Corte di Cassazione, sezione sesta civile, Ordinanza 24 giugno 2020, n. 12405.
La massima estrapolata:
Nelle locazioni commerciali se l’indennità di avviamento commerciale non è dovuta (perché non è sede aperta al pubblico) ma viene spontaneamente corrisposta la dazione non è nulla e non determina indebito arricchimento.
Ordinanza 24 giugno 2020, n. 12405
Data udienza 16 gennaio 2020
Tag – parola chiave: Locazioni – Locazioni commerciali – Sede aperta al pubblico – Indennità di avviamento commerciale – Non è dovuto – Spontanea corresponsione – Indebito arricchimento – Esclusione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE TERZA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente
Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 35627-2018 proposto da:
(OMISSIS) SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SRL, gia’ (OMISSIS) SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 139/2018 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata in data 5/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA SCRIMA.
CONSIDERATO
che:
(OMISSIS) S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, basato su un unico motivo, nei confronti di (OMISSIS) S.r.l. e avverso la sentenza n. 139/18, della Corte di appello di Trento, pubblicata il 5 giugno 2018, che ha rigettato l’appello proposto dall’attuale ricorrente avverso la sentenza del Tribunale di Rovereto, con la quale era stata rigettata la domanda, avanzata dalla (OMISSIS) S.r.l. nei confronti di (OMISSIS) S.r.l., volta a sentir accertare e dichiarare che la somma di Euro 103.559,68, versata dall’attrice alla convenuta, “a titolo di indennita’ per perdita di avviamento commerciale, non era dovuta ed in conseguenza condannare… (la convenuta)… alla restituzione e pagamento dell’intera somma… oltre spese, interessi ed accessori ai sensi (degli) articoli 2041-2042 c.c.”;
a fondamento della proposta domanda, l’attuale ricorrente, in primo grado, aveva esposto che: a) tra le parti era stato stipulato un contratto di locazione di immobile ad uso commerciale; b) in tale contratto era stato espressamente previsto che non fosse dovuta alcuna indennita’ per perdita di avviamento commerciale in quanto l’attivita’ svolta dalla convenuta non comportava contatti con il pubblico; c) su richiesta della convenuta, in data (OMISSIS), era stato siglato un accordo di risoluzione anticipata della locazione; d) al momento della firma di tale accordo, l’attrice, su richiesta della convenuta, si era impegnata, obtorto collo, al pagamento della somma di Euro 103.559,68, a titolo di indennita’ per perdita di avviamento commerciale, pagamento poi avvenuto il 31 luglio 2011 in occasione del rilascio dell’immobile; e) il pagamento in parola era stato effettuato “per errore e senza causa”, sia perche’ la L. n. 392 del 1978, articolo 34, prevede che detta indennita’ non sia dovuta in caso di recesso del conduttore, sia perche’ la medesima L., articolo 35, “nega il pagamento a chi eserciti in locali adibiti alla vendita all’ingrosso e non al dettaglio; cosa riconosciuta (dalla parte conduttrice)… nelle tavole contrattuali e risultante dalla visura camerale oltre che di fatto”; f) vi era stato un indebito arricchimento senza giusta causa ai sensi dell’articolo 2041 c.c.;
la convenuta, nel costituirsi dinanzi al Tribunale, aveva eccepito l’inammissibilita’ dell’azione proposta, sostenendo che l’avvenuta dazione trovava ragione negli accordi negoziali intervenuti tra le parti e, in particolare, nella scrittura privata con la quale era stata convenuta consensualmente la risoluzione del contratto di locazione gia’ richiamato; comunque, il rapporto tra le parti era stato piu’ complesso di quanto descritto dall’attrice, essendo tra le medesime parti intervenuti plurimi accordi, da ultimo compendiati nella scrittura del (OMISSIS), con la quale si era convenuto di risolvere consensualmente il contratto di locazione, con la previsione del versamento, da parte della (OMISSIS) S.r.l. – a titolo di indennita’ di avviamento commerciale ed in ogni caso per accordo contrattuale, indipendentemente dalla effettiva debenza o meno della predetta indennita’ – dell’importo da quest’ultima richiesto ai sensi dell’articolo 2041 c.c.;
(OMISSIS) S.r.l., gia’ (OMISSIS) S.r.l., ha resistito con controricorso;
la proposta del relatore e’ stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c..
RILEVATO
che:
con l’unico motivo, rubricato “Violazione dell’articolo 2041 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, lettera a), ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto deciso della controversia”, si lamenta “un’errata interpretazione”, da parte della Corte territoriale, “del principio di sussidiarieta’ dell’istituto e della correlata giurisprudenza”, si deduce che la quaestio iuris posta non riguarderebbe “la validita’ dell’accordo ex se ma il problema della legittimita’ o meno della violazione di norme imperative di legge in materia locatizia al fine di ottenere un indebito arricchimento” e si denuncia che la sentenza ometterebbe di richiamare il testo della L. n. 392 del 1978, articoli 34 e 35, e i principi di autonomia contrattuale; ad avviso della ricorrente, qualora il conduttore di immobile ad uso non abitativo richieda la risoluzione anticipata della locazione e il pagamento dell’indennita’ di avviamento, esclusa in relazione al tipo di attivita’ esercitata, incorrerebbe nella sanzione di nullita’ prevista dalla L. n. 392 del 1978, articolo 79, per i patti in deroga alle disposizioni della legge medesima; pertanto, sempre secondo la ricorrente, la transazione sarebbe legittima ma il conduttore non potrebbe rinunciare o chiedere l’indennita’ in parola nell’ipotesi in cui “essa non rientri nell’alveo dei suoi diritti della L., ex articolo 34”, gia’ menzionata e, quindi, “ogni eventuale depauperamento subito dalla controparte… (sarebbe) indennizzabile ex articolo 2041 c.c.”;
considerato che:
il motivo non puo’ essere accolto;
ed invero, non sussiste il lamentato vizio di violazione di legge, alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’, al quale va data continuita’ in questa sede, secondo cui “l’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicche’ non e’ dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalita’ o dell’adempimento di un’obbligazione naturale” (Cass. 15/05/2009, n. 11330; v. ex multis, in senso conforme, Cass. 6/03/1970, n. 547; Cass. 31/01/2008, n. 2312; Cass. 7/08/2009, n. 18099; Cass. 13/04/2016, n. 7331); e’ stato pure da tempo precisato da questa Corte che “l’azione generale di arricchimento ha come espresso presupposto che la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro sia avvenuta senza giusta causa; di talche’, quando questo sia, invece, la conseguenza di un contratto, o comunque di un altro rapporto, non puo’ dirsi che la causa manchi o sia ingiusta, almeno fino a quando il contratto o il diverso rapporto conservino rispetto alle parti e ai loro aventi causa la propria efficacia obbligatoria” (Cass. 19/06/1974, n. 1819);
dei ricordati principi la Corte di merito risulta aver fatto, nel caso all’esame, corretta applicazione (v. sentenza impugnata, p. 8, 9 e 10), peraltro, va pure evidenziato che la L. 27 luglio 1973, n. 392, articolo 79, il quale sancisce la nullita’ di ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto di locazione o ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello legale, ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge stessa, mira ad evitare che al momento della stipula del contratto le parti eludano in qualsiasi modo le norme imperative poste dalla legge sul cosiddetto equo canone, aggravando in particolare la posizione del conduttore (Cass. 14/01/200E, n. 675); tale norma non solo non impedisce al conduttore di rinunciare all’indennita’ per la perdita dell’avviamento commerciale, purche’ cio’ avvenga successivamente alla conclusione del contratto, quando puo’ escludersi che il conduttore si trovi in quella posizione di debolezza alla cui tutela la richiamata disciplina e’ preordinata (Cass. 13/06/2018, n. 15373; Cass. 30/09/2019, n. 24221) ne’ impedisce alle parti, al momento della cessazione del rapporto, di addivenire ad una transazione in ordine ai rispettivi diritti ed in particolare non impedisce al conduttore di rinunciare all’indennita’ per la perdita dell’avviamento commerciale (Cass. 24/11/2007, n. 24458; Cass. 14/01/2005, n. 675; Cass. 12711/1986, v. anche Cass. 17/05/2010, n. 11947), ma soprattutto – e tanto rileva in questa sede – non impedisce al locatore di riconoscere al conduttore vantaggi ulteriori rispetto a quelli stabiliti dalla legge, come avvenuto nella specie;
inoltre, detto motivo, con riferimento alle censure motivazionali, peraltro neppure del tutto chiaramente esplicitate nell’illustrazione del mezzo, e’ inammissibile per piu’ ragioni;
ed invero, nell’ipotesi, come quella all’esame, di cd. “doppia conforme”, prevista dall’articolo 348-ter c.p.c., comma 5, applicabile, ai sensi del Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012 (si evidenzia che, nella specie, l’atto di citazione in appello e’ sicuramente successivo alla predetta data, risultando essere stato notificato il 28 giugno 2017, v. sentenza impugnata p. 7), la parte ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilita’ del motivo di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, (nel testo riformulato dal Decreto Legge n. 83 cit., articolo 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012), deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 10/03/2014, n. 5528); nel caso all’esame, tale onere non risulta essere stato assolto dalla ricorrente;
inoltre, il motivo in parola e’ inammissibile sempre in relazione ai vizi motivazionali indicati nella rubrica del motivo, anche perche’ la ricorrente, lungi dal proporre delle doglianze che rispettino il paradigma legale di cui al novellato articolo 360 codice di rito, n. 5, ripropone, come peraltro chiaramente indicato gia’ nella rubrica del motivo all’esame, inammissibilmente lo stesso schema censorio del n. 5, nella sua precedente formulazione, inapplicabile ratione temporis (Cass., sez. un., 7/04/2014, n. 8053; Cass. 12/10/2017, n. 23940);
infine, va osservato che l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, conv. in L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, nel cui paradigma non e’ inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di questioni giuridiche, che, in sostanza, la ricorrente denuncia in questa sede;
ritenuto che:
alla luce di quanto sopra evidenziato, il ricorso deve essere rigettato;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. articolo 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore Importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del articolo 13, comma 1-bis.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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