Non rilevano in termini di effettiva trasformazione del territorio

Consiglio di Stato, Sentenza|11 gennaio 2021| n. 349.

Non rilevano in termini di effettiva trasformazione del territorio, atta a legittimare uno scomputo degli oneri di urbanizzazione versati, i lavori preparatori di cantiere, in quanto non sono indici di un reale inizio dei lavori di costruzione, quali, ad esempio gli interventi di ripulitura del sito e approntamento del cantiere e dei materiali necessari per l’esecuzione dei lavori.

Sentenza|11 gennaio 2021| n. 349

Data udienza 11 novembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Permesso di costruire – Oneri di urbanizzazione – Scomputo – Lavori preparatori di cantiere – Irrilevanza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 2975 del 2020, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Lu. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
la società No. s.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pa. Fr. e Ca. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sezione seconda quater, n. 134 dell’8 gennaio 2020, resa tra le parti, concernente l’opposizione al decreto presidenziale ingiuntivo n. 3734 emesso dallo stesso Tribunale il 7 luglio 2016.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della società No. s.p.a.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 novembre 2020, svoltasi in video conferenza ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, il consigliere Nicola D’Angelo;
Nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La società No., proprietaria di un’area in località (omissis) nel Comune di (omissis), ha ottenuto il rilascio della concessione edilizia n. 18/1999 per la realizzazione di un complesso di edifici direzionali e per la movimentazione e deposito merci in attuazione del piano particolareggiato “Comparto (omissis)”.
1.1. In relazione alla predetta concessione, ha corrisposto al Comune nel febbraio e nel marzo del 1999, a titolo di contributo di costruzione, una prima rata degli oneri di urbanizzazione per complessive lire 304.007.680 (euro 157.006,86) e la prima rata del costo di costruzione, per lire 235.644.000 (euro 121.699,97).
1.2. Dopo la comunicazione di inizio lavori e l’iniziale sbancamento del terreno per la realizzazione delle fondamenta, la costruzione è stata interrotta a seguito della vertenza giudiziaria con il Comune e la Regione Lazio, che avevano impugnato la concessione edilizia n. 18/1999 rilasciata dal Commissario ad Acta in esecuzione dell’ordinanza cautelare del Tar Lazio n. 1236/1998, non appellata e poi modificata, sempre sulla base di una pronuncia resa in sede cautelare, con ordinanza n. 166/1999 (il contenzioso si è poi concluso con sentenza n. 236/2000, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 1081/2001).
1.3. All’esito della vicenda giurisdizionale, il Comune con determinazione dirigenziale n. 23662 del 14 giugno 2002 ha accolto l’istanza di proroga del termine di conclusione dei lavori fino al 23 gennaio 2005.
1.4. Il 27 gennaio 2003, l’11 settembre 2003 e il 12 febbraio 2004 la società ha quindi versato le restanti tre rate degli oneri di urbanizzazione e le due rate del costo di costruzione.
1.5. La No. tuttavia non ha completato i lavori entro il termine di proroga e di conseguenza, a seguito della decadenza della concessione edilizia, ha chiesto al Comune la restituzione delle somme versate con diffida datata 16 dicembre 2014 (reiterata a mezzo di posta certificata il 12 gennaio 2015).
1.7. Non avendo l’Amministrazione restituito quanto richiesto, la società ha quindi chiesto al Tar del Lazio un’ingiunzione per la restituzione delle somme predette, determinate nella misura di euro 1.114.829,33 a titolo di capitale, oltre agli interessi legali decorrenti a far data dall’atto di diffida del 16 dicembre 2014 fino al soddisfo e al maggior danno da calcolarsi in misura pari all’eventuale maggior somma tra il tasso di interesse legale e il tasso di rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi.
1.8. La domanda è stata accolta con decreto ingiuntivo n. 3734/2016 del 20 luglio 2016 emesso dal Presidente del Tar.
1.9. Con il ricorso proposto in primo grado, il Comune di (omissis) si è opposto al decreto.
2. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tar del Lazio ha però respinto il ricorso in opposizione. In particolare, lo stesso Tribunale ha ritenuto infondati i profili di censura dedotti dal Comune relativamente alla tardività della richiesta di restituzione e all’intervenuta prescrizione del diritto alla restituzione, all’irragionevolezza della richiesta di restituzione e all’esatta applicazione dell’art. 16 del DPR n. 380/2001 (TU edilizia), alla buona fede, alla illegittimità della richiesta per sproporzione della prestazione, all’incertezza del credito vantato.
3. Contro la predetta sentenza il Comune di (omissis) ha quindi proposto ricorso sulla base dei seguenti motivi di gravame.
3.1. Secondo parte appellante, la sentenza impugnata sarebbe erronea innanzitutto nella parte in cui assume l’infondatezza del primo motivo del ricorso originario sulla tardività della richiesta di restituzione e sulla prescrizione del diritto alla restituzione. Il Comune non ha inteso negare il diritto alla restituzione, ma ha contestato i termini nei quali la richiesta di restituzione è stata prodotta.
Come già evidenziato nel ricorso per opposizione, a seguito del rilascio della concessione edilizia n. 18/1999 e della sua conferma del 14 giugno 2002, la società No. ha provveduto al pagamento di quattro rate degli oneri di urbanizzazione e di due rate relativamente al pagamento del costo di costruzione. Tali pagamenti sono avvenuti tra l’11 febbraio 1999 e 12 febbraio 2004 mentre la diffida alla restituzione delle somme versate è stata presentata con raccomandata A/R solo il 16 dicembre 2014. Anche il ricorso per decreto ingiuntivo è stato presentato il 1° aprile 2016, quindi ben oltre i dieci anni previsti dall’art. 2946 c.c. come termine per l’esercizio dei diritti e come limite oltrepassato il quale interviene la prescrizione ordinaria.
3.1.1. Secondo il Comune, l’unico momento certo da cui far decorrere il diritto alla restituzione sarebbe quello del pagamento della somma (intera o rata), tenuto conto che il sottostante rapporto ha natura obbligatoria, di contenuto essenzialmente pecuniario con conseguente applicazione delle disposizioni di diritto privato.
3.2. Relativamente al secondo motivo del ricorso di primo grado, sulla manifesta irragionevolezza della richiesta, sull’esatta applicazione dell’art. 16 del DPR n. 380/2001 (TU edilizia) e sulla buona fede del Comune, il Tar ha sostenuto che le relazioni giuridiche successive alla decadenza della concessione edilizia avvenuta nel 2005 e protrattesi fino al 2014 non potessero essere valutate in quanto si sarebbero configurate come “un evento futuro ed incerto, collegato a diversa e autonoma vicenda”. In realtà, il rapporto con la società non si sarebbe esaurito con la decadenza della concessione edilizia in quanto sono state presentate al Comune altre richieste intese ad ampliare l’utilizzabilità edilizia dei terreni oggetto della stessa concessione. Ciò dimostrerebbe la volontà della società appellata di voler dar corso, secondo le necessità ad essa più congeniali, allo sfruttamento edilizio dei suoli (ad esempio, con lettera del 3 luglio 2014 la società ha richiesto di voler riesaminare l’istanza di accordo di programma per cercare una diversa e migliore composizione degli interessi e arrivare alla fase realizzativa degli interventi).
3.2.1. In questo quadro, sarebbe dimostrata la buona fede del Comune conseguente alla disponibilità ad esaminare ulteriori possibilità edificatorie. In sostanza, la questione degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione sarebbe stata considerata negli atti oggetto delle successive richieste della No., essendo possibile scomputare i contributi versati ai fini di una nuova e diversa richiesta di titolo abilitativo.
3.3. Il Tar ha erroneamente ritenuto infondato il motivo relativo alla illegittimità della richiesta per sproporzione della prestazione e al danno patrimoniale.
3.3.1. Sul punto, il giudice di prime cure, pur ritenendo condivisibili le considerazioni del Comune sulla sproporzione degli effetti del decreto ingiuntivo e sui conseguenti danni all’Amministrazione, non ha ritenuto che la questione potesse mutare “i termini giuridici della questione”. La diffida alla restituzione dei contributi versati e il conseguente ricorso per decreto ingiuntivo denunciano invece una scelta unilaterale della proprietà che rischia di procurare un gravissimo danno economico all’Ente, profilo non considerato nel decreto ingiuntivo accordato.
3.4 In sede di opposizione con un quarto motivo si è evidenziata l’incertezza del credito vantato e la carenza del requisito di certezza del credito per come unilateralmente quantificato.
3.4.1. Il Tar ha respinto la censura ritenendo irrilevanti le modifiche dello stato dei luoghi accertate nel corso del sopralluogo effettuato dall’Ufficio tecnico e dalla PM “in quanto non è stata riscontrata la realizzazione di opere, ma la sola esecuzione di scavi e di fondazioni”. Di conseguenza, sul presupposto che non vi sia stata alcuna alterazione dello stato dei luoghi, ha anche rigettato la domanda avanzata in via istruttoria di procedere con una verificazione o con la nomina di un CTU.
3.4.2. Il procedimento di ingiunzione, mezzo speciale sommario con il quale il titolare di un credito “certo”, liquido ed esigibile, fondato su prova scritta, può ottenere, mediante presentazione di un ricorso al giudice competente, un provvedimento (decreto ingiuntivo) con il quale ingiunge al debitore di adempiere l’obbligazione (di pagamento o di consegna), avrebbe imposto invece di accertare la consistenza dei lavori effettivamente eseguiti che hanno inciso sull’assetto del territorio esaurendo in qualche misura i contributi versati (parte appellante rinnova quindi la richiesta di una CTU)
4. La società No. si è costituita in giudizio il 1° giugno 2020, chiedendo il rigetto dell’appello, ed ha depositato una memoria il 5 ottobre 2020.
5. La causa è stata trattenuta per la definitiva decisione, ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, nell’udienza tenutasi in video conferenza l’11 novembre 2020.
6. L’appello non è fondato, a prescindere dall’eccezione di inammissibilità del gravame formulata dalla società appellata in ragione della violazione del dovere di specificità delle censure (il Comune appellante avrebbe prospettato una mera riproposizione dei motivi a sostegno del ricorso di primo grado).
7. Con il primo motivo di appello, il Comune sostiene, ai fini dell’invocata prescrizione, che il dies a quo non coinciderebbe con il momento della decadenza dalla concessione edilizia, ma con il momento di effettuazione di ciascun pagamento.
7.1. Il motivo non è fondato. Come ha rilevato il Tar, è ormai pacifico che il privato abbia diritto alla restituzione di quanto pagato a titolo di oneri di urbanizzazione e di costo di costruzione, in caso di mancato utilizzo del titolo edilizio, atteso che gli oneri concessori sono strettamente connessi al concreto esercizio della facoltà di costruire, per cui non sono dovuti in caso di rinuncia, di mancato utilizzo o di sopravvenuta decadenza dal titolo edilizio. In tali circostanze, il Comune è obbligato, ai sensi dell’art. 2033 c.c. o dell’art. 2041 c.c., alla restituzione delle somme incassate, perché il relativo pagamento risulta privo della causa originaria dell’obbligazione di dare, e, corrispondentemente, il privato ha diritto a pretenderne la restituzione (cfr., Cons. Stato, Sez. IV, 15 ottobre 2019, n. 7020; Cons. Stato, Ad. Plen., 30 agosto 2018, n. 12).
7.2. La decorrenza del termine di prescrizione decennale relativo alla restituzione di somme pagate a titolo di oneri di urbanizzazione e costo di costruzione va poi calcolata partendo dal momento in cui il diritto al rimborso può essere effettivamente esercitato dal privato in applicazione di un principio generale di cui all’art. 2935 c.c. Di conseguenza, il diritto di credito del titolare di una concessione edilizia non utilizzata di ottenere la restituzione di quanto corrisposto per oneri di urbanizzazione, decorre non dalla data del rilascio dell’atto di assenso edificatorio, bensì dalla data in cui il titolare comunica all’Amministrazione la propria intenzione di rinunciare al titolo abilitativo o dalla data di adozione da parte dell’amministrazione medesima del provvedimento che dichiara la decadenza del permesso di costruire per scadenza dei termini iniziali o finali (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. V, 19 giugno 2003 n. 954).
7.3. Nel caso di specie, il termine finale di ultimazione delle opere oggetto della concessione edilizia n. 18/1999 è spirato, senza che si desse luogo alla edificazione prorogata al 23 gennaio 2005 e, dunque, solo da tale data è iniziato a decorrere il termine decennale di prescrizione del diritto alla ripetizione degli oneri concessori (termine interrotto dalla richiesta di restituzione inviata con raccomandata con avviso di ricevimento il 16 dicembre 2014).
8. Anche il motivo relativo alla manifesta irragionevolezza della richiesta e alla esatta applicazione dell’art. 16 del TU edilizia e sulla buona fede del Comune è infondato.
8.1. Il Tar correttamente ha ritenuto ininfluente la volontà della società appellata di sfruttare il potenziale edificatorio delle medesime aree interessate dalla concessione edilizia n. 18/1999, in quanto si trattava di un intervento del tutto diverso rispetto alla concessione edilizia n. 18/1999, ormai decaduta e, pertanto, attinente ad una diversa vicenda amministrativa.
8.2. Inoltre, l’invocata buona fede collegata ad una possibile riconsiderazione degli oneri versati in successive richieste edilizie dell’appellata, non può essere assunta ad ostacolo dell’onere di restituzione, posto che trattasi di circostanza del tutto eventuale in assenza di concreti atti di trasformazione urbanistica in corso.
9. Né può ritenersi fondata la lamentata sproporzione della prestazione ed il danno patrimoniale subito dall’appellante in ragione dei vincoli di bilancio. Come evidenziato dal Tar tali profili sono privi di rilevanza giuridica “non valgano, tuttavia, a mutare i termini giuridici della questione, come delineati dall’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, che richiede, appunto, quale unico presupposto del diritto alla restituzione, l’impossibilità di utilizzare il titolo edilizio in contestazione”.
10. E’ infine inammissibile il quarto motivo di appello nel quale il Comune ha riproposto il tema dell’incertezza del credito vantato e della carenza del requisito di certezza del credito. L’area oggetto della concessione edilizia n. 18/1999 sarebbe stata comunque interessata da lavori, se pur residuali, che avrebbero inevitabilmente inciso sull’assetto del territorio e per cui i relativi oneri avrebbero dovuto comunque essere quantomeno scomputati dal rimborso.
10.1. Il motivo è stato sollevato in primo grado non nel ricorso in opposizione, ma con successiva memoria del 10 ottobre 2019. L’opponente, se ha facoltà di precisare la domanda, nei limiti consentiti dall’art. 183 c.p.c., non può infatti introdurre in corso di causa, a pena di decadenza, domande o eccezioni nuove (cfr. Cass. Civ., sez. II, 31 maggio 2017, n. 13769).
10.2. Il motivo è comunque infondato. Come osservato dal giudice di prime cure, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, non rilevano in termini di effettiva trasformazione del territorio, atta a legittimare uno scomputo degli oneri di urbanizzazione versati, i lavori preparatori di cantiere, in quanto non sono indici di un reale inizio dei lavori di costruzione, quali, ad esempio gli interventi di ripulitura del sito e approntamento del cantiere e dei materiali necessari per l’esecuzione dei lavori (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 aprile 2013, n. 2027).
11. Per le ragioni sopra esposte, l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata.
12. Le spese della presente fase di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il Comune appellante al pagamento delle spese della presente fase di giudizio in favore della società appellata nella misura complessiva di ero 3.000,00(tremila/00), oltre agli oneri previsti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dal Consiglio di Stato nella camera di consiglio del giorno 11 novembre 2020, svoltasi da remoto in audio conferenza, ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, con l’intervento dei magistrati:
Roberto Giovagnoli – Presidente
Daniela Di Carlo – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere, Estensore
Silvia Martino – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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