riammette la parte all’esercizio di attivita’ soggette a preclusione (quali, indicativamente, quelle di cui agli articoli 38, 167 e 183 c.p.c.), e pero’ impone che la nullita’ della citazione abbia impedito al convenuto di avere conoscenza del processo.
6.4. Quando la nullita’ della citazione dedotta dall’appellante, rimasto contumace in primo grado, dipende dall’inosservanza dei termini a comparire o dalla mancanza dell’avvertimento previsto dall’articolo 163 c.p.c., n. 7 la rimessione in termini per le attivita’ che gli sarebbero precluse, ai sensi dell’articolo 294 c.p.c., resta, di regola, impedita dall’avvenuta conoscenza materiale dell’esistenza del processo, a differenza di quanto accade in ipotesi di omissione o assoluta incertezza del giudice adito. Residuano, ovviamente, le ipotesi limite in cui tale conoscenza materiale del processo in capo al convenuto sia avvenuta in tempo comunque non utile a consentirgli una fruttuosa costituzione.
In virtu’ di un’interpretazione orientata all’effettivita’ del diritto di difesa e alla ragionevole durata del processo, e’ da escludere che dalla nullita’ della citazione, pur non seguendo la rimessione al primo giudice, discenda la necessaria rimessione in termini del contumace appellante, perche’ cio’, come si avverte anche in dottrina, comporterebbe un “premio” per lo stesso, sebbene egli abbia avuto cognizione del processo ed avrebbe percio’ potuto comunque costituirsi sin dalla prima udienza, mentre ha preferito attendere l’intero decorso del giudizio di primo grado per poi spiegare gravame. In tal senso, potendo dirsi che il mancato esercizio dei poteri processuali soggetti a preclusione da parte del convenuto contumace sia causato da una sua strategia difensiva e non direttamente dalla difformita’ della citazione dal modello legale, finisce per scindersi anche l’ipotizzata corrispondenza biunivoca tra rinnovazione e rimessione in termini per nullita’ dell’atto introduttivo.
Non induce a diversa conclusione la considerazione che la nullita’ della citazione sia comunque da imputare all’attore negligente e che non debba, percio’, pagarne le conseguenze il convenuto; esattamente all’inverso, ove all’incompleta redazione dell’atto introduttivo con riguardo agli elementi della vocatio in ius ed all’omesso rilievo d’ufficio della nullita’ della citazione addebitabile al giudice, si facesse seguire una integrale regressione del giudizio per lasciar esercitare al convenuto (il quale pur sapeva del processo pendente ma ha optato di non costituirsi alla prima udienza) tutti i poteri difensivi preclusi che avrebbe potuto svolgere in primo grado, la reazione ordinamentale risulterebbe sproporzionata rispetto alla lesione del diritto di difesa addebitabile all’attore. Come pure e’ stato osservato dai commentatori, l’integrale rimessione in termini del convenuto contumace appellante, che era a conoscenza del processo e sia rimasto volontariamente inerte, rappresenterebbe un pericoloso “incentivo alla contumacia”, inducendo il convenuto, a fronte della nullita’ della citazione non rilevata dal giudice, ad attendere strumentalmente la definizione del giudizio di primo grado per poi far valere l’invalidita’ con la proposizione dell’appello.
7. Deve pertanto enunciarsi il seguente principio di diritto:
“Allorche’ venga dedotta come motivo di appello la nullita’ della citazione di primo grado per vizi della vocatio in ius (nella specie, per l’inosservanza dei termini a comparire), non essendosi il convenuto costituito e neppur essendo stata la nullita’ rilevata d’ufficio ai sensi dell’articolo 164 c.p.c., il giudice d’appello, non ricorrendo una ipotesi di rimessione della causa al primo giudice, deve ordinare, in quanto possibile, la rinnovazione degli atti compiuti in primo grado, potendo tuttavia il contumace chiedere di essere rimesso in termini per compiere attivita’ ormai precluse a norma dell’articolo 294 c.p.c., e dunque se dimostra che la nullita’ della citazione gli ha impedito di avere conoscenza del processo”.
8. Alla stregua di tale principio, il secondo motivo del ricorso di (OMISSIS) e’ infondato, pur dovendosi correggere la motivazione adottata dalla Corte d’appello di Roma. La Corte d’appello ha invero affermato che il (OMISSIS), in conseguenza della nullita’ della citazione per la inosservanza dei termini a comparire, non restava “soggetto alle preclusioni e decadenze connesse alla sua mancata partecipazione al primo grado del giudizio, potendo con l’atto di appello proporre tutte le difese e richieste anche istruttorie e produrre documenti”.
In proposito, la controricorrente (OMISSIS) s.r.l., nella memoria presentata ai sensi dell’articolo 378 c.p.c., evidenzia come il (OMISSIS), in effetti, con l’atto d’appello aveva proposto eccezioni e depositato documenti.
La sentenza impugnata ha tuttavia negato la richiesta di concessione dei termini ex articolo 183 c.p.c., comma 6, formulata dal (OMISSIS) nelle conclusioni, giacche’ tale norma “non trova applicazione nel giudizio d’appello e, comunque, l’appellante aveva l’onere di articolare tutte le proprie difese (anche istruttorie) con l’atto di appello”.
Va piuttosto affermato che l’appellante, rimasto contumace in primo grado, avrebbe potuto chiedere ai giudici di appello di essere ammesso a compiere le attivita’ di cui all’articolo 183 c.p.c., comma 6, ormai precluse, solo allegando e dimostrando che la nullita’ della citazione gli aveva impedito di avere materiale conoscenza del processo, come stabilito dall’articolo 294 c.p.c.
9. Il terzo motivo di ricorso di (OMISSIS) deduce la violazione degli articoli 1453, 1458, 1459 e 1591 c.c., per avere la Corte d’appello di Roma accolto la domanda della (OMISSIS) s.r.l. di condanna del fideiussore al pagamento del minimo garantito nonostante la declaratoria di risoluzione del contratto fideiussorio.
Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione degli articoli 1291 e 1591 c.c., avendo la sentenza impugnata ravvisato l’obbligo dell’affittuaria (OMISSIS) s.r.l. e del fideiussore senza aver accertato lo stato di mora in ordine alla restituzione dei terreni.
Il quinto motivo di ricorso allega la violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4 e articolo 156 c.p.c., comma 2, nonche’ dell’articolo 118 disp. att. c.p.c. e degli articoli 24 e 111 Cost., avendo la Corte d’appello apoditticamente rigettato il terzo motivo di appello relativo alla nullita’ dell’articolo 8 del contratto del 14 ottobre 2004.
Il sesto motivo di ricorso deduce la violazione dell’articolo 167 c.p.c., comma 1, non avendo la Corte di Roma tenuto conto della mancata contestazione, da parte della (OMISSIS) s.r.l., dell’allegata esistenza del vincolo paesistico gravante sulle aree affittate.
9.1. Queste Sezioni Unite, rigettati i primi due motivi di ricorso per pronunciare sulla questione rimessa, non ritengono opportuno decidere i motivi dal terzo al sesto di ricorso, i quali non riguardano la questione di diritto evidenziata nell’ordinanza interlocutoria e la cui decisione va percio’ rimessa alla Terza Sezione civile, a norma dell’articolo 142 disp. att. c.p.c.

P.Q.M.

La Corte risolve la questione rimessa nei sensi di cui in motivazione, rigetta i primi due motivi di ricorso e rimette alla Terza Sezione civile la decisione degli ulteriori motivi.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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