Nel processo amministrativo la “piena conoscenza”

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 2 marzo 2020, n. 1496.

La massima estrapolata:

Nel processo amministrativo la “piena conoscenza” del provvedimento impugnabile non va intesa quale conoscenza piena e integrale del provvedimento stesso, ma come percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo, del suo contenuto dispositivo essenziale e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da configurare l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso, salva comunque la facoltà di proporre motivi aggiunti al momento della conoscenza di ulteriori profili di illegittimità dell’atto impugnato.

Sentenza 2 marzo 2020, n. 1496

Data udienza 7 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1606 del 2017, proposto dalla signora Be. Bo., rappresentata e difesa dall’avvocato Ra. Ch., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, non costituito in giudizio;
per la riforma
delle sentenze del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. 11251/2015 e n. 7834/2016, rese tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 novembre 2019 il Cons. Alessandro Verrico e udito l’avvocato Ra. Ch.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso dinanzi al T.a.r. Lazio (R.G. n. 80/2010), l’odierna appellante, viceprefetto, impugnava il decreto del 23 febbraio 2009, a firma del Capo del Dipartimento per le politiche del personale dell’Amministrazione civile del Ministero dell’Interno, comunicato in data 12 ottobre 2009 alla diretta interessata, con cui è stato disposto il conferimento alla stessa della funzione di dirigente in posizione di staff: ispettore generale di amministrazione nell’ambito dell’Ispettorato generale di amministrazione, incarico (di fascia E). Invero, ad avviso della ricorrente, l’incarico rivestirebbe rilevanza inferiore a quello (di fascia D) precedentemente ricoperto quale capo dell’Ufficio di staff dell’Unità di missione “Consulta per l’Islam italiano” presso il Gabinetto del Ministro, incarico speciale conferito con decreto del Ministro dell’Interno ai sensi dell’art. 12, co. 2 del d.lgs. n. 139/2000, a decorrere dal luglio 2006. Chiedeva pertanto l’annullamento del provvedimento, con ogni conseguente condanna alla retta ricostruzione della carriera anche ai fini economici, con conseguente corresponsione dei maggiori emolumenti spettanti, oltre agli interessi e alla rivalutazione da ciascuna scadenza fino al soddisfo e agli ulteriori danni, tutti derivanti dall’illegittimo demansionamento.
1.1. Con successivo ricorso per motivi aggiunti la ricorrente chiedeva altresì l’annullamento del decreto del 9 febbraio 2014, comunicato il 21 febbraio 2014, a firma del Capo del Dipartimento per le politiche del personale dell’Amministrazione civile del Ministero dell’Interno, con il quale veniva reiterato il conferimento alla ricorrente della citata funzione dirigenziale, a far data dal 1° febbraio 2014 e per la durata di un triennio, con ogni conseguente condanna alla retta ricostruzione della carriera anche ai fini economici, con conseguente corresponsione dei maggiori emolumenti spettanti, oltre agli interessi e alla rivalutazione da ciascuna scadenza fino al soddisfo e agli ulteriori danni, tutti derivanti dall’illegittimo demansionamento.
2. Il T.a.r. Lazio, sede di Roma, Sezione I-ter, dopo aver respinto con l’ordinanza n. 485/2010 l’istanza cautelare, con le sentenze n. 11251/2015 e 7834/2016, ha respinto il ricorso e ha compensato le spese di giudizio tra le parti. Il Tribunale, in particolare:
a) ha dichiarato irricevibile il ricorso introduttivo, perché proposto tardivamente: invero, a prescindere dalla formale comunicazione del decreto di conferimento dell’incarico (ottobre 2009), la ricorrente aveva avuto la “piena conoscenza” dell’incarico stesso in epoca precedente, avendo preso servizio presso l’Ispettorato generale già nel febbraio 2009;
b) con riferimento al rinnovo dell’incarico (secondo rinnovo), impugnato con motivi aggiunti, dopo aver effettuato istruttoria, ha negato che sussistano gli estremi per il demansionamento e che sussista l’obbligo di informazione preventiva alle OO.SS. Ha altresì negato che sia stato violato il principio di rotazione degli incarichi di cui all’art. 11, c. 2, d.lgs. n. 139/00 (derivante, asseritamente, dal conferimento del medesimo incarico per tre volte nel quinquennio), in quanto, a seguito della nuova organizzazione discendente dall’applicazione del d.m. 19 luglio 2013 (riguardante la graduazione dei posti di funzione della carriera prefettizia) ed in virtù della conseguente procedura di concertazione, il posto assegnato alla ricorrente deve essere considerato quale “nuovo” posto di funzione;
c) ha conseguentemente respinto la domanda di risarcimento del danno, stante l’assenza dei presupposti fondanti.
3. La ricorrente originaria ha proposto appello, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente accoglimento integrale del ricorso originario. In particolare, l’appellante ha sostenuto le seguenti censure in tal modo rubricate:
i) “sulla sentenza non definitiva n. 11251/2015 e sulla dichiarata irricevibilità del ricorso introduttivo per precedente grado di giudizio. Riproposizione delle censure d’illegittimità erroneamente non scrutinate in primo grado. Omessa pronuncia. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21, L. n. 1034/1971 ratione temporis applicabile. Errore di diritto”;
ii) “sulla sentenza non definitiva n. 11251/2015 e sulla dichiarata irricevibilità del ricorso introduttivo per precedente grado di giudizio. In subordine, necessità di scrutinio della domanda risarcitoria anche nell’ipotesi di voler ritenere la tardività della domanda di annullamento articolata nel ricorso introduttivo. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21, L. n. 1034/1971 ratione temporis applicabile. Errore di diritto”;
iii) “sulla sentenza n. 7834/2016, nella parte in cui respinge la prima e la terza censura proposte nell’atto di motivi aggiunti. Motivazione apparente. Errore di diritto”;
iv) “sulla sentenza n. 7834/2016, nella parte in cui respinge il secondo gruppo di censure proposte nell’atto di motivi aggiunti. Omessa pronuncia. Motivazione apparente. Errore di diritto”;
v) “riproposizione delle domande risarcitorie articolate in primo grado”.
3.1. Nessuno si è costituito per la parte appellata.
4. All’udienza del 7 novembre 2019 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
5. L’appello è parzialmente fondato e deve pertanto essere accolto in parte.
6. In punto di fatto occorre premettere la seguente successione di incarichi conferiti in favore del viceprefetto appellante negli ultimi anni:
i) a decorrere dal luglio 2006, capo dell’Ufficio di staff dell’Unità di missione “Consulta per l’Islam italiano” presso il Gabinetto del Ministro: incarico speciale, conferito con decreto del Ministro ai sensi dell’art. 12, co. 2, del d.lgs. n. 139/2000, appartenente alla Fascia D, II livello di responsabilità e competenza e III livello di rilevanza, a cui corrispondeva una retribuzione di posizione pari ad Euro 23.028,00 (ai sensi dell’art. 6 del d.P.R. n. 293/2006);
ii) con decreto del 23 febbraio 2009, dirigente in posizione di staff per un anno, in particolare ispettore generale di amministrazione nell’ambito dell’Ispettorato generale di Amministrazione: incarico di Fascia E, con II livello di responsabilità e competenza e IV livello di rilevanza, a cui corrisponde una retribuzione di posizione pari ad Euro 18.771,00;
iii) con decreto dirigenziale del 1° luglio 2011, rinnovo per tre anni del medesimo incarico di funzione, esteso sino al 30 giugno 2014;
iv) con decreto del 10 febbraio 2014, secondo rinnovo del medesimo incarico di funzione per tre anni dal 1° febbraio 2014;
v) con decreto del 31 gennaio 2017, terzo rinnovo del medesimo incarico di funzione per tre anni dal 1° febbraio 2017.
7. Con il primo motivo l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza non definitiva n. 11251/2015 in ordine alla dichiarazione di irricevibilità del ricorso introduttivo, in quanto l’impugnato decreto di conferimento di incarico, sebbene adottato formalmente in data 23 febbraio 2009, veniva notificato solo il 12 ottobre 2009, così come i precedenti atti e fatti dedotti non risulterebbero idonei a dimostrare l’avvenuta “piena conoscenza” degli elementi essenziali dell’atto. Considerata la tempestività del ricorso introduttivo del primo grado di giudizio, l’appellante ripropone quindi le censure di diritto articolate in quella sede (“violazione di legge: artt. 11-16 D.lgs. 139/2000 e 4, 5 e 6 D.P.R. 247/02”; “Violazione di legge: artt. 4, 5 comma 1/lett. b e 6 del D.P.R. 247/02”), ritenendole meritevoli di scrutinio nella presente sede.
7.1. La censura non è fondata.
7.2. Come correttamente evidenziato dal primo giudice, il Collegio rileva infatti che, ben prima della formale comunicazione del decreto impugnato (avvenuta tramite notificazione del 12 ottobre 2009), vi era stata in favore del viceprefetto formale comunicazione dell’incarico, con la nota prot. A/1222 del 16 aprile 2009. Invero, nella stessa si legge che: “con provvedimento in data 23 febbraio 2009, in corso di registrazione, la S.V. è stata destinata a questo Dipartimento, Ispettorato Generale di Amministrazione, con le funzioni di Dirigente in posizione di staff: Ispettore Generale di Amministrazione”).
Pertanto, quanto meno da tale data l’appellante risulta essere stato a conoscenza del contenuto essenziale del provvedimento impugnato.
Ad ogni modo, in questa medesima direzione depone sia la circostanza che la ricorrente aveva preso servizio presso l’Ispettorato generale (per lo svolgimento del nuovo incarico) sin dal 23 febbraio 2009 (come riportato nella nota del Ministero del 29 aprile 2009), sia il fatto che era la stessa appellante, con la nota del 5 marzo 2009 diretta al Capo di Gabinetto ed al Capo del Dipartimento, a dar conto della propria conoscenza del nuovo incarico.
Tali fatti risultano, invero, del tutto sufficienti al fine di dimostrare la piena conoscenza da parte dell’appellante dell’atto impugnato atteso che, secondo la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (che qui si cita in estrema sintesi e solo nei precedenti più recenti, che si collocano nel solco di un indirizzo interpretativo costante), nel processo amministrativo la “piena conoscenza” del provvedimento impugnabile non va intesa quale conoscenza piena e integrale del provvedimento stesso, ma come percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo, del suo contenuto dispositivo essenziale e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da configurare l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso (sez. IV, 14 novembre 2017, n. 5232; sez. IV, 7 dicembre 2017, n. 5754; sez. IV, 12 marzo 2018, n. 1532), salva comunque la facoltà di proporre motivi aggiunti al momento della conoscenza di ulteriori profili di illegittimità dell’atto impugnato (sez. V, 31 agosto 2017, n. 4129; sez. III, 25 settembre 2017, n. 4452).
Si ritiene pertanto corretta la decisione di irricevibilità per tardività del ricorso introduttivo del giudizio.
7.2. Risultano quindi improcedibili le censure di diritto articolate nell’ambito di tale atto, in questa sede riproposte.
8. Con un secondo motivo di appello, l’appellante ritiene comunque censurabile la pronuncia “nella misura in cui estende gli effetti della (ipotizzata) tardività del ricorso all’intera gamma delle domande di tutela lì articolate”, senza per questo analizzare la domanda di risarcimento dei danni subiti a causa del demansionamento, che non verrebbe travolta dalla declaratoria di tardività del ricorso.
Strettamente connessa, e per questo meritevole di unitaria trattazione, è la terza censura di cui all’appello, in cui vengono sostanzialmente riproposti i motivi di cui all’atto di motivi aggiunti del primo grado, che, con riferimento alla terza attribuzione dell’incarico, ravvisavano sia un’illegittimità derivata dalla primigenia assegnazione dell’incarico che un’illegittimità propria a causa del demansionamento.
8.1. Le censure non sono fondate.
8.2. Il Collegio al riguardo rileva che:
a) dal confronto tra i due posti di funzione di capo dell’Ufficio di staff dell’Unità di missione (fascia D) e di ispettore generale di amministrazione (fascia E), in relazione ai quali occorre fare riferimento al decreto del 27 marzo 2006 (art. 3), emerge che il diverso rilievo di essi deriva esclusivamente da una graduazione, articolata in sette fasce, che ha efficacia ai soli fini economici, per la determinazione della retribuzione accessoria cosiddetta di posizione, come è espressamente sancito all’art. 1 del decreto stesso;
b) la funzione di ispettore generale è propria della qualifica dell’appellante, atteso che, secondo la tabella B allegata al d.lgs. n. 139/2000 (“Qualifiche della carriera prefettizia e funzioni conferibili”), le funzioni associate alla qualifica di viceprefetto sono le seguenti: “Vicario del titolare dell’ufficio territoriale del governo, vice commissario del governo nelle sedi capoluogo di regione, coordinatore dell’ufficio territoriale del governo; capo di gabinetto nell’ufficio territoriale del governo; responsabile nell’ufficio territoriale del governo delle aree funzionali in materia di: ordine e sicurezza pubblica; raccordo con gli enti locali; consultazioni elettorali; diritti civili, cittadinanza, condizione giuridica dello straniero, immigrazione e diritto di asilo; responsabile nell’ufficio territoriale del governo delle sedi capoluogo di regione delle aree funzionali in materia di: protezione civile, difesa civile e coordinamento del soccorso pubblico; applicazione del sistema sanzionatorio amministrativo; affari legali e contenzioso anche ai fini della rappresentanza in giudizio dell’amministrazione; responsabile di area funzionale nell’ambito dei dipartimenti, degli uffici centrali di livello dirigenziale generale e degli uffici di diretta collaborazione del Ministro; ispettore generale”;
c) in particolare, ai sensi dell’articolo 6, comma 5, del d.P.R. 7 settembre 2001, n. 398, cosi come modificato dal d.P.R. 8 marzo 2006, n. 156, dettante norme regolamentari per l’organizzazione degli uffici centrali del Ministero dell’interno, viene demandato all’Ispettorato generale di amministrazione lo svolgimento di funzioni e compiti in materia di controlli, ispezioni e inchieste amministrative su incarico del Ministro dell’interno, su disposizione del Presidente del Consiglio dei Ministri, di altri Ministri o su richiesta dei Capi Dipartimento dell’Amministrazione dell’interno;
d) in relazione all’incarico dirigenziale in esame, trattasi quindi di particolari e delicate funzioni, pienamente rientranti tra quelle (anzidette) associate alla qualifica di viceprefetto, per il cui svolgimento necessitano eccellenti qualità professionali maturate nel corso della carriera;
e) peraltro, il demansionamento vi sarebbe solo ed esclusivamente nell’ipotesi in cui fosse stato attribuito un incarico rientrante nell’ambito della qualifica inferiore di viceprefetto aggiunto, circostanza che, per quanto detto, non è ravvisabile nel caso di specie;
f) del resto, il conferimento del nuovo incarico risultava una scelta inevitabile per l’Amministrazione, atteso che l’Ufficio di Gabinetto del Ministro dell’interno disponeva la restituzione dei funzionari assegnati alla Unità di Missione istituita per le questioni relative all’Islam italiano, tra cui la ricorrente (unitamente ad altre due dirigenti), in considerazione del venir meno delle esigenze di avvalersi di tale ufficio; l’incarico di capo dell’Ufficio di staff dell’Unità di missione era infatti un incarico a tempo determinato e disposto per esigenze eccezionali, poi venute meno, con conseguenziale riassorbimento del personale assegnato nei posti di funzione disponibili; sicché il mantenimento del precedente incarico, non solo non può ritenersi un diritto del dirigente, ma nel caso di specie è risultato peraltro impossibile a causa della sopravvenuta soppressione dell’ufficio.
8.3. In conclusione, in ragione dell’insieme di argomentazioni addotte, deve negarsi che con il conferimento dell’incarico di ispettore generale di amministrazione nell’ambito dell’Ispettorato generale di amministrazione sia stato realizzato il dedotto demansionamento (o dequalificazione). Né in senso contrario può deporre la denunciata riduzione della retribuzione (conseguente al cambiamento di incarico), peraltro operante (come visto) con esclusivo riguardo alla retribuzione di posizione, in quanto la presenza tra le funzioni conferibili ai viceprefetti di una differenza di trattamento economico non consente di per sé di riconoscere un diritto all’invarianza (o all’accrescimento) della retribuzione, anzi giustifica la possibilità per l’Amministrazione di mutare incarico in tale contesto prescindendo dalla retribuzione percepita in precedenza.
8.4. Parimenti priva di pregio è infine la censura con cui si ribadisce la sussistenza, all’atto del conferimento di incarico dirigenziale, di un obbligo di informazione preventiva alle organizzazioni sindacali, considerata l’assenza del relativo fondamento normativo. Invero, correttamente il T.a.r. ravvisava nell’art. 4, comma 7, lett. a), del d.P.R. n. 247/2002 il solo obbligo di informazione successiva alle OO.SS., come in effetti compiuto dal Ministero nel caso di specie con l’invio della già citata nota prot. A/1 22 del 16 aprile 2009.
9. Con la quarta censura, l’appellante lamenta l’erroneità della pronuncia impugnata laddove, piuttosto che rilevare l’avvenuta violazione dell’art. 11, c. 2, d.lgs. n. 139/2000, a causa del superamento del limite di rinnovo dell’incarico, ha sostenuto che il posto assegnato alla ricorrente dovrebbe essere considerato quale “nuovo” posto di funzione, in ragione della nuova organizzazione discendente dall’applicazione del d.m. 19 luglio 2013 (riguardante la graduazione dei posti di funzione della carriera prefettizia).
9.1. La censura è fondata.
9.2. Ai sensi dell’art. 11 cit., gli incarichi di funzione, da conferire tenendo conto della natura e delle caratteristiche dei programmi da realizzare, nonché delle attitudini e delle capacità professionali del funzionario, “sono conferiti a tempo determinato per un periodo non inferiore ad uno e non superiore a cinque anni, prorogabile per una volta per un periodo non superiore a cinque anni, e sono revocabili per sopravvenute esigenze di servizio”.
Il successivo comma 3 del medesimo articolo, prevede inoltre che per i funzionari con la qualifica di viceprefetto e di viceprefetto aggiunto i responsabili delle strutture centrali e i prefetti in sede assegnano i suindicati incarichi garantendo una rotazione degli stessi in relazione ai posti disponibili.
Infine, ai sensi del quarto comma, “nel conferimento degli incarichi ai viceprefetti si tiene conto dell’esigenza di garantire un adeguato percorso professionale attraverso l’espletamento di almeno due incarichi inerenti alla qualifica nell’ambito della stessa sede o in sedi diverse”.
9.3. Nel caso di specie, risulta pertanto superato il limite massimo di un rinnovo (o proroga) dell’incarico di funzione, atteso che l’incarico di ispettore generale di amministrazione nell’ambito dell’Ispettorato generale di amministrazione, inizialmente conferito all’appellante per un anno con decreto del 23 febbraio 2009, veniva una prima volta rinnovato per tre anni con decreto dirigenziale del 1° luglio 2011 (non impugnato), quindi, nuovamente rinnovato per tre anni con decreto del 10 febbraio 2014 (decreto impugnato in questo giudizio con l’atto di motivi aggiunti).
Nelle more del giudizio, interveniva peraltro un terzo rinnovo con decreto del 31 gennaio 2017, in questa sede non impugnato.
9.4. D’altro canto, nel caso di specie non può essere invocato il regime derogatorio previsto esclusivamente per le posizioni di Vicario e di Capo di Gabinetto che, dalla lettura dell’art. 12, comma 4, d.lgs. n. 139/2000 che consente la possibilità di attribuzione da parte del titolare dell’Ufficio di più incarichi continuativi nella stessa sede di servizio nell’arco di dieci anni, permette il superamento del limite di cinque anni di cui al predetto art. 11, comma 2 (cfr., su tutte, Corte conti, Sez. contr. Stato, 17 maggio 2010, n. 8), essendo esso giustificato esclusivamente dalla natura e dal tenore fiduciario e strettamente collaborativo di tali funzioni.
9.5. Del resto, non merita condivisione quanto sostenuto dal primo giudice, in quanto alla (seppur minima) differenza nominalistica (“Dirigente in posizione di staff: Ispettore Generale di Amministrazione”, prima, e “Dirigente in posizione di staff: Ispettore Generale”, dopo) non corrisponde una diversità sostanziale di funzione tale da poter qualificare il posto assegnato alla ricorrente mediante il rinnovo, in ragione della riorganizzazione ex d.m. 19 luglio 2013, quale “nuovo” posto di funzione.
Invero, dal confronto tra i contenuti mansionali delle due posizioni in esame, quali emergenti dalle tabelle descrittive delle posizioni organiche incardinate presso i relativi Uffici di riferimento (ossia, l’Ispettorato generale di amministrazione presso il Dipartimento per le politiche del personale dell’amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie), risulta esclusivamente che alle pregresse funzioni di ispezione e inchiesta amministrativa inerenti ai servizi elettorali si sono aggiunti “ulteriori e differenti compiti di carattere amministrativo connessi all’attività di collaborazione con gli Uffici di cui si compone l’Ispettorato”.
La variazione, peraltro dal concetto generico difficilmente percepibile, non può ritenersi tale da aver determinato una modifica rilevante (superiore al 50%) delle funzioni già assegnate, quindi è di per sé inidonea a far qualificare il posto di funzione come “nuovo”.
9.5. In conclusione, il decreto impugnato risulta illegittimo per violazione di legge, perché adottato in contrasto con il principio di rotazione degli incarichi, che, quale espressione del principio di buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione, esige che le posizioni dirigenziali non siano cristallizzate a tempo indeterminato nei confronti della stessa persona fisica, ma siano soggette ad una periodica rotazione che garantisce, per un verso, la trasparenza nell’azione amministrativa e, per altro verso, l’arricchimento professionale dei dirigenti.
10. Tutto quanto considerato, passando infine all’esame delle domande risarcitorie, le stesse non possono trovare accoglimento, per le seguenti ragioni:
a) non vi è luogo alla ricostruzione della carriera, richiesta anche ai fini economici, con corresponsione dei maggiori emolumenti spettanti, oltre interessi e rivalutazione, atteso che, non è stato ravvisato il dedotto demansionamento in relazione all’attribuzione dell’incarico di fascia E, che è risultata legittima, mentre la riscontrata illegittimità dovuta alla violazione del limite di rinnovo non implica alcun effetto in termini di demansionamento;
b) non vi sono i presupposti per riconoscere il diritto al ristoro dei danni lamentati – sia con il ricorso introduttivo che con l’atto di motivi aggiunti del primo grado -, atteso che, non essendovi dequalificazione nell’attribuzione del nuovo incarico, non è ravvisabile nella specie la lesione al bene della vita, che qualifica in termini di “ingiustizia” il danno derivante dal provvedimento illegittimo e colpevole dell’Amministrazione, così da consentire di configurare l’illecito risarcibile ai sensi dell’art. 30 c.p.a.; invero, per costante giurisprudenza (da ultimo, Cons. Stato, sez. II, 20 maggio 2019, n. 3217) “la pretesa al risarcimento del danno ingiusto derivante dalla lesione dell’interesse legittimo si fonda su una lettura di tale fondamentale norma del codice del processo amministrativo che riferisce il carattere dell’ingiustizia al danno e non alla condotta, di modo che presupposto essenziale della responsabilità – oltre a una condotta rimproverabile – è l’evento dannoso che ingiustamente lede una situazione soggettiva protetta dall’ordinamento e, affinché la lesione possa considerarsi ingiusta, è necessario verificare attraverso un giudizio prognostico se, a seguito del legittimo agire dell’Amministrazione, il bene della vita sarebbe effettivamente spettato al titolare dell’interesse”;
c) del resto, nella specie non sono ravvisabili ulteriori danni risarcibili, non essendo stata avanzata nel giudizio domanda di risarcimento per perdita della c.d. chance, intesa quale lesione della concreta occasione di conseguire il bene determinato; in particolare, se è vero che il mancato rispetto dell’obbligo di rotazione in sede di rinnovo ha comportato – anche se non un demansionamento – comunque la perdita per la parte ricorrente della possibilità di eventuale attribuzione di un diverso incarico, fra quelli astrattamente conferibili, che in ipotesi poteva anche essere correlato ad una maggiore retribuzione accessoria di posizione, tale mera possibilità può apprezzarsi solo in termini di chance, della cui perdita non è stato specificamente chiesto il risarcimento.
11. In conclusione, in ragione di quanto esposto, l’appello deve accolto in parte e, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto l’atto di motivi aggiunti del primo grado e, per l’effetto, deve essere annullato il decreto del 9 febbraio 2014.
Per il resto, l’appello deve essere respinto.
12. L’accoglimento dell’appello in misura solo parziale giustifica l’integrale compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello (R.G. n. 1606/2017), come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie l’atto di motivi aggiunti del primo grado e, per l’effetto, annulla il decreto del Capo del Dipartimento per le politiche del personale dell’Amministrazione civile del Ministero dell’Interno del 9 febbraio 2014.
Per il resto respinge l’appello.
Compensa integralmente tra le parti le spese del secondo grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2019, con l’intervento dei magistrati:
Paolo Troiano – Presidente
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere, Estensore
Roberto Caponigro – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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