Nel corso dell’esecuzione di un rapporto di apertura di credito bancario

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|22 dicembre 2020| n. 29317.

Nel corso dell’esecuzione di un rapporto di apertura di credito bancario a tempo indeterminato, risulta legittimo l’esercizio del diritto di recesso ad nutum dell’istituto di credito purché anticipato dalla comunicazione al cliente di un congruo preavviso, posto che tale facoltà è espressamente prevista dall’articolo 1845, comma 3, del Cc e perché tale condotta negoziale della banca non contrasta con il principio generale di buona fede esecutiva di cui all’articolo 1375 del Cc, laddove si è in presenza di comportamenti inaffidabili del debitore, come nel caso di ripetuti e ingiustificati sconfinamenti.

Ordinanza|22 dicembre 2020| n. 29317

Data udienza 12 ottobre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Banche ed istituti di credito – Conto corrente – Revoca del conto ad nutum – Cliente inaffidabile – Congruo preavviso – Necessità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso n. 19177-2016 r.g. proposto da:
(OMISSIS), (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), presso il cui studio elettivamente domicilia in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SRL, (cod. fisc. (OMISSIS)) e per essa (OMISSIS) SPA, con sede in (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore Dott. (OMISSIS), rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), presso il cui studio e’ elettivamente domiciliata in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, depositata in data 8.1.2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/10/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

RILEVATO

CHE:
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Roma ha accolto l’appello principale proposto da (OMISSIS) S.P.A., quale cessionaria del credito da (OMISSIS) SPA (a sua volta incorporante per fusione (OMISSIS) spa) e, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Roma in data 6 maggio 2008, ha respinto l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da (OMISSIS) avverso il decreto ingiuntivo n. 9377/2002, emesso in data 8 luglio 2002 dal Tribunale capitolino e la domanda riconvenzionale proposta dal medesimo (OMISSIS).
Il (OMISSIS) aveva, infatti, convenuto innanzi al Tribunale di Roma la (OMISSIS) spa, deducendo l’illegittimita’ della revoca del contratto di apertura di credito, proponendo opposizione al menzionato decreto ingiuntivo e sostenendo che, a causa della revoca (erroneamente basata sulla dedotta mancanza di movimentazione del conto) aveva subito gravi pregiudizi di carattere lavorativo e di sostentamento personale. La causa in primo grado si era conclusa con l’accoglimento della domanda riconvenzionale del (OMISSIS), con conseguente condanna dell’istituto di credito al pagamento del risarcimento del danno e revoca del decreto ingiuntivo opposto.
La corte del merito ha ritenuto che: a) come denunciato dalla societa’ appellante, il giudice di prime cure non aveva in alcun modo motivato il provvedimento di revoca del decreto ingiuntivo opposto e che, comunque, la revoca dal contratto di apertura di credito bancario era stata esercitata legittimamente dalla banca, ai sensi dell’articolo 1845 c.c., comma 3, trattandosi di un contratto a tempo indeterminato per il quale occorreva solo il preavviso da parte dei contraenti per lo scioglimento del vincolo negoziale, preavviso correttamente azionato dall’istituto di credito nei confronti del correntista, tramite la nota del 31.5.2001 (ricevuta il 4 giugno 2001), con la quale era stato assegnato al (OMISSIS) termine di dieci giorni per ripianare l’esposizione debitoria; b) il diritto di recesso era stato, pertanto, legittimamente esercitato con la nota del 17 luglio 2001, ricevuta dal (OMISSIS) il 20 agosto 2001; c) non era condivisibile neanche la motivazione del giudice di prime cure secondo cui la condotta negoziale della banca si sarebbe concretizzata in comportamenti contrari alla buona fede e alla solidarieta’ contrattuale, posto che la disposizione contenuta nell’articolo 6, lettera e, del contratto inter partes del 10 maggio 1991 – secondo cui “l’eventuale scoperto consentito oltre il limite dell’apertura di credito non comporta l’aumento di tale limite” – doveva essere interpretata nel senso che lo sconfinamento (anche ripetuto) non poteva assurgere a dimostrazione dell’intervenuto ampliamento del limite dell’apertura di credito, ma, al contrario, doveva essere inteso come manifestazione di un comportamento di mera tolleranza da parte della banca; d) nessun comportamento inadempiente era rintracciabile nella condotta negoziale della banca, che, pertanto, non era tenuta a corrispondere alcun risarcimento in favore del correntista, assorbendo tale pronunciamento ogni ulteriore doglianza della banca, in ordine alla quantificazione del danno ed anche in relazione all’ulteriore motivo dell’appello incidentale, volto ad ottenere la condanna dell’istituto di credito al pagamento del risarcimento del danno non patrimoniale; e) era fondata l’ulteriore censura della banca appellante in relazione all’immotivata revoca del decreto ingiunto opposto, nonostante il debitore opponente si fosse limitato a contestare il comportamento della banca nella gestione del conto e del contratto di apertura di credito, senza mai contestare il debito oggetto del provvedimento monitorio; f) le ulteriore censure – sollevate dal (OMISSIS) nell’appello incidentale ed incentrate sulla contestazione applicazione dell’anatocismo e della mancata prova del credito – dovevano considerarsi inammissibili, in quanto nuove e dunque proposte in violazione del precetto di cui all’articolo 345 c.p.c.; g) il potere di sollevare officiosamente da parte del giudice nullita’ contrattuali doveva essere contenuto nel rispetto del principio della domanda di cui agli articoli 99 e 112 c.p.c. e dunque non poteva pretendersi che, nel caso in esame, la corte di appello accertasse la nullita’ delle clausole anatocistiche, in assenza di una contestazione del debitore riferita alla esattezza della quantificazione del credito da parte dell’istituto di credito. 2. La sentenza, pubblicata il 8.1.2016, e’ stata impugnata da (OMISSIS) con ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, cui la (OMISSIS) SRL (e per essa (OMISSIS) SPA) ha resistito con controricorso.
La controricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO

CHE:
1.Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto sulla domanda di improcedibilita’ dell’appello per inesistenza della notifica effettuata al difensore nominato nel solo primo grado di giudizio, nonche’ omessa motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
2. Il secondo mezzo denuncia nullita’ della sentenza per omesso rilievo (anche officioso) del difetto di rappresentanza processuale di (OMISSIS), in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.
3. Con il terzo motivo il ricorrente articola, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in tema di recesso dal contratto di apertura di credito.
4. Il quarto motivo deduce la nullita’ della sentenza impugnata per infondatezza della motivazione, nonche’ per contrasto con la giurisprudenza citata nella motivazione stessa, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.
5. Il quinto mezzo deduce nullita’ della sentenza impugnata per vizio di ultrapetizione ex articolo 112 c.p.c., in ordine all’inammissibilita’ dell’appello rilevabile d’ufficio in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 ed omessa motivazione sul medesimo punto, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e violazione dell’articolo 345 c.p.c..
6. Con il sesto motivo si deduce violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in tema di clausole vessatorie, nonche’ in punto di contratti con i consumatori ed omessa motivazione su quest’ultimo punto; nonche’ errata percezione delle emergenze processuali in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sulla natura dell’attivita’ economica di geometra svolta dal ricorrente e sulle risultanze del contratto di conto corrente.
7. Il settimo motivo articola vizio di omessa pronuncia ovvero di violazione di legge processuale anche in tema di rilevabilita’ d’ufficio delle questioni riguardanti la domanda di restituzione degli interessi ultralegali formulata nell’appello incidentale.
8. Il ricorso e’ infondato.
8.1 II primo motivo di censura e’ inammissibile.
8.1.1 Sul punto, non puo’ essere dimenticato che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, anche la’ dove il ricorrente censuri la violazione o falsa applicazione di norme processuali, quest’ultimo ha l’obbligo di specificare, ai fini del rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operativita’ della violazione (v. anche Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9888 del 13/05/2016).
8.1.2 Cio’ detto, va subito evidenziato come la doglianza si presenti del tutto generica, senza alcuna indicazione degli atti di cui si assume la nullita’ processuale e della loro collocazione nell’incarto processuale, rendendo cosi’ la censura non autosufficiente e dunque irricevibile.
8.2 II secondo motivo e’ invece infondato.
Occorre evidenziare come la (OMISSIS) abbia rilasciato in data 26 maggio 2008 procura notarile a (OMISSIS) Spa per la gestione dei propri crediti, compresa la facolta’ di promuovere e resistere in giudizio, come poi verificatosi concretamente nel caso di specie ove (OMISSIS) spa, in persona del Dott. (OMISSIS), ha conferito all’Avv. (OMISSIS) il mandato ad litem.
8.3 Il terzo mezzo e’ anch’esso infondato.
8.3.1 In realta’, la parte ricorrente richiede alla Corte di verificare se il comportamento negoziale della banca nella revoca del contratto di contratto di apertura di credito sia improntato ai canoni della buona fede contrattuale.
8.3.2 Sul punto, non puo’ essere dimenticato che i giudizi di valore compiuti ai fini della qualificazione di un comportamento ai sensi di norme “elastiche”, che indichino solo parametri generali, presuppongono da parte del giudice un’attivita’ di integrazione giuridica della norma, a cui viene data concretezza ai fini del suo adeguamento ad un determinato contesto storico-sociale.
Ne consegue la censurabilita’ in cassazione di tali giudizi quando gli stessi si pongano in contrasto con i principi dell’ordinamento (espressi dalla giurisdizione di legittimita’) e con quegli “standard” valutativi esistenti nella realta’ sociale che, concorrendo con detti principi, compongono il diritto vivente. In tale quadro, e’ stato ritenuto, dunque, che ricorra il vizio di falsa applicazione di legge, denunciabile in cassazione, nel caso ad esempio, in cui il giudice di merito – nel valutare la diligenza del debitore della prestazione lavorativa – disattenda il principio che impone la valutazione della concreta incidenza dell’inadempimento sulla funzionalita’ del rapporto, parametrato al diffuso standard valutativo, come tale sorretto dai principi costituzionali e dagli altri principi dell’ordinamento positivo (cfr. anche, Cass. Sez. L, Sentenza n. 3645 del 13/04/1999).
Occorre infatti ribadire che dove la fattispecie concreta sia idonea a fungere da modello generale di comportamento in una serie indeterminata di casi analoghi, la’ si ravvisa allora un giudizio di diritto e la necessita’ dell’intervento nomofilattico della Cassazione, al fine di garantire la prevedibilita’ delle future decisioni, posto che si tratta d’integrare il contenuto della norma indeterminata o della clausola generale predetta (cosi’, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 22950 del 10/11/2015; cfr. anche Sez. 2, Sentenza n. 8047 del 21/03/2019).
Poiche’, dunque, le c.d. norme elastiche si caratterizzano per il fatto che il loro precetto si completa con riferimento alla realta’ sociale ed economica, in quanto il legislatore, attesa la natura degli interessi regolati, ha dovuto far riferimento a parametri non rigidi, ne deriva che tali disposizioni esigono che la propria specificazione sia delegata ad un fattore esterno (“la coscienza generale mediata dall’interpretazione” per Cass. 3 agosto 2001, n. 10750 e 21 novembre 2000, n. 15004).
In tal modo, dalla consolidata lettura del modulo generico emergono alcuni principi che la stessa disposizione tacitamente richiama, finendo per conferire loro la funzione di fonte integrativa, e divenendo il giudizio, dunque, di diritto (cosi’, Cass., Sez. 1, n. 22950/2015).
Va peraltro ricordato che anche le Sezioni unite (sent. 22 febbraio 2012, n. 2572), nel valutare la formula di cui all’articolo 92 c.p.c., comma 2, sulla compensazione delle spese di lite, hanno ribadito che, di fronte a norma “elastica”, il giudice di merito e’ chiamato ad integrarne il contenuto: attivita’ di precisazione e integrazione censurabile in sede di legittimita’, al pari di ogni giudizio fondato su norme giuridiche, atteso che, nell’esprimere il giudizio di valore necessario ad integrare il parametro generale contenuto nella norma elastica, il giudice compie un’attivita’ di interpretazione e non meramente fattuale.
Cio’ posto, ritiene il Collegio come la doglianza formulata dal ricorrente non sia, tuttavia, fondata.
8.3.3 In termini ancora generali, va comunque sempre ricordato che, secondo la costante giurisprudenza espressa da questa Corte in subiecta materia, il solo ritardo nell’esercizio del diritto, per quanto imputabile al titolare del diritto stesso tale da far ragionevolmente ritenere al debitore che il diritto non sara’ piu’ esercitato, non puo’ costituire motivo per negare la tutela giudiziaria dello stesso, salvo che tale ritardo sia la conseguenza fattuale di un’inequivoca rinuncia tacita o modifica della disciplina contrattuale, per cui, in difetto di deduzione e prova di tali evenienze, e’ legittima la revoca dell’affidamento intimata dalla banca pur dopo avere a lungo tollerato gli sconfinamenti dai relativi limiti da parte del correntista (Sez. 1, Sentenza n. 23382 del 15/10/2013).
E’ stato altresi’ precisato sempre dalla giurisprudenza di questa Corte che, verbatim, “Il recesso di una banca da un rapporto di apertura di credito in cui non sia stato superato il limite dell’affidamento concesso, benche’ pattiziamente previsto anche in difetto di giusta causa, deve considerarsi illegittimo, in ragione di un’interpretazione del contratto secondo buona fede, ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari, contrastando, cioe’, con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all’assoluta normalita’ commerciale di quelli in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e non sia, dunque, pronto alla restituzione, in qualsiasi momento, delle somme utilizzate. Il debitore il quale agisce per far dichiarare l’arbitrarieta’ del recesso ha l’onere di allegare l’irragionevolezza delle giustificazioni date dalla banca, dimostrando la sufficienza della propria garanzia patrimoniale cosi’ come risultante a seguito degli atti di disposizione compiuti” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17291 del 24/08/2016). In punto di ripartizione degli oneri probatori, e’ stato anche precisato che il recesso dal contratto di apertura di credito costituisce una facolta’ riconosciuta dall’articolo 1845 c.c., sicche’ risulta adeguatamente motivato anche attraverso il mero richiamo a quella norma; e’ invece la parte che assume l’illegittimita’ del recesso (ad esempio per arbitrarieta’ e contrarieta’ al principio di buona fede) che ha l’onere di enunciarne le ragioni e di fornire la relativa prova nel caso concreto (Sez. 1, Sentenza n. 6186 del 07/03/2008).
8.3.3.1 Cio’ detto, osserva la Corte che – anche a voler superare gli evidenti profili di genericita’ della censura articolata dal ricorrente nel terzo motivo e ribadita ancora una volta comunque l’ammissibilita’ della censura, se confrontata con la “norma elastica” della buona fede – le doglianze denunziate dal ricorrente, nei termini di violazione di legge ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, risultano comunque infondate, posto che il comportamento negoziale adottato dalla banca, per un verso, e’ conforme al dettato normativo di cui all’articolo 1845 c.c., comma 3, (il cui precetto consente, nel rapporto negoziale di contratto di apertura di credito a tempo indeterminato, il recesso ad nutum da parte dei contraenti, salvo il preavviso) e, per altro verso, non puo’ neanche ritenersi contrario a buona fede esecutiva ex articolo 1375 e 1175 c.c.. Ed invero, sotto quest’ultimo profilo va evidenziato come risulta circostanza neanche contestata e peraltro documentalmente provata quella secondo cui il correntista aveva ripetutamente superato il limite del fido concesso dalla banca con il contratto di apertura di credito, sino alla diffida della banca di rientrare dallo scoperto con un termine di adempimento concesso congruamente in dieci giorni.
8.3.1.2 Nel motivo di censura non sono state contestate, se non genericamente, le seguenti circostanze fattuali: a) in data 31.5.2001 era stata comunicata dalla banca la nota (ricevuta il 4 giugno 2001), con la quale era stato assegnato al (OMISSIS) termine di dieci giorni per ripianare la sua esposizione debitoria; b) il diritto di recesso era stato dunque esercitato con la successiva nota del 17 luglio 2001, ricevuta dal (OMISSIS) il 20 agosto 2001; c) la disposizione contenuta nell’articolo 6, lettera e del contratto inter partes del 10 maggio 1991 – statuiva altresi’ che “l’eventuale scoperto consentito oltre il limite dell’apertura di credito non comporta l’aumento di tale limite”.
Ne consegue che, nel corso dell’esecuzione di un rapporto di apertura di credito bancario a tempo indeterminato, risulta legittimo l’esercizio del diritto di recesso ad nutum dell’istituto di credito purche’ anticipato dalla comunicazione al cliente di un congruo preavviso, posto che tale facolta’ e’ espressamente prevista dall’articolo 1845 c.c., comma 3, e perche’ tale condotta negoziale della banca non entra neanche in conflitto con il principio generale di buona fede esecutiva di cui all’articolo 1375 c.c., allorquando si sia in presenza di comportamenti inaffidabili del debitore che, come nel caso di specie, ha ripetutamente ed in modo ingiustificato superato il limite di affidamento concesso dalla banca. Ne’, in tal caso, la condotta omissiva della banca puo’ essere intesa come autorizzazione ad un innalzamento del limite dell’apertura di credito, dovendo essere invece ricondotta ad un atteggiamento di mera tolleranza, in attesa del corretto adempimento da parte del correntista dell’obbligo di rientrare dall’esposizione debitoria non autorizzata.
Ne consegue il rigetto della terza doglianza.
8.4 Il quarto motivo e’ invece inammissibile.
8.4.1 Si prospetta, in primis, un vizio di ultrapetizione della sentenza ai sensi dell’articolo 112 c.p.c., censura, poi, non argomentata nel corso dell’esposizione del motivo, cosi’ rendendo la doglianza non ricevibile per genericita’.
8.4.2 Per il resto, la censura si compone di inammissibili richieste di rivalutazione delle prove acquisite in giudizio per rinnovare una valutazione dei fatti volta ad un diverso approdo interpretativo delle questioni dedotte in relazione alle condotte negoziali delle parti, con cio’ attingendo profili di valutazione che sono, invece, inibiti al giudice di legittimita’.
8.4.3 Nessun dubbio puo’ invece residuare in relazione alla forma scritta nell’esercizio del diritto di recesso della banca dal contratto di apertura di credito (cfr. quanto precisato nel § 8.3.1.2).
8.5 Il quinto mezzo e’ invece inammissibile in quanto genericamente formulato. Invero, il ricorrente non spiega in alcun modo quale fosse il profilo di genericita’ del gravame determinante l’inammissibilita’ della relativa impugnazione.
8.6 Il sesto e settimo motivo sono infondati poiche’ non corrisponde al vero che la Corte di appello non si sia pronunciata sulle questioni elencate nei predetti motivi, avendo piu’ semplicemente precisato che si trattava di questioni (quelle proposte nell’appello incidentale) da ritenersi assorbite dall’accoglimento dell’appello principale e perche’ correttamente la corte distrettuale ha evidenziato che il rilievo officioso delle questioni dedotte tardivamente in sede di appello incidentale, in relazione ai profili di nullita’ contrattuale ex articolo 1382 c.c., era precluso dal principio della domanda e dalla delimitazione del thema decidendum rispetto a questioni estranee alle dedotte nullita’ contrattuali, e cioe’ al profilo della correttezza negoziale dell’istituto di credito nella gestione del contratto di apertura di credito. Le spese di giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della contro ricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 5.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito della L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17 da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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