Omessa o inesatta indicazione del nome di una delle parti nell’intestazione della sentenza

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 17 febbraio 2020, n. 1195.

La massima estrapolata:

L’omessa o inesatta indicazione del nome di una delle parti nell’intestazione della sentenza va considerata un mero errore materiale, emendabile con la procedura di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c. quando dal contesto della sentenza risulti con sufficiente chiarezza l’esatta identità di tutte le parti, nel mentre si ha nullità della sentenza stessa qualora da essa si deduca che non si è regolarmente costituito il contraddittorio e quando sussiste una situazione di incertezza, non eliminabile a mezzo della lettura dell’intera sentenza, in ordine ai soggetti cui la decisione si riferisce.

Sentenza 17 febbraio 2020, n. 1195

Data udienza 23 gennaio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8265 del 2018, proposto da
Al. Ro., rappresentato e difeso dagli avvocati Co. Or. e Al. Pr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Ma. Gr. in Roma, corso (…);
contro
Ministero per i beni e le attività culturali e Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Bologna, non costituiti in giudizio;
nei confronti
Comune di (omissis) e Pa. Va., non costituiti in giudizio;
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, 6 marzo 2018 n. 1428;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2020 il Cons. Diego Sabatino e udito per le parti l’avvocato Or. Co.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso iscritto al n. 8265 del 2018, Al. Ro. la parte ricorrente propone istanza per la revocazione (unitamente a domanda di correzione di errore materiale occorso nella stesura) della decisione del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, 6 marzo 2018 n. 1428 con la quale è stato respinto l’appello proposto dalla Mo. s.r.l. contro il Ministero per i beni e le attività culturali, la Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Bologna, il Comune di (omissis) e Pa. Va. per la riforma della sentenza 6 aprile 2011, n. 318, del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna.
I fatti di causa hanno origine quando la Mo. s.r.l., ora in liquidazione, acquista nel 1994 la proprietà di un’area destinata a uso residenziale e presenta al Comune di (omissis) due progetti per la costruzione di due fabbricati residenziali.
Le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dal Comune il 14 novembre 1996 sono state annullate su indicazione della Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Bologna.
Il 4 ottobre 1997 la società ha presentato una nuova istanza di concessione edilizia per la realizzazione di un progetto di dimensioni ridotte rispetto alla richiesta precedente.
Il Comune ha rilasciato l’autorizzazione paesaggistica con l’atto 4 giugno 1998, n. 123.
La Soprintendenza, con atto del 15 luglio 1998, ha annullato tale autorizzazione, ravvisando il vizio di difetto di motivazione.
L’amministrazione comunale, con l’ordinanza 13 agosto 1998, n. 9558, ha annullato l’autorizzazione paesaggistica rilasciata.
La società ha impugnato tali atti innanzi al Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, per motivi poi riproposti in sede di appello.
Il Tribunale amministrativo, con sentenza 6 aprile 2011, n. 318, ha rigettato il ricorso. In particolare, si è rilevato che “il Comune abbia frainteso le ragioni e i presupposti della tutela paesaggistica (…) cioè di rispetto di una cornice ambientale di alcuni monumenti e non già in considerazione del rispetto dei valori e dei pregi del paesaggio in cui è ubicata l’area del progettato intervento edificatorio”.
La ricorrente in primo grado proponeva appello e nel giudizio davanti a questa Sezione si costituita l’amministrazione statale, chiedendo il rigetto dell’appello.
La causa veniva discussa all’udienza pubblica del giorno 1 febbraio 2018 e decisa con la sentenza ora revocanda. In essa, la Sezione riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, in relazione al corretto esercizio del potere di annullamento ministeriale.
Con ricorso depositato in data 19 ottobre 2018, Al. Ro. ha proposto ricorso con cui ha contemporaneamente evidenziato, da un lato, l’esistenza di un errore materiale nella sentenza de qua, nella parte in cui non ha dato atto della sua costituzione in giudizio come parte appellante e, dall’altro, la presenza di un doppio errore, rilevante ai fini revocatori.
Nel giudizio di appello, le parti intimate non si sono costituite.
Alla pubblica udienza del 23 gennaio 2020, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. – Il ricorso depositato in data 19 ottobre 2018 ha, come sopra evidenziato, natura ancipite: da un lato, evidenzia l’esistenza di un errore materiale nella sentenza de qua, nella parte in cui non ha dato atto della costituzione in giudizio come parte appellante di Al. Ro. e, dall’altro, lamenta la presenza di un doppio errore, rilevante ai fini revocatori, dato appunto dalla mancata indicazione di una parte appellante nonché dalla mancata considerazione delle risultanze documentali sulla motivazione dell’autorizzazione paesaggistica.
Trattandosi quindi di due questioni connesse, ma soggette a regimi processuali diverse, saranno trattate separatamente, iniziando dal tema prioritario dell’esistenza dell’errore materiale.
2. – In relazione alla presenza di un errore materiale, il ricorso è fondato e merita accoglimento entro i termini di seguito precisati.
Come è evincibile dalla lettura dell’atto di appello depositato in data 24 novembre 2011, questo risulta proposto da “Mo. s.r.l. e Ro. Arch. Al.”. È quindi del tutto palese la mancata indicazione in sentenza di una delle parti appellanti.
Tale omissione configura il vizio di errore materiale lamentato.
Infatti, in giurisprudenza si è affermato il principio per cui “l’omessa o inesatta indicazione del nome di una delle parti nell’intestazione della sentenza va considerata un mero errore materiale, emendabile con la procedura di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c. quando dal contesto della sentenza risulti con sufficiente chiarezza l’esatta identità di tutte le parti, nel mentre si ha nullità della sentenza stessa qualora da essa si deduca che non si è regolarmente costituito il contraddittorio e quando sussiste una situazione di incertezza, non eliminabile a mezzo della lettura dell’intera sentenza, in ordine ai soggetti cui la decisione si riferisce” (così Cass. civ., sez. lav., 23 marzo 2010, n. 7343; id., 13 maggio 2000, n. 6171). Infatti, la mancanza della indicazione espressa di una delle parti o di tutte nella sentenza (e precisamente tanto nella sua intestazione, quanto nella parte descrittiva dello svolgimento processuale, quanto nella parte motivazionale) può determinare una nullità solo ai sensi del comma 2 dell’art. 156 c.p.c., cioè se l’atto-sentenza è inidoneo al raggiungimento dello scopo (Cass. civ., III, 24 agosto 2007, n. 17957)
Nel caso in esame, la parte che lamenta la sua mancata indicazione in sentenza agiva in posizione del tutto conforme a quella della Mo. s.r.l., sia perché non era stato ricorrente in primo grado, sia perché l’atto di appello era stato proposto congiuntamente senza evidenziare posizioni processuali diverse (situazione che avrebbe comportato l’inammissibilità dell’appello stesso), pertanto deve considerarsi conseguita la funzione della sentenza, in ragione dell’evidenziazione alle parti dei motivi del rigetto del loro appello.
Pertanto, aderendo alla prospettazione del ricorrente, deve disporsi la correzione dell’errore materiale occorso in sentenza, in rlazione alla mancata indicazione della parte appellante Al. Ro..
3. – In relazione invece alla presenza di un errore revocatorio, sotto entrambi i profili di cui si duole la parte, il ricorso è inammissibile.
Con il primo motivo, la parte postula la natura di errore di fatto revocatorio del già esaminato errore materiale per la mancata indicazione della parte appellante Al. Ro..
3.1. – La censura non può essere accolta.
Come sopra evidenziato, l’errore riscontrato, emendabile con la procedura dell’errore materiale, realizza un vizio minore della sentenza ed è quindi concettualmente incompatibile con l’errore revocatorio. Infatti, mentre quest’ultimo si fonda su una erronea percezione degli atti di causa (come la supposizione di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure la supposizione dell’inesistenza di un fatto la cui verità sia positivamente stabilita) e comporta la fondatezza del momento rescindente della sentenza, con conseguente eliminazione della stessa dal mondo giuridico, l’errore determinato da una svista di carattere materiale rende esperibile unicamente il rimedio della correzione di errore materiale che, al contrario, non incide sulla validità della decisione adottata. In maniera più icastica, l’errore materiale si caratterizza, rispetto all’errore di giudizio o quello di fatto revocatorio, per l’assenza di qualsiasi incidenza sulla decisione finale (da ultimo, Cons. Stato, V, 14 settembre 2016, n. 3869; Cass. civ., I, 17 gennaio 2003, n. 657).
Il motivo di doglianza è quindi infondato, potendosi rimediare all’errore, come richiesto dalla parte, “mediante espressa menzione della parte processuale appellante Arch. Al. Ro.”, ferme le altre statuizioni di sentenza, comprese quelle in relazione alle spese.
4. – Con il secondo motivo, rubricato “errore di fatto riguardo alle risultanze documentali sulla motivazione dell’autorizzazione paesaggistica”, viene lamentata l’erroneità della statuizione di inadeguatezza della motivazione dell’autorizzazione paesaggistica – ragione fondante il rigetto dell’appello – in quanto fondata sulla supposizione di un fatto – la omissione da parte dell’amministrazione comunale della valutazione delle caratteristiche dell’area assoggettata al vincolo paesaggistico -incontrastabilmente esclusa dai documenti della causa.
4.1. – La censura è infondata.
Vanno rammentati preliminarmente alcuni orientamenti giurisprudenziali pacifici in materia di revocazione. Ciò al fine di ricordare che l’errore di fatto revocatorio “non è in linea di principio ravvisabile quando si lamenta una presunta erronea valutazione delle risultanze processuali o una anomalia del procedimento logico, in quanto ciò si risolve in un errore di giudizio” (Cons. Stato, VI, 17 aprile 2018, n. 2312).
Sotto un profilo più generale, la giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato che l’errore di fatto, idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall’art. 395 n. 4 c.p.c., deve consistere in un “travisamento di fatto costitutivo di ‘quell’abbaglio dei sensà che cade su un punto decisivo ma non espressamente controverso della causa.” (ex multis, Cons. Stato, IV, 7 settembre 2006, n. 5196).
La ratio di tale condivisibile orientamento risiede nella necessità di evitare che detta forma di impugnazione si trasformi in una forma di gravame, teoricamente reiterabile più volte, idonea a condizionare sine die il passaggio in giudicato di una pronuncia giurisdizionale (ex multis Cass. civ., I, 19 giugno 2007, n. 14267).
Questo Consiglio, condividendo tale orientamento, ha ulteriormente precisato che “ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c., sono soggette a revocazione per errore di fatto le sentenze pronunciate in grado di appello, quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita e, tanto nell’uno quanto nell’altro caso, se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare” (Cons. Stato, VI, 21 giugno 2006, n. 3721; id., VI, 5 giugno 2006, n. 3343;
Occorre in ogni caso che tale fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale sia intervenuta la pronuncia del giudice, perché in tal caso sussiste semmai un errore di diritto (C.G.A.R.S., 3 marzo 1999, n. 83) e con la revocazione si verrebbe in sostanza a censurare la valutazione e l’interpretazione delle risultanze processuali (ex multis, Cons. Stato, VI, 22 febbraio 1980, n. 208;
Inoltre, per giurisprudenza consolidata, l’omessa pronuncia su un profilo della controversia può rilevare come errore di fatto soltanto quando dalla lettura della sentenza risulti evidente che in nessun modo il giudicante abbia preso in esame la censura, avendone completamente ignorato perfino l’esistenza (Cons. Stato, VI, 4 settembre 2007, n. 4629; C.G.A.R.S., 21 aprile 2010, n. 556).
Sulla scorta delle ricordate coordinate argomentative, il ricorso risulta inammissibile.
In particolare, la censura si rivolge alla sentenza ritenendo che la stessa abbia omesso di valutare o travisato “il contenuto della documentazione tecnica ritualmente prodotta e costituente parte integrante della motivazione dell’autorizzazione per effetto del richiamo per relationem”.
Tuttavia, al contrario di quanto lamentato dalla parte ricorrente, la sentenza appare immune dalle censure poste sulla scorta di due osservazioni.
In primo luogo, va notato come il tema della motivazione del provvedimento sia stato l’oggetto centrale del giudizio d’appello proposto, oggetto sul quale il giudice si è espressamente pronunciato evidenziandone l’insufficienza.
Si legge infatti in sentenza che “alla luce del contenuto dei due atti”, ossia il provvedimento del Comune in raffronto con quello della Soprintendenza, “emerge come il provvedimento del Comune sia privo di adeguata motivazione, in quanto, come correttamente messo in rilievo dalla Soprintendenza e anche dal primo giudice, ha fatto esclusivo riferimento all’ambiente circostante e alla sua percezione visiva piuttosto che ai tratti caratteristici della località protetta che sono la ragione stessa per cui la località medesima è sottoposta a vincolo”.
Il che mette in evidenza come la decisione sia stata l’esito espresso di una attività decisionale del giudice.
In secondo luogo, la presenza di una relazione tecnica non integra quel fatto incontrovertibile che concretizza l’abbaglio dei sensi ma è unicamente uno degli elementi procedimentali di cui si è tenuto conto in sentenza. E del fatto che tutto il procedimento fosse confluito in un provvedimento finale manchevole, se ne dà espressamente conto nella decisione, quando si nota che “in presenza di tale vizio di legittimità dell’autorizzazione, la Soprintendenza può senz’altro rimarcare l’assenza di adeguata motivazione ed annullare l’atto comunale.”
Conclusivamente, non sussiste il lamentato errore revocatorio, per cui il ricorso deve essere dichiarato in parte qua inammissibile.
5. – Conclusivamente, va accolta la domanda di correzione di errore materiale e va dichiarata inammissibile l’istanza di revocazione. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Nulla per le spese processuali, stante la mancata costituzione delle controparti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:
1. Dispone la correzione dell’errore materiale occorso nella sentenza del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, 6 marzo 2018 n. 1428, precisando che, nell’indicazione delle parti appellanti, dove si legge “s.r.l. Mo., in persona del legale rappresentante pro tempore” debba invece leggersi “Mo. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, e Al. Ro.”;
2. Dichiara inammissibile il ricorso per revocazione n. 8265 del 2018;
3. Nulla per le spese.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere, Estensore
Bernhard Lageder – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
Francesco De Luca – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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