Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 270 bis c.p., che è un reato di pericolo presunto, non basta l’idea eversiva

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 11 settembre 2018, n. 40344.

La massima estrapolata:

Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 270 bis c.p., che è un reato di pericolo presunto, non basta l’idea eversiva se non è accompagnata da programmi, propositi, comportamenti violenti, che anzi riceve tutela proprio dall’assetto costituzionale democratico e pluralistico che essa, contraddittoriamente, mira a travolgere. Perché si configuri il reato è necessaria l’esistenza di una struttura organizzata, con un programma – comune tra i partecipanti – finalizzato a sovvertire violentemente l’ordinamento dello Stato e accompagnato da progetti concreti e attuali di consumazione di atti di violenza.

Sentenza 11 settembre 2018, n. 40344

Data udienza 23 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente

Dott. AGLIASTRO Mirella – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Anna – Consigliere

Dott. BASSI Alessandra – Consigliere

Dott. SILVESTRI Pietro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale della liberta’ di Torino il 26/10/2017;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott. Pietro Silvestri;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, Dott. ANIELLO Roberto, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi o, in subordine, l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata previa riqualificazione dei fatti nel reato previsto dall’articolo 414 c.p.;
udito il difensore dei ricorrenti, avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale della liberta’ di Torino, in sede di appello cautelare proposto dal Pubblico ministero, ha disposto nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) la misura della custodia in carcere, perche’ ritenuti gravemente indiziati del reato previsto dall’articolo 270 bis c.p..
Agli indagati e’ contestato di aver costituito in Italia, insieme ad altri soggetti, un’associazione terroristica collegata all’organizzazione internazionale denominata Isis, allo scopo di commettere atti di violenza con finalita’ di terrorismo all’interno del territorio nazionale ed all’estero (fatto commesso dal (OMISSIS), in corso”).
Si assume che tutti i soggetti coinvolti nel procedimento si sarebbero “radicalizzati”, assumendo posizioni religiose estreme di matrice islamista, condividendo tra loro, attraverso facebook, immagini, filmati, preghiere inneggianti al califfato ed al jijad armato contro i miscredenti (cosi’ testualmente l’imputazione).
In particolare, ai tre ricorrenti si imputa di essere aderenti alla organizzazione (OMISSIS), milizia che inizialmente avrebbe svolto un ruolo di supporto nel (OMISSIS) alla organizzazione Al Qaeda e, successivamente, all’Isis: essi, dapprima, avrebbero condiviso ed esaltato la scelta di altri due componenti del gruppo di recarsi a combattere dall’Italia in Siria quali foreign fighters, poi, appreso il loro decesso, li avrebbero omaggiati come martiri, e, dopo aver saputo dell’arresto in Tunisia di (OMISSIS) per “terrorismo”, si sarebbero adoperati, in quanto esponenti dello stesso gruppo, al fine di ottenerne la liberazione, rendendosi disponibili a finanziare l’assistenza legale, ed ottenendo informazioni circa la sua detenzione da tale (OMISSIS), poliziotto membro del gruppo, che pure si adoperava per far ottenere la liberazione a (OMISSIS).
2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore degli indagati articolando due motivi.
2.1. Con il primo si lamenta la erronea applicazione dell’articolo 270 bis c.p..
L’ordinanza sarebbe viziata perche’ avrebbe applicato in maniera errata i principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di associazione con finalita’ di terrorismo e avrebbe ricondotto all’articolo 270 bis c.p. condotte che, al piu’, assumerebbero rilievo sotto il profilo del reato di apologia, ai sensi dell’articolo 414 c.p., comma 4, ovvero costituirebbero solo legittime manifestazioni del pensiero.
Sarebbe la stessa ordinanza impugnata, si assume, a riconoscere che gli indagati non avrebbero avuto alcun rapporto diretto o mediato con soggetti appartenenti all’organizzazione terroristica e non avrebbero manifestato alcun interesse al compimento di atti violenti, neppure manifestando una qualsiasi progettualita’.
L’ordinanza sarebbe viziata tecnicamente per avere, da una parte, valorizzato una serie di condotte inidonee a configurare il reato contestato e, dall’altra, per avere omesso di considerare adeguatamente l’assenza di altre condotte o elementi (rapporto diretto o mediato con soggetti appartenenti all’organizzazione terroristica) che, invece, sarebbero stati necessari al fine del giudizio di gravita’ indiziaria.
Si rivisita, in particolare, l’assunto secondo cui la prova della partecipazione sarebbe inferibile: a) dallo scambio continuo di materiale riguardante le milizie presenti in zona di guerra; b) dalla condivisione di video e di foto dal contenuto inequivoco di adesione all’organizzazione internazionale Isis; c) dall’assenso ripetuto ad immagini con uomini armati, prigionieri occidentali e simboli indicanti la partecipazione allo stato islamico: si tratterebbe di condotte di mero indottrinamento reciproco ed inidonee per la configurazione del reato previsto dall’articolo 270 bis c.p..
Sotto altro profilo, si sostiene, l’ordinanza impugnata sarebbe viziata perche’ avrebbe ritenuto non essere necessaria, ai fini della fattispecie associativa in esame, l’esistenza di una struttura organizzativa, seppur rudimentale e minima.
A differenza da quanto ritenuto dal Tribunale dell’appello, l’associazione non potrebbe essere concepita in termini generali ed evanescenti; il reato non potrebbe sussistere per il solo fatto di adesione ad una astratta ideologia che, pur esaltando l’indiscriminata violenza e la diffusione del terrore, non sia, tuttavia, accompagnata dalla possibilita’ di effettiva attuazione del programma criminoso.
Quella dei ricorrenti sarebbe stata un’attivita’ di propaganda e di indottrinamento interna; ne’, si aggiunge, la rilevanza esterna potrebbe essere fatta discendere dall’avvenuta partenza dei due “amici” degli indagati per la Siria, atteso che, come evidenziato dal Giudice per le indagini preliminari, di tale intenzione i ricorrenti sarebbero stati ignari.
Ne’, ancora, si potrebbe far discendere la condotta partecipativa dal supporto economico fornito per l’assistenza legale da (OMISSIS) e da (OMISSIS) a (OMISSIS) in occasione dell’arresto di questi, potendo detta condotta essere spiegata in diversi modi alternativi, atteso il coinvolgimento degli indagati in attivita’ illecite legate alla traffico di droga e, piu’ semplicemente, la comune amicizia.
2.2. Con il secondo motivo si deduce, limitatamente alla posizione di (OMISSIS), violazione di norma processuale in relazione all’articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera d), per non avere l’ordinanza indicato, nella imputazione provvisoria, la condotta contestata, ne’ le norme di legge violate.
Da tale assoluta genericita’ deriverebbe la nullita’ dell’ordinanza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato.
2. Il giudizio di sussistenza della gravita’ indiziaria e’ stato formulato dal Tribunale cautelare dopo aver descritto gli elementi di indagine posti a fondamento del procedimento e le posizioni dei singoli indagati.
Si e’ innanzitutto chiarito l’origine del procedimento e come questo riguardasse alcuni cittadini tunisini, identificati in (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); la tesi investigativa sarebbe quella per cui i soggetti indicati, alcuni dei quali coinvolti in altri procedimenti penali aventi ad oggetto il traffico di sostanze stupefacenti, fossero in Italia in contatto tra loro e con foreign fighter operanti in Siria e, piu’ in generale, con ambienti legati al radicalismo islamico.
E’ stato spiegato nell’ordinanza come:
1) i rapporti tra i soggetti in questione trovassero le proprie origini nella loro provenienza dallo stesso “quartiere”, in Tunisia, e in legami familiari;
2) un importante fattore di coesione tra gli indagati fosse costituito dalla condivisione di “un forte credo religioso portato all’estremo dei valori della militanza armata della jihad” (cosi’ a pag. 20 l’ordinanza impugnata);
3) il “quartiere” di provenienza in Tunisia fosse stato direttamente interessato da operazioni investigative che avevano portato all’arresto, per ragioni legate al terrorismo, anche di persone conosciute e legate agli odierni indagati: il Tribunale sul punto ha richiamato: a) la conversazione dell’11/05/2015 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), da una parte, e (OMISSIS) dall’altra, in cui i primi affermano “ascolta, hanno preso dei terroristi davanti a casa vostra”; b) la conversazione tra (OMISSIS) ed un tale Ahmed che riferisce al primo “amico oggi hanno fatto esplodere (in senso figurato) il quartiere….. cosi’ per il terrorismo… hanno portato via tutti. (OMISSIS) e tutti…” e (OMISSIS) dice ” (OMISSIS)” (il (OMISSIS) della conversazione dovrebbe identificarsi, secondo il giudice di merito, con l’utilizzatore del profilo face book “(OMISSIS)” riconducibile all’autore del rapimento di un pilota giordano);
4) l’esame di profili facebook dei soggetti in questione comprovasse l’esistenza non solo di consolidati rapporti personali tra essi ma una comune condivisione chiarissima della ideologia radicale dell’Islam e dell’organizzazione terroristica Isis.
Si tratta di elementi che hanno portato il Tribunale a ritenere che gli odierni indagati fossero sin dall’inizio inseriti in un contesto piu’ ampio di rapporti con connazionali che avevano diretti o indiretti rapporti con l’organizzazione internazionale terrorista denominata Isis.
3. In tale cornice di riferimento sono stati poi descritti ed analizzati ulteriori elementi, ritenuti fortemente indiziari, della partecipazione degli odierni indagati ad un gruppo terroristico collegato e di supporto all’organizzazione internazionale.
Si e’ spiegato come: a) due dei soggetti facenti parte del gruppo su cui era stata appuntata l’attenzione investigativa, (OMISSIS) e (OMISSIS), in un determinato momento attuarono i loro propositi di adesione alla “chiamata alle armi” ed effettivamente partirono per la Siria per arruolarsi con le milizie combattenti; b) sia stata documentata la morte in combattimento di (OMISSIS), avvenuta verosimilmente il (OMISSIS); c) i due soggetti partiti per combattere avessero numerosi contatti telefonici con l’utenza intestata a (OMISSIS), ma in uso a (OMISSIS), e con quella intestata a (OMISSIS), ma in uso a (OMISSIS); d) anche dopo la partenza per la Siria, (OMISSIS) mantenne contatti telefonici e/o telematici con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Il Tribunale ha inoltre argomentato in maniera logica sul perche’ gli elementi in questione rafforzarono l’idea investigativa originaria e avallassero l’assunto secondo cui i soggetti in questione avessero creato un gruppo di supporto con concreti ed effettivi rapporti con soggetti legati all’organizzazione criminosa internazionale.
In tal senso si e’ evidenziato il contenuto della conversazione telefonica intercettata l’08/03/2016 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) (n. 2868) in cui i due interlocutori mostrarono preoccupazione per aver ricevuto, da altro soggetto non identificato, la notizia che le forze dell’ordine erano impegnate nel monitoraggio di (OMISSIS) e delle persone a questi vicine e, in particolare, di (OMISSIS) ( (OMISSIS): “stanno seguendo (OMISSIS)….. mi hanno detto stanno seguendo… vogliono tirare in ballo i suoi amici…. Gli ha detto (OMISSIS), guarda che vi stanno seguendo tutti siamo i loro amici noi”) ed e’ stato spiegato come la preoccupazione fosse legata alla vicinanza dei due ricorrenti agli “amici” partiti per la Siria: si trattava cioe’ di un timore che traeva origine in fatti concreti di terrorismo.
Proprio tale timore, secondo il Tribunale, avrebbe indotto gli indagati a cancellare dai propri profili facebook quelli di (OMISSIS) e (OMISSIS) (sulle preoccupazione derivanti dalle indagini si e’ valorizzato a pag. 7 dell’ordinanza anche la conversazione n. 1137 dell’08/03/2016).
Dal contenuto di numerose conversazioni intercettate, sono stati inoltre evidenziati ulteriori elementi indiziari, costituiti dalla diffusa esaltazione da parte degli odierni indagati della vocazione al martirio, della jihad e del c.d. stato islamico.
Tali elementi sono stati posti dal giudice di merito in connessione con altre circostanze fattuali e cioe’: 1) con la morte dei due soggetti partiti per la Siria, di cui si e’ detto; 2) con l’espulsione dall’Italia del coindagato (OMISSIS) disposta il 12/08/2016; 3) con l’arresto di (OMISSIS) avvenuto in Tunisia il 23/08/2016; 4) con i comportamenti in concreto tenuti dagli altri indagati successivamente all’arresto di (OMISSIS).
Si e’ spiegato come:
a) il profilo facebook di (OMISSIS) fosse stato da subito oggetto di particolare attenzione investigativa proprio: 1) per i contatti che questi aveva mantenuto con (OMISSIS), anche dopo la partenza di quest’ultimo per la Siria; 2) per i contatti che (OMISSIS), dopo essersi trasferito a Pisa, aveva mantenuto con gli odierni indagati, 3) perche’ l’11/08/2016 era stato pubblicato sul profilo facebook di (OMISSIS) un messaggio in lingua araba che appariva una sorta di proprio testamento, legato alla possibilita’ di un prossimo arruolamento;
b) a seguito di tali comportamenti, fossero state eseguite perquisizioni ed il sequestro del personal computer utilizzato e (OMISSIS), il quale fu espulso dal territorio dello Stato con decreto del 12/08/2016;
c) il 23/08/2016 un cittadino tunisino di nome (OMISSIS), anche’egli domiciliato a Pisa, avverti’ (OMISSIS), attraverso il telefono di (OMISSIS), che quest’ultimo era stato arrestato dalle autorita’ tunisine;
d) gli interlocutori fossero convinti che l’arresto di (OMISSIS) fosse conseguente alle dichiarazioni rese proprio da (OMISSIS) agli investigatori tunisini, dopo l’espulsione dall’Italia;
e) dell’arresto di (OMISSIS) fosse stato informato anche (OMISSIS);
f) da alcune conversazioni intercettate emergesse che (OMISSIS), rimpatriato in Tunisia, era stato sottoposto ad interrogatorio ed aveva indicato alcuni amici, tra cui (OMISSIS) come “soggetti contigui al gruppo di terroristi” e che l’arresto di (OMISSIS) era stato eseguito “per una faccenda di terrorismo” (conv. n. 24030 del 23/08/2016);
g) nella conversazione n. 24027 del 23/08/2016, tale (OMISSIS) – attraverso l’utenza telefonica di (OMISSIS), aveva contattato un soggetto di nome (OMISSIS), identificato dagli investigatori in un poliziotto in servizio nel luogo in cui si trovava (OMISSIS), il quale, dopo aver rassicurato (OMISSIS) del trattamento decoroso riservato all’arrestato ed aver promesso il suo impegno per la liberazione di (OMISSIS), “sentita la versione del (OMISSIS) circa il fatto che l’arrestato fosse estraneo alla faccenda di terrorismo oggetto di indagine (“lui non c’entra niente”), rispose “come non c’entra niente, cazzo,. Lui contatta e chatta con il gruppo… parla con gruppo”(pag. 8 ordinanza)
h) (OMISSIS) temesse che (OMISSIS) potesse aver fatto anche il suo nome agli investigatori tunisini “noi siamo legati….. siamo amici”;
i) (OMISSIS) e (OMISSIS) si resero disponibili a pagare le spese legali per (OMISSIS);
I) (OMISSIS) e (OMISSIS) furono liberati il 26/08/2016 e come gli altri componenti, appresa la circostanza, cercarono di comprendere se anche loro fossero stati coinvolti.
4. Il Tribunale, sulla base di tale articolato quadro investigativo, ha richiamato, in maniera meramente ricognitiva e non sempre condivisibile, alcuni dei principi di riferimento elaborati in giurisprudenza sul tema, ed ha chiarito, innanzitutto, come, nel caso di specie, non sia contestato agli odierni indagati di aver costituito un autonoma associazione terroristica rispetto alla quale si ponga l’esigenza di verificare l’esistenza dei requisiti strutturali del reato associativo, quanto, piuttosto, di aver costituito un gruppo, una cellula di supporto ma collegata alla organizzazione internazionale.
Tale dato fattuale ha indotto il Tribunale a precisare come, di conseguenza, il tema non riguardasse la verifica della esistenza di una struttura organizzata compatibile con la fattispecie associativa prevista dall’articolo 270 bis c.p., quanto, piuttosto, se fossero effettivamente configurabili in capo ai ricorrenti condotte di partecipazione.
Secondo il Tribunale dell’appello, rispetto a strutture aperte e flessibili come le organizzazioni terroristiche internazionali, assumerebbero rilievo, ai fini della configurazione della fattispecie partecipativa, anche condotte non identificative di uno specifico ruolo del soggetto o legate a formali riti di affiliazione, a condizione, tuttavia, che esse siano comunque sintomatiche e rivelatrici di una intraneita’ e di condivisione del singolo degli scopi dell’associazione criminale, essendo sufficienti anche condotte che manifestano ed esteriorizzano una consapevole disponibilita’ ad aderire alle finalita’ del sodalizio.
E’ stata desunta la gravita’ indiziaria del reato di partecipazione all’associazione finalizzata al terrorismo da parte dei tre odierni indagati riconoscendo rilevante valenza al dato obiettivo che gli stessi avrebbero fatto parte “di una piu’ vasta rete di jiahdisti (finanche arrestati nel paese di origine) e che loro mostrano di conoscere, sino a mantenere piu’ stretti rapporti con i foreign fighters, che, successivamente, dall’Italia hanno deciso di partire per la Siria” (cosi’ testualmente il Tribunale a pag. 30 dell’ordinanza)
In tal senso sono stati evidenziati: a) i contatti con i due soggetti che in un dato momento partirono dall’Italia per recarsi a combattere in Siria; b) i rapporti con i connazionali radicalizzati rimasti in Tunisia nel “quartiere di origine”, arrestati per terrorismo; c) la valenza indiziante dell’espulsione dal territorio nazionale di (OMISSIS) per ragioni legate al terrorismo; d) il senso delle indagini svolte dalle autorita’ tunisina dopo l’espulsione di (OMISSIS); e) le preoccupazione dei soggetti rimasti in Italia ed il timore di essere coinvolti in “fatti di terrorismo”; f) il significato dell’arresto di (OMISSIS) in Tunisia per ragioni legate al terrorismo, eseguito in conseguenza delle dichiarazioni rese da (OMISSIS); g) il ruolo di supporto e di assistenza concreto offerto dagli altri due odierni indagati dopo l’arresto di (OMISSIS) attraverso la disponibilita’ a sostenere le spese legali necessarie.
Si tratta di circostanze che hanno indotto il Tribunale ad affermare, attraverso una trama argomentativa coerente come, seppure sia vero che nessuno degli odierni indagati “abbia posto in essere condotte espressione del massimo livello di adesione (come fatto dai “martiri” loro “amici”), e’ altrettanto vero che il complesso di indizi indicati consentirebbe di affermare che essi siano in collegamento funzionale tra loro e con soggetti legati direttamente o indirettamente con l’organizzazione internazionale terroristica ed, in tal modo, abbiano assicurato ad essa supporto e disponibilita’.
5. I ricorrenti non hanno contestato la ricostruzione degli elementi indiziari analiticamente compiuta dal Tribunale, ma assumono che nella specie il Tribunale avrebbe fatto una errata applicazione dell’articolo 270 bis c.p. in quanto la condotta di partecipazione non sarebbe giuridicamente configurabile perche’: a) gli indagati non avrebbero avuto rapporto diretto o mediato con soggetti appartenenti all’organizzazione terroristica internazionale; b) non avrebbero manifestato alcun interesse a compiere o a progettare atti violenti; c) non sarebbero sufficienti per configurare il reato contestato lo scambio diretto e continuo di materiale riguardante le milizie presenti in zona di guerra, ovvero la condivisione di video e di foto dal contenuto in di adesione all’organizzazione internazionale Isis; d) non sarebbe stata provata l’esistenza di una struttura organizzata; e) la condotta contestata agli indagati si ridurrebbe ad un’attivita’ di propaganda ed indottrinamento meramente interni; f) non potrebbe essere attribuita rilevante valenza ne’ alla partenza dei due amici dei ricorrenti per la Siria, ne’ all’assistenza legale offerta in occasione dell’arresto di (OMISSIS), spiegabile con ordinari rapporti di amicizia.
6. Si tratta di assunti non condivisibili.
Si coglie in giurisprudenza una tendenza ad allargare l’ambito applicativo del reato di partecipazione ad associazione con finalita’ di terrorismo.
La ragione di tale tendenza e’ normalmente rinvenuta nella esigenza di adeguare in termini di efficienza ed effettivita’ la risposta penale a condotte, comportamenti, azioni compiute da nuclei terroristici strutturati a cellula o a rete, che sono in grado di operare a distanza attraverso elementari organizzazioni di uomini e mezzi, facendo rientrare, in tale contesto, anche l’operato di coloro che, per la totale autonomia organizzativa, sono comunemente definiti “lupi solitari”.
La pericolosita’ di tali nuovi fenomeni di terrorismo, riconducibili ad organizzazioni sostanzialmente militari con localizzazione centrale all’estero, e’ stata fronteggiata con plurimi interventi normativi che hanno implicato la necessita’ di doversi cimentare con nuove questioni di diritto penale, derivanti dall’introduzione di nuove fattispecie incriminatrici di comportamenti prodromici e finalizzate ad attribuire rilevanza al proselitismo, alla preparazione, al supporto ed al finanziamento delle azioni delle organizzazioni coinvolte.
Si e’ assistito ad una progressiva anticipazione della soglia della rilevanza penale, anche della condotta di “partecipazione”, con conseguente corrispettiva anticipazione, sul piano processuale, del momento d’inizio delle indagini e dell’applicazione di misure cautelari.
A cio’ e’ conseguita, in dottrina ma anche nella giurisprudenza, una diffusa operazione di elaborazione, di riflessione e di adattamento di alcuni principi, per molto tempo affermati.
7. Le piu’ recenti pronunce di legittimita’ sulla configurabilita’ del reato di cui all’articolo 270- bis c.p., comma 2, richiamano principi giuridici consolidati in tema di reato associativo, reinterpretandoli, tuttavia, in modo, almeno in parte, nuovo e, soprattutto, “elastico” in ragione della necessita’ di adattarli e conformarli alle nuove manifestazioni criminali; si valorizzano, al fine della configurazione della “partecipazione” all’associazione terroristica, condotte di mera propaganda, di proselitismo o arruolamento, purche’ supportate dall’adesione psicologica al programma criminoso dell’associazione medesima.
E’ obiettivamente avvertito, tuttavia, il rischio che dall’ampliamento dell’ambito applicativo della condotta partecipativa derivi uno svuotamento, una limitazione, una compressione del controllo giurisdizionale della necessaria ed effettiva materialita’ della stessa e della sua concreta incidenza causale in ordine alla realizzazione della finalita’ perseguita nel programma criminoso dell’associazione.
Tale rischio si rivela concretamente e si coglie ove si consideri la parallela elaborazione giurisprudenziale in tema di partecipazione in associazione a delinquere di stampo mafioso (articolo 416-bis c.p., comma 1) e di concorso esterno nella associazione medesima, nel cui contesto e’ invece diffusa l’affermazione secondo cui “si definisce partecipe colui che, risultando inserito stabilmente e organicamente nella struttura organizzativa dell’associazione mafiosa, non solo e’ ma fa parte della (meglio ancora: prende parte alla) stessa: locuzione questa da intendersi non in senso statico, come mera acquisizione di uno status, bensi’ in senso dinamico e funzionalistico, con riferimento all’effettivo ruolo in cui si e’ immessi e ai compiti che si e’ vincolati a svolgere perche’ l’associazione raggiunga i suoi scopi, restando a disposizione per le attivita’ organizzate della medesima” (Sez. U, n. 33748 del 12 luglio 2005, Mannino, Rv. 231673).
La questione e’ oltremodo complessa perche’, come sottolineato in tiottrina, involge anche il rapporto tra condotta di partecipazione e le altre numerose condotte di sostanziale agevolazione dell’associazione terroristica ed attiene al come la progressiva, tendenziale, a volte sommersa, smaterializzazione della condotta di partecipazione si coniughi con la incriminazioni delle singole condotte di “agevolazione”.
E’ condivisibile l’affermazione della dottrina secondo cui le fattispecie di associazione con finalita’ di terrorismo ed eversione, sul piano strutturale, sono costituite da una componente soggettiva e da una oggettiva.
Sul piano soggettivo, esse si compongono di due finalita’: la finalita’ finale, che consiste in un scopo, in un risultato “politico”; la finalita’ strumentale, che consiste invece nella realizzazione di fatti di reato oggetto del programma criminoso.
Sul piano oggettivo il perno e’ costituito dall’organizzazione e dalla condotta di partecipazione alla associazione.
7. Non potendo la condotta di partecipazione consistere in una mera adesione psicologica al programma criminale dell’associazione, essa presuppone il rigoroso accertamento: a) della esistenza e della effettiva capacita’ operativa di una struttura criminale, su cui si innesta il contributo partecipativo; b) della consistenza materiale della condotta individuale ovvero del contributo prestato, che non puo’ essere smaterializzato, meramente soggettivizzato, limitato alla idea eversiva, privo di valenza causale ovvero ignoto all’associazione terroristica alla cui attuazione del programma criminoso si intende contribuire.
8. Quanto al primo profilo, e’ consolidata nella giurisprudenza di legittimita’ l’affermazione secondo cui l’idea, anche se di natura eversiva, se non accompagnata da programmi e comportamenti violenti, riceve tutela proprio dall’assetto costituzionale, che ha consacrato il metodo democratico e pluralistico e che essa, contraddittoriamente, mira a travolgere (Sez. 1, n. 8952 del 7/4/1987, Angelini, Rv. 176516).
Tale principio e’ stato riaffermato piu’ recentemente dalla Corte di cassazione; si e’ ribadito che il reato previsto dall’articolo 270-bis c.p. e’ un reato di pericolo presunto, per la cui configurabilita’ occorre, tuttavia, l’esistenza di una struttura organizzata, con un programma – comune fra i partecipanti – finalizzato a sovvertire violentemente l’ordinamento dello Stato e accompagnato da progetti concreti e attuali di consumazione di atti di violenza: con la conseguenza che la semplice idea eversiva, non accompagnata da propositi concreti e attuali di violenza, non vale a realizzare il reato. (Sez. 1, n. 22719 del 22/3/2013, Lo Turco, Rv. 256489; Sez. 1, n. 30824 del 15/6/2006, Tartag, Rv. 234182; Sez. 1, n. 1072 del 11/10/2006, Bouyahia Maher, Rv. 235289).
Dunque, e’ necessaria una condotta del singolo che si innesti in una struttura organizzata, anche elementare, che presenti un grado di effettivita’ tale da rendere almeno possibile l’attuazione del programma criminoso, mentre non e’ necessaria anche la predisposizione di un programma di concrete azioni terroristiche (Cosi’ testualmente in motivazione, Sez. 6, n. 14503 del 19/12/2017, dep. 2018, Messaoudi; nello stesso senso, Sez. 5, n. 2651 del 8/10/2015, (dep. 2016), Nasr Osama, Rv. 265924; Sez. 6, n. 46308 del 12/7/2012, Chahchoub, Rv. 253943).
E’ stato evidenziato acutamente in dottrina come siano situazioni molto diverse tra loro quella in cui le condotte siano considerate indicative/costitutive di una associazione – per cosi’ dire – autonoma rispetto ad associazioni criminose internazionali – della cui esistenza non si dubita – e quella in cui le condotte oggetto del procedimento penale siano, invece, ricondotte ad associazioni ritenute pacificamente esistenti, nel senso che i soggetti sostanzialmente costituiscono una cellula, legata ad un’associazione internazionale pacificamente riconosciuta tale.
La differenza e’ sostanziale perche’ mentre nella prima ipotesi e’ necessario fornire la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, nella seconda ipotesi, invece, il quadro probatorio si semplifica notevolmente, dovendosi la prova concentrare soprattutto sull’esistenza di un legame tra la cellula e l’organizzazione criminale.
Nella seconda ipotesi, come nel caso di specie, in cui si fa riferimento a una cellula collegata all’organizzazione criminale Isis, non si pongono problemi in ordine all’accertamento delle finalita’ (finale e strumentale) dell’organizzazione madre, in quanto elementi sostanzialmente presupposti nella misura in cui si ritiene sussistente il collegamento tra la cellula e organizzazioni terroristiche pacificamente esistenti e considerate tali, come, appunto, l’Isis; cio’ che tuttavia deve essere accertato e’ l’esistenza di un legame, di un collegamento reale tra la cellula e l’organizzazione attiva all’estero, atteso che solo in presenza di un siffatto collegamento, condotte di per se’ o non rilevanti o integranti fattispecie autonome di reato – come la raccolta di fondi, la fornitura di documenti falsi, l’opera di proselitismo e indottrinamento, il favoreggiamento dell’ingresso clandestino in Italia – possono assumere rilevanza anche nel caso in cui il “gruppo locale” non risulti, come nel caso di specie, direttamente impegnato in attivita’ terroristiche (in tal senso, Sez. 6, n. 46308 del 12/7/2012, Chahchoub, Rv. 253944).
9. Quanto al secondo dei profili indicati, quello cioe’ della condotta di partecipazione, si e’ affermato in maniera condivisibile che occorre considerare che un fenomeno obiettivamente complesso e disarticolato, in cui ogni individuo puo’ da se’ commettere attentati in ragione della volonta’ di dare attuazione al programma di un’organizzazione terroristica, pone la difficolta’ nell’individuazione del limite inferiore a partire dal quale possa dirsi che un soggetto – che pure compie atti che possono coincidere con quelli attuativi del programma di un’associazione con finalita’ di terrorismo – “partecipa” alla stessa, ai sensi dell’articolo 270 bis c.p., comma 2.
Sul tema e’ utile considerare che, dimostrata l’esistenza di una associazione per delinquere ed individuati gli elementi concreti, sulla base dei quali possa ragionevolmente affermarsi la cointeressenza di taluno nelle attivita’ dell’associazione stessa, e quindi la partecipazione alla vita di quest’ultima, non occorre anche la dimostrazione del ruolo specifico svolto da quel medesimo soggetto nell’ambito dell’associazione, potendosi la partecipazione al sodalizio criminoso, per sua stessa natura, realizzarsi nei modi piu’ svariati, con una condotta libera, la cui specificazione non e’ richiesta dalla norma incriminatrice (in tal senso, Sez. 2, n. 43632 del 28/09/2016, Capuano, Rv. 268317).
In particolare, quanto alla prova della “partecipazione” all’associazione con finalita’ di terrorismo, Sez. 2, n. 25452 del 21/02/2017, Beniamino, Rv. 270171 ha precisato che la dichiarazione di responsabilita’ penale presuppone la dimostrazione dell’effettivo inserimento nella struttura organizzata attraverso condotte sintomatiche consistenti anche solo nello svolgimento di attivita’ preparatorie rispetto alla esecuzione del programma oppure nell’assunzione di un ruolo concreto nell’organigramma criminale. Ne segue che la partecipazione puo’ concretarsi anche in condotte strumentali e di supporto logistico alle attivita’ dell’associazione che, tuttavia, inequivocamente rivelino l’inserimento di un soggetto nell’organizzazione.
La questione allora attiene al quando e’ possibile affermare che sia stata raggiunta la prova dell’effettivo inserimento del singolo nella struttura associativa.
Rispetto alla ricostruzione sin qui compiuta, assume rilievo Sez. 5, n.48001 del 14/7/2016, Hosni, Rv. 268164.
La Corte di cassazione nell’occasione ha chiarito che l’attivita’ di indottrinamento, finalizzata ad indurre nei destinatari una generica disponibilita’ ad unirsi ai combattenti per la causa islamica e ad immolarsi per la stessa, non consente di ravvisare quegli atti di violenza terroristica o eversiva il cui compimento, per quanto detto, deve costituire specifico oggetto dell’associazione in esame.
Con lucidita’ si e’ specificato che, al fine di accertare l’adesione al programma criminoso al di la’ della semplice condivisione ideologica, possono costituire, soprattutto in fase cautelare, elementi rilevanti anche i propositi eversivi degli aderenti, espressi con reiterate manifestazioni di disponibilita’ a partire per “fare jihad”, a condizione che detti propositi non siano astratti, cioe’ espressione di un’aspirazione personale o di una condivisione ideologica, quanto, piuttosto, sorretti da elementi concreti che rivelino l’esistenza di un contatto operativo, reale, tra il singolo e la “struttura”, che consenta di tradurre in pratica i propositi di morte.
Dunque, i propositi di partire per combattere “gli infedeli”, la vocazione al martirio, l’opera di indottrinamento possono costituire elementi da cui desumere, quantomeno in fase cautelare, i gravi indizi di colpevolezza per il reato di “partecipazione” all’associazione di cui all’articolo 270 bis c.p. a condizione che vi siano elementi concreti che rivelino l’esistenza di un contatto operativo che consenta di tradurre in pratica i propositi di morte (cosi’ testualmente, Sez. 6, n. 14503 del 19/12/2017, dep. 2018, Messaoudi, Rv. 272730-31).
E’ necessario che la condotta del singolo si innesti nella struttura, cioe’ che esista un legame, anche flessibile, ma concreto e consapevole tra la struttura e il singolo.
Non paiono condivisibili costruzioni giuridiche che, ai fini della configurabilita’ della condotta di partecipazione, ritengono sufficiente l’adesione del singolo a proposte “in incertam personam”- quelle del sodalizio internazionale – anche nel caso in cui l’adesione non sia accompagnata dalla necessaria conoscenza, anche solo indiretta, mediata, riflessa, di essa da parte della “struttura” internazionale (cfr., Sez. 5, n. 50189 del 13/07/2017, Bakaj, Rv. 271647).
Per configurare la partecipazione alla associazione internazionale con finalita’ di terrorismo, e’ necessario che questa, anche indirettamente, sappia di avere a disposizione, di “poter contare” su un determinato soggetto ovvero che il singolo faccia pare di una struttura che a sua volta sia collegata, di supporto, ad una associazione madre e che quest’ultima sappia della esistenza della cellula servente (sul tema, Sez. 6, n. 14503 del 19/12/2017, dep. 2018, Messaoudi, cit.).
Dalla prova della partecipazione ad un gruppo che opera sul territorio nazionale con finalita’ di terrorismo non discende automaticamente la prova della partecipazione all’associazione internazionale (in senso difforme, Sez. 5, n. 50189 del 13/07/2017, Bakaj, cit.).
Diversamente, si rischia di considerare “partecipi” all’associazione internazionale Isis anche coloro che con lo Stato Islamico non hanno nessun contatto – la cui esistenza e’ ignota al gruppo “madre”- i cui rapporti con questa sono limitati alla mera condivisione di informazioni mediante i piu’ diffusi social-network; la “partecipazione” all’associazione internazionale non puo’ prescindere dalla esistenza di un contatto reale, non putativo, non eventuale, non meramente interiore, con chi a quella associazione e’ legato perche’ partecipe della cellula madre.
In astratto, la chiamata al jihad puo’ essere onorata anche attraverso condotte individuali, autonome e scisse da ogni contatto, anche solo informativo, con qualsiasi struttura ovvero sulla base di un gruppo che opera sul territorio ma che, tuttavia, non abbia rapporti con quello “madre” internazionale; in tale ultimo caso si puo’ in astratto configurare la partecipazione, ai sensi dell’articolo 270 bis c.p., ad una organizzazione con finalita’ di terrorismo, quella – per cosi dire – “locale”, ma nemmeno da tale partecipazione non puo’ farsi discendere automaticamente la partecipazione all’associazione internazionale Isis, in assenza di accertamenti ulteriori volti a stabilire il collegamento tra cellula e organizzazione internazionale.
10. Dunque, una struttura organizzata, anche se elementare, ed una condotta materiale, diversa dalla mera adesione psicologica o ideologica al programma criminale, che presupponga la dimostrazione di un inserimento nella struttura organizzata, anche attraverso il compimento di condotte sintomatiche.
Non occorre uno stabile inserimento nell’apparato dell’associazione, ne’ l’attribuzione di specifiche funzioni: per partecipare e rafforzare una siffatta associazione e’ sufficiente che il partecipe si metta a disposizione della “rete” per attuare il disegno terroristico e che questa “sappia” direttamente o indirettamente del singolo.
11. Alla luce delle considerazioni esposte gli assunti dei ricorrenti rivelano la loro infondatezza.
Manifestamente infondate sono le considerazioni secondo cui gli indagati non avrebbero avuto rapporto diretto o mediato con soggetti appartenenti all’associazione terroristica internazionale della quale peraltro non sarebbe stata provata la struttura, ovvero che gli scambi di opinioni e di idee fossero limitate ad un circuito meramente interno agli indagati.
Si tratta di assunti che non si confrontano con la motivazione dell’ordinanza in cui, invece, e’ stato chiarito come il “gruppo”, di cui avrebbero fatto parte gli odierni indagati, non avesse una propria struttura di per se’ idonea sul piano organizzativo ad attuare un programma di concrete azioni terroristiche, ma fosse un gruppo di supporto, servente, collegato, direttamente o indirettamente, a quello – per cosi’ dire – internazionale che aveva, lui si’, una adeguatezza strutturale idonea rispetto alle finalita’ perseguite.
Nel caso di specie, il Tribunale, in considerazione del quantum probatorio necessario in fase cautelare, ha chiarito in modo adeguato e non manifestamente illogico perche’ i soggetti che operavano in Italia – e che sono stati oggetto delle indagini nel presente procedimento – fossero collegati ad una struttura internazionale nota, delle cui finalita’ terroristiche non si dubita (Isis).
Si sono indicati i rapporti tra i soggetti coinvolti nel procedimento e quelli che operavano in Tunisia ed in Siria, si sono esplicitati i legami che gli indagati avevano con personaggi senza dubbio legati all’islamismo radicale, le connessioni che portarono due degli “amici” dei ricorrenti a partire per la guerra, il significato della espulsione di (OMISSIS), il significato dell’arresto di (OMISSIS) in Tunisia, la reazione degli odierni indagati.
Il procedimento in esame nasce, come detto, nei riguardi di alcuni soggetti, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) perche’ sospettati “di essersi radicalizzati” e di avere contatti con l’associazione internazionale Isis; non e’ irrilevante che dei soggetti in questione in relazione ai quali non si dubita della comune pubblicazione e della condivisione di materiale esaltante la jihad su profili face book e, almeno per alcuni, del possesso nel telefono di materiale di interesse investigativo-: a) due di essi siano in concreto partiti per la Siria per combattere; b) un altro sia stato espulso non per le sole manifestazioni di condivisione del pensiero islamico radicale, ma per aver avuto concreti contatti con almeno uno degli “amici” partiti per la Siria e perche sospettato di essere in procinto di compiere un atto terroristico; c) un altro ancora sia stato arrestato in Tunisia per fatti di terrorismo a seguito delle dichiarazioni rese da colui che era stato espulso; d) gli altri odierni indagati abbiano manifestato preoccupazione e timore di essere coinvolti, rivelato contatti con altri soggetti esterni ( (OMISSIS) fu avvertito da un cittadino tunisino dell’arresto di (OMISSIS) in Tunisia e nella occasione vi furono contatti con un poliziotto “compiacente”), offrirono immediata disponibilita’ a sostenere le spese legali nell’interesse dell’arrestato.
Si tratta di circostanze che colorano di significato penalmente rilevante l’affermazione che il poliziotto pronuncio’ a chi cercava di spiegare che (OMISSIS), arrestato, fosse estraneo alle vicende su cui si indagava; il poliziotto disse “come non c’entra niente- Lui contatta e chatta con il gruppo… parla con il gruppo ” (cfr., anche, conversazione dell’8/03/2016 richiamata nell’ordinanza dove si comprende che gli indagati sapessero che “stanno cercando gli amici dei due ragazzi che sono partiti per la Siria”).
Tale frase deve essere posta in connessione con la circostanza obiettiva, valorizzata correttamente dal Tribunale, della immediata offerta da parte di (OMISSIS) e (OMISSIS) di farsi carico delle spese legali necessarie per assistere (OMISSIS), arrestato.
Quella offerta di assistenza, se interpretata in connessione con tutto il materiale investigativo esaminato, non si spiega solo in ragione del rapporto di amicizia che pure legava i soggetti, ma, come correttamente evidenziato dal Tribunale, da un legame diverso che trovava fondamento nei fatti oggetto del procedimento.
Non ha decisiva valenza la circostanza che le autorita’ tunisine rilasciarono dopo poco tempo (OMISSIS) in quanto, come pure logicamente evidenziato dal Tribunale, non e’ possibile comprendere quali fossero le informazioni in possesso dell’autorita’ procedente ovvero le ragioni sottese a quella decisione.
Sotto altro profilo, la giurisprudenza della Corte di cassazione ha gia’ evidenziato come “al cospetto delle nuove forme di manifestazione del terrorismo globale e specialmente del terrorismo islamista, l’uso della parola, al di la’ del tema del contenuto apologetico, assume un ruolo – correttamente definito in Dottrina- “costitutivo”, perche’ puo’ non essere limitato alla semplice divulgazione, alla mera manifestazione del pensiero: “incitamento, propaganda, apologia o anche solo manifestazioni di simpatia possono essere componenti di un piu’ ampio raggio di azione finalizzato ad indottrinare, a prospettare cambiamenti di vita, ad infondere idee e senso di potenza nei “fedeli”, ad incrementare l’arruolamento tra le fila radicali, soprattutto nei casi in cui l’oggetto della comunicazione non riguarda uno specifico evento, un singolo attentato, quanto piuttosto, la vocazione al martirio, e, soprattutto, la partecipazione ad un gruppo terroristico”.
L’esaltazione di un’organizzazione terroristica, l’invito ad aderirvi, la “militanza ideologica”, la diffusione delle immagini e dei video di “combattenti” “hanno una valenza diversa se compiuti da un soggetto che abbia davvero rapporti con l’associazione terroristica di cui parla, ovvero, viceversa, da una persona del tutto slegata da contesti di criminalita’ organizzata; si tratta di condotte che possono rendere complessa la distinzione tra la libera posizione ideologica ed il fatto penalmente rilevante, a sua volta astrattamente riconducibile a diverse fattispecie eterogenee, che vanno dai comuni reati d’opinione, al delitto d’associazione con finalita’ di terrorismo, passando per un nutrito catalogo di ipotesi intermedie” (cosi’ testualmente, Sez. 6, n. 14503 del 19/12/2017, dep. 2018, Messaoudi, cit.)
Nel caso di specie la diffusione del pensiero radicale attraverso immagini, l’esaltazione del martirio, del jihad, erano realizzati dagli odierni indagati non solo nell’ambito di un circuito tutt’altro che chiuso, ma in un contesto di chiara connessione con soggetti anche direttamente legati all’organizzazione terroristica internazionale.
Ne discende che, sul piano della gravita’ indiziaria, l’ipotizzata violazione dell’articolo 270 bis c.p. da parte del Tribunale dell’appello di Torino non sussiste ed il motivo di ricorso e’ quindi infondato.
12. Manifestamente infondato e’ il secondo motivo di ricorso.
Dalla lettura della intestazione e, soprattutto, del testo dell’ordinanza impugnata e’ agevolmente comprensibile come la condotta contestata a (OMISSIS) sia la stessa attribuita in via provvisoria a (OMISSIS) e (OMISSIS); solo per un mero errore materiale, nella descrizione della contestazione, si e’ sostituito il nome del ricorrente con quello di (OMISSIS), cioe’ con quello di uno dei soggetti deceduti a seguito della partenza verso la Siria, di cui si e’ ampiamente detto.
Ad avallare tale ricostruzione soccorre chiaramente la motivazione della ordinanza e, in particolare pag. 30, in cui e’ descritta ed analizzata la posizione specifica del ricorrente.
13. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta i ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per le comunicazioni di cui agli articoli 28 reg. esec. cod. proc. pen..

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