Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 11 settembre 2018, n. 40344.
Sentenza 11 settembre 2018, n. 40344.
Data udienza 17 aprile 2018.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOGINI Stefano – Presidente
Dott. VILLONI Orlando – Consigliere
Dott. SCALIA Laura – Consigliere
Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere
Dott. D’ARCANGELO Fabrizio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore Generale presso Corte d’appello di Roma;
Nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Maria Sabina Vigna;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. Mazzotta Gabriele che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza emessa – all’esito di giudizio abbreviato – dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Roma in data 18 aprile 2016 che aveva assolto (OMISSIS) dal reato di cui all’articolo 318 cod. pen., commesso nel (OMISSIS), perche’ il fatto non sussiste.
A (OMISSIS) e’ contestato di avere, quale consigliere della (OMISSIS), per l’esercizio delle sue funzioni e dei suoi poteri, ricevuto denaro e altre utilita’ dalla societa’ (OMISSIS) s.p.a. ((OMISSIS)) e per essa da (OMISSIS) (consigliere del C.d.A. e amministratore di fatto), (OMISSIS) (amministratore delegato) e (OMISSIS) (presidente del consiglio di amministrazione).
In particolare, essendosi instaurato presso l’ (OMISSIS) un procedimento a seguito di richiesta di parere della societa’ (OMISSIS) s.p.a., il (OMISSIS), quale consigliere relatore, determinava nell’adunanza del 19-20 dicembre 2012 l’adozione di una delibera in senso favorevole agli interessi della societa’, ricevendo a titolo di utilita’ l’assunzione di (OMISSIS), persona espressamente segnalata dal (OMISSIS) per un rapporto di collaborazione lavorativa esterna con la societa’ (OMISSIS).
La Corte territoriale ha evidenziato che, dall’istruttoria espletata, era emerso che il parere emesso era stato legittimamente adottato e ha ritenuto che la questione dell’assunzione avesse assunto uno scarso valore negli interessi delle parti anche se i responsabili della societa’ (OMISSIS) s.p.a. volevano sicuramente ingraziarsi (OMISSIS), trattandosi di persona importante, ex parlamentare ed ex direttore della (OMISSIS).
Tuttavia, a giudizio della Corte d’appello, tale assunzione era tanto poco rilevante per (OMISSIS) – si trattava di una sola richiesta formulata da costui ai vertici della societa’ – e tanto poco vincolante per i responsabili della societa’, che (OMISSIS) rimase in servizio per un solo mese e poi fu licenziato, senza che i predetti avessero evidentemente avuto timore di scontentare (OMISSIS).
La Corte ha, in particolare, rilevato che “l’episodio si colloca in una zona grigia al confine tra cio’ che e’ lecita cortesia nei confronti di una persona di elevato livello politico istituzionale e cio’ che costituisce un vero e proprio rapporto sinallagmatico con la funzione pubblica, cosicche’ si impone la assoluzione dell’imputato”.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Roma deducendo come unico motivo la violazione di legge in relazione all’articolo 318 cod. pen..
(OMISSIS) ha ricevuto dalla (OMISSIS) s.p.a., per l’adozione della delibera che interessava alla predetta societa’, l’utilita’ consistita nell’assunzione di (OMISSIS), violando il dovere di correttezza e di imparzialita’ del pubblico ufficiale e cosi’ commettendo il reato di corruzione per l’esercizio della funzione.
Proprio in relazione alla vicenda che aveva portato all’assunzione di (OMISSIS) si e’ gia’ pronunciata la Suprema Corte di Cassazione annullando con rinvio l’ordinanza del Tribunale del riesame che aveva accolto l’appello avverso l’ordinanza del G.i.p. presso il Tribunale di Roma di rigetto della istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare imposta a (OMISSIS) e (OMISSIS), evidenziando che “risulta apoditticamente formulata, sulla base di un generico richiamo al “tenore” delle intercettazioni telefoniche, la ritenuta equiparazione tra il corrispettivo illecito dell’ipotizzato accordo corruttivo (l’assunzione del (OMISSIS)) e il mero atto di “cortesia” che il (OMISSIS), per effetto del comportamento specificamente descritto nel tema d’accusa, avrebbe ricevuto attraverso l’instaurazione di un rapporto lavorativo tra la persona da lui segnalata e una societa’ facente capo alla (OMISSIS) s.p.a.. Equiparazione vieppiu’ illogica, ove si consideri che in altro passaggio motivazionale quell’atto di “cortesia” viene diversamente e contraddittoriamente classificato nell’ambito di un “malcostume certamente da censurare ma diffuso”, che imporrebbe un non meglio specificato “approfondimento puntuale” delle “varie circostanze”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ fondato e la sentenza deve, conseguentemente, essere annullata con rinvio alla Corte di appello per nuovo giudizio.
2. Mette conto rilevare che l’articolo 318 cod. pen. contempla nel testo vigente un’unica fattispecie di identico disvalore di “corruzione per l’esercizio della funzione”, nella quale il legislatore ha eliminato il riferimento all'”atto d’ufficio”, che aveva giustificato la previsione di due distinte ipotesi connotate da differente gravita’ a seconda della collocazione temporale dell’accordo corruttivo rispetto all’atto dell’intraneus.
In particolare, la precedente causale del compiendo o compiuto atto dell’ufficio, oggetto di “retribuzione”, e’ stata sostituita con il piu’ generico collegamento della “dazione o promessa di utilita’” ricevuta o accettata, all’esercizio (non temporalmente collocato, e, quindi, suscettibile di coprire entrambe le situazioni gia’ previste nei due commi del precedente testo dell’articolo) delle funzioni o dei poteri del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, cosi’ configurando, per i fenomeni corruttivi non riconducibili all’area dell’articolo 319 c.p., una fattispecie di onnicomprensiva “monetizzazione” del munus pubblico, sganciata in se’ da una logica di formale sinallagma (Sez. 6, n. 19189 del 11/01/2013, Abbruzzese, Rv. 255073).
Per effetto della riforma della L. 6 novembre 2012, n. 190, dalla rubrica nonche’ dal testo dell’articolo 318 cod. pen. e’ scomparso ogni riferimento all’atto dell’ufficio e alla sua retribuzione e, a seguire, ogni connotazione circa la conformita’ o meno dell’atto ai doveri d’ufficio e, ancora, alla relazione temporale tra l’atto e l’indebito pagamento, con la conseguenza che, ai fini della configurabilita’ del reato di corruzione per l’esercizio della funzione, e’ possibile prescindere dal fatto che tale esercizio assuma carattere legittimo o illegittimo, ne’ e’ necessario accertare l’esistenza di un nesso tra la dazione indebita e uno specifico atto dell’ufficio (Sez. 6, n. 49226 del 25/09/2014, Chisso, Rv. 261353; Sez. 6, n. 40237 del 07/07/2016, Giangreco, Rv. 267634).
Il nucleo centrale della disposizione diviene l’esercizio della funzione pubblica, svincolato da ogni connotazione ulteriore e per il quale vige il divieto assoluto di qualsivoglia retribuzione da parte del privato.
Nella precedente formulazione, il perimetro assegnato all’articolo 318 cod. pen. era sostanzialmente disegnato dall’articolo 319 cod. pen., nel senso che rientravano nel fuoco della prima incriminazione tutti quei casi di corruzione per i quali non erano ravvisabili gli estremi della fattispecie “propria”. Dunque, l’ipotesi criminosa della corruzione impropria veniva in considerazione, in via tipicamente residuale, in presenza di mercimonio riferito a un atto non solo legittimo, ma anche conforme ai doveri di ufficio del pubblico agente (tra tante, Sez. 6, n. 23804 del 17/03/2004, Sartori, Rv. 229642).
Secondo un’interpretazione condivisa dal Collegio, il legislatore con la riscrittura dell’articolo 318 cod. pen. non ha inteso rovesciare l’assetto dei rapporti fra le due citate fattispecie di corruzione e quindi anche nel testo vigente la fattispecie prevista dall’articolo 318 cod. pen. ha un ambito di operativita’ residuale rispetto alla fattispecie principale della corruzione propria, ricorrendo in tutte quelle ipotesi in cui il mercimonio della funzione non abbia a oggetto atti contrari ai doveri d’ufficio (Sez. 6, n. 8211 del 11/02/2016, Ferrante, Rv. 266510, secondo cui lo stabile asservimento del pubblico ufficiale a interessi personali di terzi, attraverso il sistematico ricorso ad atti contrari ai doveri di ufficio, ancorche’ non predefiniti, ne’ specificamente individuabili ex post, ovvero mediante l’omissione o il ritardo di atti dovuti, integra il reato di cui all’articolo 319 cod. pen. e non il piu’ lieve reato di corruzione per l’esercizio della funzione di cui all’articolo 318 cod. pen.).
Va, peraltro, precisato che la contestazione del reato di corruzione per l’esercizio della funzione, quando indica come termine di riferimento l’esecuzione di specifici atti o di specifiche attivita’, non implica alcuna valutazione di questi in termini di contrarieta’ ai doveri di ufficio, e, quindi, non presuppone alcun sindacato sul contenuto degli stessi.
E infatti, la fattispecie di cui all’articolo 318 cod. pen. si distingue da quella di cui all’articolo 319 cod. pen., perche’ e’ quest’ultima che sanziona la corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio: solo la figura delittuosa di cui all’articolo 319 cod. pen. richiede un sindacato riguardante il contenuto dell’atto; l’ipotesi prevista dall’articolo 318 cod. pen., invece, si limita a postulare che la dazione o promessa di dazione indebita rivolta al pubblico ufficiale abbia a oggetto l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, senza null’altro aggiungere. In questo senso, precise sono le indicazioni della giurisprudenza di legittimita’, secondo la quale l’articolo 318 cod. pen. attiene a “quelle situazioni in cui non sia noto il finalismo del mercimonio della funzione o in cui l’oggetto di questo sia sicuramente rappresentato da un atto dell’ufficio”, essendo invece applicabile l’articolo 319 cod. pen., “quando la vendita della funzione sia connotata da uno o piu’ atti contrari ai doveri d’ufficio” (cfr., specificamente, Sez. 6, n. 3043 del 27/11/2015, dep. 2016, Esposito, Rv. 265619, in motivazione, ma anche, tra le altre, Sez. 6, n. 8211 del 11/02/2016, Ferrante, Rv. 266510).
3. Ritiene il Collegio che la Corte di appello di Roma non si sia conformata a tali regulae iuris.
3.1. La sentenza impugnata richiama integralmente, quanto alla ricostruzione del fatto, la sentenza del G.u.p. presso il Tribunale di Roma che ha evidenziato come, esattamente in concomitanza con l’adozione della delibera della quale (OMISSIS) era il relatore, lo stesso aveva chiesto con insistenza al vertice della societa’ (OMISSIS) s.p.a. di contattare una persona a cui teneva particolarmente (e cioe’ (OMISSIS)) per offrirgli un impiego; l’imputato aveva addirittura convocato nel suo ufficio (OMISSIS), consigliere del C.d.A. della suindicata societa’, proprio per parlare di questo.
Anche i dirigenti della (OMISSIS) s.p.a. si erano accorti che (OMISSIS), a fronte della loro inerzia, si era irrigidito e, parlando fra di loro, sottolineavano che era opportuno accontentare il predetto “… perche’ altrimenti ci troviamo in difficolta’…” e riconoscevano che:”… insomma… na’ cosa c’hanno chiesto… praticamente questa cortesia gliela dobbiamo fare…”.
Il G.u.p. ha, infine, evidenziato che, pochi minuti dopo l’adozione della delibera a favore della (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) contattava (OMISSIS) e lo invitava ad andarlo a trovare il giorno dopo.
Non a caso, quindi, sette giorni dopo (OMISSIS) era contattato dai responsabili della (OMISSIS) s.p.a. (“la sua candidatura ci e’ stata fatta pervenire dal consigliere (OMISSIS)”) e veniva assunto anche se per poco tempo (parlando fra di loro i dirigenti commentavano: ” lo dobbiamo fare… anche perche’ noi, scaduto il contratto di sei mesi, non e’ che ce lo teniamo”); tale circostanza fornisce ulteriore prova al fatto che (OMISSIS) era stato assunto solo per soddisfare la pressante richiesta di (OMISSIS).
Il G.u.p. ha riportato, infine, l’intercettazione nel corso della quale l’amministratore delegato della (OMISSIS) s.p.a. spiegava alla persona che aveva delegato per l’assunzione di (OMISSIS): “… questa volta, rispetto alle altre… in genere… lo facciamo e poi si vede… invece abbiamo visto prima e mo’… facciamo”.
Del tutto plausibile e, del resto, non altrimenti contestata, e’ l’interpretazione che del colloquio intercettato offre il Pubblico ministero ricorrente.
3.2. Alla luce del quadro probatorio sopra delineato, sia il G.u.p. che la Corte di appello hanno ritenuto insussistente il reato di cui all’articolo 318 cod. pen. reputando che l’assunzione di (OMISSIS) rientrasse “fra le cortesie che non si negano ad un personaggio della caratura di (OMISSIS)… cortesia che non puo’ porsi in alcun rapporto sinallagmatico con la funzione di cui (OMISSIS) avrebbe fatto mercimonio… cortesia di caratura talmente bassa da non potere essere oggetto di un no” (pagg. 61-62 sentenza G.u.p.).
La Corte distrettuale, oltre a riportarsi alle valutazioni sul punto effettuate dal G.u.p. ha sottolineato che il parere adottato da (OMISSIS) era assolutamente legittimo e che nella sequenza degli avvenimenti richiamati dal G.u.p. non era ravvisabile il sintomo del mercimonio della funzione pubblica da parte di (OMISSIS), in considerazione del fatto che l’assunzione di (OMISSIS) assumeva scarso valore negli interessi delle parti.
3.3. Deve innanzitutto sottolinearsi l’erroneita’ dell’affermazione secondo la quale perche’ ricorra la fattispecie di cui all’articolo 318 cod. pen. sia necessario un rapporto sinallagmatico (del resto non escluso di per se’ dai giudici di merito nel caso in esame) e l’emissione da parte del pubblico ufficiale di un atto illegittimo, posto che, come si e’ detto, il nucleo centrale della fattispecie di cui all’articolo 318 cod. pen. e’ l’esercizio della funzione pubblica, svincolato da ogni connotazione ulteriore e per il quale vige il divieto assoluto di qualsivoglia retribuzione da parte del privato.
La circostanza, quindi, che (OMISSIS) abbia emesso un atto legittimo e’ non decisiva ai fini di escludere la sussistenza del reato.
4. Cio’ detto, deve rilevarsi che nel caso in esame la Corte distrettuale ha omesso di considerare numerose circostanze dalle quali, in forza di una lettura complessiva e coordinata, sembrano emergere, come correttamente rappresentato dal ricorrente, elementi che possono essere qualificati alla stregua dell’ipotesi accusatoria.
Alla luce dei principi richiamati, la Corte distrettuale e’ tenuta a valutare l’apparente irrilevanza, in prospettiva accusatoria, del fatto che (OMISSIS) sia stato assunto solo per poco tempo; secondo i canoni ermeneutici in precedenza richiamati, infatti, risulta astrattamente significativa la circostanza che l’assunzione del predetto sia stata richiesta da (OMISSIS) per l’esercizio delle sue funzioni.
Del pari, la Corte distrettuale dovra’ valutare se sia effettivamente casuale la circostanza che, subito dopo l’adozione della delibera in questione, l’imputato abbia convocato nel proprio ufficio (OMISSIS) – consigliere del C.d.A. della suindicata societa’ – specificamente per parlare dell’assunzione del suo conoscente.
4.1. E’ immediatamente rilevabile che la sentenza impugnata, quando afferma l’impossibilita’ di ravvisare nella sequenza di avvenimenti sopra riportati il sintomo del mercimonio, trascura completamente le risultanze delle intercettazioni telefoniche dalle quali si evince che (OMISSIS), in concomitanza con l’esercizio della propria pubblica funzione di deliberare un atto nell’interesse della (OMISSIS) s.p.a., pressoche’ contestualmente richiedeva con insistenza alla predetta societa’ l’assunzione di (OMISSIS).
4.2. Sotto altro profilo, deve evidenziarsi che la Corte distrettuale ha ritenuto scarsamente rilevante per entrambe le parti l’assunzione di (OMISSIS), senza confrontarsi con le conversazioni tra le parti da cui sembra emergere il contrario (in particolare si veda l’intercettazione ambientale fra i dirigenti della societa’ (OMISSIS) s.p.a. nel corso della quale (OMISSIS), a proposito della richiesta di (OMISSIS), commenta: ” insomma na’ cosa c’hanno chiesto… o la fa lui o la facciamo noi perche’ altrimenti ci troviamo in difficolta’”).
Infatti, la Corte non fornisce giustificazione alla circostanza che i responsabili della societa’ abbiano manifestato il proprio timore di incorrere in difficolta’ di vario genere nel caso di mancata assunzione di (OMISSIS), cosi’ potendosi arguire che tale la questione non era certo per essi di scarsa importanza.
Altrettanto deve dirsi dell’insistenza di (OMISSIS) nel richiedere il “favore”, anch’essa potenzialmente indicativa della determinazione dell’imputato nell’ottenere quanto si era prefissato.
4.3. Il G.u.p., alla cui sentenza la Corte di appello fa integrale richiamo, sostiene che vi sono alcuni atteggiamenti di (OMISSIS) incompatibili col suo essere un pubblico dipendente “a libro paga”.
Deve sgombrarsi il campo dall’equivoco ingenerato da tale affermazione poiche’ non e’ mai stato contestato a (OMISSIS) di essere “a libro paga”, anche perche’ tale condotta integrerebbe gli estremi del piu’ grave reato di cui all’articolo 319 cod. pen..
Configura, infatti, il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio – e non il piu’ lieve reato di corruzione per l’esercizio della funzione, di cui all’articolo 318 cod. pen. – lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, che si traduca in atti, che, pur formalmente legittimi, in quanto discrezionali e non rigorosamente predeterminati, si conformano all’obiettivo di realizzare l’interesse del privato nel contesto di una logica globalmente orientata alla realizzazione di interessi diversi da quelli istituzionali (Sez. 6, n. 46492 del 15/09/2017, Argenziano, Rv. 271383).
Sussiste, invece, il meno grave reato di cui all’articolo 318 cod. pen. quando la dazione di denaro o altra utilita’ e’ correlata alla definizione di una pratica amministrativa, cui e’ interessato il privato (Sez. 6, n. 49524 del 03/10/2017, Rv. 271496).
4.4. Date queste risultanze, invero, la sentenza impugnata, prima di escludere la sussistenza del reato in questione, avrebbe dovuto chiarire perche’ l’assunzione di (OMISSIS) non dovesse ritenersi connessa all’attivita’ della (OMISSIS) diretta alla adozione della delibera di interessa della (OMISSIS) s.p.a..
A tal fine, avrebbe dovuto considerare, da un lato, l’interesse chiaramente manifestato, in quel preciso contesto, dall’imputato e, dall’altro, l’impegno profuso dai dirigenti della (OMISSIS) s.p.a. all’immediata risoluzione della questione.
5. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata per nuovo giudizio perche’ il giudice di merito valuti, alla luce dei principi di diritto sopra enunciati e della complessiva disamina dell’intero materiale istruttorio, se (OMISSIS) e (OMISSIS) abbiano procurato all’imputato, consigliere della Autorita’ per la Vigilanza sui Contratti Pubblici, l’indebita utilita’ consistita nella assunzione di (OMISSIS) in ragione del compimento da parte di (OMISSIS) di un atto dell’ufficio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
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