Nel caso di omesso versamento solo parziale della somma dovuta nel termine non opera la causa di non punibilità

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 3 settembre 2018, n. 39415.

La massima estrapolata:

Nel caso di omesso versamento solo parziale della somma dovuta nel termine non opera la causa di non punibilità. Il pagamento parziale, a seguito del quale residui un debito contributivo inferiore alla soglia di 10 mila euro annui, non determina alcuna conseguenza riguardo alla sussistenza del reato, restano, infatti, applicabili le sanzioni penali stabilite dalla legge e non anche quella amministrativa pecuniaria fissata per l’omesso versamento di importi inferiore alla soglia di punibilità.

Sentenza 3 settembre 2018, n. 39415.

Data udienza 12 giugno 2018.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente

Dott. RAMACCI Luc – Rel. Consigliere

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere

Dott. GAI Emanuela – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessand – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 16/11/2017 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di BOLZANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Ramacci Luca;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa Filippi Paola che conclude per l’inammissibilita’;
udito il difensore.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Trento – Sezione distaccata di Bolzano, con sentenza del 16 novembre 2017 ha confermato la decisione con la quale, il 6 ottobre 2016, il Tribunale di Bolzano aveva affermato la responsabilita’ penale di (OMISSIS) per il reato di cui alla L. n. 638 del 1983, articolo 2, commi 1 e 1-bis perche’, quale amministratore dell’omonima societa’, aveva omesso il versamento all’INPS delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti per un importo complessivo di Euro 12.226,52 in relazione all’anno (OMISSIS).
Il Tribunale aveva assolto l’imputato per le condotte relative agli anni (OMISSIS) e (OMISSIS) perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato, non essendo stata superata la soglia di Euro 10.000,00 annui.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p..
2. Con il primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, osservando che la Corte territoriale avrebbe implicitamente ritenuto che le diffide dell’INPS ad effettuare i versamenti omessi non sarebbero state mai da lui ricevute.
Precisa che le diffide erano state inviate ad un indirizzo presso il quale egli non era piu’ residente, come dimostrato dagli avvisi di ricevimento testualmente riprodotti in ricorso.
Aggiunge che, potendo il termine di tre mesi decorrere anche dalla notifica di atti giudiziari, egli avrebbe comunque provveduto ad un pagamento parziale, pari ad Euro 2999,99, relativo alla annualita’ (OMISSIS), sulla base di una cartella INPS a lui recapitata dopo la modifica dell’imputazione disposta in udienza dal Pubblico Ministero e la notificazione del provvedimento.
Osserva, conseguentemente, che alla luce di quanto disposto dal Decreto Legislativo n. 8 del 2016, articolo 3, comma 6 se il datore di lavoro paga per intero le ritenute, non e’ punibile ne’ assoggettabile a sanzione amministrativa. Se, al contrario, l’importo dovuto a seguito di pagamento parziale e’ sotto Euro 10.000,00, egli non e’ punibile penalmente ma assoggettabile esclusivamente alla sanzione amministrativa prevista dalla norma.
Tale lettura della disposizione richiamata sarebbe confermata da quanto disposto dalla L. n. 638 del 1983, articolo 2, comma 2.
Rileva, pertanto, che il pagamento parziale o tardivo, il quale determina un “sotto-soglia”, consentirebbe di pretendere il pagamento di somme aggiuntive e delle sanzioni amministrative ma non comporterebbe piu’ l’applicazione delle sanzioni penali, stante, appunto, il mancato superamento della soglia stabilita dalla legge.
3. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge in relazione alla mancata applicazione della causa di non punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto di cui all’articolo 131-bis c.p., rilevando che la Corte territoriale avrebbe erroneamente escluso la sussistenza dei presupposti di applicabilita’ di tale disposizione codicistica.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato.
2. Occorre preliminarmente osservare, anche alla luce di quanto riportato in ricorso riguardo alle comunicazioni contenenti le diffide dell’INPS al versamento dei contributi, che le stesse risultano comunque regolarmente recapitate.
Secondo quanto recentemente ribadito anche dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 10424 del 18/1/2018, Del Fabro, Rv. 272163), in una precedente pronuncia (Sez. U, n. 1855 del 24/11/2011, dep. 2012, Sodde, Rv. 251268) era stato richiamato il principio, ripetutamente affermato (Sez. 3, n. 30566 del 19/07/2011, Arena, Rv. 251261; Sez. 3, n. 26054 del 14/02/2007, Vincis Rv. 237202; Sez. 3, n. 9518 del 22/02/2005, Jochner Rv. 230985), secondo il quale la comunicazione dell’avviso di accertamento da parte dell’INPS e’ da ritenersi a forma libera, tanto da poter ritenere valida anche la spedizione a mezzo raccomandata.
Aggiunge la sentenza Del Fabro che, successivamente alla sentenza Sodde, si e’ ricordato (Sez. 3, n. 19457 del 08/04/2014, Giacovelli, Rv. 259724; Sez. 3, n. 12567, del 19/2/2013, Milletari’) come si fosse, in precedenza, anche stabilito che la presenza della corretta indicazione del destinatario della contestazione di accertamento della violazione degli obblighi contributivi e dell’indirizzo ove effettuare il recapito sulla lettera raccomandata, mediante la quale viene eseguita la comunicazione, porta ad escludere che possa assumere rilievo l’impossibilita’ di risalire all’identita’ dell’effettivo consegnatario in mancanza di concreti e specifici dati obiettivi che consentano di ipotizzare che la comunicazione non sia stata portata alla sua conoscenza senza sua colpa (Sez. 3, n. 2859 del 17/10/2013, dep.2014, Aprea Rv. 258373; Sez. 3 n.30241 del 14/07/2011, Romano).
Richiamando, quindi, altre decisioni dello stesso tenore (Sez. 3, n. 3144 del 11/12/2013, dep. 2014, Nardone; Sez. 3, n. 47113 del 19/11/2013, Strano; Sez. 3, n. 47111 del 19/11/2013, La Russa; Sez. 3, n. 18100 del 28/2/2012, Caminiti) e riconoscendo anche il mancato ritiro e la “compiuta giacenza” come possibile oggetto di valutazione per quanto riguarda la prova dell’avvenuta comunicazione dell’accertamento dell’omesso versamento, le Sezioni Unite Del Fabro osservano che la sentenza “Giacovelli” concludeva affermando il principio secondo il quale la esatta indicazione del destinatario e dell’indirizzo di recapito sulla raccomandata con cui viene inviata la contestazione della violazione degli obblighi contributivi consente di escludere ogni rilievo all’impossibilita’ di risalire all’identita’ dell’effettivo consegnatario in assenza di concreti e specifici dati obiettivi tali da far ipotizzare che la comunicazione non sia stata portata a sua conoscenza senza sua colpa, poiche’ deve presumersi che il soggetto che sottoscrive l’avviso di ricevimento sia comunque persona abilitata alla ricezione per conto del destinatario del plico, che viene peraltro consegnato dall’ufficiale postale secondo precise formalita’.
Successivamente un’altra pronuncia (Sez. 3, n. 45451 del 18/7/2014, Cardaci, Rv. 260747), osservano ancora le Sezioni Unite, superando una difforme opinione, rimasta isolata (Sez. 3, n. 43308 del 15/7/2014, Parello, Rv. 260746, la quale escludeva la validita’ della “compiuta giacenza”), ha posto in evidenza come la spedizione della comunicazione ad un valido indirizzo dimostri l’ottemperanza, da parte dell’ente previdenziale, all’onere informativo cui e’ tenuto, richiamando anche quanto affermato, nel corso del tempo, dalle Sezioni civili di questa Corte (Sez. U, n. 321 del 12/6/1999, Rv. 527332; Sez. 2 n. 1288 del 10/12/2013, dep. 2014; Sez. L, n. 6527 del 24/4/2003, Rv. 562463).
Tali principi sono stati successivamente ribaditi (Sez. 3, n. 43250 del 20/7/2016, D’Alonzo, Rv. 267938; Sez. 3, n. 28761 del 9/6/2015, Bassetti, Rv. 264452; Sez. 3, n. 52026 del 21/10/2014, Volpe Pasini, Rv. 261287; Sez. 3, n. 45923 del 9/10/2014, Bertelli, Rv. 260990).
3. Cio’ posto, rileva il Collegio che, nel caso in esame, le comunicazioni sono state spedite e ricevute all’indirizzo di (OMISSIS), che corrisponde alla residenza del ricorrente riportata nell’intestazione della sentenza e nel ricorso, specificandosi, in entrambi i documenti, che presso detta residenza egli ha anche dichiarato domicilio. Tale evenienza, peraltro, esclude ogni rilevo a quanto riportato in ricorso circa la disposta restituzione dell’appartamento, ubicato all’indirizzo suindicato, ai genitori dell’imputato e l’allontanamento di quest’ultimo da quell’indirizzo dal (OMISSIS).
In base ai richiamati principi, pienamente condivisi dal Collegio, indipendentemente dalla individuazione della persona che ha provveduto alla sottoscrizione dell’avviso di ricevimento e dalla leggibilita’ o meno della firma, l’assenza di concreti e specifici dati obiettivi tali da far ipotizzare che la comunicazione non sia stata portata a conoscenza del destinatario senza sua colpa, come specificato dalla richiamata giurisprudenza, deponevano certamente per la piena validita’ della comunicazione.
4. In ogni caso, nessuna significativa conseguenza avrebbe potuto determinare il pagamento parziale effettuato dopo la modifica dell’imputazione.
Considerato che l’individuazione delle mensilita’ di scadenza dei versamenti contributivi da parte dell’ente previdenziale non viene posto in discussione, va rilevata la non corretta lettura del Decreto Legislativo n. 8 del 2016 e della L. n. 638 del 1983 suggerita in ricorso.
Il Decreto Legge 12 settembre 1983, n. 463, articolo 2, comma 1-bis convertito con modificazioni dalla L. 11 novembre 1983, n. 638, nella sua attuale formulazione, conseguente alle modifiche apportate dal Decreto Legislativo 5 gennaio 2016, n. 8, articolo 3, comma 6 stabilisce che “l’omesso versamento delle ritenute di cui al comma 1, per un importo superiore a Euro 10.000,00 annui, e’ punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a Euro 1.032,00. Se l’importo omesso non e’ superiore a Euro 10.000,00 annui, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 10.000,00 a Euro 50.000,00. Il datore di lavoro non e’ punibile, ne’ assoggettabile alla sanzione amministrativa, quando provvede al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione”.
Nel Decreto Legge 12 settembre 1983, n. 463, articolo 2, comma 2 si afferma: “il datore di lavoro che non provveda al pagamento dei contributi e dei premi dovuti alle gestioni previdenziali ed assistenziali entro il termine stabilito, o vi provveda in misura inferiore, e’ tenuto al versamento di una somma aggiuntiva, in sostituzione di quella prevista dalle disposizioni che disciplinano la materia fino a due volte l’importo dovuto, ferme restando le ulteriori sanzioni amministrative e penali. Per la graduazione delle somme aggiuntive dovute sui premi resta in vigore la L. 21 aprile 1967, n. 272”.
La giurisprudenza ha qualificato il reato, cosi’ come individuato nell’attuale formulazione, come reato unitario a consumazione prolungata, caratterizzato da una progressione criminosa nel cui ambito, una volta superato il limite di legge, le ulteriori omissioni nel corso del medesimo anno rappresentano momenti esecutivi la cui definitiva cessazione viene a coincidere con la scadenza prevista dalla legge per il versamento dell’ultima mensilita’ (v. Sez. U, n. 10424 del 18/1/2018, Del Fabro, Rv. 272163, cit. anche per i richiami ai precedenti).
Inoltre, le citate disposizioni sono state sempre interpretate nel senso che soltanto il pagamento integrale, quand’anche eseguito ratealmente, nel termine perentorio di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione comporta la non punibilita’ (cfr. Sez. 3, n. 20855 del 17/1/2017, De Filippis, Rv. 270504; Sez. 3, n. 23086 del 3/5/2011, Nappo, Rv. 250649. V. anche Sez. 3, n. 12995 del 8/3/2005, Capodieci, Rv. 231388).
Tale lettura risulta coerente con l’affermazione secondo la quale il Decreto Legge 12 settembre 1983, n. 463, articolo 2, comma 1-bis prevede esclusivamente la non punibilita’ del reato, gia’ perfezionatosi, per effetto di una condotta successiva in certa misura ripristinatoria del danno subito dall’ente pubblico, che la norma intende favorire e, quindi, prevede una tipica causa di non punibilita’ (cosi’ Sez. U, n. 1855 del 24/11/2011, dep.2012, Sodde, Rv. 251268, cit.).
5. Dunque, si tratta di un reato che deve essere unitariamente considerato e che si perfeziona con il superamento della soglia di punibilita’ individuata dal legislatore, punibilita’ che va esclusa se interviene il pagamento con le modalita’ descritte.
E’ pero’ evidente che detto pagamento deve riguardare l’intero importo da versare, non potendosi ritenere ammissibile che il datore di lavoro, effettuando pagamenti parziali, come avvenuto nel caso di specie, possa ricondurre il dovuto al di sotto della soglia di punibilita’ ed evitare, conseguentemente, l’applicazione della sanzione penale.
Va pertanto ribadito che in materia di omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, nel caso di versamento soltanto parziale della somma complessivamente dovuta nel termine perentorio di tre mesi dalla contestazione o non notifica dell’avvenuto accertamento della violazione opera la causa di non punibilita’ del soggetto agente prevista dalla L. n. 638 del 1983, articolo 2, comma 1-bis, con l’ulteriore precisazione che il pagamento parziale, a seguito del quale residui un debito contributivo inferiore alla soglia di punibilita’ di Euro 10.000,00 annui, non determina alcuna conseguenza riguardo’ alla sussistenza del reato, restando applicabili le sanzioni penali stabilite dalla legge e non anche quella amministrativa pecuniaria stabilita per l’omesso versamento di contributi di importo inferiore alla suddetta soglia di punibilita’.
6. Parimenti infondato risulta il secondo motivo di ricorso.
La Corte territoriale, richiamati alcuni principi giurisprudenziali sulla causa di non punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto, ha espresso un giudizio di disvalore che, diversamente da quanto prospettato in ricorso, non riguarda esclusivamente l’abitualita’ della condotta ostativa alla applicazione dell’articolo 131-bis c.p., nel senso individuato dalla giurisprudenza di questa Corte, poiche’ ha posto in evidenza e negativamente valutato, come si ricava dal tenore della motivazione, le modalita’ della condotta nel loro complesso, considerando l’insieme delle omissioni contributive e la strumentalita’ del pagamento parziale finalizzato a ricondurre gli importi omessi al di sotto della soglia di punibilita’.
Si tratta di un accertamento che non viola la norma applicata e che, essendo fondato sulla valutazione di dati fattuali e supportato da adeguata motivazione, resta immune da censure in questa sede di legittimita’.
7. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

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