Nel giudizio amministrativo non basta dedurre genericamente un vizio

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 1 luglio 2019, n. 4491.

La massima estrapolata:

Nel giudizio amministrativo non basta dedurre genericamente un vizio, ma bisogna precisare il profilo sotto il quale il vizio viene dedotto e, ancora, indicare tutte quelle circostanze dalle quali possa desumersi che il vizio denunciato effettivamente sussiste, pena l’inammissibilità per genericità della censura proposta: alla violazione dell’obbligo ex art. 40, comma 1, lett. d), cod. proc. amm. di specificità delle censure consegue, dunque, l’inammissibilità del ricorso proposto.

Sentenza 1 luglio 2019, n. 4491

Data udienza 21 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 6600 del 2009, proposto da
Regione Calabria, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Na., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gr. Pu. in Roma, via (…);
contro
Azienda Agricola Tu. Gi. ed altri, non costituite in giudizio;
nei confronti
Za. Ma., Ga. Ga., non costituite in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione Seconda, n. 00476/2009, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 marzo 2019 il consigliere Angela Rotondano e uditi per la parte appellante l’avvocato Gr. Pu., in sostituzione dell’avvocato Na.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, le aziende in epigrafe, operanti nel settore agricolo e alimentare, impugnavano il Decreto n. 1595 del 3 marzo 2006 del Dirigente Generale del Dipartimento Agricoltura Foreste e Forestazione della Regione Calabria (di seguito “la Regione”) recante l’approvazione delle graduatorie definitive delle domande per l’erogazione dei contributi di cui alla Legge regionale Calabria 8 luglio 2002, n. 24 (ritenute ammissibili secondo il criterio cronologico individuato dalla precedente delibera di Giunta n. 1202 del 27 dicembre 2005), graduatorie dalle quali le ricorrenti (che avevano tutte presentato istanza per il finanziamento tra l’8 marzo 2004 e il 25 marzo 2005) risultavano escluse.
1.1. Il ricorso era affidato ai seguenti motivi di gravame: 1) Violazione della legge regionale n. 24 dell’8 luglio 2002- Violazione degli orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato nel settore agricolo (2000/C/28/02) – violazione della decisione della Commissione Europea C (2004) 1222 e dell’art. 97 Cost. – difetto di istruttoria, manifesta illogicità e contrasto con l’atto presupposto- travisamento- sviamento; 2) Violazione del criterio stabilito dalla delibera di Giunta regionale n. 1202 del 27 dicembre 2005- violazione degli artt. 3 e 97 Cost. – difetto di istruttoria, manifesta illogicità e contraddittorietà – travisamento e sviamento.
1.2. Il Tribunale Amministrativo disponeva incombenti istruttori, ordinando all’Amministrazione regionale documentati chiarimenti e di esibire l’elenco delle domande di finanziamento, ordinate secondo il criterio cronologico, le domande ammesse al finanziamento in virtù del decreto impugnato (con l’indicazione della relativa data di presentazione di ciascuna) ed eventuali provvedimenti di esclusione adottati nei confronti delle ricorrenti: reiterati con successiva ordinanza gli incombenti non adempiuti dall’Amministrazione e rilevato poi che le richieste erano rimaste inevase, il Tribunale ordinava alla Regione (con ordinanza cautelare n. 344 del 7 giugno 2007) di riesaminare le domande di finanziamento proposte dalle ricorrenti ai sensi della legge regionale n. 24 del 2002.
2. Con la sentenza in epigrafe, resa nella resistenza della Regione, il Tribunale, preso atto che con decreto n. 5030 del 30 aprile 2008 i competenti uffici regionali avevano provveduto ad inserire in graduatoria le istanze delle aziende ricorrenti e a modificare i relativi elenchi (come risultava da nota della Co. comunicata al difensore e depositata in giudizio il 16 gennaio 2009, nella quale si rappresentava il venir meno dell’interesse alla decisione, fatta salva la rifusione delle spese sostenute), dichiarava l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse e, in ragione del ritardo nell’istruzione delle pratiche nonché della condotta processuale tenuta, condannava l’Amministrazione regionale al pagamento delle spese processuali liquidate in dispositivo.
3. Per la riforma della sentenza ha proposto appello la Regione censurandone le statuizioni con cui il primo giudice, anziché dichiarare improcedibile il ricorso per omessa integrazione del contraddittorio da parte delle ricorrenti entro il termine perentorio di sessanta giorni a decorrere dalla comunicazione della sentenza parziale n. 1481/2008 (il 7 novembre 2008), lo ha dichiarato invece erroneamente, a contraddittorio non integro e per giunta sulla base della nota di un soggetto estraneo al giudizio, improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse delle ricorrenti, traendone pure conseguenze non condivisibili in punto di statuizioni sulle spese.
3.1. Nessuno si è costituito per le parti appellate.
3.2. All’udienza del 21 marzo 2019, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

4. La Regione appellante censura la sentenza di primo grado per avere dichiarato improcedibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse anziché per omessa integrazione del contraddittorio da parte delle aziende agricole ricorrenti entro il termine perentorio assegnato dal Tribunale amministrativo con sentenza parziale e scadente il 7 gennaio 2009, quindi in epoca antecedente tanto alla redazione della nota della Co. (del 9 gennaio 2009) quanto al suo deposito in giudizio (risalente al 16 gennaio 2009). Su questa premessa la Regione sostiene che la condanna alle spese a proprio carico sia ingiusta, tanto più che non vi era stato alcun ritardo da parte sua, avendo adempiuto agli incombenti istruttori a suo tempo disposti dal Tribunale amministrativo e provveduto al riesame delle istanze con il decreto n. 5030 del 30 aprile 2008 (pubblicato sul Bollettino n. 20 del 16 maggio 2008), quindi in data anteriore sia all’udienza del 10 ottobre 2008 (all’esito della quale venne pronunziata la sentenza parziale con cui si ordinava l’integrazione del contraddittorio) sia a quella di discussione del ricorso del 10 aprile 2009.
5. L’appello è inammissibile.
5.1. Va anzitutto richiamato il pacifico indirizzo giurisprudenziale secondo il quale nel giudizio amministrativo non basta dedurre genericamente un vizio, ma bisogna precisare il profilo sotto il quale il vizio viene dedotto e, ancora, indicare tutte quelle circostanze dalle quali possa desumersi che il vizio denunciato effettivamente sussiste, pena l’inammissibilità per genericità della censura proposta: alla violazione dell’obbligo ex art. 40, comma 1, lett. d), cod. proc. amm. di specificità delle censure consegue, dunque, l’inammissibilità del ricorso proposto.
5.2. Nella specie difetta del tutto l’esposizione dei motivi su cui su cui è fondato il gravame avverso i capi della sentenza recanti la condanna alla spese nei confronti dell’Amministrazione regionale: quest’ultima, infatti, in presenza del regolamento delle spese fondato unicamente sul comportamento in concreto tenuto da parte resistente sia nel corso del giudizio sia in ambito procedimentale (in relazione al ritardo tanto nell’adempiere all’istruttoria disposta dal tribunale, quanto nell’evadere le pratiche di finanziamento), piuttosto che giustificare l’obiettiva dilatazione dei termini indicando le ragioni che ne escludessero in concreto l’addebitabilità, si è limitata per un verso a contestare genericamente l’esistenza di un ritardo (avendo infine essa provveduto al riesame delle istanze sfociato nell’adozione del citato decreto), per altro verso a censurare la decisione del primo giudice di dichiarare l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, anziché per difetto di integrazione del contraddittorio.
5.3. Tuttavia, quand’anche per ipotesi le originarie ricorrenti avessero provveduto ad integrare il contraddittorio secondo il dictum della sentenza non definitiva emessa dal Tribunale ed entro il termine assegnato, la decisione del primo giudice non avrebbe potuto avere esito e contenuto diversi né ciò avrebbe in concreto rivestito alcuna influenza sulle motivazioni sottese alla regolamentazione delle spese.
Come ammesso dalla stessa Regione appellante, con decreto n. 5030 del 30 aprile 2008 (quindi anteriormente all’emanazione dell’ordine di integrazione del contradditorio) si era provveduto all’inserimento in graduatoria delle istanze presentate dalle aziende agricole ricorrenti, sopravvenendo già a tale data il difetto di interesse alla decisione del ricorso nel merito (id est: nella specie, alla rimozione delle graduatorie e degli atti presupposti con i quali le domande delle ricorrenti non erano state ammesse al finanziamento previsto dalla legge regionale) che veniva quindi solo dichiarato in giudizio pochi giorni dopo la scadenza del termine per la disposta integrazione (a seguito del deposito della nota del 9 gennaio 2009 a firma del Presidente della Co., nella quale si chiedeva, in nome e per conto delle associate, di rappresentare la sopravvenuta carenza di interesse al ricorso in conseguenza di detto provvedimento): l’eventuale accoglimento del ricorso non avrebbe, dunque, potuto più produrre alcuna utilità alle ricorrenti, essendo venuta meno, già in precedenza e per effetto dell’inserimento delle istanze tra quelle ammissibili al contributo, la condizione dell’azione dell’interesse a ricorrere (Cons. Stato, sez. IV, 24 luglio 2017, n. 3638) ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. c) Cod. proc. amm.; il che rendeva del tutto ultroneo l’invocato adempimento processuale.
Ed infatti, come statuito dalla giurisprudenza (Cons. di Stato, V, 9 luglio 2018, n 4191; Cons. di Stato, IV, 28 giugno 2016, n. 2909), mentre la cessazione della materia del contendere incide sull’oggetto del giudizio e quindi sul merito del processo, potendo essere pronunciata nel caso in cui il ricorrente abbia ottenuto in via amministrativa il bene della vita atteso (cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 maggio 2018, n. 2687), sì da rendere inutile la prosecuzione del processo stante l’oggettivo venir meno della lite (cfr. Cons. Stato, sez. III, 22 febbraio 2018, n. 1135; sez. IV, 22 gennaio 2018, n. 383; sez. IV, 7 maggio 2015, n. 2317), la carenza sopravvenuta incide su un mero presupposto processuale (l’interesse a ricorrere), impedendo il passaggio al merito (e potendo allo scopo essere dichiarata dal difensore). Peraltro, in base all’art. 84, comma 4, Cod. proc. amm. “anche in assenza delle formalità di cui ai commi precedenti il giudice può desumere dall’intervento di fatti o atti univoci dopo la proposizione del ricorso ed altresì dal comportamento delle parti argomenti di prova della sopravvenuta carenza di interesse alla decisione della causa.”
5.4. Sotto altro concorrente profilo, risulta altresì generica e indimostrata la doglianza dell’amministrazione appellante secondo cui le istanze di talune aziende agricole sarebbero state respinte di talché non sarebbe stata comprovata l’effettiva mancanza di interesse alla decisione da parte di tutte le ricorrenti (che non avrebbero neppure impugnato il sopravvenuto decreto n. 5030 del 30 aprile 2008): del resto, anche in tal caso, nessuna utilità potrebbe trarre l’appellante ove il primo giudice avesse invece dichiarato l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse derivante dall’omessa impugnazione di atti sopravvenuti, posto che la condanna alle spese si fonda su altre e diverse ragioni (il ritardo colpevole e imputabile all’Amministrazione).
5.5. Chiarito dunque che l’appellante non ha dedotto specifiche censure in relazione alle motivazioni poste a fondamento della condanna alle spese e che il giudizio di prime cure non avrebbe comunque potuto avere diverso esito, per completezza il Collegio rileva come non siano neppure censurabili le statuizioni della sentenza impugnata in punto di spese processuali.
Deve, in primo luogo, osservarsi in punto di fatto che non vi era alcun accordo tra le parti in ordine all’eventuale compensazione delle spese di lite: anzi, nella stessa nota in cui si rappresentava il sopravvenuto difetto di interesse alla decisione, si richiedeva comunque il riconoscimento delle spese legali sostenute.
Deve poi rammentarsi la consolidata giurisprudenza secondo cui, anche nell’ipotesi in cui il giudizio venga definito mediante declaratoria di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse o cessazione della materia del contendere, in mancanza di accordo delle parti, il giudice deve procedere all’accertamento virtuale sulla fondatezza dell’originaria pretesa ai fini del regolamento delle spese di lite (Cons. Stato, sez. IV, 28 giugno 2016, n. 2909).
Nel caso in esame il Collegio di prime cure ha correttamente ravvisato l’insussistenza dei giusti motivi per pronunziare la compensazione tra le parti delle spese di giudizio (in deroga alla regola generale della soccombenza) alla luce delle vicende e delle circostanze emergenti dal giudizio, e ha puntualmente indicato in motivazione i presupposti della condanna alle spese, costituiti sia dal ritardo nell’istruzione delle pratiche (presentate dalle aziende ricorrenti in periodi ricompresi tra l’8 marzo 2005 e il 25 marzo 2005), sulle quali la Regione ha sì infine provveduto, ma solo in sede di riesame ed in ottemperanza all’ordinanza cautelare del primo giudice (proprio con il rammentato decreto n. 5030 del 30 aprile 2008); sia del comportamento processuale tenuto dall’Amministrazione (che aveva reiteramente disatteso gli incombenti istruttori disposti dal tribunale con ordinanze n. 8 dell’11 gennaio 2007 e 135 del 8 marzo 2007, provvedendo di fatto solo al riesame delle istanze di finanziamento all’esito dell’ordinanza cautelare, confermata da questo Consiglio).
6. In conclusione, l’appello va dichiarato inammissibile.
7. Nulla per le spese, non essendosi costituite le appellate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Nulla sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Franconiero – Presidente FF
Valerio Perotti – Consigliere
Federico Di Matteo – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere, Estensore
Stefano Fantini – Consigliere

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