Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 10 luglio 2019, n. 30414.
La massima estrapolata:
Nei reati tributari è illegittimo il sequestro finalizzato alla confisca diretta sull’intera somma giacente sul conto del contribuente alla data del sequestro: il profitto sequestrabile è solo il saldo al momento della consumazione del delitto.
Sentenza 10 luglio 2019, n. 30414
Data udienza 17 maggio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SARNO Giulio – Presidente
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. DI STASI Antonella – rel. Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro Mar – Consigliere
Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 03/01/2019 del Tribunale di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. MARINELLI Felicetta, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 03/01/2019, il Tribunale di Roma rigettava la richiesta di riesame, proposta nell’interesse di (OMISSIS), avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma ai sensi dell’articolo 321 c.p.p., e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis, finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di (OMISSIS) ed alla confisca diretta nei confronti della societa’ (OMISSIS) s.r.l., della quale (OMISSIS) era amministratore unico, in relazione al reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia, articolando i motivi di seguito enunciati.
Il ricorrente deduce violazione di legge in relazione all’articolo 321 c.p.p., articolo 322 ter c.p., e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis, e vizio di motivazione.
Argomenta che il fumus dei reati contestati era insussistente e che, la ricostruzione fornita dall’imputato, comunque smentita dalle risultanze documentali, consentiva di ipotizzare la diversa condotta di utilizzo di fatture false sotto il profilo soggettivo; inoltre, era illegittima l’estensione del vincolo cautelare anche alle somme pervenute sui conti della societa’ dopo l’emissione del decreto di sequestro, in quanto cio’ che affluiva dopo la disposizione del vincolo non poteva ontologicamente rientrare nella nozione di profitto del reato; infine, era stato erroneamente disposto nei confronti della societa’ il sequestro preventivo per equivalente, come specificamente indicato nel dispositivo del decreto di sequestro.
Chiede, pertanto, l’annullamento della ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ fondato nei limiti appresso precisati.
2.La censura avente ad oggetto la contestazione del fumus commissi delicti e’ inammissibile, risolvendosi essenzialmente nella formulazione di rilievi in fatto concernenti la motivazione del provvedimento impugnato che, alla luce dei principi di diritto affermati da questa Corta in subiecta materia, non e’ consentito proporre in questa sede.
Va ricordato, infatti, che, a norma dell’articolo 325 c.p.p., il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo e’ ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione cosi’ radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692).
3. Inammissibile perche’ generica e’, poi, la censura relativa alla erronea qualificazione da parte del Tribunale del sequestro operato nei confronti della societa’ come sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del denaro presente sui conti correnti della stessa e direttamente riconducibile al profitto del reato tributario.
4. E’, invece, fondata la censura avente ad oggetto la estensione del vincolo cautelare anche alle somme pervenute sui conti della societa’ dopo l’emissione del decreto di sequestro.
4.1.Va ricordato che le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, con la sentenza n. 10561/2014, Gubert, hanno affermando che e’ consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilita’ di tale persona giuridica.
Costituisce, inoltre, insegnamento di questa Suprema Corte, in tema di reati tributari, che il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, e’ costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e puo’, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario (Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255036; Sez. 3, n. 11836 del 04/07/2012, Bardazzi, Rv. 254737; Sez. 5, n. 1843 del 10/11/2011, Mazzieri, Rv. 253480 e, con specifico riferimento al reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, Sez.3, n. 1820 del 27/11/2013, dep.17/01/2014, Rv.257918; piu’ in generale, sulla riconducibilita’ al profitto del “risparmio di spesa, Sez. U, n. 38343, n. 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261117).
Questa Suprema Corte ha, inoltre, affermato che qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque la disponibilita’ deve essere qualificata come confisca diretta; in tal caso, tenuto conto della particolare natura del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato; proprio la natura fungibile del bene, che si confonde automaticamente con le altre disponibilita’ economiche dell’autore del fatto, e’ tale da perdere – per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo – qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilita’ fisica, rende superfluo accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita; “cio’ che rileva”, proseguono le Sezioni Unite, e’ che “le disponibilita’ monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo” (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci);
4.2. Nel solco dei principi elaborati dalle Sezioni Unite, e’ stato, poi, ulteriormente precisato che la natura fungibile del denaro non consente la confisca diretta delle somme depositate su conto corrente bancario dell’imputato, ove si abbia la prova che le stesse non possono in alcun modo derivare dal reato e costituiscano, pertanto, profitto dell’illecito; e tanto in senso esattamente corrispondente, seppure a contrario, al principio enunciato dalle SU Lucci, perche’, ove si abbia la prova che le somme non possano proprio in alcun modo derivare dal reato, le stesse neppure possono, evidentemente, rappresentare il risultato della mancata decurtazione del patrimonio quale conseguenza del mancato versamento delle imposte (ovvero, in altri termini del “risparmio di imposta” nel quale la giurisprudenza ha costantemente identificato il profitto dei reati tributari), e, quindi, non sono sottoponibili a sequestro difettando in esse la caratteristica di profitto, pur sempre necessaria per potere procedere, in base alle definizioni e ai principi di carattere generale, ad un sequestro in via diretta (cfr Sez.3,n. 8995 del 30/10/2017, dep.27/02/2018, Rv.272353; Sez.3, n. 41104 del 12/07/2018, Rv.274307).
Ed e’ stato anche precisato che e’ illegittima l’apprensione diretta delle somme di denaro entrate nel patrimonio dell’imputato in base ad un titolo lecito, ovvero in relazione ad un credito sorto dopo la commissione del reato, laddove non risulti provato che tali somme siano collegabili, anche indirettamente, all’illecito commesso; tanto alla luce del principio di diritto enucleabile dalla sentenza S.U. Lucci, da intendersi nel senso che, nell’ipotesi in cui il profitto del reato sia consistito in una somma di denaro, la confisca diretta possa legittimamente avere ad oggetto un importo di pari entita’ comunque presente nei conti bancari o nei depositi nella disponibilita’ dell’autore del reato, purche’ si tratti di denaro gia’ confluito nei conti o nei depositi al momento della commissione del reato ovvero al momento del suo accertamento: solo in tali ipotesi e’ possibile ragionevolmente sostenere che il denaro e’ sequestrabile e poi confiscabile in via diretta come profitto accrescitivo, dunque indipendentemente da ogni verifica in ordine al rapporto di concreta pertinenzialita’ con il reato, perche’ tale relazione e’ considerata in via fittizia sussistente proprio per effetto della confusione del profitto concretamente conseguito con tutte le altre disponibilita’ economiche del reo; e’ stato, quindi, affermato il seguente principio di diritto: laddove il profitto del reato sia costituito da denaro non piu’ fisicamente identificabile e’ sempre legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, senza che sia necessaria la dimostrazione del nesso di derivazione dal reato, delle somme di denaro di valore corrispondente che siano attribuibili all’indagato, cioe’ che siano presenti sui conti o sui depositi nella disponibilita’ diretta o indiretta dell’indagato al momento della commissione del reato ovvero al momento del suo accertamento; la medesima forma di sequestro e’ legittima anche sulle somme di valore corrispondente accreditate su quei conti o su quei depositi in epoca posteriore al momento della commissione o dell’accertamento del reato, purche’ si tratti di numerarlo che risulti dimostrato essere in qualche modo collegabile al reato, percio’ allo stesso legato da un rapporto di derivazione anche indiretta (Sez. 6, n. 6816 del 29/01/2019, Rv. 275048).
Ed ancora, si e’ affermato, che la natura fungibile del denaro non e’ sufficiente per qualificare come “profitto” del reato l’oggetto del sequestro, essendo necessario anche provare che la disponibilita’ delle somme, successivamente sequestrate, costituisca un risparmio di spesa conseguito con il mancato versamento dell’imposta (Sez.3, n. 6348 del 04/10/2018, dep. 11/02/2019, Rv. 274859).
4.3. Alla luce dei suesposti principi di diritto, va, quindi, rilevato che, contrariamente a quanto affermato nell’ordinanza impugnata, la questione relativa alla estensione dell’oggetto della misura cautelare anche a somme affluite sui conti correnti in sequestro in momento successivo alla commissione del reato o in momento successivo alla data di esecuzione del decreto, non attiene alla fase esecutiva della misura ma concerne la legittimita’ dell’estensione degli effetti del sequestro a tali somme e, quindi, la stessa individuazione dell’oggetto della misura cautelare reale.
Il vincolo cautelare, infatti, verrebbe a colpire somme che risultano percepite in maniera cronologicamente scollegata con l’illecito commesso e, dunque, per poter essere qualificate come profitto accrescitivo, cioe’ come disponibilita’ monetaria accresciuta in conseguenza del profitto del reato, assume rilievo la prova che la disponibilita’ delle somme, successivamente sequestrate, costituiscano un risparmio di spesa conseguito a seguito della commissione del reato tributario.
4.5. S’impone, pertanto, l’annullamento della ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Roma, che si atterra’ ai principi di diritto suesposti.
P.Q.M.
Annulla la ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Roma.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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