Nell’impiego pubblico contrattualizzato

Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Sentenza 20 agosto 2019, n. 21528.

Massima estrapolata:

Nell’impiego pubblico contrattualizzato, poiché alla stipula del contratto di lavoro si può pervenire solo a seguito del corretto espletamento delle procedure concorsuali previste dall’art. 35, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 165/2001 o, per le qualifiche meno elevate, nel rispetto delle modalità di avviamento di cui al combinato disposto del richiamato art. 35, comma 1, lett. b) e degli artt. 23 e seguenti del d.p.r. n. 487/1994, la mancanza o l’illegittimità delle richiamate procedure si traduce in un vizio genetico del contratto, affetto da nullità, che l’amministrazione, in quanto tenuta a conformare il proprio comportamento al rispetto delle norme inderogabili di legge, può fare unilateralmente valere, perché anche nei rapporti di diritto privato il contraente può rifiutare l’esecuzione del contratto nei casi in cui il vizio renda il negozio assolutamente improduttivo di effetti giuridici. Pertanto il legittimo annullamento in autotutela del concorso interno sulla cui base era stato poi stipulato il contratto di lavoro, consente alla P.A. di considerare caducato il rapporto di lavoro e di non darvi ulteriore esecuzione. L’eventuale responsabilità della P.A. per l’accaduto non ha natura contrattuale, trattandosi semmai di una tipica fattispecie di responsabilità precontrattuale (e dunque extracontrattuale) ex art. 1338 c.c., per avere la P.A., attraverso l’indizione di un concorso illegittimo e la successiva stipula in base ad esso di un contratto di lavoro nullo, leso l’affidamento altrui. Inoltre, secondo le regole proprie della responsabilità extracontrattuale di cui quella precontrattuale costituisce specie bisogna dimostrare l’esistenza di danni, non estesi al c.d. interesse positivo all’adempimento contrattuale causalmente riconducibili al comportamento altrui

Sentenza 20 agosto 2019, n. 21528

Data udienza 8 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 6626-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo (OMISSIS) S.R.L., rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
– COMUNE DI CATTOLICA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– (OMISSIS), sottoscrittori della polizza n. (OMISSIS), (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1418/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata 04/01/2018 R.G.N. 1226/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/05/2019 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per inammissibilita’ in subordine rigetto;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Bologna ha rigettato il gravame proposto da (OMISSIS) avverso la sentenza del Tribunale di Rimini che aveva disatteso l’azione da lui proposta e finalizzata a far accertare l’illegittimita’ della sua retrocessione alla posizione di provenienza, disposta dal Comune di Cattolica in ragione dell’annullamento in autotutela del concorso svolto per la copertura di un posto dirigenziale.
La Corte territoriale, giudicando in processo nel quale era litisconsorte anche (OMISSIS), quale chiamato in garanzia dal Comune, riteneva che la revoca in autotutela del provvedimento definitorio del concorso fosse in se’ legittima, poiche’ la procedura era stata riservata esclusivamente al personale interno, in violazione della normativa di cui al Decreto Legislativo n. 387 del 1998 e del Decreto Legislativo n. 165 del 2001.
Cio’ posto, negava che si potesse parlare di inadempimento, ma semmai di responsabilita’ precontrattuale, riscontrando pero’ come i danni lamentati risultassero non provati, sia sotto il profilo dell’impoverimento professionale, avendo il ricorrente continuato a svolgere altri incarichi a termine, sia sotto il profilo del pregiudizio all’immagine, non fondandosi la revoca su ragioni di ordine soggettivo e risultando infine del tutto generiche le allegazioni in punto di danno morale soggettivo.
2. Avverso la sentenza il (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, poi illustrati da memoria e resistiti da controricorso del Comune e di (OMISSIS).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia (articolo 360 c.p.c., n. 4 e n. 5) l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nell’affermare che non vi sarebbe stata prova della stipula tra le parti di un contratto a tempo indeterminato di livello dirigenziale, allorquando la relativa prova documentale risultava in atti.
Il secondo motivo censura ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 la violazione del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articoli 2, 4 e 5, nonche’ dell’articolo 2126 c.c., del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36 e dell’articolo 1441 c.c. ed infine della L. n. 2359 del 1865, articoli 4 e 5, sostenendo che erroneamente era stato ritenuto che l’annullamento d’ufficio implicasse automaticamente la nullita’ del contratto e cio’ pur nel difetto dell’esercizio di poteri negoziali o di azione di annullamento da parte del datore di lavoro.
Il terzo motivo afferma la violazione degli articoli 1218, 1223 e 1226 c.c. e dell’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3 in quanto, vertendosi in materia di responsabilita’ contrattuale, una volta provato il contratto, il danno patrimoniale andava riconosciuto nella mancata erogazione delle competenze stipendiali in esso stabilite, mentre il danno non patrimoniale poteva essere fissato equitativamente.
Subordinatamente, con il quarto motivo, il ricorrente sostiene la violazione (articolo 360 c.p.c., n. 3) degli articoli 2043 e 1226 c.c., nonche’ dell’articolo 112 c.p.c., per avere la Corte di merito totalmente omesso di decidere la domanda di risarcimento danni conseguente all’attivita’ amministrativa illegittima, riepilogando i profili di danne patrimoniale, non patrimoniale, curriculare e morale patiti.
2. Il primo motivo e’ inammissibile.
La Corte territoriale, pur avendo incidentalmente ritenuto che mancasse prova della stipula del contratto di lavoro dirigenziale a tempo indeterminato su cui si fondavano le pretese del ricorrente, ha poi deciso l’intera controversia come se quel contratto esistesse, sicche’ quel rilievo su cui si appuntano e censure del primo motivo e’ del tutto irrilevante, se non nella misura in cui fossero fondati, come non sono secondo quanto si dira’ di seguito, i motivi sviluppati in relazione alla restante parte di motivazione.
3. Cio’ posto, non vi e’ censura – ed il punto e’ quindi da aversi per definitivo rispetto alla valutazione della Corte territoriale secondo cui la determina dirigenziale di annullamento del concorso interno da cui era poi scaturito il contratto di lavoro con il (OMISSIS) fosse in se’ legittima, per illegittimita’ del predetto concorso in quanto destinato solo a personale interno, in quanto – afferma la sentenza, richiamando poi giurisprudenza amministrativa – “in contrasto con i principi.. ribaditi dal Decreto Legislativo n. 387 del 1998, articolo 10 e poi di nuovo trasfusi nel Decreto Legislativo n. 165 del 2001”.
4. Muovendo da tale presupposto, il secondo motivo risulta infondato.
4.1 E’ infatti del tutto consolidato presso questa Corte l’orientamento per cui l’annullamento dei provvedimenti di selezione da cui dipende il contratto di lavoro poi in base ad essi stipulato, e’ causa di nullita’, per venir meno dell’inderogabile presupposto dell’assunzione sulla base di (valido) concorso (Cass. 8 aprile 2010, n. 8328; Cass. 31 maggio 2017, n. 13800; Cass. 21 marzo 2018, n. 7054; Cass. 8 gennaio 2019, n. 194).
Tale orientamento non puo’ ritenersi contrastato da Cass. 1 ottobre 2015, n. 19626, su cui fanno leva le difese del ricorrente, in quanto quella pronuncia richiama esattamente i principi appena menzionati, pur poi giungendo a confermare la pronuncia di merito sfavorevole alla P.A..
Puo’ essere che cio’, per quella causa, derivi da ragioni attinenti alle modalita’ di deduzione dei motivi di ricorso (con cui parrebbe essersi addotta l’indebita disapplicazione – L. n. 2248 del 1865, articolo 5 – dell’atto di recesso, da parte della Corte territoriale, cosi’ erroneamente riferendo ad un atto da ritenere di natura negoziale una disciplina propria degli atti amministrativi), ma comunque quanto in concreto deciso in quella sede e rispetto a quel caso poco importa, in quanto cio’ che rileva e’ il principio, qui condiviso, nella medesima espresso e conforme alle plurime pronunce antecedenti e successive ad essa – sopra richiamate.
4.2 Infondata e’ anche la tesi – sostenuta anche nei motivi di ricorso – che riconduce il vizio all’annullabilita’ e non alla nullita’ e che a tal fine fa leva sul tenore letterale del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 63, comma 2, seconda parte, secondo cui le sentenze con le quali il giudice riconosce “il diritto all’assunzione, ovvero accerta che l’assunzione e’ avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali, hanno anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro”.
L’articolo 63, comma 2, prima parte, prevede infatti, in via generale, il potere del giudice ordinario di adottare tutti i provvedimenti richiesti dalla natura dei diritti tutelati e tale principio non e’ certamente derogato, ma soltanto esplicitato, dalla seconda parte di esso, sicche’, per quanto la norma sembri evocare un effetto costitutivo della pronuncia, come tale incompatibile con la natura dichiarativa dell’accertamento della nullita’, tuttavia e’ proprio l’automatica derivazione della “estinzione” dall’accertamento della violazione delle norme inerenti l’assunzione che finisce per smentire la riconducibilita’ del vizio all’azione di annullamento, confermando che appunto di nullita’ si tratta, perche’ solo quest’ultima puo’ operare d’ufficio e per il solo fatto dell’accertata violazione della norma inderogabile, richiedendo l’annullamento per errore ulteriori presupposti (la domanda della parte legittimata e, soprattutto, la riconoscibilita’ dell’errore), dai quali, invece, il legislatore ha voluto prescindere nel prevedere un’automatica incidenza della pronuncia sulle sorti del rapporto;
4.3 Non essendovi questione sulla legittimita’ della delibera di annullamento del concorso, va dunque da se’ che il Comune ha provveduto in modo del tutto legittimo a prendere atto del verificarsi di una ragione di nullita’ consequenziale del contratto di lavoro che su tale poi rimossa delibera giuridicamente si fondava.
Dovendosi specificare anche rispetto alla presente fattispecie il gia’ menzionato e consolidato principio, qui da declinare, in linea ora anche con quanto ritenuto da Cass. 25 giugno 2019, n. 17002, nel senso che “nell’impiego pubblico contrattualizzato, poiche’ alla stipula del contratto di lavoro si puo’ pervenire solo a seguito del corretto espletamento delle procedure concorsuali previste dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 35, comma 1, lettera a) o, per le qualifiche meno elevate, nel rispetto delle modalita’ di avviamento di cui al combinato disposto del richiamato articolo 35, comma 1, lettera b) e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 1994, articoli 23 e seguenti, la mancanza o l’illegittimita’ delle richiamate procedure si traduce in un vizio genetico del contratto, affetto, pertanto, da nullita’, che l’amministrazione, in quanto tenuta a conformare il proprio comportamento al rispetto delle norme inderogabili di legge, puo’ fare unilateralmente valere, perche’ anche nei rapporti di diritto privato il contraente puo’ rifiutare l’esecuzione del contratto nei casi in cui il vizio renda il negozio assolutamente improduttivo di effetti giuridici. Pertanto il legittimo annullamento in autotutela del concorso interno sulla cui base era stato poi stipulato il contratto di lavoro, consente alla P.A. di considerare caducato il rapporto di lavoro e di non darvi ulteriore esecuzione”.
5. Da quanto sopra deriva che l’eventuale responsabilita’ della P.A. per l’accaduto non ha natura contrattuale, come sostenuto nel terzo motivo, trattandosi semmai di una tipica fattispecie di responsabilita’ precontrattuale (e dunque extracontrattuale) ex articolo 1338 c.c., per avere la P.A., attraverso l’indizione di un concorso illegittimo e la successiva stipula in base ad esso di un contratto di lavoro nullo, leso l’affidamento altrui.
Non ha dunque alcun fondamento la pretesa che dalla mancata esecuzione del contratto derivi di per se’, ex art, 1218 c.c., il diritto del (OMISSIS) al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni perdute, spettando viceversa al medesimo, secondo le regole proprie della responsabilita’ extracontrattuale di cui quella precontrattuale costituisce specie (Cass., S.U., 3 ottobre 2016, n. 19684; Cass. 29 luglio 2011, n 16735) dimostrare l’esistenza di danni, non estesi al c.d. interesse positivo all’adempimento contrattuale (Cass. 4 aprile 2017, n. 8705; Cass. 3 dicembre 2015, n. 24625) causalmente riconducibili al comportamento altrui.
6. Quanto poi all’omessa pronuncia sui danni comunque conseguiti al comportamento della P.A., escluso nei termini appena espressi il danno da perdita di retribuzioni in quanto riconnesso ad un inesistente inadempimento contrattuale, non e’ poi vero quanto dedotto con il quarto motivo, ovverosia che non vi sarebbe stata pronuncia sul danno da impoverimento professionale (avendo la Corte ritenuto che non ve ne fosse prova, avendo il ricorrente continuato ad essere destinatario di incarichi dirigenziali a termine), all’immagine (escluso dal giudice d’appello per l’afferire dell’annullamento a ragioni non riferibili soggettivamente alla persona del (OMISSIS)) o per pregiudizio morale soggettivo (ritenuto oggetto di allegazioni del tutto generiche), risultando in questa sede comunque riportati in modo assai generico ed apodittico, inadeguato anche rispetto al principio di specificita’ dei motivi di ricorso, i profili attinenti alle perdite di altre occasioni lavorative, al malessere psicologico creato ed al danno denominato come “curriculare”.
7. Alla reiezione del ricorso segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimita’ in favore di ciascuna (Comune e (OMISSIS)) delle controparti vittoriose.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore delle controparti delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida, per ciascuna di esse, in Euro 3.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

 

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