Nel caso di omessa pronuncia da parte del giudice d’appello in ordine all’applicabilità o meno dell’indulto

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 15 maggio 2020, n. 15201.

Massima estrapolata:

Nel caso di omessa pronuncia da parte del giudice d’appello in ordine all’applicabilità o meno dell’indulto, l’imputato non ha interesse a ricorrere per cassazione, potendo ottenere l’applicazione del beneficio, preclusa solo da una decisione di rigetto del giudice della cognizione, anche in sede esecutiva.

Sentenza 15 maggio 2020, n. 15201

Data udienza 15 novembre 2019

Tag – parola chiave: Violenza sessuale – Rapina – appello – riforma della sentenza assolutoria – Rinnovazione istruttorie – Persona offesa – Valutazione – Criteri – Presunzione di falsità o di errore – Legittimità – Esclusione – Condizioni – Cassazione – Omessa applicazione dell’indulto – Interesse dell’imputato a ricorrere – Esclusione – Ragioni

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NICOLA Vito – Presidente

Dott. SOCCI Angelo M. – Consigliere

Dott. ACETO Aldo – rel. Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 29/02/2016 della CORTE APPELLO di ANCONA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALDO ACETO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. TOCCI STEFANO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore, Avv. (OMISSIS), che ha concluso riportandosi ai motivi e chiedendone l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Il sig. (OMISSIS) ricorre personalmente per l’annullamento della sentenza del 29/02/2016 della Corte di appello di Ancona che, accogliendo l’impugnazione del pubblico ministero ed in riforma della pronuncia assolutoria del 30/11/2015 del Tribunale del medesimo capoluogo, lo ha dichiarato colpevole dei reati a lui ascritti e lo ha condannato alla pena (principale) di sette anni e sei mesi di reclusione, oltre pene accessorie e statuizioni civili di condanna.
1.1. Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica.
Il nucleo centrale della doglianza riguarda il profilo della credibilita’/attendibilita’ della persona offesa, messa in discussione dal primo Giudice ed invece confermata dalla Corte di appello nonostante non esista la prova, anzi esista la prova contraria, che esclude o quantomeno confuta la chiamata al 118 da parte della Guardia di Finanza e non vi sia in atti traccia di alcuna nota e/o relazione di servizio sull’intervento da parte dei componenti della pattuglia di cui faceva parte il brigadiere (OMISSIS) a conferma della ricostruzione della persona offesa che – sottolinea il ricorrente – ha affermato di essere stata fermata dalla pattuglia della Guardia di Finanza i cui componenti avevano provveduto a chiamare l’autoambulanza che l’aveva portata al pronto soccorso dell’ospedale di (OMISSIS). La Corte di appello, consapevole di tali problematiche, arriva a dubitare della credibilita’ del testimone (OMISSIS), pubblico ufficiale, privilegiando la versione dello (OMISSIS) testimone indiretto dei fatti che, visti i rapporti “professionali” intrattenuti all’epoca con la persona offesa (il testimone sapeva che era una prostituta ed aveva ammesso di averle addirittura trovato un lavoro), il Tribunale di Ancona non aveva ritenuto attendibile. La Corte territoriale, pertanto, ha fatto malgoverno del principio secondo il quale ai fini della formazione del libero convincimento del giudice ben puo’ tenersi conto delle dichiarazioni della persona offesa, la cui testimonianza, solo ove ritenuta intrinsecamente attendibile, costituisce una vera e propria fonte di prova sulla quale puo’ essere anche esclusivamente fondata l’affermazione di responsabilita’ dell’imputato. Ne puo’ essere applicato il principio della valutazione “scindibile” delle dichiarazioni rese dal testimone, stante le conclamate emergenze probatorie di segno contrario alla credibilita’ della persona offesa.
1.2. Con il secondo motivo, che si collega al primo, deduce la violazione del canone di giudizio che impone la condanna solo oltre ogni ragionevole dubbio.
1.3. Con il terzo deduce il vizio di motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica in ordine al delitto di rapina. La corte di appello ha omesso del tutto di motivare la condanna per il reato di rapina limitandosi ad ipotizzare come movente dell’azione l’alterazione dovuta alla “mancata eccitazione sessuale che voleva raggiungere ad ogni costo”. La Corte inoltre non ha menzionato la rilevante circostanza offerta della testimonianza del brigadiere della Guardia di Finanza secondo la quale l’imputato e la vittima erano impegnati in un insignificante alterco verbale, cosi’ escludendo qualsiasi condotta violenta da parte dell’imputato.
1.4. Con il quarto motivo deduce la mancata applicazione dell’indulto per il reato di rapina, commesso prima del (OMISSIS).
2. Con memoria difensiva del 30/10/2019 deduce la prescrizione dei reati in conseguenza dell’applicazione del regime introdotto con Decreto Legge n. 251 del 2005 in epoca precedente al deposito delle motivazioni. Allega inoltre una denuncia sporta ai c.c. di Fano il (OMISSIS) a sostegno della deduzione che la vera (OMISSIS) e’ persona diversa da quella che lo aveva accusato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso e’ inammissibile.
4. Occorre preliminarmente dare atto che il ricorso e’ stato proposto l’11/07/2016, prima che la L. n. 103 del 2017, articolo 1, comma 63, precludesse all’imputato, a decorrere dal 03/08/2017, di proporre ricorso personalmente.
4.1. Il ricorrente risponde dei seguenti reati: “a) articolo 609-bis c.p. perche’, con violenza e minaccia costringeva (OMISSIS) a subire atti sessuali. In particolare egli, mentre si trovava all’interno della propria autovettura con la detta (OMISSIS), prostituta, per avere un rapporto sessuale, richiedeva alla stessa un rapporto anale, e, al rifiuto di questa le si gettava sopra per trattenerla e quindi la penetrava nella vagina e nell’ano con le dita della mano e, per vincerne la resistenza, la colpiva con pugni e schiaffi, ripetendo poi la penetrazione. b) articolo 628 c.p. perche’, al fine di trarne profitto, con violenza si impossessava della borsa di (OMISSIS) contenente un telefono cellulare, 150 Euro circa in contanti ed altri oggetti. In particolare egli dopo il fatto di cui al capo a), mentre (OMISSIS) tentava di riprendere la borsa che aveva gettato a terra, la spintonava violentemente piu’ volte impossessandosi della borsa e dandosi alla fuga a bordo della propria autovettura”. I fatti sono contestati come commessi in (OMISSIS) il (OMISSIS).
4.2. Il Tribunale aveva dato conto della denuncia sporta dalla persona offesa secondo la quale, verso le ore 2,00 del (OMISSIS), mentre era intenta a esercitare il meretricio, era stata avvicinata da un uomo (riconosciuto nell’imputato) che le aveva chiesto una prestazione sessuale. Salita in macchina, l’uomo non era rimasto soddisfatto del rapporto orale pattuito e le aveva chiesto anche un rapporto anale; al rifiuto della donna, le aveva strappato gli indumenti intimi penetrandole la vagina e l’ano con le dita nonostante i tentativi fatti dalla giovane per sottrarsi all’azione violenta. Per vincerne la resistenza, l’uomo l’aveva ripetutamente schiaffeggiata e colpita con calci e pugni, l’aveva spinta fuori dell’autovettura ed aveva continuato a percuoterla fino a farla cadere in un fosso li’ vicino, impossessandosi immediatamente dopo della borsetta contenente un telefono cellulare, denaro e altro. La donna aveva cercato di riprendersi la borsa ma senza riuscirvi a causa della reazione violenta dell’uomo che l’aveva sospinta nuovamente nel fosso. Dopo aver rilevato il numero di targa dell’autovettura la donna si era incamminata lungo la statale ed era stata fermata da una pattuglia della Guardia di Finanza i cui componenti avevano provveduto a chiamare un’ambulanza che l’aveva condotta al pronto soccorso dell’ospedale di (OMISSIS). Tali circostanze, cosi’ come il riconoscimento dell’imputato, erano state confermate in dibattimento dalla persone offesa. Era stato acquisito il referto ospedaliero (che documentava le lesioni riscontrate sulla vittima: “trauma cranico non commotivo, contusione addominale, stato di agitazione, trauma ai genitali ed all’ano, ecchimosi dello zigomo dx”) ed erano stati sentiti due carabinieri uno dei quali aveva riferito di aver sorpreso, il (OMISSIS), l’imputato a molestare le prostitute nello stesso luogo ove erano accaduti i fatti denunciati dalla persona offesa. Nel corso del processo era stato sentito, ai sensi dell’articolo 507 c.p.p., anche il brigadiere della GdF (OMISSIS) che aveva riferito di essere stato componente della pattuglia in servizio nella zona la notte del (OMISSIS), di essersi imbattuto in una coppia (un uomo bianco ed una donna di colore) che stavano discutendo animatamente all’interno di un’autovettura parcheggiata in sosta in via (OMISSIS), ed aveva escluso sia che la donna di colore avesse riferito di aggressioni subite sia di aver chiamato l’ambulanza. Era stato sentito, ai sensi dell’articolo 507 c.p.p., anche il testimone (OMISSIS), indicato dalla parte civile, che aveva riferito che la notte dei fatti la (OMISSIS) lo aveva chiamato per telefono chiedendogli di andarla a prendere in Via (OMISSIS); li’ giunto, dopo aver girato a lungo senza trovare nessuno, aveva notato la presenza di un’ambulanza e di una pattuglia della GdF, quindi aveva rintracciato l’amica all’ospedale di (OMISSIS) e le aveva prestato assistenza nel corso della redazione della denunzia. Il Tribunale aveva svolto anche accertamenti d’ufficio per stabilire la provenienza della chiamata al 118 osservando che se dai cartellini della centrale operativa del 118 effettivamente risultava la provenienza da quella del 117, dalle verifiche effettuate presso la sala operativa della GdF, invece, non risultava alcuna chiamata al 118 ne’ comunicazioni e/o telefonate riguardanti quanto denunciato dalla persona offesa.
Indicato il materiale probatorio a disposizione, il Tribunale ha ritenuto attendibile la (OMISSIS) per i seguenti motivi: a) le sue dichiarazioni sono dettagliate e coerenti; b) il referto ospedaliero documenta lesioni del tutto compatibili, per natura e localizzazione, con il suo racconto; c) non sono emerse ragioni per ritenere che la dichiarante perseguisse l’obiettivo di rimanere in Italia o che fosse animata da sentimenti di astio o malanimo nei confronti dell’imputato; d) questi, dal canto suo, era stato sorpreso nemmeno due mesi dopo a molestare prostitute di colore nella stessa zona nella quale sarebbero accaduti i fatti denunciati; e) la donna era sconvolta quando era stata raggiunta dall’amico. Sennonche’, afferma il Tribunale, il racconto della persona offesa “ha ricevuto una “clamorosa” smentita dalla testimonianza del Brigadiere della Guardia di Finanza (OMISSIS)” il quale aveva riferito di essersi imbattuto in una coppia alle prese con un insignificante alterco verbale, “risultando veramente inspiegabile, se non mettendo in dubbio il reale verificarsi dell’intero episodio per cui e’ processo, una cosi’ importante divergenza su una parte assolutamente non secondaria del racconto della (OMISSIS)”. Il Tribunale individua un’ulteriore criticita’ nella provenienza della chiamata al servizio di emergenza 118 non essendone stata rinvenuta traccia nella sala operativa della GdF laddove, come detto, dall’archivio della centrale operativa risultava che l’intervento era stato sollecitato dal 117. Per tali motivi il Tribunale ha ritenuto di assolvere l’imputato con la formula “perche’ il fatto non sussiste” ai sensi dell’articolo 530 c.p.p., cpv.
4.3.Dopo aver rinnovato l’istruttoria dibattimentale mediante l’esame della persona offesa reso all’udienza del 29/02/2016, la Corte di appello ha riformato la sentenza assolutoria dichiarando l’imputato colpevole dei reati a lui ascritti e condannandolo alla pena sopra indicata. La Corte ha ripercorso le vicende vissute dalla vittima avvalendosi dei risultati del suo esame reso in termini sostanzialmente sovrapponibili alla sua iniziale denuncia e alla testimonianza resa in primo grado. La donna, in particolare, aveva ribadito di essere stata soccorsa da una pattuglia della GdF i cui componenti avevano chiamato l’ambulanza ed aveva riconosciuto l’imputato presente in aula quale autore delle condotte. La Corte, dunque, ha ribadito la linearita’, coerenza, genuinita’ e precisione delle dichiarazioni della donna, l’assenza di plausibili motivi di astio o risentimento nei confronti dell’imputato (che la donna non conosceva affatto), la mancanza di interesse a coinvolgere le Forze dell’ordine, trattandosi di persona all’epoca irregolare sul territorio nazionale, la assoluta compatibilita’ delle lesioni refertate con quanto dalla stessa riferito. La Corte annovera tra i riscontri non adeguatamente valorizzati dal Tribunale la testimonianza dello (OMISSIS). Questi, afferma la Corte, appena dopo la mezzanotte aveva ricevuto la richiesta telefonica dell’amica di andarla a prendere, come talvolta accadeva, perche’ non aveva un passaggio per tornare a casa, il che – sottolinea la Corte – “combacia con l’affermazione della donna di essere ormai (a) fine “serata” quando sopraggiungeva (l’imputato) (…) Arrivato nei pressi (lo (OMISSIS)) provava piu’ volte a contattare la (vittima) al telefono senza pero’ ricevere risposta, se non la prima volta rumori (tipo “pernacchie”) provenienti da voce non femminile”. Lo (OMISSIS) sapeva benissimo quale fosse il lavoro dell’amica e l’aveva cercata nei luoghi dove contava di poterla trovare e giunto nei pressi di un centro commerciale aveva notato una pattuglia della GdF ed un’ambulanza. Aveva inutilmente continuato a telefonare senza ricevere risposta ed aveva continuato a cercarla con l’aiuto di un’amica; solo quando si era recato in ospedale aveva scoperto che la (OMISSIS) era stata ricoverata. Della credibilita’ di tale testimonianza, puntuale e precisa, la Corte di appello non dubita. La Corte di appello, invece, reputa “inquietante” la testimonianza del Brig. GdF (OMISSIS) “smentito – lui si’ – dalle sicure risultanze documentali eseguite presso la centrale operativa del 118, dove la chiamata risulta effettuata dal numero 117 della Guardia di Finanza, esattamente come riferito dalla (OMISSIS). D’altronde, dubbi sulla attendibilita’ del teste sorgono anche (d)alla sola lettura delle sue dichiarazioni dibattimentali: nel ribadire di aver effettuato un unico accertamento quella notte su una coppia appartata che stava litigando – “una normale lite tra fidanzati” come il teste l’ha definita per giustificare di non avergli dato alcuna importanza – il teste assicurava di aver certamente proceduto all’identificazione dei soggetti e alla redazione del relativo atto (“abbiamo identificato, sicuramente abbiamo trascritto sugli atti… dovrebbe essere agli atti del nostro comando” e a domanda del presidente: “Lei vuole dire che normalmente fate cosi'” rispondeva: “si’, si’ e’ un controllo che effettuiamo su tutti i tipi di persone, cioe’ non e’ perche’ ci sia un qualcosa di particolare dobbiamo identificare, anche un controllo normale”). A fronte di tali affermazioni, il Collegio, nella – errata – convinzione che la coppia controllata fosse quella composta da (imputato) e (persona offesa), incaricava il teste di acquisire il verbale di identificazione dei due soggetti controllati. All’esito della ricerca presso il proprio ufficio, il (OMISSIS), alla ripresa del suo esame, comunicava al tribunale che nulla era stato annotato di quella notte, evidentemente, riteneva il teste, contraddicendosi con quanto (affermato) neppure un’ora prima, perche’ “data la futilita’ della situazione e non e’ stato reso necessario alcun tipo di controllo”. E’ evidente che se il riferito controllo sulla coppia e’ stato eseguito – e non pochi dubbi sorgono, essendo quantomeno singolare che un agente di polizia giudiziaria, che di controlli del genere ne effettua quotidianamente, sia riuscito a ricordare a tre anni di distanza un episodio tanto irrisorio, da aver ritenuto di non farne annotazione di sorta – la coppia in questione non era quella composta da (imputato) e (persona offesa), se non altro perche’ (quest’ultima) all’epoca dei fatti era clandestina, il che ne avrebbe comunque comportato la segnalazione, come lo stesso (OMISSIS) ha dichiarato (alla domanda se avrebbe dovuto denunciare la donna se clandestina, il teste ha risposto: “Certo”)”. Dunque, la Corte di appello qualifica la testimonianza del pubblico ufficiale come “alquanto fumosa e contraddittoria”, smentita dalle altre prove e inidonea a minare la credibilita’ della persona offesa la cui dichiarazioni erano riscontrate da quelle dello (OMISSIS) e dalla natura delle lesioni refertate, oltre che dall’inattendibile alibi fornito dall’imputato riconosciuto dalla vittima sin dalle indagini preliminari, nel corso del dibattimento di primo grado e in quello di appello, e (da ultimo) scoperto tempo dopo a frequentare gli stessi posti ove si trovava esercitava il meretricio.
5. Prima di procedere all’analisi dei motivi di ricorso dell’imputato e’ opportuno richiamare gli insegnamenti della Corte di cassazione in ordine ai criteri in base ai quali deve essere scrutinata la credibilita’ della persona offesa vittima di abusi sessuali e ai limiti del sindacato di legittimita’ sulla relativa motivazione.
6. Secondo il costante insegnamento della Corte, in generale, la testimonianza della persona offesa, perche’ possa essere legittimamente utilizzata come fonte ricostruttiva del fatto per il quale si procede non necessita di altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilita’ (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214) ma, anzi, al pari di qualsiasi altra testimonianza, e’ sorretta da una presunzione di veridicita’ secondo la quale il giudice, pur essendo tenuto a valutarne criticamente il contenuto, verificandone l’attendibilita’, non puo’ assumere come base del proprio convincimento l’ipotesi che il teste riferisca scientemente il falso (salvo che sussistano specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere, in assenza dei quali egli deve presumere che il dichiarante, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza) (cosi’, da ultimo, Sez. 6, n. 27185 del 27/03/2014, Rv. 260064; Sez. 4, n. 6777 del 24/01/2013, Grassidonio, Rv. 255104; cfr. anche Sez. 6, n. 7180 del 12/12/2003, Mellini, Rv. 228013 e Sez. 4, n. 35984 del 10/10/2006, Montefusco, Rv. 234830, secondo le quali “in assenza di siffatti elementi, il giudice deve presumere che il teste, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza e deve percio’ limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilita’ fra quello che il teste riporta come vero, per sua diretta conoscenza, e quello che emerge da altre fonti di prova di eguale valenza”).
6.1. La testimonianza della persona offesa, quando portatrice di un personale interesse all’accertamento del fatto, deve essere certamente soggetta ad un piu’ penetrante e rigoroso controllo circa la sua credibilita’ soggettiva e l’attendibilita’ intrinseca del racconto (Sez. u, 41461 del 2012, cit.), ma cio’ non legittima un aprioristico giudizio di inaffidabilita’ della testimonianza stessa (espressamente vietata come regola di giudizio) e non consente di collocarla, di fatto, sullo stesso piano delle dichiarazioni provenienti dai soggetti indicati dall’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, (con violazione del canone di giudizio imposto dall’articolo 192 c.p.p., comma 1).
6.2. In tema di reati sessuali, peraltro, tale valutazione di credibilita’ risente della particolare dinamica delle condotte il cui accertamento, spesso, deve essere svolto senza l’apporto conoscitivo di testimoni diretti diversi dalla stessa vittima. In questi casi la deposizione della persona offesa puo’ essere assunta anche da sola come fonte di prova della colpevolezza, ove venga sottoposta ad un’indagine positiva sulla credibilita’ soggettiva ed oggettiva di chi l’ha resa, dato che in tale contesto processuale il piu’ delle volte l’accertamento dei fatti dipende necessariamente dalla valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilita’, dall’esterno, all’una o all’altra tesi (Sez. 4, n. 30422 del 21/06/2005, Rv. 232018; Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011, Rv. 251661, nonche’ Sez. U, Bell’Arte).
6.3. Non sarebbe pertanto giuridicamente corretto fondare il giudizio di inattendibilita’ della testimonianza della persona offesa sul solo dato dell’oggettivo contrasto con altre prove testimoniali, sopratutto se provenienti da persone che non hanno assistito al fatto. Cio’ equivarrebbe a introdurre, in modo surrettizio, una gerarchia tra le fonti di prova che non solo e’ esclusa dal codice di rito ma che sottende una valutazione di aprioristica inattendibilita’ della testimonianza della persona offesa vittima di abusi sessuali che, come detto, non e’ ammissibile ne’ accettabile.
6.4. In ogni caso, oggetto di scrutinio di legittimita’ non puo’ mai essere la prova in se’, ostandovi, per quanto si dira’, il chiaro tenore letterale dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), bensi’ il modo con cui il giudice di merito ha valutato i possibili specifici indicatori della inattendibilita’ della testimonianza, dando conto della loro effettiva esistenza e, in caso positivo, della loro incapacita’ di vincere la presunzione di credibilita’ del testimone. Poiche’ il giudizio sulla credibilita’ della persona offesa (come di qualsiasi altro testimone) deve essere illustrato e spiegato nella sentenza di merito, che deve dar conto “dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati e (…) l’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie” (articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), motivo di ricorso in questa sede, e’ necessario ribadirlo, non puo’ essere la credibilita’ della persona offesa in se’, ma solo l’eventuale mancanza, contraddittorieta’ e/o manifesta illogicita’ che vizia la motivazione sul punto.
6.5. Si puo’ sin d’ora anticipare che la Corte di appello, facendo buon governo dei principi sin qui esposti, ha passato in rassegna le prove e gli argomenti che, secondo la tesi difensiva, avrebbero dovuto vincere la presunzione di credibilita’ della testimone, adottando una motivazione che e’ immune dai vizi dedotti ed e’ insindacabile in questa sede.
11. Quanto al vizio di motivazione e ai limiti della sua deducibilita’ in cassazione, devono essere ribaditi i principi piu’ volte affermati da questa Corte secondo i quali:
11.1. l’indagine di legittimita’ sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volonta’ del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita’ di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e’ avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali;
11.2. l’illogicita’ della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche’ siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794);
11.3. La mancanza e la manifesta illogicita’ della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicche’ dedurre tale vizio in sede di legittimita’ significa dimostrare che il testo del provvedimento e’ manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non gia’ opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621), sicche’ una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicita’ (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903);
11.4. e’ possibile estendere l’indagine di legittimita’ a “specifici atti del processo” quando ne sia eccepito il travisamento, vizio configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499);
11.5. il travisamento della prova, come detto, consiste in un errore percettivo (e non valutativo) tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede. In particolare, consiste nell’affermare come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti. Il vizio rende la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento cosi’ come illustrate nel provvedimento impugnato, una diversita’ tale da non reggere all’urto del contro-giudizio logico sulla tenuta del sillogismo. Il travisamento e’ percio’ decisivo quando la frattura logica tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta e’ irreparabile. Come autorevolmente ribadito da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n. m. sul punto, il travisamento della prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore “revocatorio”, per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformita’ cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato);
11.6. poiche’ il vizio riguarda la ricostruzione del fatto effettuata utilizzando la prova travisata, se l’errore e’ imputabile al giudice di primo grado la relativa questione deve essere devoluta al giudice dell’appello, pena la sua preclusione nel giudizio di legittimita’, non potendo essere dedotto con ricorso per cassazione, in caso di c.d. “doppia conforme”, il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il travisamento non gli era stato rappresentato (Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014, Biondetti, Rv. 261438; Sez. 6, n. 5146 del 2014, cit.), a meno che, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, il giudice di secondo grado abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (nel qual caso il vizio puo’ essere eccepito in sede di legittimita’, Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi, Rv. 258438).
11.7. Ne consegue che: a) il vizio di motivazione non puo’ essere utilizzato per spingere l’indagine di legittimita’ oltre il testo del provvedimento impugnato, nemmeno quando cio’ sia strumentale a una diversa ricomposizione del quadro probatorio che, secondo gli auspici del ricorrente, possa condurre il fatto fuori dalla fattispecie incriminatrice applicata; b) l’esame puo’ avere ad oggetto direttamente la prova quando se ne denunci il travisamento, purche’ l’atto processuale che la incorpora sia allegato al ricorso (o ne sia integralmente trascritto il contenuto) e possa scardinare la logica del provvedimento creando una insanabile frattura tra il giudizio e le sue basi fattuali; c) la natura manifesta della illogicita’ della motivazione del provvedimento impugnato costituisce un limite al sindacato di legittimita’ che impedisce alla Corte di cassazione di sostituire la propria logica a quella del giudice di merito e di avallare, dunque, ricostruzioni alternative del medesimo fatto, ancorche’ altrettanto ragionevoli; d) non e’ consentito, in caso di cd. “doppia conforme”, eccepire il travisamento della prova mediante la pura e semplice riproposizione delle medesime questioni fattuali gia’ devolute in appello sopratutto quando, come nel caso di specie, la censura riguardi il medesimo compendio probatorio non avendo la Corte territoriale attinto a prove diverse da quelle scrutinate in primo grado.
11.8. Non e’ dunque consentito, in sede di legittimita’, interloquire direttamente con la Suprema Corte sul significato delle prove assunte in sede di giudizio di merito sollecitandone l’esame e proponendole quale criterio di valutazione della contraddittorieta’ o illogicita’ manifesta della motivazione; in questo modo si sollecita la Corte di cassazione a sovrapporre la propria valutazione a quella dei Giudici di merito laddove, come detto, cio’ non e’ consentito, nemmeno quando venga eccepito il travisamento/significante della prova. Il travisamento non costituisce il mezzo per valutare nel merito la prova, bensi’ lo strumento – come detto – per saggiare la tenuta della motivazione alla luce della sua coerenza logica con i fatti sulla base dei quali si fonda il ragionamento.
12. Tanto premesso, i primi tre motivi di ricorso dell’imputato sono inammissibili perche’ generici, manifestamente infondati e proposti al di fuori dei casi consentiti nel giudizio di legittimita’.
12.1. In primo luogo, il ricorrente allega, a sostegno delle proprie ragioni, dati di fatto senza dedurre il travisamento delle relative prove, delle quali trascrive solo alcuni brani sollecitando la Corte di cassazione ad una loro valutazione diretta e non “mediata” dal governo che ne ha fatto la Corte di appello.
12.2. In secondo luogo, appare evidente l’errore di metodo che affligge il ricorso, incentrato su argomenti che sottendono il negativo giudizio di aprioristica inattendibilita’ della persona offesa senza alcun reale confronto con le ragioni per le quali la Corte di appello, dopo averla nuovamente sentita, e’ pervenuta a conclusioni opposte ed in particolare senza individuare specifici profili di manifesta illogicita’ o contraddittorieta’ della motivazione su questo specifico punto, cosi’ come risulta dalla lettura del testo della sentenza (e non dal confronto diretto con le prove). E cio’ senza considerare che nemmeno il primo Giudice aveva negativamente stigmatizzato la credibilita’ della vittima.
12.3. Il ricorrente deduce valutazioni frazionate della testimonianza della persona offesa che non solo non risultano in alcun modo dal testo della motivazione ma sono smentite da entrambi i Giudici di merito; vagheggia accertamenti tecnici sulla propria autovettura di cui non ha parlato nemmeno il Tribunale; ipotizza che lo (OMISSIS) fosse il protettore della donna per il sol fatto che le aveva trovato successivamente lavoro, travisando, egli si’, la portata di tale affermazione e traendone conseguenze inaccettabili sul piano della credibilita’ del testimone (il quale non si comprende quale vantaggio avrebbe tratto dal favorire la sua ipotetica “protetta”); valorizza, a proprio uso e consumo, la testimonianza del brig. (OMISSIS) negligendo contestualmente gli argomenti spesi dalla Corte di appello per dubitare della attendibilita’ del pubblico ufficiale e ribadisce la tesi dell’insignificante alterco verbale; minimizza (per non dire che svuota completamente di significato) il fatto che effettivamente al 118 risultavano chiamate in entrata dal 117 (cio’ che costituisce un evidente riscontro positivo della credibilita’ della vittima); dimentica completamente il contenuto del referto medico ospedaliero e la piena compatibilita’ delle lesioni accertate con il tipo di violenza denunciato dalla vittima; non si preoccupa nemmeno di prendere posizione sulla affermata linearita’, coerenza, precisione, costanza e puntualita’ delle dichiarazioni della donna (se non, come detto, deducendo inesistenti valutazioni frazionate della prova); non prende posizione nemmeno sulle (ne’ le contesta) ragioni per le quali la Corte di appello ha disatteso l’alibi fornito in primo grado, logicamente smentito dalla stessa deduzione difensiva dell’insignificante alterco verbale che si trasforma nella implicita ammissione della presenza della sua autovettura sul luogo e nel momento del fatto, ne’ contesta la sua presenza ed i suoi atteggiamenti molesti nei medesimi luoghi anche in epoca successiva.
12.4. Per queste ragioni i motivi sono anche generici.
12.5. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresi’ quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Rv. 277710; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 Rv. 255568); cosicche’ e’ inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, che non puo’ ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008 Rv. 240109). Ai fini della validita’ del ricorso per cassazione non e’, percio’, sufficiente che il ricorso consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate e i limiti dell’impugnazione, ma e’ altresi’ necessario che le ragioni sulle quali esso si fonda siano esposte con sufficiente grado di specificita’ e che siano correlate con la motivazione della sentenza impugnata; con la conseguenza che se, da un lato, il grado di specificita’ dei motivi non puo’ essere stabilito in via generale ed assoluta, dall’altro, esso esige pur sempre – a pena di inammissibilita’ del ricorso – che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle del ricorrente, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime. E’ quindi onere del ricorrente, nel chiedere l’annullamento del provvedimento impugnato, prendere in considerazione gli argomenti svolti dal giudice di merito e sottoporli a critica, nei limiti – s’intende – delle censure di legittimita’ (cosi’, in motivazione, Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Rv. 259425).
13. Il quarto motivo e’ inammissibile per carenza di interesse.
13.1. L’indulto deve essere chiesto al giudice dell’esecuzione non avendo la Corte di appello negato la sua applicabilita’ (ed anzi non avendo proprio preso posizione sul punto) (cfr., Sez. 2, n. 21977 del 28/04/2017, Rv. 269800, secondo cui nel caso di omessa pronuncia da parte del giudice d’appello in ordine all’applicabilita’ o meno dell’indulto, l’imputato non ha interesse a ricorrere per cassazione, potendo ottenere l’applicazione del beneficio in sede esecutiva ed essendo tale possibilita’ preclusa solo da una decisione di rigetto del giudice della cognizione).
14. L’inammissibilita’ del ricorso osta all’esame della memoria difensiva ed, in particolare, alla dedotta prescrizione del reato di cui al capo A.
14.1. La questione non e’ rilevabile d’ufficio ed e’ in ogni caso manifestamente infondata atteso che, ai fini della applicazione del regime precedente alle modifiche introdotte agli articoli 157 c.p. e segg. dalla L. n. 251 del 2005, il discrimine e’ dato dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado, non dal deposito della motivazione (Sez. U, n. 15933 del 24/11/2012, Rancan, Rv. 252012; Sez. U. n. 47008 del 29/10/2009, D’Amato, Rv. 244810). Sono irricevibili le dichiarazioni rese dall’imputato ai c.c. di Fano il (OMISSIS).
15. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue, ex articolo 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonche’ del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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