Nel giudizio divorzile in appello secondo il rito camerale

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|30 novembre 2020| n. 27234.

Nel giudizio divorzile in appello, che si svolge, ai sensi dell’art. 4, comma 15, della l. n. 898 del 1970, secondo il rito camerale, di per sé caratterizzato dalla sommarietà della cognizione e dalla semplicità delle forme, va esclusa la piena applicabilità delle norme che regolano il processo ordinario ed è quindi ammissibile l’acquisizione di nuovi mezzi di prova, in specie documenti, a condizione che sia assicurato un pieno e completo contraddittorio tra le parti.

Data udienza 27 ottobre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Divorzio – Cancellazione dell’assegno di mantenimento – Donna – Maggiore capacità lavorativa – Ricorso – Rigetto – Giudizio divorzile d’appello – Acquisizione di nuovi mezzi di prova – Ammissibilità – Garanzia del contraddittorio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere

Dott. SCALIA Laura – Consigliere

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 9143/2016 proposto da:
(OMISSIS), domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1859/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, pubblicata il 02/11/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/10/2020 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Firenze, con sentenza n. 1859/2015, depositata in data 2/11/2015, ha parzialmente riformato la decisione di primo grado, che aveva dichiarato lo scioglimento del matrimonio, contratto nel (OMISSIS), tra i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), fissando un assegno a favore della moglie, a carico del marito, di Euro 200,00 mensili, in considerazione della natura alimentare dello stesso e delle diverse condizioni reddituali e patrimoniali degli ex coniugi.
In particolare, i giudici d’appello, nel riformare la sentenza impugnata in punto di assegno divorzile, revocandolo, hanno sostenuto che, quanto alle disponibilita’ immobiliari del (OMISSIS), questi era solo comproprietario per un terzo (insieme alla madre ed alla di lui sorella), mentre, quanto alla situazione economica della (OMISSIS), quest’ultima: a) ha non “(OMISSIS)” anni come indicato dal Tribunale ma “(OMISSIS)” anni, con conseguente piu’ significativa capacita’ ed energia lavorativa; b) ha svolto in passato diverse attivita’ lavorative presso vari esercizi commerciali, inizialmente non dichiarate e poi ammesse dalla stessa (anche presso il bar-pasticceria, in comproprieta’ con il fratello, azienda che era stata successivamente ceduta, senza, secondo quanto affermato, e non dimostrato, peraltro, dall’appellata, percezione del provento pro-quota), e non ha prodotto le relative buste paga, malgrado ordine del giudice, con conseguente sua non credibilita’ in punto della dedotta condizione di disoccupata; c) dispone di un suo patrimonio immobiliare, essendo proprietaria di un appartamento, non inabitabile come dalla stessa affermato (essendo stata prodotto dalla stessa appellata un atto di opposizione a sanzione amministrativa, relativamente ad una omessa comunicazione alla Polizia municipale della locazione dell’immobile a terzi), nonche’ della quota di un terzo di due immobili in provincia di (OMISSIS); d) risulterebbe convivere con altro uomo in (OMISSIS). Alla luce di tali complessive risultanze istruttorie, emergeva quindi, ad avviso della Corte distrettuale, un sostanziale “equilibrio” tra la condizione patrimoniale e la capacita’ di reddito della moglie e quelle del marito, con conseguente non debenza dell’assegno di divorzio a favore della prima.
Avverso la suddetta pronuncia, (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti di (OMISSIS) (che resiste con controricorso).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, articoli 2702 c.c. e segg. e articolo 257 bis c.p.c., avendo la Corte d’appello basato la decisione su documenti nuovi, prodotti dal (OMISSIS) solo in appello, tempestivamente contestati dalla (OMISSIS); b) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, dell’articolo 345 c.p.c., dovendo ritenersi inammissibili i documenti nuovi prodotti dall’appellante (OMISSIS); c) con il terzo motivo, l’omesso esame, ex articolo 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, rappresentato dai documenti prodotti in primo grado e dalle deposizioni rese dai testimoni escussi, in ordine alla situazione patrimoniale del (OMISSIS), allo stato di disoccupazione della (OMISSIS) (sostanzialmente invariata dal 2013, essendovi stati solo impieghi part-time occasionali, nel 2012 e nel 2013, con rapporti ormai cessati per licenziamento o risoluzione, e nel 2015, solo per breve periodo, come ammesso dalla stessa (OMISSIS)) ed alla effettiva residenza della (OMISSIS) in (OMISSIS), in immobile condotto in locazione; d) con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, articolo 2697 c.c., spettando semmai al (OMISSIS) l’onere di dare la prova dell’incameramento da parte della (OMISSIS) di somme derivanti dalla vendita dell’immobile in comunione con il fratello, circostanza questa non menzionata nella sentenza di primo grado perche’ rimasta indimostrata dal (OMISSIS) che ne era onerato, ed avendo anzi in appello essa appellata documentato la mancata percezione del provento della cessione di azienda e delle sue spettanze per effetto della cessazione del rapporto lavorativo.
2. Le prime due censure, da trattarsi unitariamente, essendo dedotti vizi implicanti error in procedendo, per avere la Corte d’appello utilizzato, ai fini della decisione, documenti prodotti in appello dall’appellante (OMISSIS) (essenzialmente, un rapporto di indagine di un Istituto di Investigazioni e Ricerche del maggio 2015, All. B dell’appello), sono infondate.
Ora, il rito camerale previsto per l’appello avverso le sentenze di divorzio e di separazione personale, essendo caratterizzato dalla sommarieta’ della cognizione e dalla semplicita’ delle forme, esclude la piena applicabilita’ delle norme che regolano il processo ordinario (Cass. 1179/2006 e Cass. 6094/2018); e’ stata quindi ritenuta ammissibile anche una produzione documentale al di fuori degli stretti limiti dettati dall’articolo 345 c.p.c., purche’ sia garantito il diritto dell’altra parte ad interloquire sulla tardiva produzione documentale e quindi il principio del contraddittorio (Cass. 5876/2012; cfr. anche Cass. 11319/2005 e Cass. 8547/2003).
Nella specie, la (OMISSIS) ha potuto ampiamente controdedurre alla produzione documentale nel corso del giudizio di appello ne’ vi e’ una eccezione in punto di tardivita’ dell’avversa produzione documentale rispetto al termine dato dal giudice. Inoltre, la documentazione prodotta dal (OMISSIS) atteneva anche a fatti maturati dopo la pronuncia di primo grado, con conseguente ammissibilita’ della prova documentale anche sotto tale profilo.
Va quindi affermato il seguente principio di diritto: “nel giudizio divorzile in appello, che si svolge, ai sensi della L. n. 898 del 1970, articolo 4, comma 15, secondo il rito camerale, di per se’ caratterizzato dalla sommarieta’ della cognizione e dalla semplicita’ delle forme, va esclusa la piena applicabilita’ delle norme che regolano il processo ordinario ed e’ quindi ammissibile l’acquisizione di nuovi mezzi di prova, in specie documenti, a condizione che sia assicurato un pieno e completo contraddittorio tra le parti”.
3. Il terzo motivo, implicante vizio motivazionale, e’ inammissibile, in quanto non formulato nel rispetto della nuova formulazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
In seguito alla riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimita’ sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’articolo 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullita’ della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorieta’” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione puo’ essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. S.U. 8053/2014; Cass. 23940/2017).
Ora, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non puo’ rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in se’ coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove e’ sottratto al sindacato di legittimita’, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non e’ conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilita’ e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 7921/2011; Cass. 9097/2017; Cass. 29404/2017).
Nella specie, non vi e’ stato omesso esame di un fatto storico, avendo la Corte d’appello proceduto ad una propria valutazione delle risultanze istruttorie, ed in primis alla valutazione delle condizioni economico patrimoniale dei coniugi ed alla ritenuta piena adeguatezza dei redditi della (OMISSIS) (sia per le disponibilita’ patrimoniali, considerati i redditi da locazione, sia per la piena possibilita’ della stessa di procurarsi un reddito da lavoro, in considerazione dell’eta’ e delle esperienze lavorative pregresse, sia pure occasionali); con il motivo, si vuole sollecitare un nuovo esame delle risultanze fattuali accertate dal giudice di merito. Inoltre il vizio di insufficiente motivazione non puo’ essere piu’ sindacato dal giudice di legittimita’.
4. Il quarto motivo e’ inammissibile perche’ non conferente al decisum. La Corte d’appello non ha ritenuto provata la percezione da parte della (OMISSIS) del provento pro-quota dell’azienda bar-pasticceria, a fini della valutazione della capacita’ patrimoniale della stessa, ma ha considerato lo svolgimento, ammesso, di attivita’ lavorativa presso detta azienda, al fine e necessario vaglio della capacita’ di lavoro, malgrado lo stato di disoccupazione allegato.
5. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimita’, liquidate in complessivi Euro 3.000,00,00, a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonche’ al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
Dispone che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 198 del 2003, articolo 52, siano omessi le generalita’ e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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