Nel processo amministrativo il Collegio giudicante è obbligato a fare esclusivo riferimento alle censure poste a sostegno dei ricorsi in appello

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 17 febbraio 2020, n. 1194.

La massima estrapolata:

Nel processo amministrativo, a mente del combinato disposto degli artt. 91, 92 e 101, comma 1, cod.proc.amm., il Collegio giudicante è obbligato a fare esclusivo riferimento alle censure poste a sostegno dei ricorsi in appello e già proposte in primo grado, senza tenere conto di motivi “nuovi” e ulteriori censure sviluppate nelle memorie difensive successivamente depositate, in quanto intempestive e violative del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione e della natura puramente illustrativa delle comparse conclusionali.

Sentenza 17 febbraio 2020, n. 1194

Data udienza 13 febbraio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8199 del 2018, proposto da
I.C. Co. S.r.l., I.C. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato In. D’A., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ba., An. Ia., Ni. On., Ni. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ni. Pa. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Seconda n. 00819/2018, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Venezia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2020 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati In. D’A., e Gi. Pa. in dichiarata delega di Ni. Pa..;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 819 del 2018 con cui il Tar Veneto aveva respinto l’originario gravame, proposto al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento prot. 2011/262234, emesso dal Comune di Venezia Dipartimento gestione del territorio e attività autorizzative – Direzione attività produttive sviluppo economico a firma del dirigente dello sportello unico attività produttive pro-tempore in data 21 giugno 2014, contenente il “Diniego parziale – sanatoria per ristrutturazione e parziale cambio d’uso dell’immobile ad uso artigianale con opere interne/esterne per ricavo di attività commerciale (pubblico esercizio) e locali ad uso circolo privato”.
In particolare il diniego si basava sul rilievo che il cambio di destinazione d’uso da artigianale a commerciale non potesse essere concesso, ostandovi la previsione normativa di cui all’art. 29 delle norme tecniche di attuazione allegate alla variante al piano regolatore per Porto (omissis).
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava i seguenti motivi di appello, contestando le argomentazioni svolte dal Tar:
– violazione degli artt. 92 comma 3 l.r. Veneto n. 61/85, 34 e 36 dPR 380/2001, per mancata applicazione della norma regionale all’epoca vigente, regolante le sanatorie, in specie in tema di varianti;
– errata applicazione dell’art. 29 della Variante di Porto (omissis) in contrasto con l’art. 92 cit..
Il Comune parte appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.
Con ordinanza n. 160 del 2019 veniva accolta la domanda cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza, nel bilanciamento dei diversi interessi in gioco e nelle more della definizione del giudizio di merito.
Alla pubblica udienza del 13 febbraio 2020 la causa passava in decisione.

DIRITTO

1. L’appello non è suscettibile di accoglimento.
Dalla compiuta analisi degli atti di causa emerge la piena condivisibilità della ricostruzione posta a fondamento della sentenza impugnata, sia in termini di fatto che di diritto.
2.1 In linea di fatto appare pacifica (sulla scorta della documentazione versata in atti e della stessa prospettazione delle parti) la consistenza delle opere in contestazione ed il relativo carattere abusivo, nei termini ricostruiti anche dal Giudice di prime cure.
Dal punto di vista urbanistico, l’immobile oggetto degli interventi in contestazione ricade in zona territoriale omogenea D.2a disciplinata dall’art. 29 delle norme tecniche di attuazione allegate alla variante al piano regolatore per Porto (omissis).
2.2 In termini ricostruttivi delle opere in questione, dall’analisi degli atti emerge come con denuncia di inizio attività del 1 giugno 2007, prot. n. 2007/234639, la ricorrente abbia comunicato la realizzazione di alcuni lavori interni.
Nel corso di un successivo accertamento, gli agenti comunali accertavano l’esecuzione di lavori difformi dalla denuncia di inizio attività, consistenti nel frazionamento dell’immobile in due unità separate, una ad uso commerciale, quale pubblico esercizio, ed una ad uso artigianale.
Quindi, con domanda prot. n. 2008/70809 del 15 febbraio 2008 la stessa originaria ricorrente presentava un’istanza di sanatoria relativa al “frazionamento con cambio di utilizzo da artigianale a commerciale e conseguenti modifiche interne”.
2.3 L’istanza di sanatoria, oggetto di un primo diniego (provvedimento prot. n. 2010/55057 dell’8 febbraio 2010) annullato con sentenza Tar Veneto, Sez. II, 18 maggio 2010, n. 2090, veniva nuovamente esaminata e quindi definitivamente respinta con il provvedimento impugnato in primo grado.
In tale atto, il Comune confermava il diniego parziale della domanda di sanatoria per il rilievo che il cambio di destinazione d’uso da artigianale a commerciale non poteva essere concesso, ostandovi la previsione normativa di cui all’art. 29 delle norme tecniche di attuazione allegate alla variante al piano regolatore per Porto (omissis). L’immobile infatti ricade in un ambito per il quale è prevista l’obbligatoria redazione di un piano attuativo, e il citato art. 29 dispone che “nelle parti di detta zona soggette a strumento urbanistico attuativo obbligatorio, prima dell’approvazione di detto strumento sono consentiti esclusivamente gli interventi di manutenzione e di risanamento conservativo, senza possibilità di variare le destinazioni d’uso esistenti alla data di adozione della variante per Porto (omissis)”.
3.1 Dal punto di vista dell’inquadramento giuridico, emerge la conferma che il diniego parziale in contestazione sia stato motivato con riferimento alla disciplina urbanistica vigente, la quale subordina la facoltà della modifica della destinazione d’uso alla previa obbligatoria redazione di un piano attuativo volto ad adeguare gli standard ad un uso diverso da quello in essere alla data di adozione della variante risalente al 2009.
La disciplina urbanistica ostativa assume rilievo dirimente ai sensi e per gli effetti delle norme generali sulla sanatoria invocate, le quali, come noto, presuppongono la doppia conformità urbanistica, assente nel caso de quo.
3.2 L’applicazione della disciplina urbanistica non è messa in dubbio dall’invocata disciplina regionale di carattere speciale, la quale incide sul successivo versante sanzionatorio.
La norma regionale citata, infatti, dopo aver in via generale statuito al comma 1 che “gli interventi eseguiti in assenza di concessione anche tacitamente assentita ovvero in totale difformità ovvero con variazioni essenziali, sono soggetti allo stesso regime sanzionatorio amministrativo”, al successivo comma 3 precisa quanto segue:
“Si considerano variazioni essenziali dalla concessione edilizia o dalla relativa istanza, ove essa sia stata tacitamente assentita, gli interventi:
a) che comportino, con o senza opere a ciò preordinate e in contrasto con le destinazioni d’uso espressamente stabilite per singoli edifici o per le diverse zone territoriali omogenee, un mutamento sostanziale tra destinazioni residenziale, commerciale direzionale, produttiva o agricola; si ha mutamento sostanziale quando esso riguarda almeno il 50% della superficie utile di calpestio della singola unità immobiliare e non comporta l’esercizio di attività alberghiera o comunque di attività radicalmente incompatibili con le caratteristiche della zona a causa della loro nocività o rumorosità “.
3.3 Nel caso di specie, a fronte di un accertato mutamento sostanziale inferiore al 50 per cento della superficie utile, non trattandosi di una variazione essenziale parte appellante ne invoca la sanabilità .
Peraltro, nel caso di specie la qualificazione, lungi dal rilevare in termini di sanabilità, in quanto la norma non prevede la conformità urbanistica della difformità dal titolo (che resta un abuso rispetto alla pianificazione applicabile), rileva in termini di successivo regime sanzionatorio.
Infatti, la norma regionale invocata è, non a caso, collocata nella capo concernente il controllo del territorio e le relative conseguenze sanzionatorie per le attività abusive e difformi riscontrate.
Quanto appena evidenziato esclude altresì in radice la presunta contrarietà della norma di piano alla legge regionale predetta.
In sede di applicazione della disciplina sanzionatoria conseguente, sarà onere della p.a. verificarne l’applicabilità in merito alla individuazione della sanzione per abusi di tale consistenza.
3.4 Per quanto la norma regionale da ultimo invocata in sede di discussione orale (art. 97 comma 4 l.r. 61 cit.), assume rilievo dirimente l’inammissibilità della relativa deduzione, trattandosi di motivo nuovo, sia rispetto all’originario gravame sia in merito all’atto di appello.
Per giurisprudenza costante, nel processo amministrativo, a mente del combinato disposto degli artt. 91, 92 e 101, comma 1, cod.proc.amm., il Collegio giudicante è obbligato a fare esclusivo riferimento alle censure poste a sostegno dei ricorsi in appello e già proposte in primo grado, senza tenere conto di motivi “nuovi” e ulteriori censure sviluppate nelle memorie difensive successivamente depositate, in quanto intempestive e violative del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione e della natura puramente illustrativa delle comparse conclusionali.
Peraltro, anche nel merito la deduzione sarebbe insuscettibile di accoglimento.
La norma regionale invocata statuisce quanto segue”Quando si tratti di mutamenti non sostanziali della destinazione d’uso ai sensi della lettera a) dell’art. 92, il Sindaco è autorizzato a rilasciare una concessione in sanatoria, previo il pagamento del contributo pari alla differenza tra la precedente e la nuova destinazione d’uso”.
Nel caso di specie il mutamento sostanziale della destinazione d’uso da artigianale a commerciale è contrario pacificamente alla disciplina pianificatoria, assumendo quindi rilievo dirimente il principio dettato ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 36 dPR 380 cit., prevalente sia in termini cronologici, in quanto legge successiva alla norma regionale, sia in quanto costituente principio fondamentale della legislazione statale concorrente in tema di governo del territorio (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3194).
4. Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte appellante al pagamento delle spese di giudizio in favore di parte appellata, liquidate in complessivi euro 3.000,00 (tremila\00), oltre accessori dovuti per l
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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