Nel caso di pagamento di assegno di traenza non trasferibile

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|12 febbraio 2021| n. 3649.

Nel caso di pagamento di assegno di traenza non trasferibile in favore di soggetto non legittimato, va esclusa la responsabilità della banca negoziatrice che abbia dimostrato di aver identificato il prenditore del titolo mediante il controllo del documento di identità non scaduto e privo di segni o altri indizi di falsità, in quanto la normativa vigente, ed in particolare la normativa antiriciclaggio ex art. 19, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 231 del 2007 stabilisce modalità tipiche con cui gli istituti di credito devono identificare la clientela e non prevede il ricorso ad ogni possibile mezzo, né alcuna indagine presso il Comune di nascita.

Ordinanza|12 febbraio 2021| n. 3649

Data udienza 10 dicembre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Assegni – Negoziazione – Pagamento assegno di traenza non trasferibile – Portatore – Identificazione – Criteri di valutazione della diligenza – Fonti – Responsabilità – Art. 43, L. Assegni – Colpa

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere

Dott. MARULLI Marco – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 7674/2016 proposto da:
(OMISSIS) S.p.a., gia’ denominata (OMISSIS) S.p.a., incorporante (OMISSIS) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 3639/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 22/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/12/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

FATTI DI CAUSA

il Tribunale di Milano, con sentenza n. 7161/2014, ha rigettato la domanda di (OMISSIS), poi divenuta (OMISSIS) s.p.a., diretta ad ottenere la condanna di (OMISSIS) s.p.a. al risarcimento dei danni pari all’importo di Euro 5.683,95, per avere quest’ultima negoziato presso un proprio sportello un assegno di traenza non trasferibile dell’importo di Euro 5.100,00 (emesso dalle (OMISSIS) su mandato della stessa compagnia assicurativa nell’ambito della sua attivita’ di liquidazione di polizze e pagamento importi a titolo di risarcimento del danno) ed intestato a (OMISSIS), pagandolo a soggetto diverso dal legittimo prenditore, il quale aveva chiesto ed ottenuto l’apertura di un libretto postale sul quale aveva versato il titolo per cui e’ causa.
Il giudice di primo grado ha argomentato il rigetto della domanda ritenendo che (OMISSIS) s.p.a. avesse documentalmente dimostrato di aver consentito l’incasso dell’assegno a soggetto “diligentemente identificato con documento avente specifico valore legale quale la carta d’identita’ e confermato da altro documento (tesserino attributivo di codice fiscale) riportante identiche generalita’”, con conseguente insussistenza di specifici indizi di allarme che potessero (e dovessero) indurre il dipendente a sospettare della concreta identita’ del soggetto nei confronti del quale era intervenuta la negoziazione.
Con sentenza n. 3639/2015 la Corte d’Appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla (OMISSIS) s.p.a., ha condannato (OMISSIS) s.p.a. al pagamento a favore dell’appellante della somma di Euro 2.650,00 oltre accessori di legge, pari alla meta’ del importo dell’assegno abusivamente incassato.
Il giudice di secondo grado ha accertato la responsabilita’ di (OMISSIS) s.p.a. ritenendo, in primis, che, secondo la disciplina dell’articolo 43 Legge Assegni, la banca non e’ liberata dall’originaria obbligazione per il solo fatto di aver pagato il titolo a soggetto diverso dall’effettivo beneficiario, e cio’ a prescindere dalla sussistenza dell’elemento della colpa nell’errore sulla identificazione dello stesso prenditore, trattandosi di obbligazione ex lege. In ogni caso, il giudice d’appello ha ritenuto comunque sussistente il profilo della colpa, non risultando che (OMISSIS) avesse dato adeguata prova liberatoria.
La Corte d’Appello ha, peraltro, accertato il concorso di colpa della compagnia assicurativa, nella misura del 50%, per avere provveduto alla spedizione del titolo in via ordinaria anziche’ per assicurata.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione principale la (OMISSIS) s.p.a. affidandolo a due motivi.
(OMISSIS) s.p.a., si e’ costituita in giudizio con controricorso, proponendo altresi’ ricorso incidentale affidandolo a tre motivi.
La ricorrente incidentale ha depositato la memoria ex articolo 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso principale (OMISSIS) s.p.a. ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli articoli 1177 e 1227 c.c., articoli 40 e 41 c.p., articoli 115, 116 c.p.c. e articolo 132 c.p.c., comma, Decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973, articoli 83 e 84.
Lamenta la ricorrente che la spedizione del titolo non ha incidenza causale sul suo successivo incasso del medesimo, dovendo l’istituto di credito provvedere alla corretta identificazione del beneficiario, ed e’ proprio l’errata individuazione del prenditore a determinare l’abusivo incasso e la corrispondente responsabilita’ ex articolo 43 Legge Assegni.
2. Il motivo e’ infondato.
Va osservato che, recentemente, le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 9769/2020, hanno statuito che: “La spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorche’ munito di clausola d’intrasferibilita’, costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giustificare l’affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalita’ di trasmissione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l’esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gl’interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, e configurandosi dunque come un antecedente necessario dell’evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell’identificazione del presentatore”.
Questo Collegio non puo’ che condividere tale statuizione e riportarsi integralmente alla sua motivazione.
3. Con il secondo motivo la compagnia assicurativa ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’articolo 92 c.p.c. e gli articoli 3, 4, e 5 c.p.c..
Lamenta la ricorrente principale che la compensazione integrale delle spese di lite, disposta dal giudice d’appello, non trova una giustificazione, non rientrando la fattispecie in esame tra i casi di soccombenza reciproca (non sussistendo due domande contrapposte), ne’ di mutamento della giurisprudenza o novita’ della questione.
4. Il motivo e’ inammissibile.
Va osservato che e’ orientamento costante di questa Corte che, con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione e’ limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunita’ di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass. n. 19613 del 04/08/2017).
Nel caso di specie, la compagnia assicurativa non e’ risultata totalmente vittoriosa nel giudizio d’appello, con conseguente insindacabilita’ della statuizione del giudice di secondo grado.
5. Con il primo motivo del ricorso incidentale e’ stata dedotta la violazione del Regio Decreto n. 1736 del 1933, articolo 43, comma 2, articolo 1189 c.c., articolo 1192 c.c., comma 2, articoli 1218, 1176 e 2697 c.c., articoli 115 e 116 c.p.c..
Espone la ricorrente che, anche alla luce della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 14712/2007, che ha riconosciuto la natura contrattuale della responsabilita’ ex articolo 43 Legge Assegni, non puo’ configurarsi a carico della banca una responsabilita’ oggettiva per l’incasso dell’assegno da parte di soggetto diverso dall’effettivo beneficiario. Dovendosi quindi valutare il profilo della colpa, nel caso di specie, nessuna responsabilita’ e’ configurabile a carico della banca, avendo la stessa provveduto alla diligente identificazione del prenditore del titolo ed al pagamento dello stesso a colui che appariva il legittimo prenditore.
In proposito, evidenzia la ricorrente incidentale che la carta d’identita’ (cui sono equiparati altri documenti, tra cui la patente di guida) costituisce nel nostro ordinamento il fondamentale strumento di identificazione personale, come si evince dal Regio Decreto n. 773 del 1931, articoli 3 e 4 e segg., Decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, articolo 1, lettera c) e d), Regio Decreto n. 635 del 1940, articolo 292. Ritenere che l’istituto bancario sia tenuto al compimento di attivita’ ulteriori non previste dalla legge vuoi dire applicare arbitrariamente, in concreto, una regola nuova diversa da quella codificata dal legislatore.
Nel caso di specie, la ricorrente incidentale evidenzia di aver identificato il prenditore del titolo in conformita’ alle norme vigenti sopra enunciate ed alla normativa antiriciclaggio ex Decreto Legislativo n. 231 del 2007, la quale stabilisce le modalita’ tipiche con cui gli istituti di credito devono identificare la clientela e non prevede il ricorso “ad ogni possibile mezzo”, ne’ alcuna indagine presso il Comune di nascita.
(OMISSIS) hanno dunque dimostrato di aver diligentemente svolto il controllo sulla regolarita’ formale del titolo e dell’identita’ del prenditore dell’assegno per cui e’ causa (sul quale era indicato soltanto il nome e cognome senza l’indicazione di altri dati anagrafici), essendo l’identificazione avvenuta tramite documento di identita’ che non risultava contraffatto, smarrito od oggetto di furto.
L’assegno non era stato direttamente pagato al momento della presentazione alle (OMISSIS), ma era stato versato su un libretto di risparmio postale ed era stato accreditato e reso disponibile solo dopo l’autorizzazione al pagamento da parte della (OMISSIS), istituto che avrebbe dovuto effettuare i necessari accertamenti a seguito della presentazione del titolo in originale presso la stanza di compensazione.
6. Il motivo e’ fondato.
Va preliminarmente osservato che le Sezioni Unite di questa Corte, nella sentenza n. 12477 del 21.5.2018, hanno enunciato il principio di diritto secondo cui la natura contrattuale della responsabilita’ della banca ex articolo 43 Legge Assegni (gia’ affermata dalle S.U. nella sentenza n. 14712 del 2007) renda non piu’ sostenibile la tesi secondo cui la banca debba rispondere comunque, anche a prescindere dalla sussistenza dell’elemento della colpa nell’errore sulla identificazione del prenditore, essendo l’istituto ammesso a provare che l’inadempimento non gli e’ imputabile, per avere assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’articolo 1176 c.c., comma 2 (pur configurandosi la responsabilita’ ex articolo 43, comma 2 Legge citata, in ragione della qualita’ di operatore professionale dell’istituto di credito, ai sensi dell’articolo 1176 c.c., comma 2, anche in caso di colpa lieve).
E’ quindi erronea l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui la banca sarebbe in ogni caso responsabile ex articolo 43 Legge Assegni, e cio’ a prescindere dall’elemento della colpa nell’identificazione del prenditore che ha incassato abusivamente il titolo.
Non e’ neppure immune da censure la motivazione alternativa con cui il giudice di secondo grado ha comunque ritenuto sussistente il profilo della colpa, sul rilievo che la prova fornita dall’istituto di credito – consistita nell’aver documentato di aver identificato il prenditore del titolo previa esibizione della carta di identita’ e del tesserino attributivo del codice fiscale (secondo quanto ricostruito dal giudice di primo grado e non messo in discussione nel grado d’appello) – non sarebbe stata idonea alla liberazione del debitore.
In proposito, va osservato che questa Corte ha gia’ affermato nella sentenza n. 34107/2019, che avuto riguardo alla natura di clausola generale dell’articolo 1176 c.c., comma 2, il giudizio di diligenza professionale, riferito alla banca negoziatrice di un assegno di traenza, compiuto dal giudice di merito per integrare il parametro generale contenuto nella predetta “norma elastica”, costituisce une vera e propria attivita’ di interpretazione della norma – e non meramente fattuale, limitandosi tale profilo alla ricostruzione del fatto – dando concretezza a quella “parte mobile” della stessa che il legislatore ha voluto tale per adeguarla ad un determinato contesto storico-sociale, ovvero a determinate situazioni non esattamente ed efficacemente specificabili a priori (cfr. Cass. n. 8047/2019). Proprio perche’ si tratta di giudizio di diritto, tale valutazione e’ censurabile in sede di legittimita’, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, quando si ponga in contrasto con i principi dell’ordinamento e con quegli standard valutativi esistenti nella realta’ sociale che concorrono con detti principi a comporre il diritto vivente” (cfr. anche, Cass. 3645/99), sempre che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto a quegli standard, conformi ai valori dell’ordinamento (cfr. anche, Cass. 5095/2011).
Nel caso di specie, non vi e’ dubbio che la contestazione con cui la banca ha censurato il contrasto dell’interpretazione della Corte d’Appello (riguardo alla diligenza richiesta, ex articolo 1176 c.c., comma 2, nella identificazione del prenditore di assegno di traenza) con le norme del nostro ordinamento, e, segnatamente, con la legislazione speciale (che ha provveduto ad indicare) sia sufficientemente specifica.
In particolare, la ricorrente incidentale ha evidenziato che – a differenza di quanto ritenuto dal giudice di secondo grado, che ne ha ritenuta l’inidoneita’ – la carta d’identita’ costituisce nel nostro ordinamento il fondamentale strumento di identificazione personale (come si evince dal Regio Decreto n. 773 del 1931, articoli 3 e 4 e segg., Decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, articolo 1, lettera c) e d), Regio Decreto n. 635 del 1940, articolo 292). Pertanto, contrariamente a quanto statuito dal giudice d’appello, l’istituto bancario non e’ tenuto, nella identificazione del portatore del titolo, al compimento di attivita’ ulteriori non previste dalla legge, come si evince anche dalla normativa antiriciclaggio ex Decreto Legislativo n. 231 del 2007, la quale stabilisce le modalita’ tipiche con cui gli istituti di credito devono identificare la clientela e non prevede il ricorso “ad ogni possibile mezzo”, ne’ alcuna indagine presso il Comune di nascita.
Questo Collegio condivide l’impostazione della banca.
Va premesso che questa Corte, nella citata sentenza n. 34107/2019, ha gia’ rilevato che l’attivita’ di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento d’identita’ personale (carta d’identita’, passaporto ovvero patente di guida), sia nell’ambito delle attivita’ aventi rilevanza pubblicistica (come l’attivita’ di identificazione svolta dagli organi di polizia giudiziaria), sia nell’ambito dell’attivita’ negoziale tra privati (come le attivita’ collegate a scambi commerciali, ovvero quelle, piu’ in generale, di natura contrattuale che presuppongano la corretta identificazione dei soggetti contraenti). Ne consegue che una regola di condotta, che imponga prudenzialmente ulteriori accertamenti, non e’ rintracciabile neanche negli standard valutativi di matrice sociale ovvero ricavabili all’interno dell’ordinamento positivo.
Deve, altresi’, osservarsi che proprio nei rapporti tra intermediari e clientela – e non vi e’ dubbio che quello in esame rientri proprio in questa tipologia, essendo pacifico in causa che l’abusivo prenditore del titolo, prima di provvedere al suo incasso, aveva aperto un libretto di risparmio postale su cui poi aveva versato l’assegno – del Decreto Legislativo n. 231 del 2007, articolo 19 (c.d. legge antiriciclaggio), avente ad oggetto le modalita’ di adempimento degli obblighi di adeguata verifica della clientela, prevede, al comma 1 lett a), che l’identificazione e la verifica della clientela debba essere svolta, in presenza del cliente, con il semplice controllo del documento di identita’ non scaduto prima della instaurazione del rapporto continuativo. E’ imposto, invece, alla lettera b), che l’identificazione e verifica dell’identita’ del cliente avvenga mediante l’adozione di misure adeguate e commisurate di rischio, anche attraverso il ricorso a pubblici registri, elenchi, etc., solo se la clientela sia costituita da persone giuridiche, trust o soggetti analoghi, al fine di individuare i soggetti dotati di poteri rappresentativi.
Dunque, anche la legge antiriciclaggio, che si occupa della disciplina dei rapporti degli istituti di credito con i clienti, non ha stabilito modalita’ piu’ rigorose nella identificazione dei correntisti.
Ne consegue che l’impostazione della Corte d’Appello di non ritenere in nessun modo liberatoria la prova dell’avvenuta identificazione con documento di identita’ si pone in contrasto con i principi dell’ordinamento e con gli standard valutativi esistenti nella realta’ sociale.
Va, infine, comunque precisato che la carta d’identita’ (cosi’ come il passaporto, la patente o altro documento valido di identificazione) costituisce uno strumento sufficiente per una diligenza identificazione purche’ non siano rilevabili sul documento segni o altri indizi di falsita’. Atteso che tale profilo non e’ stato affrontato dalla Corte d’Appello, deve cassarsi la sentenza impugnata con rinvio affinche’ venga esaminato anche tale aspetto.
7. Con il secondo motivo di ricorso incidentale e’ stata dedotta la violazione e falsa applicazione del Regio Decreto 21 dicembre 1933, n. 1736, articolo 43, articoli 1227 e 1175 c.c., Decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973, articoli 83/84, Decreto Ministeriale 26 febbraio 2004 e dell’articolo 111 Cost..
Lamenta la ricorrente che le modalita’ di invio del titolo da parte della compagnia assicurativa hanno costituito causa determinante dell’evento dannoso, con la conseguenza che deve applicarsi l’articolo 1227 c.c., comma 2, secondo il risarcimento non e’ dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.
8. Con il terzo motivo e’ stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., e articolo 111 Cost..
Si lamenta la compensazione integrale delle spese di lite di entrambi i gradi nel giudizio nonostante che la sentenza impugnata abbia ritenuto che la condotta posta in essere dalla compagnia assicurativa costituisca un antecedente rilevante del danno.
9. Entrambi i motivi sono assorbiti per effetto dell’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale.
Da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
Accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimita’.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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