Nell’ipotesi di adozione di provvedimenti di polizia

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 23 ottobre 2019, n. 7200.

La massima estrapolata:

Non è dovuto l’avviso dell’avvio di procedimento nell’ipotesi di adozione di provvedimenti di polizia finalizzati alla tutela preventiva della sicurezza e dell’ordine pubblico, in quanto provvedimenti che recano in sé oggettive e intrinseche ragioni di urgenza.

Sentenza 14 ottobre 2019, n. 6984

Data udienza 19 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9020 del 2017, proposto dal Sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli Avvocati Pa. Bo. e Pa. Sc., domiciliato presso la Segreteria della Terza Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, Questura di Cuneo, in persona del Questore pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente l’annullamento del decreto del Questore di Cuneo DIV.P.A.S.I., cat. -OMISSIS- del 14.6.2016.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Questura di Cuneo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 ottobre 2019 il Consigliere Paola Alba Aurora Puliatti e uditi per le parti l’Avvocato Pa. Bo. e l’Avvocato dello Stato At. Ba.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Con ricorso al TAR per il Piemonte, il ricorrente impugnava la revoca della licenza di fucile ad uso caccia disposta con decreto del Questore di Cuneo in data 14 giugno 2016, a seguito dell’ordinanza cautelare del G.I.P. presso il Tribunale di Cuneo del 13 maggio 2016 che applicava la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione a fatti integranti l’ipotesi di reato di cui all’art. 353 c.p., risultando, peraltro, il ricorrente indagato per i reati di cui agli artt. 314, 323, 353 c.p. per fatti risalenti al 2014.
Il provvedimento, in particolare, si fondava sul rilievo che sussiste una reale possibilità di abuso del titolo di polizia, con conseguente grave rischio per la pubblica sicurezza.
Il ricorrente lamentava la violazione dell’art. 43 R.D. n. 773/1931, degli artt. 1 e 3 della L. 241/90, l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione, deducendo che la Questura non avrebbe allegato alcun motivo concreto a sostegno del giudizio di inaffidabilità del ricorrente, giudizio che non può fondarsi sul mero riscontro di condanne penali e, tanto meno, di misure cautelari o provvedimenti non definitivi.
La misura cautelare è stata poi revocata con provvedimento del G.I.P. del 3 agosto 2016 per mancanza di pericolo di reiterazione e sostituita con l’obbligo di dimora nel territorio del Comune di -OMISSIS-; con ordinanza del 30 agosto successivo, la misura veniva sostituita con il divieto di dimora nel territorio comunale, non essendosi il ricorrente dimesso dalla carica di -OMISSIS-, e successivamente, dal divieto veniva esclusa l’abitazione e l’Azienda -OMISSIS- presso cui egli prestava servizio come -OMISSIS-.
Infine, con ordinanza dell’1.12.2016, il G.I.P. revocava definitivamente la misura cautelare, non ritenendo sussistenti le esigenze cautelari a suo carico, essendosi nel frattempo il ricorrente dimesso dalla carica di -OMISSIS-.
2. – Con la sentenza in epigrafe il TAR ha respinto il ricorso e compensato le spese di giudizio.
Il primo giudice ha ritenuto che “la commissione di fatti integranti reati dolosi (anche non connessi all’uso delle armi) costituisca, in generale, dimostrazione del fatto che un soggetto non possiede o comunque non è in grado di attivare quelle barriere di controllo sul proprio comportamento che normalmente consentono di evitare di incorrere in illeciti di natura penale”.
Inoltre, esaminato il contesto e gli episodi dolosi attribuiti al ricorrente, ha affermato che esiste la possibilità che egli possa abusare dell’arma posseduta per la caccia e che il provvedimento è esente da vizi di illogicità e sviamento di potere.
3. – Con l’appello in esame, il ricorrente lamenta l’erroneità e ingiustizia della sentenza, di cui chiede la riforma.
Il TAR avrebbe ignorato che non è stata posta a base della revoca una condanna e non tiene conto dell’evoluzione processuale.
Il TAR non tiene conto neppure delle considerazioni sul fumus contenute nell’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato -OMISSIS- del 12 gennaio 2017, pronunciata sull’appello dell’ordinanza cautelare -OMISSIS- del 2016, né tiene conto dei consolidati indirizzi giurisprudenziali in materia di revoca del porto d’armi.
Il ricorrente invoca specificamente i precedente di questa Sezione sui principi di ragionevolezza e proporzionalità e rileva che non vi è contestazione nei suoi confronti di reati automaticamente ostativi al possesso del titolo, né i reati contestatigli sono avvenuti con abuso di armi o violenza.
Infine, denuncia l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, pur in assenza di motivi di urgenza, visto che da alcuni giorni gli erano state ritirate le armi in via cautelativa.
4. – Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata, con memoria formale, chiedendo il rigetto dell’appello.
5. – Con ordinanza cautelare -OMISSIS- del 19 gennaio 2018, questa Sezione ha sospeso l’esecutività della sentenza appellata, ritenendo prevalente, nelle more della definizione del giudizio, il pericolo che il provvedimento impugnato “ove non sospeso determinerebbe la risoluzione del rapporto di lavoro di -OMISSIS-, allo stato unica fonte di reddito dell’appellante”, tenuto anche conto della circostanza che il reato ascritto all’interessato, e per il quale pende attualmente il procedimento penale, non risulta commesso con violenza o con uso o abuso di armi.
6.- Alla pubblica udienza del 3 ottobre 2019, la causa è stata decisa.

DIRITTO

1.- L’appello è infondato.
2.- L’appellante lamenta, in punto di fatto, che il primo giudice ha ragionato come se egli fosse stato condannato ed ha ignorato l’evoluzione del procedimento penale dal quale il provvedimento della Questura aveva tratto origine, travisando i fatti.
In punto di diritto, la sentenza appellata si porrebbe in contrasto con l’ordinanza cautelare di accoglimento -OMISSIS- del 2017 pronunciata da questa Sezione sull’appello cautelare ed avrebbe ignorato tutti gli indirizzi della giurisprudenza amministrativa formatisi in ordine ai criteri per il rilascio e la revoca del porto di fucile ad uso caccia.
2.1. – Osserva il Collegio che non è necessario che sia intervenuta una condanna in sede penale per reati commessi con violenza o uso delle armi perché possa essere legittimamente adottata la misura della revoca della licenza di porto d’armi.
L’art. 43, comma 2, del TULPS di cui al Regio decreto del 18/06/1931, n. 773, al di là di alcune ipotesi tassative di condanna penale, alcune delle quali riguardano l’uso di armi o di violenza, in presenza delle quali il divieto di rilasciare la licenza e l’obbligo di revocarla sono automatici, contempla, invece, il giudizio discrezionale dell’Amministrazione di “inaffidabilità ” nell’uso delle armi, che può desumersi da altri tipi di condanna, dalla mancata dimostrazione del requisito di “buona condotta” o, più in generale, dal comportamento dell’interessato che, per varie circostanze non tipizzate, si riveli sintomatico dell’incapacità di offrire affidamento di non abusare delle armi.
La giurisprudenza ha costantemente affermato che il potere rimesso all’Autorità di pubblica sicurezza, da esercitare con ampia discrezionalità, non è sanzionatorio o punitivo, ma è quello cautelare di prevenire abusi nell’uso delle armi a tutela della privata e pubblica incolumità, sicché ai fini della revoca dell’autorizzazione e del divieto di detenzione di armi e munizioni non è necessario un obiettivo ed accertato abuso delle armi, bensì è sufficiente la sussistenza di circostanze che dimostrino come il soggetto non sia del tutto affidabile al loro uso; e, stante l’evidenziata ampia discrezionalità dei provvedimenti inibitori in questione, non si richiede una particolare motivazione, se non negli ovvi limiti della sussistenza dei presupposti idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate non siano irrazionali o arbitrarie. (C.d.S. Sez. III, 11/07/2014, n. 3547; 13 aprile 2011 n. 2294; Sez. VI, 18 gennaio 2007 n. 63).
In punto di fatto, nella specie, la revoca del porto di fucile traeva origine dalle indagini penali in corso da tempo a carico del ricorrente per fatti commessi nell’esercizio delle funzioni di -OMISSIS-, e dall’ordinanza di custodia cautelare adottata dal G.I.P. di Cuneo, che, anche se più volte modificata, (e, infine, revocata, ma solo successivamente all’adozione del provvedimento impugnato, in relazione alla necessità di svolgere il proprio lavoro rappresentata dall’interessato), tuttavia dimostrava l’esistenza di esigenze cautelari penali nei suoi confronti.
Inoltre, la stessa Procura della Repubblica di Cuneo, rilevato che l’arrestato disponeva di ben 21 armi da fuoco, aveva sollecitato la valutazione circa il ritiro cautelare delle armi (cfr. nota del 9.6.2016 rivolta alla stazione CC di -OMISSIS- – -OMISSIS- produzione documentale del Ministero in I grado).
Si tratta di circostanze sostanzialmente idonee ad evidenziare fatti non consoni al requisito della “buona condotta” in capo al ricorrente, specie se si tiene conto della carica pubblica dallo stesso ricoperta e della connessione dei fatti penalmente rilevanti contestatigli con l’esercizio di un potere pubblico.
Certamente deve ritenersi non illogico, né sproporzionato il giudizio prognostico di pericolosità e reale possibilità di abuso del titolo di polizia che la Questura ha formulato, all’epoca in cui ha adottato il provvedimento, in relazione ai comportamenti del ricorrente, ricondotti in sede penale alle imputazioni di peculato, abuso d’ufficio e turbata libertà degli incanti, considerati nel loro contesto e nell’intervallo di tempo in cui si sono svolti.
Se, poi, l’autorità giudiziaria penale giudicherà infondate le accuse (peraltro l’appellato non precisa in questa sede l’esito del procedimento penale a suo carico) il ricorrente potrà avanzare richiesta di riesame del provvedimento impugnato, il quale, però, allo stato deve essere ritenuto legittimo rispetto alle esigenze di tutela in via preventiva della sicurezza pubblica.
2.2. Inoltre, le considerazioni sui profili di fondatezza del ricorso, contenuti nell’ordinanza cautelare di questo Consiglio di Stato -OMISSIS- del 2017, non vincolavano, né condizionano la libertà del giudizio di merito del TAR, trattandosi di misura adottata nei limiti della sommaria delibazione tipica della fase cautelare, che accordava prevalenza all’esigenza di evitare, nelle more della definizione del giudizio, un danno irreparabile all’attività lavorativa del ricorrente.
3. – Col secondo motivo di appello, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 7 della l. 241 del 7.8.1990, per l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento; non sarebbe dato comprendere le ragioni dell’urgenza del provvedimento adottato dalla Questura in data 14.6.2016, considerato che il 10 giugno l’arma gli era stata ritirata.
3.1. – La censura non è fondata.
In linea generale, non è dovuto l’avviso dell’avvio di procedimento nell’ipotesi di adozione di provvedimenti di polizia finalizzati alla tutela preventiva della sicurezza e dell’ordine pubblico, in quanto provvedimenti che recano in sé oggettive e intrinseche ragioni di urgenza (C.d.S. Sezione III, 28/10/2016, -OMISSIS-; 12.11.2014, -OMISSIS-).
Tra questi rientra la revoca del porto d’armi, in quanto diretta a salvaguardare la collettività dal pericolo dell’uso delle armi da parte di un soggetto che si ritiene capace di abusarne.
La circostanza che, nel caso concreto, fossero state ritirate qualche giorno prima in via cautelare le armi, ai sensi dell’art. 39 TULPS, non inficia la validità di un provvedimento adottato con carattere di urgenza, in quanto avente diversa e definitiva efficacia.
4.- In conclusione, l’appello va rigettato.
5. – Le spese di giudizio si compensano tra le parti in considerazione della peculiarità della vicenda.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l’effetto, dichiara legittimo il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Garofoli – Presidente
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere, Estensore
Stefania Santoleri – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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