Nel delitto di usura la pattuizione di interessi iugulatori

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 25 maggio 2020, n. 15731.

Massima estrapolata:

Nel delitto di usura la pattuizione di interessi iugulatori costituisce di per sé sintomo del necessario stato di bisogno della persona offesa, poiché la stipulazione di un prestito a condizioni particolarmente inique presuppone ragionevolmente una condizione di difficoltà economica della vittima.

Sentenza 25 maggio 2020, n. 15731

Data udienza 9 gennaio 2020

Tag – parola chiave: Reati contro il patrimonio – Delitti – Usura – Stato di bisogno – Prova – Interessi – Misura – Sufficienza.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CERVADORO Mirella – Presidente

Dott. MANTOVANO Alfredo – Consigliere

Dott. ALMA Marco Maria – Consigliere

Dott. BORSELLINO Maria Daniela – Consigliere

Dott. SARACO Antonio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 19/11/2018 della CORTE APPELLO di CATANZARO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere SARACO ANTONIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PINELLI MARIO MARIA STEFANO che ha concluso chiedendo il rigetto di tutti i ricorsi.
udito i difensori:
L’avvocato (OMISSIS) del foro di CASTROVILLARI in difesa di: (OMISSIS) e (OMISSIS) deposita concusioni scritte con nota spese per la parte civile (OMISSIS) e chiede l’accoglimento del ricorso di (OMISSIS).
L’avvocato (OMISSIS) del foro di COSENZA in difesa di: (OMISSIS) e (OMISSIS), e in qualita’ di sostituto processuale dell’avvocato (OMISSIS) del foro di COSENZA in difesa di: (OMISSIS) e dell’avvocato (OMISSIS) del foro di COSENZA in difesa di: (OMISSIS) si riporta ai motivi anche per gli avvocati oggi sostituiti.
L’avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA in difesa di: (OMISSIS) si riporta ai motivi chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
L’avvocato (OMISSIS) del foro di COSENZA in difesa di: (OMISSIS) e (OMISSIS) si riporta ai motivi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 19 novembre 2018, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Catanzaro che riconosceva (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) responsabili dei reati loro rispettivamente ascritti.
2. (OMISSIS) deduce i seguenti vizi:
2.1. Violazione dell’articolo 606, comma 1, lettera b) ed e), in relazione all’articolo 133 c.p. e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e).
A tal proposito si denuncia la mancanza di motivazione in ordine al calcolo della pena effettuato dal G.u.p. e confermato dalla Corte di appello in assenza di alcun riferimento, con la conseguenza che risulta impossibile procedere alla verifica della misura e della correttezza dell’aumento riferibile all’aggravante.
Denuncia altresi’ l’erroneita’ della sentenza di primo grado nella parte in cui, “nel riconoscere la sussistenza del vincolo della continuazione (con altra sentenza pronunciata nei confronti dell’imputato in altro procedimento n.d.e.), il G.u.p. non ha posto il reato piu’ grave (oggetto della sentenza impugnata) quale pena base del calcolo complessivo della sanzione. In particolare, essendo contestata l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, nell’ambito del presente procedimento, era questa la pena base da cui partire per effettuare il calcolo”.
Si precisa, dunque, che la sentenza contiene due errori: il primo riguardante l’individuazione del reato piu’ grave nell’applicazione della continuazione; il secondo riguardante l’esatta quantificazione della pena in continuazione, che non viene ne’ individuata ne’ descritta, ma semplicemente indicata per quantita’.
2.2. Violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione alla L. n. 203 del 1991, articolo 7.
A tale riguardo, si censura la doppia sentenza conforme sotto il profilo della illogicita’ osservandosi che il G.u.p. e la Corte di appello riconoscono l’aggravante in esame sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa, in presenza di una doglianza difensiva proprio in riferimento a tali dichiarazioni.
Si lamenta altresi’ il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche per l’omessa valutazione del comportamento tenuto dall’imputato che, sin da subito, ha inteso collaborare ammettendo le proprie responsabilita’.
3. (OMISSIS) deduce i seguenti vizi:
3.1. Erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicita’ della motivazione, in relazione agli articoli 42 e 644, c.p., alla L. n. 203 del 1991, articolo 7 e all’articolo 546 c.p.p..
3.1.1. Si sostiene l’illogicita’ degli argomenti utilizzati dalla Corte di appello per affermare la consapevolezza di (OMISSIS) di concorrere nella condotta usuraria precedentemente attuata da (OMISSIS), ricavata dalla sospetta e immotivata sua designazione quale “esattore” delle rate mensili e dall’inevitabile percezione della natura illecita del rapporto sottostante.
La difesa afferma che entrambi gli enunciati sono affetti da illogicita’, trovando smentita negli stessi elementi di prova utilizzati dal Giudice di primo grado. Vengono, quindi, illustrate le ragioni si cui e’ fondato tale assunto.
3.1.2. Si lamenta altresi’ l’errato riconoscimento dell’aggravante dell’avere commesso il fatto di usura in danno di un soggetto in stato di bisogno, in quanto la Corte di appello non ha tenuto conto della qualifica soggettiva della vittima e non essendo a tal fine sufficiente il solo riferimento all’importo della misura degli interessi usurari.
3.1.3. Con riguardo all’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, si osserva che la mera verifica della condotta usuraria indicata al capo 8) porta a escludere che le somme erogate da (OMISSIS) a Cannella appartenessero al sodalizio criminoso, cosi’ mancando il presupposto della condotta agevolatrice di un’associazione di tipo mafioso.
3.1.4. Con specifico riferimento al metodo mafioso, la difesa ritiene incontestabile che la sua configurabilita’ non possa essere fondata sul semplice fatto che (OMISSIS) si sia presentato quale incaricato del congiunto (OMISSIS) per riscuotere le rate mensili di restituzione del prestito, mancando il requisito della palese evocazione della forza di intimidazione proveniente dal vincolo sodalistico.
3.2. Erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicita’, in relazione agli articoli 110 e 629 c.p., e alla L. n. 203 del 1991, articolo 7.
In questo caso si denuncia la sentenza impugnata di motivazione apparente, atteso che, nonostante la vittima avesse dichiarato di non essersi mai sentito minacciato da (OMISSIS) (“nemmeno quando mi ha detto che mi avrebbe picchiato”), la Corte di appello ha ritenuto il ricorrente responsabile anche per il reato di estorsione assumendo che la valenza minatoria della condotta, seppur non percepita dalla vittima, era desumibile dal ricorso al metodo mafioso.
Secondo la difesa, invece, nel caso concreto manca la minaccia, non essendo a tal fine sufficiente “un aspecifico comportamento dell’autore sprovvisto della minimale idoneita’ a coercire la vittima, comprimendone la facolta’ di autodeterminarsi”.
3.3. Il 4 ottobre 2019 sono stati depositati motivi nuovi nell’interesse di (OMISSIS), con i quali si lamenta la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in relazione all’articolo 629 c.p., per mancanza della motivazione.
Si assume che la Corte di appello ha confermato la condanna per il reato di estorsione senza motivare sul punto.
4. (OMISSIS) deduce i seguenti vizi:
4.1. Violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione alla L. n. 203 del 1991, articolo 7.
Si denuncia l’erroneo riconoscimento della circostanza aggravante in esame, in quanto fondata sulle sole dichiarazioni della persona offesa prive di riscontri oggettivi, la’ dove (OMISSIS) ha riconosciuto le proprie responsabilita’ dichiarando che il denaro era il proprio e che non aveva speso il nome di (OMISSIS) il quale, peraltro, si e’ dichiarato estraneo al fatto.
Si osserva inoltre che la moglie di (OMISSIS), ossia (OMISSIS), ha sempre negato ogni coinvolgimento di (OMISSIS); che (OMISSIS) non ha mai incontrato (OMISSIS); che le dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) sono prive di valenza perche’ inattendibili, per come sottolineato dalla Corte di assise di Cosenza e visto che dopo l’inizio della collaborazione quello continuava a commettere reati.
4.2. Violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione all’articolo 644 c.p., comma 5, n. 3.
Sotto tale profilo si denuncia l’illogicita’ della motivazione nella parte in cui ritiene configurata l’aggravante in esame ritenendola provata dall’eccessivo tasso di interesse applicato al prestito e accettato da Cannella in virtu’ dell’impellente bisogno di liquidita’, mentre a tal fine e’ richiesto un quid pluris rispetto alla semplice necessita’ di liquidita’, giacche’ se tanto fosse determinante e sufficiente sarebbe svuotata di significato la contestazione dell’aggravante in esame.
4.3. Violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione all’articolo 62 bis c.p..
Si assume la carenza e l’illogicita’ della motivazione in forza della quale sono state negate le circostanze attenuanti generiche. Secondo il ricorrente i giudici non hanno tenuto conto della condotta processuale dell’imputato (che ha subito ammesso le proprie responsabilita’) e hanno erroneamente richiamato i suoi precedenti penali, mentre l’imputato e’ sostanzialmente incensurato, ove si consideri il tempo a cui risalgono le precedenti condanne; tanto piu’ che a (OMISSIS) viene contestato un solo fatto di usura.
4.4. Violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione all’articolo 99 c.p..
Secondo la difesa e’ erroneo l’aumento di pena per effetto della recidiva in quanto – oltre a doversi avere riguardo all’articolo 99 c.p., comma 1 -, la distanza temporale dall’ultima condanna subita dall’imputato avrebbe dovuto indurre i giudici a disapplicare detto aumento.
5. (OMISSIS) deduce i seguenti vizi.
5.1. Vizio di motivazione con riferimento alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).
La difesa sostiene l’inattendibilita’ delle dichiarazioni della persona offesa, che ha dichiarato di avere visto lo sparatore dall’interno della vetrina del centro estetico che, invece, e’ opacizzato e non consente di vedere all’esterno, per come dimostrato con la produzione di una fotografia che la Corte di appello ha omesso di considerare, senza fornire alcuna giustificazione a tal proposito.
5.2. Vizio di motivazione con riferimento alla conferma della configurabilita’ della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).
La difesa rammenta che la circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa ha valenza soggettiva, con le conseguenti ricadute in punto di dolo.
Sulla base di tale premessa si denuncia il vizio di omessa motivazione in cui sarebbe incorsa la Corte di appello in quanto non ha indicato le specifiche circostanze di fatto ritenute sintomatiche della consapevolezza del ricorrente circa l’esistenza del sodalizio criminoso e, soprattutto, della sua coscienza e volonta’ di favorire, mediante la condotta di danneggiamento, la cosca (OMISSIS)- (OMISSIS), cosi’ che non si comprende perche’ la condotta contestata e’ stata descritta come agevolatrice dell’attivita’ dei clan, esclusa -peraltro – dal Tribunale del Riesame.
Si aggiunge che il profilo del metodo mafioso e’ stato riconosciuto dalla Corte territoriale in modo del tutto assertivo e contraddittorio, la’ dove si imponeva uno specifico accertamento processuale.
6. (OMISSIS).
6.1. Violazione dell’articolo 606, comma 1, lettera e), in relazione all’articolo 192, c.p.p..
Con riguardo al capo 2 dell’imputazione, si denuncia l’illogicita’ della motivazione, ove si consideri che l’imputato ha reso dichiarazioni confessorie, con le quali si e’ assunto la responsabilita’ per alcuni fatti e l’ha esclusa per altri.
“Non vi e’ dubbio che se (OMISSIS) e’ credibile quando si autoaccusa, deve esserlo anche quando nega la condotta addebitata”, non essendovi alcuna plausibile ragione per riconoscere un fatto e negarne un altro.
Si aggiunge che il collaboratore di giustizia (OMISSIS) e’ stato giudizialmente dichiarato inattendibile con sentenza della Corte di assise di Cosenza, essendo risultato che dopo l’inizio della collaborazione il dichiarante continuava a commettere reati.
Vengono illustrati, dunque, ulteriori elementi che si assumono a dimostrazione dell’inattendibilita’ del collaboratore di giustizia e dell’assenza di riscontri alle sue dichiarazioni.
Con riguardo al capo 10) si denuncia un travisamento della prova, in quanto la Corte di appello ha completamente stravolto le dichiarazioni rese ai sensi dell’articolo 391 bis c.p.p., da (OMISSIS). Si illustrano le ragioni poste a sostegno dell’assunto.
7. (OMISSIS) deduce i seguenti vizi:
7.1. Violazione della legge penale in relazione all’articolo 133 c.p., ai sensi dell’articolo 606 c.p., comma 1, lettera b).
La difesa censura la sentenza impugnata la’ dove nega le circostanze attenuanti generiche, senza considerare che quelle erano gia’ state riconosciute dal giudice di primo grado; precisa, dunque, che con il gravame aveva richiesto il riconoscimento dell’ipotesi dell’usura semplice, con esclusione dell’ipotesi aggravata, con una doglianza fondata sulla valutazione di prove obiettive che la Corte di appello ha completamente ignorato, con evidente travisamento della motivazione rispetto alla censura.
Si aggiunge che (OMISSIS), diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello, non e’ gravato da numerosi precedenti penali, per come emerge dal certificato penale versato in atti.
Sulla base di tali osservazioni, si sostiene che la pena irrogata a (OMISSIS) e’ stata decisamente superiore a quella di giustizia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. (OMISSIS) e’ stato condannato, per usura aggravata dall’essere stata commessa in danno di imprenditore che versa in stato di bisogno, per avere commesso il reato nei tre anni successivi alla scadenza della misura di prevenzione e ai sensi della L. n. 203 del 1991, articolo 7, in danno di (OMISSIS), contestato al capo 6) della rubrica.
Il suo ricorso e’ inammissibile perche’ propone questioni non consentite in sede di legittimita’ e perche’ aspecifico.
1.1. I motivi relativi alla asserita assenza di motivazione con riguardo alla misura dell’aumento per l’aggravante e sull’errata individuazione del reato piu’ grave al momento dell’applicazione della continuazione, non risultano proposti con l’atto di appello, con la conseguente interruzione della catena devolutiva.
Con riguardo al tema della pena, infatti, nell’atto di appello si riscontra una generica richiesta di sua riduzione al minimo edittale, senza che vengano esposte censure in ordine ai due argomenti in questione, con la conseguenza che le relative doglianze oggi esposte hanno il carattere della novita’ in quanto proposte per la prima volta con il ricorso per cassazione.
Deve, allora, ricordarsi che “nel giudizio di legittimita’, il ricorso proposto per motivi concernenti le statuizioni del giudice di primo grado che non siano state devolute al giudice d’appello, con specifico motivo d’impugnazione, e’ inammissibile, poiche’ la sentenza di primo grado, su tali punti, ha acquistato efficacia di giudicato (Massime Conformi n. 4712 del 1982, Rv. 153578; n. 2654 del 1983 Rv. 163291)”, (Sez. 3, Sentenza n. 2343 del 28/09/2018, Ud., dep. 18/01/2019, Di Fenza, Rv. 274346).
1.2. I motivi di ricorso attinenti al riconoscimento della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7 e alla negazione delle circostanze attenuanti generiche sono aspecifici.
Vale premettere che “e’ inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino genericamente a lamentare l’omessa valutazione di una tesi alternativa a quella accolta dalla sentenza di condanna impugnata, senza indicare precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicita’ della motivazione di questa, idonee ad incidere negativamente sulla capacita’ dimostrativa del compendio indiziario posto a fondamento della decisione di merito”, (Sez. 2, Sentenza n. 30918 del 07/05/2015, Falbo, Rv. 264441).
La Corte di appello: a) ha confermato la sussistenza dell’aggravante osservando come le dichiarazioni della persona fossero state lineari e non erano state messe in discussione dall’imputato che, in sede di spontanee dichiarazioni, aveva parzialmente ammesso i prestiti. Aggiunge, poi, che “i richiami alla provenienza del denaro dalla criminalita’ organizzata del cosentino risultano specifici, contrariamente a quanto assume la difesa. Il (OMISSIS) espressamente riferisce “anche (OMISSIS) -alias (OMISSIS)- mi ha intimidito dicendomi che il denaro non era suo perche’ faceva girare i soldi della criminalita’ organizzata cosentina””; b) ha rigettato la richiesta di concessione di circostanze attenuanti generiche condividendo il diniego opposto dal giudice di primo grado in ragione della gravita’ del fatto, all’atteggiamento intimidatorio subito dalla persona offesa e all’assenza di elementi favorevoli all’imputato.
Tali ragioni sono rimaste indenni da reali censure da parte del ricorrente, che neanche enuncia quale vizio di legittimita’ si sarebbe configurato nel caso concreto.
Con riguardo all’aggravante, invero, sostiene genericamente la mancata valutazione della censura di illogicita’ delle dichiarazioni della persona offesa, trascurando di considerare l’ampia motivazione svolta sul punto dalla Corte di appello, la’ dove spiega che “le presunte contraddizioni in cui -secondo la difesa-sarebbe incorso il (OMISSIS) nel citato verbale del 31 luglio 2013 sono chiarite nel successivo verbale del novembre 2014, laddove ha spiegato di avere erroneamente indicato l’imputato con altro nome ( (OMISSIS)) e ricollegato comunque allo svolgimento di attivita’ lavorativa presso una societa’ di servizi di pulizia”. Con riguardo alle circostanze attenuanti generica si limita a una generica lamentela di “omessa valutazione del comportamento processuale”. In entrambi i casi, in tale maniera, non vengono sviluppati rilievi critici scrutinabili in sede di legittimita’.
Alla luce di quanto esposto, il ricorso e’ inammissibile.
1.3. La declaratoria d’inammissibilita’ totale comporta, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ – apparendo evidente che con la proposizione del ricorso ha determinato la causa di inammissibilita’ per colpa (Corte Cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenendo conto della rilevante entita’ di detta colpa – della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
2. (OMISSIS) e’ stato condannato per il reato di usura aggravata dall’essere stata commessa in danno di imprenditore che versa in stato di bisogno e ai sensi della L. n. 309 del 1991, articolo 7, contestato al capo 8) e del reato di estorsione aggravata ai sensi della L. n. 203 del 1991, articolo 7, contestato al capo 9), entrambi commessi in danno di (OMISSIS).
Il suo ricorso e’ inammissibile in quanto propone questioni non consentite in sede di legittimita’ e perche’ aspecifico.
Si deve a tal proposito ricordare che i vizi di motivazione possono essere esaminati in sede legittimita’ allorquando, non propongano censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr. Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997) le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. Nel momento del controllo della motivazione, inoltre, non e’ compito del giudice di legittimita’ stabilire se la decisione di merito proponga o meno la migliore ricostruzione dei fatti ne’ che debba condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilita’ di apprezzamento, atteso che l’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non consente alla Corte di cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove. In altri termini, il giudice di legittimita’, che e’ giudice della motivazione e dell’osservanza della legge, non puo’ divenire giudice del contenuto della prova, non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio, riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l’apprezzamento della logicita’ della motivazione (Sez. 6, Sentenza n. 13442 del 08/03/2016, De Angelis, Rv. 266924).
Cio’ premesso, i motivi di ricorso in esame, pur intitolati al vizio di violazione di legge, denunciano -in realta’- un difetto di motivazione sotto il profilo di un’errata ricostruzione dei fatti e di un’errata valutazione delle prove e/o delle emergenze processuali, senza mai descrivere un vizio di legittimita’ e sostanzialmente- reiterando le medesime questioni svolte con l’atto di appello, disattese dalla Corte di merito con motivazione che viene in larga parte pretermessa nell’odierna impugnazione.
Invero:
2.1. Con riguardo al tema della consapevolezza da parte di (OMISSIS) della natura usuraria delle rate che riscuoteva, la Corte di appello ha osservato che “le considerazioni della difesa in relazione alla mancata consapevolezza da parte del (OMISSIS) della natura usuraria del debito non colgono nel segno. Invero, il comportamento del (OMISSIS) (che consegna la consistente somma di Euro 20.000 e pretende il pagamento di quanto dovuto con metodi minacciosi e violenti) fuga ogni dubbio in ordine all’effettiva natura del credito quale usuraio. Insolito e’ poi l’intervento dopo l’arresto di (OMISSIS) per la riscossione di somme da questi prestate ad altri. Poco credibile, nel contesto considerato, che il (OMISSIS) incaricasse il (OMISSIS) della riscossione delle somme corrisposte al (OMISSIS) senza venisse esternata o percepita la natura usuraria del prestito”.
La motivazione cosi’ riportata viene censurata dalla difesa di palese illogicita’ ma, in effetti (ai paragrafi 2 e 3 del primo motivo di ricorso) viene semplicemente offerta una ricostruzione fattuale e una valutazione delle emergenze dibattimentali alternativa a quella della doppia sentenza conforme, senza l’esposizione di rilievi critici riconducibili al vizio annunciato.
Infatti, per denunciare il vizio di illogicita’ manifesta non basta asserire l’eventuale erronea o diversa lettura di un dato fattuale, essendo altresi’ necessario spiegare perche’ – nel caso concreto- venga a configurarsi una illogicita’, ossia un vizio che consegue “alla violazione di principi della logica formale diversi dalla contraddittorieta’ o dei canoni normativi di valutazione della prova ai sensi dell’articolo 192 c.p.p., ovvero alla invalidita’ o alla scorrettezza dell’argomentazione per carenza di connessione tra le premesse della abduzione o di ogni plausibile nesso di inferenza tra le stesse e le conclusioni”, (Sez. 1, Sentenza n. 53600 del 24/11/2016, Sanfilippo).
Vizio che, per di piu’, deve essere manifesto, ossia di immediata e lampante evidenza e, inoltre, deve essere tale da scardinare e destrutturare l’intero impianto motivazionale di riferimento, cosi’ da provocarne la sua implosione.
Tanto non si rintraccia nel motivo in esame, visto che il ricorrente offre una mera lettura alternativa delle emergenze dibattimentali poggiata sulla valorizzazione di meri elementi di fatto (non essere (OMISSIS) un quisque de populo; l’abituale frequentazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS); l’esistenza di “flussi economici” ulteriori intercorrenti tra (OMISSIS) e (OMISSIS), anche datati nel tempo), che non evidenziano alcun errore di diritto.
2.2. Con riguardo all’aggravante di cui all’articolo 644 c.p., comma 5, n. 3, la Corte di appello ha dedotto lo stato di bisogno dalla misura degli interessi, richiamando la giurisprudenza di legittimita’ sul punto. La difesa sostiene che i Magistrati dell’appello si sarebbero limitati a richiamare “il noto insegnamento di codesto S.C. ai sensi del quale la pattuizione di interessi palesemente iugulatori costituisce di per se’ sintomo di stato di bisogno, senza pero’ tener conto della qualifica soggettiva della vittima (omettendo del pari la sia pur minima dimostrazione che questi fosse stato costretto a compiere atti dispositivi rovinosi per il suo patrimonio pur di far fronte ai pagamenti mensili, che invece sono stati affrontati senza particolari difficolta’”.
La censura e’ affetta da genericita’ e da frammentarieta’. Diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, infatti, la Corte di appello non si e’ limitata a richiamare un principio di diritto, ma lo ha richiamato correlandolo al fatto concreto contestato a (OMISSIS) e, in particolare, ricavando lo stato di bisogno dalla misura eccessiva del tasso di interesse accettato da (OMISSIS), indicato nell’imputazione nella misura del 10% mensile.
La difesa aggiunge che la Corte territoriale non ha preso in considerazione la “qualifica soggettiva della vittima”. Tale obiezione, pero’, e’ affetta da genericita’, in quanto non e’ accompagnata dalla specificazione della “qualifica soggettiva” evocata e, soprattutto, non spiega come la sua valutazione avrebbe comportato l’implosione -in punto di logica e di coerenza- della motivazione della Corte di appello. L’osservazione che mette in risalto come (OMISSIS) abbia regolarmente adempiuto la propria obbligazione, infine, sollecita una valutazione di fatto, non consentita al giudice di legittimita’.
2.3. Con riguardo all’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, la Corte di appello ha osservato che la condotta risultava aggravata per l’impiego del metodo mafioso in quanto “il (OMISSIS), nella fase della riscossione del prestito usurario, ha apertamente fatto capire di agire per conto di un noto esponente della criminalita’ organizzata cosentina, (OMISSIS), di cui spende abitualmente il nome al fine di compulsare la vittima”. Ha altresi’ analizzato il contenuto delle dichiarazioni della persona offesa raccolte dalla difesa ai sensi dell’articolo 391-bis c.p.p. osservando come con esse (OMISSIS) “non ha, di fatto, escluso, come di seguito meglio specificato, che il (OMISSIS) avesse fatto ricorso ad atteggiamenti intimidatori allorquando gli ricorda di essere puntuale e minacciandolo che lo avrebbe picchiato”. Sulla base di tali osservazioni in punto di fatto -e in coerenza con esse- la Corte territoriale richiama i principi di legittimita’ in tema di metodo mafioso, che rintraccia in presenza dell’evocazione della forza intimidatrice derivante dal sodalizio, in ragione della prospettazione di una minaccia proveniente da un soggetto gravitante nella sfera di associazioni di tipo mafioso.
La difesa, al contrario dei giudici della doppia sentenza conforme, ritiene che – invece – “il semplice fatto di essersi il (OMISSIS) presentato a (OMISSIS) quale incaricato dal congiunto (OMISSIS) di riscuotere le rate mensili di restituzione del prestito non puo’, di per cio’ solo, consentire l’applicazione dell’aggravante speciale, in quanto simile condotta difetta proprio di quella palese evocazione della forza di intimidazione proveniente dal vincolo sodalistico che ne costituisce l’ineliminabile requisito”.
Una tale argomentazione, pero’, si riferisce al momento valutativo delle emergenze processuali, offrendone una lettura alternativa a quella dei giudici di merito, ma non prospetta un vizio di legittimita’, per le ragioni gia’ esposte, alle quali si rimanda.
Le argomentazioni svolte in ordine all’insussistenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, risultano non conferenti, atteso che essa e’ stata riconosciuta soltanto nella forma del ricorso a modalita’ mafiose e non anche nella forma dell’agevolazione.
2.4. Quanto fin qui esposto per il primo motivo vale anche per il secondo motivo di ricorso e per le sovrapponibili questioni contenute nei “motivi nuovi” che, pertanto, sono inammissibili.
La Corte di appello ha ritenuto che dalle dichiarazioni della persona offesa, cosi’ come raccolte nel verbale redatto ai sensi dell’articolo 391-bis c.p.p., “si deduce chiaramente che la persona offesa e’ continuamente sotto pressione per rispettare i patti concordati”. Aggiunge che il verbale in questione non e’ comunque- idoneo a scalfire il quadro probatorio lineare acquisito e riscontrato.
L’esistenza della motivazione smentisce, in primo luogo, la denuncia di motivazione apparente, visto che i Magistrati dell’appello hanno dato risposta alle osservazioni difensive basate sulla lettura del verbale ex articolo 391-bis c.p..
Il motivo incorre, nel resto, nel vizio gia’ piu’ volte sottolineato della proposizione di questioni non consentite in sede di legittimita’.
Si assume, infatti, che le parole di (OMISSIS) andavano intese nel senso dell’inesistenza di una minaccia, cosi’ proponendo -ancora una volta- una lettura delle emergenze processuali alternativa a quella dei giudici di merito, nell’assenza di argomentazioni riconducibili a un vizio di legittimita’.
Da qui l’inammissibilita’ anche del secondo motivo e dei correlati motivi nuovi e, con essi, del ricorso nella sua interezza.
2.5. La declaratoria d’inammissibilita’ totale comporta, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ – apparendo evidente che con la proposizione del ricorso ha determinato la causa di inammissibilita’ per colpa (Corte Cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenendo conto della rilevante entita’ di detta colpa – della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
3. (OMISSIS) e’ stato condannato per il reato di usura aggravata dall’essere stata commessa in danno di imprenditore che versa in stato di bisogno e ai sensi della L. n. 203 del 1991, articolo 7, in danno di (OMISSIS), contestato al capo 2).
Il suo ricorso e’ inammissibile perche’ meramente reiterativo dei motivi di appello, perche’ aspecifico e perche’ propone questioni non consentite in sede di legittimita’.
3.1. Il primo e il secondo motivo di ricorso ripropongono le medesime questioni (in fatto) sollevate davanti alla Corte di appello e da questa disattese con argomentazioni che non sono attinte dai censure di legittimita’ e che sono in parte pretermesse nell’odierna impugnazione.
I Magistrati dell’appello, infatti:
3.1.1. Con riguardo all’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, hanno osservato come l’episodio sia stato ricostruito grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) e ha richiamato le motivazioni del Tribunale in riferimento al giudizio di attendibilita’ dello stesso. A tal proposito il tribunale, dopo avere descritto (a pag. 11) la vicenda e i contenuti collaborativi di (OMISSIS), scrive: “Il complesso delle positive valutazioni sul suo apporto collaborativo, vale a privare di consistenza le obiezioni difensive circa il suo profilo di non credibilita’ tratto dalle considerazioni contenute nella sentenza n. 5/2013 resa dalla Corte di assise di Cosenza (citata ma non formalmente versata in atti) e nella quale viene valorizzato il suo iniziale poco ortodosso comportamento che lo aveva portato ad utilizzare, dopo l’avvio del percorso collaborativo, un’utenza telefonica con la quale continuava ad avere rapporti con l’esterno. E’ di tutta evidenza che dopo le iniziali remore, peraltro risalenti al lontano 2013, il (OMISSIS) ha successivamente consolidato il suo rapporto collaborativo con l’autorita’ giudiziaria, continuando negli anni a seguire (anzi fin il vaglio della credibilita’ oggettiva e soggettiva”. La Corte di appello ha altresi’ aggiunto che la persona offesa ha esplicitamente riferito che (OMISSIS) lo intimava a “essere puntuale nel rispetto degli accordi usurari altrimenti sarebbe venuto a (OMISSIS) il cognato (OMISSIS) e avrebbe combinato uno sfacello”.
Il ricorrente si oppone a tale motivazione con una generica denuncia di illogicita’ accompagnata dalla reiterazione degli argomenti (in fatto) contenuti nell’atto di appello (ammissione di responsabilita’ di (OMISSIS), dichiarazioni di (OMISSIS), dichiarazioni di (OMISSIS), assenza di un incontro tra (OMISSIS) e (OMISSIS), inattendibilita’ del collaboratore di giustizia (OMISSIS)) che, secondo la difesa, dovrebbero prevalere rispetto alle dichiarazioni della persona offesa.
Viene cosi’ a strutturarsi la proposta di una ricostruzione dei fatti alternativa a quella dei giudici di merito (che hanno ritenuto attendibili le dichiarazioni di (OMISSIS) e della persona offesa) fondata sulla reiterazione davanti alla Corte di cassazione dei medesimi argomenti valutativi proposti alla Corte di merito e da questa disattesi, senza che siano sollevate censure scrutinabili nel giudizio di legittimita’.
Si ricorda, allora, che questa Corte ha costantemente chiarito che “e’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella ripetizione di quelli gia’ dedotti in appello, motivatamente esaminati e disattesi dalla corte di merito, dovendosi i motivi stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso”, (Sez. 5, Sentenza n. 11933 del 27/01/2005, Rv. 231708; piu’ di recente, non massimate: Sez. 2, Sentenza n. 25517 del 06/03/2019, Di Stefano; Sez. 6, Sentenza n. 19930 del 22/02/2019, Ferrari).
3.1.2. Con riguardo al tema dell’aggravante di cui all’articolo 644 c.p., comma 5, n. 3, valgono i medesimi rilievi illustrati al § 2.2., dovendosi qui ribadire che la sussistenza del necessario stato di bisogno della persona offesa puo’ emergere anche soltanto dalle condizioni particolarmente inique del prestito stipulato. Questa Corte Suprema ha, infatti, gia’ chiarito che lo stato di bisogno della persona offesa del delitto di usura puo’ essere provato anche in base alla sola misura degli interessi, quando siano di entita’ tale da far ragionevolmente presumere che soltanto un soggetto in stato di bisogno potesse contrarre il prestito a condizioni tanto inique ed onerose (Sez. 2, Sentenza n. 21993 del 03/03/2017, Surgo, Rv. 270064; Sez. 2, Sentenza n. 12791 del 13/12/2012 Ud. – dep. 19/03/2013- Cerra, Rv. 255357; Sez. 2, n. 20868 del 30 aprile 2009, Acri, rv. 244884). Di tale principio, la Corte di appello ha fatto corretta applicazione.
3.2. Il motivo relativo alle circostanze attenuanti generiche e’ inammissibile perche’ aspecifico.
La Corte di appello ha rigettato la richiesta di concessione di circostanze attenuanti generiche richiamando la gravita’ del fatto in relazione ai danni della persona offesa, richiamando la sentenza di primo grado dove si valorizzavano le modalita’ mafiose e i precedenti penali di (OMISSIS).
Il motivo in esame si sostanzia in una generica lamentela di illogicita’ del rigetto dei motivi di appello e di carenza argomentativa della sentenza impugnata (che non avrebbe valutato il comportamento tenuto da (OMISSIS)), senza che siano esposti rilievi critici scrutinabili in sede di legittimita’.
Vale allora ricordare che “e’ inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino genericamente a lamentare l’omessa valutazione di una tesi alternativa a quella accolta dalla sentenza di condanna impugnata, senza indicare precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicita’ della motivazione di questa, idonee ad incidere negativamente sulla capacita’ dimostrativa del compendio indiziario posto a fondamento della decisione di merito”, (Sez. 2, Sentenza n. 30918 del 07/05/2015, Falbo, Rv. 264441).
3.3. Il motivo relativo alla configurabilita’ della recidiva e’ inammissibile in quanto non risulta proposto con l’atto di appello, con conseguente interruzione della catena devolutiva.
Si rimanda, a tal proposito, a quanto illustrato al § 1.1. nell’esaminare il ricorso di (OMISSIS).
3.4. La declaratoria d’inammissibilita’ totale comporta, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ – apparendo evidente che con la proposizione del ricorso ha determinato la causa di inammissibilita’ per colpa (Corte Cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenendo conto della rilevante entita’ di detta colpa – della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
4. (OMISSIS) e’ stato condannato per il reato di danneggiamento, cosi’ riqualificato il reato contestato al capo 11) e per il reato di detenzione e porto in luogo pubblico di arma comune da sparo contestato al capo 12), entrambi aggravati dalla L. n. 203 del 1991, articolo 7.
Il suo ricorso e’ inammissibile perche’ propone questioni non consentite in sede di legittimita’ e perche’ aspecifico.
4.1. In relazione ai temi sviluppati con il primo motivo di ricorso (circa l’inattendibilita’ delle dichiarazioni della persona offesa, che ha dichiarato di avere visto lo sparatore dall’interno del negozio in occasione dell’attentato in suo danno), la Corte territoriale ha dato risposta alle censure difensive: ha spiegato che le dichiarazioni della persona offesa ( (OMISSIS), fratello del collaboratore di giustizia (OMISSIS)) si potevano ritenere attendibili (nonostante fossero state rese dopo la sua consultazione con il fratello): perche’ era verosimile e comprensibile che avesse preferito prima consultarsi con il fratello e perche’, comunque, non erano emerse ragioni di contrasto personale tra quello e (OMISSIS); ha altresi’ osservato che l’episodio in questione aveva una chiara valenza intimidatrice, come risposta o avvisaglia da parte degli appartenenti al sodalizio di tipo mafioso rispetto all’intento collaborativo del fratello; ha spiegato che “la pellicola apposta non ostacolasse la visibilita’ da dentro verso l’esterno come chiarito dalla medesima persona offesa anche secondo la testimonianza dell’operatore di Pg (OMISSIS) la pellicola lasciava trasparire l’interno del locale ed era possibile intravedere le persone dentro”.
A tal riguardo, il motivo di ricorso e’ intitolato genericamente al vizio di motivazione senza che sia specificato se esso sia riferito alla mancanza, alla manifesta illogicita’ o alla contraddittorieta’, risultando per cio’ solo aspecifico, non spettando al giudice di legittimita’ il compito di incasellare la narrativa del motivo in uno dei possibili casi del ricorso per cassazione.
Si rileva -in ogni caso- che nel corpo del motivo ci si duole dell’omessa valutazione da parte della Corte di appello di una fotografia (asseritamente) allegata all’atto di appello che, secondo la difesa, dimostrerebbe che la pellicola apposta alla vetrina ostacolava la visibilita’ del negozio dall’esterno verso l’interno.
Tale doglianza – in realta’ – attinge alla ricostruzione del fatto e deve ritenersi implicitamente disattesa dalla Corte di appello che ha valorizzato le testimonianze della persona offesa e dell’operatore di P.G. alle quali evidentemente- ha attribuito un’efficacia probatoria maggiore rispetto alla fotografia in questione.
Si deve a tal proposito ricordare che “non e’ censurabile, in sede di legittimita’, la sentenza che non motivi espressamente su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando ne risulti il rigetto dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. (Fattispecie in cui il giudice di appello, pur non avendo esplicitamente motivato sulla mancata applicazione dell’attenuante della provocazione – espressamente richiesta con i motivi di appello – aveva fatto esplicito riferimento, in motivazione, alla reciprocita’ di perduranti condotte illecite e di risalenti contrasti tra le parti, rigettando cosi’ implicitamente l’invocata attenuante), (Sez. 5, Sentenza n. 6746 del 13/12/2018 Ud., dep. 12/02/2019, Curro’, Rv. 275500).
4.2. Con il secondo motivo si sviluppano argomenti sull’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, sia in relazione alla forma dell’agevolazione, sia in relazione alla forma del metodo mafioso.
4.2.1. Le osservazioni relative alla forma dell’agevolazione non risultano proposte con l’atto di appello e, dunque, si e’ causata l’interruzione della catena devolutiva. A tal riguardo si rimanda ai rilievi esposti al § 1.1.
Vale, comunque, rilevare come dalla doppia sentenza conforme emerga che l’aggravante in questione e’ stata riconosciuta nella sola forma del ricorso alle modalita’ mafiose e non anche nella specie dell’agevolazione.
4.2.2. Con riguardo alla modalita’ mafiosa si denuncia genericamente di contraddittorieta’ e di assertivita’ la motivazione della Corte di appello, senza che venga illustrato alcun vizio di legittimita’.
Si mette in risalto – invero – il fatto che il (OMISSIS) “non gode di alcun prestigio criminale, ne’ tantomeno e’ riconducibile ad alcun vincolo associativo”, cosi’ esponendosi una valutazione di merito, diversa e opposta rispetto a quella della doppia sentenza conforme, senza illustrare ragioni utili a configurare il vizio di motivazione genericamente annunciato nell’intitolazione.
4.3. La declaratoria d’inammissibilita’ totale comporta, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ – apparendo evidente che con la proposizione del ricorso ha determinato la causa di inammissibilita’ per colpa (Corte Cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenendo conto della rilevante entita’ di detta colpa – della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
4.4. L’esito del giudizio importa la condanna di (OMISSIS) alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile, (OMISSIS).
5. (OMISSIS) e’ stato condannato per usura aggravata dall’essere stata commessa in danno di imprenditore che versa in stato di bisogno e ai sensi della L. n. 203 del 1991, articolo 7, commessa in danno di: (OMISSIS), contestato al capo 2); (OMISSIS), contestato al capo 8) e nuovamente di (OMISSIS), contestato al capo 10).
Il suo ricorso e’ inammissibile perche’ aspecifico e perche’ propone questioni non consentite in sede di legittimita’.
5.1. Vale rilevare come l’unico motivo di impugnazione sia genericamente intitolato al vizio di motivazione (con riferimento all’articolo 192 c.p.p.) senza che sia tuttavia specificato se esso sia riferito alla mancanza, alla manifesta illogicita’ o alla contraddittorieta’, cosi’ sostanzialmente rimettendo al giudice della legittimita’ il compito di individuare a quale dei possibili casi di ricorso per cassazione sia eventualmente riconducibile la narrativa del motivo.
Una tale struttura espositiva non risponde al requisito di specifica enunciazione richiesto dall’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera d), che, con riguardo a un’impugnazione a critica vincolata qual e’ il giudizio di cassazione, ha il compito di esplicitare a quale dei casi di ricorso previsti dall’articolo 606 c.p.p., si riferiscano le doglianze esposte.
Peraltro le ragioni esposte nel motivo contengono solo censure di merito, in quanto ripropongono i medesimi temi valutativi contenuti nell’atto di appello, ossia -con riguardo al capo 2)- la credibilita’ di (OMISSIS) con riferimento alla sentenza della Corte di assise di Cosenza e l’assenza di riscontri alle sue dichiarazioni; con riguardo al capo 10, la validita’ probatoria delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) e raccolte ai sensi dell’articolo 391 bis c.p.p., Entrambi i temi sono stati puntualmente affrontati dalla Corte di appello con motivazione che non viene mai colpita da censure riconducibili ad alcuno dei vizi scrutinabili in sede di legittimita’.
Le osservazioni sviluppate in ordine al contenuto e alla valutazione delle dichiarazioni di (OMISSIS) e alle annotazioni contenute nel libro mastro di (OMISSIS), invero, costituiscono valutazioni di fatto, non consentite in sede di legittimita’.
Per il resto, si rimanda a quanto illustrato al § 3.1.1. (con riguardo al giudizio di credibilita’ di (OMISSIS)) e al § 2.4. (con riguardo alle dichiarazioni di (OMISSIS)) attesa la sostanziale sovrapponibilita’ dei temi.
In relazione alle dichiarazioni di (OMISSIS) si deve rilevare un’ulteriore ragione di inammissibilita’ del motivo, la’ dove denuncia il vizio di travisamento della prova.
Si deve, infatti, ribadire che “il vizio di travisamento della prova puo’ essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti”, (Sez. 2, Sentenza n. 5336 del 09/01/2018, L. Rv. 272018).
Nessuna di tali evenienze viene denunciata con il motivo in esame, con la sua conseguente inammissibilita’.
5.2. La declaratoria d’inammissibilita’ totale comporta, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ – apparendo evidente che con la proposizione del ricorso ha determinato la causa di inammissibilita’ per colpa (Corte Cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenendo conto della rilevante entita’ di detta colpa – della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
6. (OMISSIS) e’ stato condannato per usura aggravata dall’essere stata commessa in danno di imprenditore che versa in stato di bisogno e ai sensi del L. n. 203 del 1991, articolo 7, commessa in danno di (OMISSIS) (capo 1) e in danno di (OMISSIS), (capo 7).
Il suo ricorso e’ inammissibile in quanto privo di interesse e in quanto propone questioni non consentite in sede di legittimita’.
6.1. Il ricorrente ha correttamente rilevato che la sentenza impugnata negava le circostanze attenuanti generiche che, in realta’, erano gia’ state riconosciute nella sentenza di primo grado. La fondatezza di tale rilievo, tuttavia, non produce alcun effetto in favore dell’imputato.
Il fatto che la Corte di appello abbia fatto riferimento ai precedenti penali iscritti a carico dell’imputato per negare le circostanze di cui all’articolo 62-bis c.p., infatti, non ha sortito alcun effetto negativo riguardo al punto in questione, visto che tale motivazione non e’ stata seguita da alcun effetto in punto di trattamento sanzionatorio, rimasto identico a quello determinato dal G.i.p. del Tribunale di Catanzaro.
Da cio’ la mancanza di interesse con la doglianza in questione, la’ dove questo va identificato con l’aspirazione alla rimozione di un effetto sfavorevole.
6.2. Manifestamente infondate e generica e’ la doglianza relativa all’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, secondo cui la Corte di appello avrebbe completamente ignorato le dichiarazioni rilasciate da (OMISSIS) e quelle di (OMISSIS).
La, doglianza, invero e’ stata precipuamente affrontata dalla Corte territoriale, che l’ha superata richiamando le dichiarazioni delle persone offese. Si legge, infatti, nella sentenza impugnata: “La condotta del -diversamente da quanto si legge nel gravame- precisano che la concessione dei prestiti e’ accompagnata dall’avvertimento che il denaro proviene dalla criminalita’ organizzata e viene prelevato dalla “bacinella””.
Cio’ premesso, con riguardo alla denuncia di mancata considerazione del verbale di informazioni reso da (OMISSIS) e del verbale di interrogatorio reso dallo stesso imputato, occorre richiamare il principio di diritto gia’ sopra ricordato, in forza del quale “non e’ censurabile, in sede di legittimita’, la sentenza che non motivi espressamente su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando ne risulti il rigetto dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. (Rv. 275500, cit.).
Nel caso di specie, peraltro, la portata probatoria delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) ai sensi dell’articolo 391 bis c.p. e’ stato puntualmente affrontato dalla Corte di appello (per come visto esaminando i ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS)). Quanto al verbale dell’interrogatorio reso dall’imputato il 16.3.2013 e’ stato evidentemente ritenuto probatoriamente meno efficace delle dichiarazioni rese dalle persone offese.
6.3. La doglianza relativa al trattamento sanzionatorio si mostra aspecifica.
Il giudice di primo grado, invero, ha determinato la pena guardando agli elementi a favore dell’odierno ricorrente (decisivita’ delle sue dichiarazioni, dissociazione dal contesto criminoso, attiva collaborazione al fine di portare l’attivita’ delittuosa a ulteriore compimento), senza mai fare cenno ai precedenti penali.
A fronte di cio’ e in presenza di una pena rimasta immutata, il ricorrente non spiega quale effetto sfavorevole ha sortito nei suoi confronti il riferimento contenuto nella sentenza di appello ai precedenti penali dell’imputato e alle conseguenze favorevoli che produrrebbe in punto di determinazione della pena l’espunzione di tale punto della motivazione.
Tanto piu’ ove si consideri che la doglianza contenuta nell’atto di gravame in relazione al trattamento sanzionatorio era stata sollevata esclusivamente in riferimento alla possibilita’ di escludere l’aggravante dell’avere commesso l’usura in danno di un imprenditore in stato di bisogno.
Da cio’ discende che l’aspecificita’ del motivo.
6.4. La declaratoria d’inammissibilita’ totale comporta, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ – apparendo evidente che con la proposizione del ricorso ha determinato la causa di inammissibilita’ per colpa (Corte Cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenendo conto della rilevante entita’ di detta colpa – della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno a favore della Cassa delle Ammende. Condanna (OMISSIS) alla refusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile (OMISSIS), che liquida in complessive Euro 3.510,00 oltre spese generali al 15%, C.P.A. e IVA.
Si da’ atto che il presente provvedimento e’ sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, articolo 1, comma 1, lettera a).

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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