Nell’interpretazione delle clausole di un contratto collettivo

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|8 febbraio 2021| n. 2972.

Nell’interpretazione delle clausole di un contratto collettivo, in particolare aziendale, ai fini della classificazione del personale ha rilievo preminente la considerazione degli specifici profili professionali, rispetto alle declaratorie contenenti la definizione astratta dei livelli di professionalità delle varie categorie, poiché le parti collettive classificano il personale sulla base delle specifiche figure professionali dei singoli settori produttivi, ordinandole in una scala gerarchica, e successivamente elaborano le declaratorie astratte, allo scopo di consentire l’inquadramento di figure professionali atipiche o nuove. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, a fronte di una domanda di superiore inquadramento per la figura di responsabile dell’ufficio contenzioso, atipica per il settore di appartenenza, aveva fatto riferimento ai profili professionali contenuti nel c.c.n.l. Servizi ambientali del 30 giugno 2008).

Ordinanza|8 febbraio 2021| n. 2972

Data udienza 23 settembre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Lavoro – Quadri – Espletamento di mansioni superiori – Difetto di autosufficienza dei motivi di doglianza – Inammissibilità ai sensi dell’art. 366 nn. 3, 4 e 6 c.p.c.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere

Dott. PATTI Adriano P. – Consigliere

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 23652-2016 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 142/2016 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 30/05/2016 R.G.N. 819/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/09/2020 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA MARCELLO, ha depositato conclusioni scritte.

RILEVATO

CHE:
Il Tribunale di Taranto respingeva le domande proposte da (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) s.p.a. volte a conseguire l’inquadramento nel livello Quadri, o in subordina nel livello VIII o ancora nel livello VII per aver espletato mansioni superiori rispetto a quelle di formale appartenenza, del livello VI.
Detta pronunzia veniva parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Lecce, sez. distaccata di Taranto che accertava il diritto della lavoratrice all’inquadramento nel livello VIII del c.c.n.l. Servizi Ambientali del 30/6/2008 a far tempo dal gennaio 2011 e condannava la societa’ al pagamento delle differenze retributive maturate con decorrenza dalla stessa data.
La Corte di merito perveniva a tali approdi all’esito dello scrutinio delle acquisizioni probatorie che avevano chiaramente mostrato lo svolgimento da parte ricorrente, di quella immediata collaborazione con la direzione aziendale richiesta dalla dec1aratoria professionale del superiore livello rivendicato.
Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la s.p.a. (OMISSIS) sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso la parte intimata.
Sono state depositate memorie da entrambe le parti ex articolo 380 bis c.p.c. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO

CHE:
1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2103 c.c. e dell’articolo 16 c.c.n.l. dei servizi ambientali 30/6/2008 in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione fra le parti ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Ci si duole che la Corte di merito abbia omesso di effettuare ogni indagine in relazione allo svolgimento di un periodo superiore a tre mesi di effettivo servizio ai fini dell’accertamento della superiore qualifica rivendicata.
Si osserva che nel giudizio di merito la societa’ aveva prodotto fogli presenza relativi all’anno (OMISSIS) dai quali si desumeva che la dipendente era stata assente per i mesi di (OMISSIS), essendo presente al lavoro per un numero di 67 giornate lavorative.
La totale omissione dell’esame circa la durata del periodo di svolgimento di asserite mansioni superiori, discusso fra le parti, integrava un evidente difetto di motivazione oltre che una violazione della disposizione contrattualcollettiva di cui all’articolo 16, alla cui stregua l’assegnazione di un superiore livello di inquadramento diviene definitiva dopo un periodo di tre mesi di effettivo servizio.
2. Il motivo palesa plurimi, concorrenti profili di inammissibilita’.
In violazione del principio di specificita’ che governa il ricorso per cassazione, consacrato dall’articolo 366 c.p.c., nn. 3, 4 e 6 la societa’ ricorrente ha omesso di indicare tempi e modi di formulazione della eccezione relativa alla mancanza dei requisiti previsti dalla contrattazione collettiva per l’accertamento del diritto alla qualifica superiore, in relazione al mancato svolgimento nell’anno (OMISSIS) di almeno tre mesi di lavoro, essendosi limitata a dedurre di aver prodotto la relativa documentazione.
Tuttavia, secondo insegnamento di questa Corte, i dati fattuali, interessanti sotto diverso profilo la domanda attrice, devono tutti essere esplicitati in modo esaustivo o in quanto fondativi del diritto fatto valere in giudizio o in quanto volti ad introdurre nel giudizio stesso circostanze di mera rilevanza istruttoria, non potendosi negare la necessaria circolarita’, per quanto attiene al rito del lavoro, tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova; circolarita’ attestata dal combinato disposto dell’articolo 414 c.p.c., nn. 4 e 5 e dall’articolo 416 c.p.c., comma 3, (cfr. al riguardo Cass. 17/4/2002 n. 5526 Cass. S.U. 17/6/2004 n. 11353, Cass. 4/10/2013 n. 22738).
E’ opportuno sul punto evidenziare, con riferimento ai fatti sui quali si fonda la domanda attrice, come la contestazione – per evitare ricadute pregiudizievoli per il convenuto – non possa essere generica, non possa cioe’ concretizzarsi in formule di stile, in espressioni apodittiche o in asserzioni meramente negative, ma debba essere invece puntuale, circostanziata, dettagliata ed onnicomprensiva di tutte le circostanze in relazione alle quali viene chiesta l’ammissione della prova.
Non e’ invero priva di significato l’espressione “in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione”, inclusa nell’incipit dell’articolo 416 c.p.c., comma 3 (“Nella stessa memoria il convenuto deve prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda”).
Nello specifico, si impone l’evidenza della carenza di enunciazione di tempi e modi nei quali il fatto costitutivo del diritto vantato dalla attrice, esplicitato in modo esaustivo con riferimento allo svolgimento delle mansioni superiori in relazione al periodo prescritto dalla legge e dai contratti collettivi, sarebbe stato oggetto di specifica contestazione – da parte datoriale cosi’ come della rituale produzione del relativo corredo documentale, al quale si fa riferimento in sede di ricorso per cassazione (vedi per tutte Cass. 1/8/2008 n. 21032).
Nell’ottica descritta, in assenza di qualsivoglia riferimento contenuto nella pronuncia impugnata alle suesposte difese (memoria depositata in primo grado ed in sede di gravame), la censura deve ritenersi affetta da irredimibile inammissibilita’.
3. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 2103, 1362, 1363 c.c. e dell’articolo 16 c.c.n.l. dei servizi ambientali 30/6/2008 in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Ci si duole che la Corte di merito abbia riconosciuto il livello di inquadramento VIII oggetto di rivendicazione, senza tener conto dei principi invalsi nella giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui nell’interpretazione di un contratto collettivo, in particolare aziendale, ai fini della classificazione del personale ha rilievo preminente la considerazione degli specifici profili professionali, rispetto alle declaratorie contenenti la definizione astratta dei livelli di professionalita’.
I giudici del gravame si sarebbero limitati a richiamare la sola declaratoria del livello oggetto di riconoscimento, omettendo ogni doverosa considerazione circa i profili esemplificativi enunciati dalla disposizione di riferimento.
4. La censura e’ priva di pregio.
Occorre premettere, per un corretto iter motivazionale, che, momento ineludibile del giudizio volto alla determinazione dell’inquadramento del lavoratore subordinato, e’ il cd. percorso trifasico.
Detto procedimento logico-giuridico, secondo l’insegnamento di questa Corte, si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell’accertamento in fatto delle attivita’ lavorative in concreto svolte, nell’individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda, essendo sindacabile in sede di legittimita’ qualora la pronuncia abbia respinto la domanda senza dare esplicitamente conto delle predette fasi (cfr. ex aliis, Cass. 27/9/2010 n. 20272, Cass. 28/4/2015 n. 8589, Cass. 22/11/2019 n. 30580).
Sempre secondo i condivisi dicta di questa Corte (vedi Cass. 27/9/2016 n. 18943) l’osservanza del cd. criterio “trifasico”, da cui non si puo’ prescindere nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento del lavoratore, non richiede che il giudice si attenga pedissequamente alla ripetizione di una rigida e formalizzata sequenza delle azioni fissate dallo schema procedimentale, ove risulti che ciascuno dei momenti di accertamento, di ricognizione e di valutazione abbia trovato concreto ingresso nel ragionamento decisorio, concorrendo a stabilirne le conclusioni.
Nello specifico, deve rimarcarsi come la Corte di merito abbia addotto una serie di argomentazioni idonee a confermare la ricorrenza degli elementi dalla medesima ricorrente posti a fondamento del diritto azionato, che inducono a ritenere percorso il paradigma motivazionale enucleato dalla giurisprudenza di legittimita’ ai fini qui considerati.
La Corte distrettuale ha innanzitutto fatto richiamo al livello VI in godimento, riservato ai lavoratori che svolgono mansioni comportanti facolta’ di decisione e autonomia operativa limitate agli obiettivi di appartenenza.
Ha inoltre rimarcato come dalle acquisizioni probatorie, anche di natura documentale, si fosse imposta l’evidenza che la ricorrente, quantomeno dal (OMISSIS), aveva adempiuto alle mansioni a lei ascritte in totale autonomia, selezionando gli aspetti da privilegiare in relazione alle questioni da risolvere. La Co4rte ha inoltre considerato la varieta’ delle materie in relazione alle quali era richiesta la consulenza della lavoratrice – (studio della normativa in tema di servizi di igiene urbana e di flussi finanziari, dei profili di responsabilita’ penale di enti e Societa’, predisposizione di bandi di gara, della materia disciplinare…) e la diretta interlocuzione della stessa con la direzione sulle descritte rilevanti tematiche.
Ha quindi, congruamente concluso come non aderente alle previsioni del c.c.n.l. di settore l’attribuzione all’appellante del livello VI, considerato che i contenuti di ricerca e di studio elaborati dalla dipendente erano di fatto, integralmente recepiti dalla direzione, cosi’ realizzandosi quel requisito coessenziale alla qualifica del VIII, del potere di incidere sulle scelte aziendali proprio della attivita’ svolta.
La struttura logico-giuridica che innerva l’impugnata sentenza, risponde dunque, ai canoni che definiscono una corretta sussunzione della fattispecie nell’archetipo normativo di riferimento, non assumendo valenza decisiva la denunciata omissione di ogni riferimento da parte della Corte di merito, ai profili professionali corrispondenti alla declaratoria contrattuale relativa al livello rivendicato, considerata la natura esemplificativa degli stessi.
Va precisato al riguardo che la figura di “responsabile dell’ufficio contenzioso” corrispondente alla attivita’ espletata dalla ricorrente, si poneva come in termini di atipicita’ rispetto al settore “raccolta rifiuti” entro il quale operava, sicche’ gli approdi ai quali e’ pervenuta la Corte di merito non possono ritenersi in contrasto con la giurisprudenza di legittimita’ citata dalla ricorrente, secondo cui le parti collettive classificano il personale sulla base di specifiche figure professiofiali dei singoli settori produttivi, ordinandole su scala gerarchica, e successivamente elaborano le declaratorie astratte, allo scopo di consentire l’inquadramento di figure professionali atipiche o nuove (vedi Cass. 23/2/2016 n. 3547).
5. Non puo’, poi, sottacersi che comunque le critiche articolate dalla difesa della ricorrente non hanno il tono proprio di una censura di legittimita’.
Esse; sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di norme legge e di disposizioni di contratto collettivo, degradano in realta’ verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui e’ originata l’azione (cfr. Cass., Sez. Un., 17/12/2019 n. 33373).
Con riferimento alle tipologie di controversie sovrapponibili a quella oggetto del presente vaglio, e’ consolidato l’insegnamento di questa Corte secondo cui l’accertamento della natura delle mansioni concretamente svolte dal dipendente, ai fini dell’inquadramento del medesimo in una determinata categoria di lavoratori, una volta rispettato – cosi’ come nella specie – costituisce giudizio di fatto riservato al giudice del merito ed e’ insindacabile, in sede di legittimita’, se sorretto da congrua motivazione (vedi Cass. 30/10/2008 n. 26234, Cass. 31/12/2009 n. 28284, Cass. 28/4/2015 n. 8589).
Discende quindi, da quanto sinora detto, che sotto tutti i profili delineati, la sentenza impugnata si sottrae alle formulate censure.
Il ricorso va, pertanto, respinto.
La regolazione delle spese inerenti al presente giudizio, segue il regime della soccombenza, nella misura in dispositivo liquidata.
Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimita’ liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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