Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 16 maggio 2019, n. 13272.
La massima estrapolata:
Ai sensi dell’art. 18, comma 9, l.fall., nel procedimento di reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento l’intervento di qualunque interessato può avvenire, entro il termine stabilito per la costituzione della parte resistente, anche soltanto “ad adiuvandum” di quest’ultima, essendo sufficiente l’allegazione di un interesse concreto ed attuale in capo al terzo che interviene.
Ordinanza 16 maggio 2019, n. 13272
Data udienza 20 marzo 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere
Dott. VELLA Paola – Consigliere
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23978/2015 proposto da:
(OMISSIS) S.p.a., in Liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difendeunitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in Liquidazione, in persona del curatore Dott.ssa (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
(OMISSIS) S.r.l. in Liquidazione, (OMISSIS) S.a.,
– intimate –
avverso la sentenza n. 2116/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 04/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20/03/2019 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) s.r.l. in liquidazione propose reclamo contro la sentenza del tribunale di Padova che, in data 30-4-2015, ne aveva dichiarato il fallimento su istanza di (OMISSIS) s.r.l..
In sede di reclamo intervenne la societa’ di diritto lussemburghese (OMISSIS) s.a., sostenendo le ragioni della resistente e affermando di essere a sua volta creditrice della fallita.
La corte d’appello di Venezia, con sentenza in data 4-9-2015, ha respinto il reclamo.
Ha motivato la decisione affermando che era in contestazione l’accertamento dello stato di insolvenza secondo il criterio dello sbilancio patrimoniale, avendo la reclamante sostenuto la sufficienza dell’attivo in ragione della necessita’ di tener conto dei crediti verso terzi e dell’azzeramento di poste passive, in conseguenza di una proposta conciliativa di un giudizio civile che l’aveva contrapposta a (OMISSIS) s.r.l..
Ha tuttavia osservato che tale ultima circostanza non era adeguata a fondare una valutazione difforme da quella del tribunale, poiche’ in data 1710-2014 la (OMISSIS) aveva ceduto a (OMISSIS) s.r.l. tutti i diritti di credito che erano oggetto di contenzioso contro (OMISSIS) s.p.a.; e in virtu’ della correlata pattuizione la cedente, rispetto all’ammontare dei crediti suddetti, poteva esigere solo la meta’ dell’originaria pretesa, e non da (OMISSIS) ma dalla cessionaria (OMISSIS).
In ordine alla situazione patrimoniale di (OMISSIS), la corte del merito ha poi (nei limiti di quanto interessa) ritenuto che la stessa fosse adeguatamente ricostruibile mediante la consulenza tecnica svolta su incarico del giudice delegato (consulenza (OMISSIS)), integrata in base alla situazione contabile elaborata dalla curatela: invero era alla fine emerso uno sbilancio negativo per almeno 64.628,98 Euro che, finanche tenendosi conto delle rettifiche migliorative eccepite dalla reclamante, rendeva chiara la situazione d’insolvenza. Secondo la corte d’appello, alle rettifiche migliorative andava oltre tutto negato un vero fondamento, non essendo giustificata la pretesa della reclamante di applicare gli IAS – visto che (OMISSIS) aveva redatto il bilancio in forma abbreviata, e dunque non vi aveva fatto ricorso nella redazione dei bilanci precedenti; sicche’ l’assunto della reclamante si sarebbe posto in contrasto col principio di continuita’ del criterio contabile.
Ha aggiunto che non era stato indicato il fondamento giuridico della tesi secondo cui nelle societa’ in liquidazione il principio di dissimmetria o di prudenza discendente dall’articolo 2423-bis c.c., avrebbe dovuto essere applicato con maggiore liberta’ e discrezionalita’ rispetto alla societa’ operativa. Posto che la valutazione del dato contabile andava fatta in base all’articolo 2435-bis c.c., n. 1 e articolo 2426 c.c., n. 8 e in particolare in base al criterio per cui i crediti devono essere iscritti a bilancio secondo il loro presumibile valore di realizzo, e posto che (anche in base al principio contabile OIC n. 15) non era possibile iscrivere il credito non assistito da un titolo idoneo, neppure poteva considerarsi la rettifica rappresentata dall’asserito credito di 80.000,00 Euro vantato nei confronti di (OMISSIS), oltre tutto da intendere per la pattuita frazione di 1/2.
La societa’ (OMISSIS) in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione sorretto da tre motivi, illustrati da memoria.
La curatela del fallimento ha replicato con controricorso.
I creditori, istante e interveniente, non hanno svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I. – Col primo mezzo la ricorrente denunzia la nullita’ della sentenza o del procedimento per violazione della L. Fall., articolo 18, articoli 100, 105 e 344 c.p.c., avendo la corte d’appello ritenuto ammissibile l’intervento adesivo dipendente di (OMISSIS) s.a., nell’ambito del procedimento di reclamo, in favore della parte resistente.
Il motivo e’ infondato.
II. – Secondo la L. Fall., articolo 18, comma 9, e’ possibile, nel giudizio di reclamo, l’intervento di qualunque interessato, che peraltro non puo’ avere luogo oltre il termine stabilito per la costituzione delle parti resistenti con le modalita’ per esse previste.
Questa Corte, nel suo piu’ recente orientamento, ha affermato che la norma va interpretata nel senso che, decorso quel termine, nessun intervento puo’ aver luogo, neppure ad adiuvandum, “atteso che l’interesse richiesto dall’articolo 105 c.p.c., comma 2, potrebbe legittimare l’interventore adesivo alla proposizione del reclamo, sicche’ consentirne la costituzione tardiva equivarrebbe a rimetterlo in termini per reclamare” (Cass. n. 26771-16, Cass. n. 25217-13).
L’assunto e’ stato argomentato a fronte dell’intervento adesivo alle ragioni di colui che intenda reclamare; e in se’ e’ certamente condivisibile.
Pero’ niente di quell’assunto consente di affermare – come invece sostiene l’attuale ricorrente – che l’articolo 18, escluda in se’ l’intervento adesivo alla posizione della parte resistente.
E vano in particolare insistere sul rilievo – giustappunto tratto da Cass. n. 25217-13, e ripetuto da Cass. n. 26771-16 – per cui l’intervento “richiede pur sempre un interesse dell’interventore e quello stesso interesse potrebbe legittimare la proposizione del reclamo”. Che cio’ sia non e’ minimamente dubitabile, ma non toglie rilevanza al fatto che l’interesse ben puo’ atteggiarsi (e necessariamente si atteggia) in modo diverso a seconda della parte le cui ragioni si intendano sostenere.
In linea generale infatti l’intervento adesivo dipendente postula semplicemente l’esistenza di un interesse giuridicamente rilevante a sostenere le ragioni di una delle parti; e dalla formulazione ampia della L. Fall., articolo 18, comma 9, si desume che legittimato all’intervento adesivo dipendente e’ “qualunque interessato”.
Cio’ comporta che non puo’, nel reclamo di cui trattasi, essere affermata la legittimazione all’intervento soltanto per chi sia autonomamente legittimato a impugnare la decisione di rigetto dell’istanza di fallimento. Le uniche condizioni che la legge pone all’interventore sono costituite (i) dal rispetto del termine stabilito per la costituzione della parte resistente – cosa che peraltro ben palesa l’idea di poter esser l’intervento deputato altresi’ a sostenere le ragioni di detta parte; (ii) dal fatto di avere, l’interventore, allegato un interesse concreto e attuale.
In base alla sentenza, entrambe le condizioni risultano soddisfatte nel caso di specie quanto all’intervento di (OMISSIS) s.a., donde il primo motivo va rigettato.
III. – Col secondo mezzo la ricorrente denunzia la nullita’ della sentenza o del procedimento per violazione della L. Fall., articolo 6, articoli 307 e 310 c.p.c., Decreto Legge n. 179 del 2012, articolo 16-bis e articolo 113 c.p.c., per avere l’impugnata sentenza escluso l’estinzione della fase prefallimentare a seguito della desistenza del creditore (OMISSIS) in ordine all’istanza di fallimento, per l’omesso deposito telematico della memoria autorizzata 24-10-2014.
Il motivo e’ inammissibile prima ancora che infondato.
Per quel che risulta, la reclamante aveva sostenuto che vi era stata tacita desistenza del creditore istante (OMISSIS) s.r.l. poiche’ questa aveva depositato una memoria autorizzata dal g.d., ma in modalita’ cartacea anziche’ telematica; e dunque irritualmente.
In cio’ avrebbe dovuto ravvisarsi una manifestazione di disinteresse al ricorso per dichiarazione di fallimento, equiparabile a desistenza L. Fall., ex articolo 6.
Sennonche’ la corte d’appello ha osservato che, invece, a verbale di udienza la predetta (OMISSIS) aveva “sempre continuato ad insistere per la declaratoria replicando puntualmente alle difese della resistente e ribadendo (..) che il patrimonio netto di (OMISSIS) era negativo e che la stessa era insolvente”. Ha quindi ritenuto che, anche a voler considerare irrituale la memoria suddetta per come depositata, nondimeno proprio il deposito e le iniziative successive palesavano il contrario dell’atteggiamento di inerzia e disinteresse, impedendo di ravvisare la rinuncia tacita.
Tanto si palesa dirimente di ogni questione, poiche’ stabilire se il creditore istante abbia in concreto rinunciato all’istanza di fallimento, anche in forma tacita o concludente (vale a dire senza formula sacramentale), si risolve in una valutazione di fatto, al pari di quel che accade per la rinunzia all’azione (sulla quale v. Cass. n. 21685-05).
IV. – Col terzo subordinato mezzo la ricorrente denunzia la violazione dell’articolo 2423-bis c.c., articolo 2426 c.c., n. 8 e articolo 2435-bis c.c., n. 1: imputa alla corte d’appello di aver erroneamente applicato il principio cd. di dissimmetria nella redazione del bilancio col ritenere l’impossibilita’ di iscrivere il credito nei confronti di (OMISSIS) in quanto litigioso e come tale privo di titolo.
In relazione a tale profilo denunzia inoltre l’omesso esame di un fatto decisivo, costituito dalle allegazioni svolte da essa reclamante in rapporto alla documentazione versata in atti a riprova della sussistenza del credito e delle possibilita’ di suo realizzo.
Il motivo e’ inammissibile poiche’ non coglie la almeno in parte concorrente ratio decidendi dalla quale e’ stato sorretto il giudizio di merito.
V. – La ricorrente assume che l’impugnata sentenza, quanto alla tecnica di redazione del bilancio di esercizio, abbia snaturato i principi di dissimmetria e di prudenza.
Deve essere rammentato che in reciproca combinazione i detti principi redazionali (desunti dall’articolo 2423-bis c.c.) implicano il divieto di iscrivere utili solo sperati ma non realizzati e l’obbligo, invece, di iscrivere le perdite probabili anche se non realizzate, purche’ prevedibili e quantificabili in modo ragionevolmente fondato.
Secondo la ricorrente l’impugnata sentenza li avrebbe snaturati merce una lettura impropria, intesa a teorizzare la generalizzata impossibilita’ di considerare all’attivo i crediti litigiosi, fino al segno di esigere “una sorta di filtro che avrebbe, nei fatti, liberato la corte da ogni indagine sugli elementi forniti a riprova dell’esistenza del credito stesso”.
Ora la riferita lacuna avrebbe, secondo la ricorrente, rilevanza a fronte del credito di circa 217.000,00 Euro vantato nei riguardi di (OMISSIS), avente base in elaborati peritali e relazioni illustrative non considerate.
E’ tuttavia decisivo constatare che, al netto di altre affermazioni, la corte d’appello ha escluso finanche la titolarita’ del credito in capo alla fallita.
Ha invero stabilito che del credito vantato verso (OMISSIS) non era consentito tener conto visto che tale credito era stato ceduto a (OMISSIS) in data 17-10-2014, “con contratto perfezionato per scambio di corrispondenza”; e ha pure osservato che la situazione patrimoniale della fallita si sarebbe mantenuta in disequilibrio finanche considerando la prospettiva di un pagamento (in percentuale concordataria) da parte della cessionaria (che aveva appunto presentato una proposta di concordato preventivo) in corrispettivo della cessione.
Tale aspetto della motivazione non risulta censurato.
E non e’ censurata neppure l’affermazione – anch’essa netta ed esplicita – secondo la quale era rimasto privo di doglianza il rilievo di necessario azzeramento dei crediti verso clienti nella misura totale dell’appostazione, poiche’ ritenuti inesigibili dal c.t.u..
Tutto questo comporta che non e’ rilevante la questione di diritto sollevata in ricorso, giacche’ essa attiene a una presunta violazione dei principi redazionali del bilancio a proposito dell’iscrizione del credito asseritamente litigioso, mentre la corte d’appello ha escluso il credito in radice, perche’ gia’ ceduto a terzi.
VI. – Non essendo rilevante la questione di diritto, difetta altresi’ la decisivita’ dell’ulteriore correlato vizio motivazionale (si legge in ricorso: “con conseguente omesso esame di fatto decisivo”).
Anche a voler prescindere dal considerare che “il fatto”, secondo la ricorrente, andrebbe identificato nell’omesso esame di elementi istruttori (“la documentazione versata in atti”, rappresentata da un elaborato peritale, da una relazione illustrativa del legale di (OMISSIS) e da osservazioni alla c.t.u. accolte dal g.i. della afferente causa civile), il che non e’ consentito affermare in base a quanto da tempo questa Corte va dicendo (v. Cass. Sez. U n. 8053-14: “l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”) – vi e’ che la questione sottostante era da ritenere, secondo l’incontestata concorrente affermazione della corte territoriale, ininfluente per la gia’ avvenuta cessione del credito stesso.
Spese processuali alla soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in 7.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
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