Corte di Cassazione, sezione sesta (prima) civile, Ordinanza 4 settembre 2020, n. 18522.

La massima estrapolata:

No alla contestazione dell’assegno divorzile perché si afferma che equivarrebbe a “vitalizio” se non si portano davanti al giudice nuovi fatti sopravvenuti rispetto a quelli esistenti al momento dell’assegnazione

Ordinanza 4 settembre 2020, n. 18522

Data udienza 15 luglio 2020

Tag/parola chiave: Divorzio – Contestazione dell’assegno divorzile – Equivalenza a vitalizio – Nuovi fatti sopravvenuti rispetto a quelli esistenti al momento dell’assegnazione – Deduzione – Necessità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente

Dott. MELONI Marina – Consigliere

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere

Dott. MARULLI Marco – Consigliere

Dott. SCALIA Laura – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 33496-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso il decreto n. R.G. 473/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositato l’11/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. PARISE CLOTILDE.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con decreto n. 473/2018 depositata l’11-5-2018 la Corte d’appello di L’Aquila, accogliendo il reclamo proposto da (OMISSIS), ha respinto la domanda proposta da (OMISSIS) di revoca dell’assegno divorzile dell’importo di Euro 400 mensili, disposto in favore della (OMISSIS) con la sentenza definitiva di cessazione degli effetti civili del matrimonio del Tribunale di Chieti n. 715/2012.
2. Avverso il citato provvedimento (OMISSIS) propone ricorso affidato ad un solo motivo, a cui resiste con controricorso (OMISSIS).
3. Con unico articolato motivo il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione degli articoli 156-2697 c.c., in relazione all’articolo 710 c.p.c. e alla L. n. 898 del 1970, articolo 9”. Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale ha omesso di valutare la possibilita’ della (OMISSIS) di ricercare un lavoro, essendone abile, nonche’ di valutare la sua condizione, in ogni caso “aggravata dall’esistenza di figli con altra donna”. Deduce che il contributo di mantenimento divorzile non deve essere “un beneficio a vita” e non puo’ tradursi in un’entrata economica di privilegio, ove l’ex coniuge beneficiaria sia in grado di lavorare, comunque incombendo in capo a quest’ultima l’onere di provare l’impossibilita’ di trovare un’occupazione lavorativa. Richiama, oltre che le pronunce citate nel provvedimento di primo grado reclamato, anche la sentenza di questa Corte n. 789/2017, assumendo che la Corte d’appello abbia disatteso i principi ivi affermati.
4. Il motivo e’ inammissibile.
4.1. Le censure non si confrontano con l’iter argomentativo principale espresso dalla Corte territoriale, secondo il quale il (OMISSIS) non ha allegato fatti sopravvenuti alla sentenza divorzile, con cui era stato disposto l’assegno di mantenimento di cui trattasi, e la (OMISSIS) ha dimostrato di essersi “attivata in questi anni, ma senza successo, nella ricerca di un lavoro stabile (accettando lavori a termine e partecipando a concorsi) che le consenta di raggiungere l’autosufficienza economica” (pag. n. 3 decreto impugnato).
Il ricorrente assume, invece, del tutto genericamente che detta dimostrazione sia mancata, riconoscendo, peraltro, che fossero preesistenti i fatti riguardanti la sua condizione di coniugato con altra donna e con figli, e si limita a svolgere astratte considerazioni circa l’impossibilita’ di configurare l’assegno divorzile come “un beneficio a vita”, senza specificare quali siano i parametri di legge, dettati in tema di assegno divorzile, asseritamente violati. Sotto la denuncia apparente del vizio di violazione legge chiede, in realta’, una rivisitazione del merito (Cass., Sez. Un., n. 34476/2019).
Non e’ pertinente nel senso indicato dal ricorrente il richiamo alla sentenza di questa Corte n. 789/2017, nella quale e’, anzi, affermato che il diritto alimentare del coniuge beneficiario non e’ recessivo rispetto a quello dei nuovi figli e che “l’attitudine del coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva sopravvenuta possibilita’ di svolgimento di un’attivita’ lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non gia’ di mere valutazioni astratte e ipotetiche” (cosi’ Cass. n. 789/2017 citata).
Nella specie, la valutazione di merito in ordine all’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge e dell’impossibilita’ di procurarseli per ragioni oggettive e’ stata effettuata dalla Corte territoriale. Le doglianze, articolate sub specie del vizio di violazione di legge, sono, pertanto, prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata (Cass. n. 4036/2011) e si incentrano su argomentazioni inconferenti rispetto al caso concreto, in base a quanto accertato dai Giudici d’appello, e neppure riguardanti gli altri parametri di legge, come individuati ed interpretati dalla giurisprudenza piu’ recente di questa Corte, secondo la quale l’assegno di divorzio ha una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, articolo 5, comma 6 (Cass. Sez. U., 11/07/2018, n. 18287; Cass., 23/01/2019, n. 1882).
5. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
6. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalita’ delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del Decreto Legislativo 30 giugno 2003 n. 196, articolo 52.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.400, di cui Euro 100 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalita’ delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del Decreto Legislativo 30 giugno 2003 n. 196, articolo 52.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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