Nei procedimenti amministrativi un termine è perentorio soltanto qualora vi sia una previsione normativa

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 22 gennaio 2020, n. 537

La massima estrapolata:

Nei procedimenti amministrativi, anche di carattere valutativo, come quello ora in esame, un termine è perentorio soltanto qualora vi sia una previsione normativa che espressamente gli attribuisca questa natura, ovvero quando ciò possa desumersi dagli effetti, sempre normativamente previsti, che il suo superamento produce (quali, ad esempio, una preclusione o una decadenza, nella specie – per l’appunto – non contemplati, come del resto l’anzidetto art. 5 del d.P.R. 12 aprile 1996, recante la disciplina applicabile al caso di specie, non contempla la formazione del silenzio-assenso, nel mentre il richiamo all’art. 10 dello stesso decreto da parte dell’appellante non rileva ai fini della presente causa, trattandosi di disciplina non applicata al caso di specie).

Sentenza 22 gennaio 2020, n. 537

Data udienza 1 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2045 del 2012, proposto da Ek. S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fe. Ca. e Gr. Cr., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Fe. Ca. in Roma, via (…),
contro
la Regione Autonoma della Sardegna, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Ca. e Sa. Tr., con domicilio eletto presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione Autonoma della Sardegna in Roma, via (…),
nei confronti
– del Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Lu. De An., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. An. De An. in Roma, via (…);
– di Ec. S.r.l. (già So. S.r.l.), di Fr. Of The Ea. In. – Sezione Am. della Te. – Delegazione per la Sardegna, non costituitisi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Prima n. 883/2011, resa tra le parti, concernente giudizio negativo di compatibilità ambientale relativo a progetto per la realizzazione di un impianto di smaltimento r.s.u.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Autonoma della Sardegna e del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 1 ottobre 2019, il Consigliere Fulvio Rocco e uditi per le parti gli avvocati Fe. Ca., Al. Ca. e Lu. De An.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.1. La vicenda per cui è causa trae origine dalla concessione amministrativa per la realizzazione di una discarica per lo smaltimento dei rifiuti solidi industriali sull’area comunale di “(omissis).” rilasciata dal Comune di (omissis) alla Ek. S.r.l. con deliberazione della Giunta Comunale n. 440 dd. 27 novembre 1981, adottata nel medesimo giorno in cui è avvenuta tra le parti la sottoscrizione di una convenzione al riguardo.
Il provvedimento di concessione è stato comunicato alla Regione Sardegna in data 18 gennaio 1982.
Il 28 agosto 1989 la società Sa. proponeva al medesimo Comune la realizzazione di una discarica per rifiuti solidi industriali nell’area già data in concessione alla Ek. S.r.l.
La Sa. inviava, quindi, il proprio progetto all’amministrazione regionale il 26 gennaio 1990 e a quella comunale il successivo 2 maggio.
Il 4 settembre 1990 il Comune informava la Sa. di avere già concesso l’area alla Ek..
Le due società, quindi, stipulavano un accordo di collaborazione per proseguire congiuntamente nella realizzazione dell’opera.
Con nota dd. 11 giugno 1997 l’amministrazione regionale aveva informato la società Sa. che il Comitato tecnico regionale per l’individuazione delle aree idonee alla realizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti aveva espresso parere favorevole alla costruzione dell’opera sotto condizione che venisse svolto uno studio di impatto ambientale da sottoporre all’esame della Conferenza dei servizi.
La società Sa., posta in liquidazione il 25 maggio 1997, cedeva peraltro tutti i propri diritti relativi alla realizzanda discarica alla Ag. S.p.a. che il successivo 7 agosto stipulava a sua volta un accordo di collaborazione con la Ek.; e, in conseguenza di ciò, in data 29 dicembre 1997 la Ag. informava l’amministrazione regionale di aver acquisito dalla Sa. i diritti per la realizzazione della discarica.
Nel periodo compreso tra il 26 febbraio e il 18 maggio 1998 la Ag. inviava all’Assessorato Ambiente della Regione Sardegna, al Comune di (omissis), all’Assessorato all’Ambiente della Provincia di Cagliari ed al Comitato di coordinamento del Piano di disinquinamento per il risanamento del (omissis) i seguenti documenti: progetto definitivo, studio di impatto ambientale, studio idrogeo-morfologico e geologico-tecnico e monografia di sintesi del progetto.
La Ag. chiedeva anche all’Assessorato all’Ambiente della Regione l’autorizzazione alla costruzione della discarica à sensi dell’allora vigente art. 27 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22.
L’Assessorato regionale all’Ambiente convocava la prima seduta della Conferenza dei servizi per il giorno 28 luglio 1998.
La Conferenza dei servizi veniva aggiornata più volte.
Nella riunione tenutasi in data 28 novembre 2000, veniva evidenziata la necessità di elaborare un’apposita valutazione di impatto ambientale, così come prevista dalla sopravvenuta l.r. 18 gennaio 1999, n. 1.
In data 19 febbraio 2001 la Ek. presentava all’amministrazione regionale la domanda di valutazione di impatto ambientale.
La Conferenza istruttoria preliminare si teneva il 30 maggio 2001, nel corso della quale veniva richiesta la redazione di una valutazione di incidenza ambientale.
Con deliberazione n. 31/26 dd. 18 settembre 2002 la Giunta regionale, condividendo il parere fornito al riguardo dall’Organismo tecnico istruttore (O.T.I.) in data 3 maggio 2002, esprimeva giudizio negativo di compatibilità ambientale all’intervento.
1.2. Con ricorso proposto sub R.G. 184 del 2003 innanzi al T.A.R. per la Sardegna la Ek. S.r.l. ha chiesto l’annullamento:
a) della deliberazione della Giunta Regionale della Sardegna n. 31/26 dd. 18 settembre 2002, comunicata alla medesima Ek. S.r.l. con lettera raccomandata da essa ricevuta il 21 novembre 2002;
b) del presupposto parere dell’O.T.I. dd. 3 maggio 2002;
c) dei pareri emessi dai vari soggetti istituzionali intervenuti nel corso del procedimento;
d) di ogni altro presupposto e conseguente.
La Ek. ha – altresì – contestualmente chiesto il risarcimento del danno da essa asseritamente subito per effetto degli atti impugnati.
La ricorrente in primo grado ha dedotto i seguenti ordini di censure:
1) violazione del principio della successione delle leggi nel tempo sancito dagli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale, falsa applicazione degli artt. 31 e 39 della l.r. 18 gennaio 1999, n. 1, eccesso di potere per travisamento dei fatti e dei presupposti logici dell’azione amministrativa;
2) violazione sotto ulteriore dell’art. 31 della l.r. n. 1 del 1999, violazione del punto 2 della delibera della Giunta Regionale n. 36/39 dd. 2 agosto 1999, violazione dell’art. 5 del d.P.R. 12 aprile 1996, recante atto di indirizzo e di coordinamento per l’attuazione dell’art. 40, comma 1, della l. 22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizione in materia di valutazione di impatto ambientale;
3) eccesso di potere per sviamento, nonché manifesta illogicità e contraddittorietà dell’azione amministrativa;
4) violazione delle disposizioni contenute nella convenzione sottoscritta tra il Comune di (omissis) e la medesima Ek. in data 27 novembre 1981.
1.3. In tale primo grado di giudizio si è costituita la Regione Sardegna, concludendo per la reiezione del ricorso
1.4. Si è parimenti costituito in giudizio il Comune di (omissis), parimenti concludendo per la reiezione del ricorso.
1.5. Nel medesimo grado di giudizio ha pure dispiegato intervento ad adiuvandum la So. S.r.l.
1.6. In data 9 aprile 2003 la Ek. S.r.l. ha depositato agli atti di causa motivi aggiunti di ricorso a seguito dell’esame del parere legale reso dall’avvocato Pa. Ro. e dal prof. Pi. Ci. in ordine alla vigenza dei vincoli contrattuali discendenti dalla convenzione stipulata nel 1981 tra il Comune di (omissis) e la medesima ricorrente.
Mediante tale ulteriore impugnativa la Ek. ha dedotto:
1) eccesso di potere sotto tutti i suoi profili sintomatici, illogicità manifesta, contraddittorietà ;
2) violazione degli artt. 1 e 6 della Convenzione tra il Comune di (omissis) e la Ek. iS.r.l. stipulata n data 27 novembre 1981 e degli obblighi assunti dal Comune con deliberazione della Giunta.
1.7. In data 3 giugno 2003 ha dispiegato intervento ad opponendum la Fr. Of The Ea. In. – Sezione italiana degli Am. della Te. – Delegazione per la Sardegna.
1.8. In data 22 luglio 2003 la Ek. S.r.l. depositava ulteriore atto di motivi aggiunti di ricorso chiedendo l’annullamento della deliberazione della Giunta Regionale n. 10/34 dd. 28 marzo 2003, recante la decisione di non approvare la realizzazione dell’impianto, e deducendo al riguardo i seguenti ordini di censure:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241, in relazione all’art. 27 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22; omessa motivazione;
2) illegittimità derivata per violazione dell’art. 31 della l.r. n. 1 del 1999, del punto 2 della delibera della Giunta Regionale n. 36/39 dd.2 agosto 1999 e dell’art. 5 del d.P.R. 12 aprile 1996; illegittimità derivata anche sotto il profilo dell’eccesso di potere per sviamento, nonché per manifesta illogicità e contraddittorietà dell’azione amministrativa.
1.9. Con sentenza n. 883 dd. 8 agosto 2011 la Sezione I^ dell’adito T.A.R. ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti di ricorso, nonché la domanda di risarcimento del danno, compensando integralmente tra tutte le parti le spese e gli onorari di tale primo grado di giudizio.
2.1. Con l’appello in epigrafe la Ek. S.r.l. chiede ora la riforma di tale sentenza, deducendo al riguardo i seguenti motivi:
1) manifesta erroneità di giudizio in ordine al rigetto della denuncia di violazione del principio della successione delle leggi nel tempo sancito dagli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale, di falsa applicazione degli artt. 31 e 39 della l.r. 18 gennaio 1999, n. 1, di eccesso di potere per travisamento dei fatti e dei presupposti logici dell’azione amministrativa;
2) manifesta erroneità di giudizio in ordine al rigetto della denuncia di violazione dell’art. 31 della l.r. n. 1 del 1999, del punto 2 della deliberazione della Giunta Regionale n. n. 36/39 dd.2 agosto 1999 e dell’art. 5 del d.P.R. 12 aprile 1996;
3) manifesta erroneità di giudizio in ordine al rigetto della denuncia di eccesso di potere per sviamento, nonché manifesta illogicità e contraddittorietà dell’azione amministrativa;
4) manifesta erroneità di giudizio in ordine al rigetto della denuncia della violazione delle disposizioni contenute nella convenzione stipulata tra il Comune di (omissis) e la Ek. S.r.l. in data 27 novembre 1981;
5) manifesta erroneità di giudizio in ordine al rigetto della denuncia di eccesso di potere in tutti i suoi profili sintomatici, nonché dell’illogicità manifesta e della contraddittorietà ;
6) manifesta erroneità di giudizio in ordine al rigetto della denuncia della violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241, in relazione all’art. 27 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22;
7) manifesta erroneità di giudizio in ordine al rigetto della denuncia di illegittimità derivata per violazione dell’art. 31 della l.r. n. 1 del 1999, del punto 2 della deliberazione della Giunta Regionale n. n. 36/39 dd.2 agosto 1999 e dell’art. 5 del d.P.R. 12 aprile 1996, nonché sotto il profilo dell’eccesso di potere per sviamento, manifesta illogicità e contraddittorietà dell’azione amministrativa.
La parte appellante ha – altresì – reiterato la propria domanda di risarcimento dei danni asseritamente discendenti dagli atti impugnati nel primo grado di giudizio.
2.2. Anche nel presente grado di giudizio si è costituita la Regione Sardegna, concludendo per la reiezione del ricorso.
2.3. Si è parimenti costituito nel presente grado di giudizio il Comune di (omissis), rassegnando analoghe conclusioni.
2.4. Non si sono viceversa costituiti nel presente grado di giudizio la Ec. S.r.l., già So. S.r.l.; e la Fr. Of The Ea. In. – Sezione italiana degli Am. della Te. – Delegazione per la Sardegna.
2.5. All’odierna pubblica udienza la causa è stata trattenuta per la decisione.
3.1. Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va respinto, con la preliminare precisazione che la disciplina rilevante ai fini del decidere e vigente all’epoca dei fatti di causa non coincide con quella attualmente in vigore e contenuta nell’art. 4 e ss. del t.u. approvato con d.lgs. 3 marzo 2006, n. 152, e successive modifiche, nonché nell’art. 208 e ss. del medesimo t.u.
3.2.1. Con il primo ordine di motivi la Ek. contesta il deliberato della Conferenza di Servizi di assoggettare il progetto in questione alla valutazione di impatto ambientale (VIA) à sensi del sopravvenuto art. 31 della l.r. 18 gennaio 1999, n. 1: disciplina, questa, che secondo la prospettazione della medesima appellante risulterebbe – per contro – inapplicabile ratione temporis.
A tale riguardo il giudice di primo grado, dopo aver rilevato che la decisione di sottoporre a valutazione di impatto ambientale il progetto di Ek. è stata adottata in data 28 novembre 2000 in sede di Conferenza di servizi alla quale la stessa Ek. aveva partecipato e dopo aver concluso nel senso che l’avvenuto adempimento da parte della medesima Ek. all’obbligo di presentare la domanda di valutazione di impatto ambientale non ha comunque determinato acquiescenza sul punto da parte dell’attuale appellante, ha testualmente affermato che “l’autorità amministrativa, cui spetta di applicare la legge vigente all’atto dell’adozione del provvedimento, è tenuta ad applicare la nuova legge sopravvenuta durante lo svolgimento del procedimento e fino alla sua definitiva conclusione. Va ricordato che il divieto di applicazione dello ius superveniens al procedimento amministrativo, quale corollario dei principi tempus regit actum e di irretroattività generale della legge, rinviene la sua ratio nell’intangibilità delle situazioni giuridiche soggettive, e dunque non ha ragione di trovare applicazione quante volte tali situazioni, come nel caso di specie, non possono dirsi acquisite nel patrimonio giuridico del suo titolare (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 23 settembre 2009, n. 5687). In definitiva, siccome ogni fase ed atto del procedimento riceve disciplina, per quanto riguarda la struttura, i requisiti ed il ruolo funzionale, dalle disposizioni di legge e di regolamento vigenti alla data in cui ha luogo ciascuna sequenza procedimentale, la legittimità di un provvedimento amministrativo va valutata in relazione alla situazione di fatto e di diritto vigente al tempo in cui lo stesso è stato adottato. Chiaro, quindi, che l’esercizio della potestà pubblica che si concretizza nel rilascio della autorizzazione richiesta da Ek. doveva avvenire in conformità alla disciplina vigente al momento dell’adozione dell’atto. Correttamente, quindi, è stata assunta la decisione di sottoporre il progetto a valutazione di impatto ambientale (nella Conferenza di servizi del 28 novembre 2000 e, pertanto, in vigenza della l.r. 18 gennaio 1999 n. 1). Va poi rilevato che il d.P.R. 12 aprile 1996, avente natura di atto di indirizzo e coordinamento, trovava immediata applicazione, anche in mancanza di una normativa di recepimento da parte della Regione. L’art. 1, comma 2, del d.P.R. 12 aprile 1996, prevede che ‘entro nove mesi dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del presente atto di indirizzo e coordinamento, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano provvedono a disciplinare i contenuti e le procedure di valutazione di impatto ambientale, ovvero ad armonizzare le disposizioni vigenti con quelle contenute nel presente attò . Tale atto ha acquistato efficacia cogente nei confronti delle Regioni, dopo nove mesi dalla pubblicazione, avvenuta nella G. U. n. 210 del 7 settembre 1996 (cfr. T.A.R. Puglia Lecce, Sez. I, 21 giugno 2001, n. 3011). Non è revocabile in dubbio che il progetto definitivo dell’intervento è stato depositato da Ek. nel maggio 1998 e cioè in fase di piena vigenza e diretta applicazione del d.P.R. 12 aprile 1996” (cfr. pag. 10 e ss. della sentenza impugnata).
L’appellante dissente da tali assunti rilevando innanzitutto che, à sensi della deliberazione della Giunta Regionale n. 36/39 dd. 2 agosto 1999 “le disposizioni per la valutazione di impatto ambientale regionale si applicano ai progetti di impianti, opere o interventi ricadenti nell’ambito di applicazione dell’art. 31 della l.r. n. 1 del 18 gennaio 1999 per i quali, alla data di pubblicazione della citata normativa, non siano state già presentate le istanze per l’ottenimento delle autorizzazioni o degli atti di assenso comunque denominati in materia di tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e di tutela della salute dei cittadini, a norma delle disposizioni vigenti”; e che, nel caso di specie, poiché il progetto di cui trattasi risulta inoppugnabilmente presentato in data 26 gennaio1990, ossia in epoca ben antecedente alla pubblicazione di tale disciplina di legge nel Bollettino Ufficiale della Regione Sardegna n. 2 19 gennaio 1999), la stessa non avrebbe potuto essere applicata ratione temporis al progetto medesimo à sensi di tale deliberato della Giunta Regionale.
L’appellante contesta inoltre l’assunto del giudice di primo grado in ordine all’efficacia cogente del d.P.R. 12 aprile 1996 anche in difetto della sua recezione da parte del legislatore regionale.
A ciò osterebbe, secondo la medesima parte appellante, la stessa intitolazione di tale d.P.R., per l’appunto denominato “Atto di indirizzo e coordinamento per l’attuazione dell’art. 40, comma 1, della l. 22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale”.
Inoltre – sempre secondo la parte appellante – tale mero atto di indirizzo, ex se pertanto privo di immediata efficacia vincolante per i suoi destinatari, a fortiori non risultava puntualmente precettivo per la Regione Sardegna, in quanto quest’ultima è dotata di autonomia speciale à sensi della l. cost. 26 febbraio 1948, n. 3, e posto che per l’omologa condizione della Provincia Autonoma di Trento la Corte costituzionale, con sentenza n. 273 dd. 17 luglio 1998 ha espressamente affermato che il predetto d.P.R. “pone nei confronti” di tale autonomia speciale “un obbligo di attuazione degli obiettivi in esso stabiliti, ma non ha valore di normativa dettagliata e assolutamente vincolante nei particolari procedurali”.
L’appellante afferma inoltre che l’immediata efficacia vincolante del d.P.R. 12 aprile 1996 alla scadenza del termine assegnato alle Regioni per l’adozione della disciplina di recepimento (nove mesi decorrenti dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta in data 7 settembre 1996: cfr. ivi l’art. 1) neppure potrebbe desumersi dalla sottesa disciplina contenuta nella Direttiva del Consiglio (CEE) n. 337 del 27 giugno 1985.
A tale riguardo l’appellante richiama Cons. Stato, Sez. IV, 10 maggio 2004, n. 2883, secondo cui “la direttiva comunitaria n. 85/337, come modificata dalla direttiva 97/11/CE, disciplina, all’art. 4, l’istituto della valutazione di impatto ambientale (V.I.A.), distinguendo i progetti, elencati nell’allegato I, che vi devono essere sottoposti da quelli, elencati nell’allegato II, per i quali viene demandata agli Stati membri la determinazione dei criteri e dei presupposti che rendono obbligatorio il rispetto della relativa procedura. La direttiva si compone, dunque, di due tipi di prescrizioni: una, immediatamente precettiva e vincolante, che impone l’acquisizione della V.I.A. per i progetti indicati nel I allegato, senza che al legislatore nazionale residui alcun margine di apprezzamento in ordine ai presupposti costituivi del relativo obbligo; l’altra, contenuta nel comma 2 dell’art. 4, che si limita a riservare alla valutazione discrezionale degli Stati membri la determinazione delle caratteristiche delle opere elencate nell’allegato II che impongono la soggezione dei relativi progetti alla procedura di V.I.A.”.
Posto ciò, l’appellante evidenzia che nell’allegato I, nn. 9 e 10, dell’anzidetta direttiva n. 85/337/CEE
sono menzionati come assoggettati obbligatoriamente a V.I.A. soltanto gli impianti di smaltimento di rifiuti pericolosi mediante incenerimento, trattamento chimico o interramento, nonché gli impianti di smaltimento di rifiuti non pericolosi mediante incenerimento o trattamento chimico: ossia tipologie di impianti ben diversi da quello progettato dalla medesima Ek., consistente in una semplice discarica di tipologia 2B per rifiuti non pericolosi e comunque non destinati a trattamento chimico o ad incenerimento.
In tal senso l’appellante rimarca quindi che per tale tipologia di impianti, contemplata nell’allegato II della medesima direttiva, l’imposizione della V.I.A. non è direttamente prevista dalla fonte normativa comunitaria, ma è da quest’ultima rimessa alla discrezionalità dei singoli Stati membri.
In dipendenza di tutto quanto sopra, secondo la tesi dell’appellante il progetto dell’impianto in questione in ogni caso non doveva essere assoggettato a V.I.A.
3.2.2. Il Collegio – per parte propria – non condivide tali assunti dell’appellante.
Come detto innanzi, il d.P.R. 12 aprile 1996, recante “Atto di indirizzo e coordinamento per l’attuazione dell’art. 40, comma 1, della l. 22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale” è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 210 del 7 settembre 1996, e il suo art. 1, comma 2, inequivocabilmente dispone nel senso che “entro nove mesi dalla data di pubblicazione” medesima le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano “provvedono a disciplinare i contenuti e le procedure di valutazione di impatto ambientale, ovvero ad armonizzare le disposizioni vigenti con quelle contenute nel presente atto”.
Orbene, il senso di tale clausola, parimenti sollecitatoria sia nei confronti del legislatore delle Regioni a statuto ordinario, sia delle autonomie speciali, non può all’evidenza risolversi, nell’ipotesi di inerzia da parte di tali legislatori, in una preclusione all’applicazione della disciplina di derivazione comunitaria in tema di V.I.A. contenuta nel predetto d.P.R. nel territorio della Regioni o della Province Autonome eventualmente inadempienti all’obbligo della sua recezione.
A tale riguardo non può dunque che essere ribadita, anche nella presente fattispecie, la vigenza suppletiva del d.P.R. 12 aprile 1996 come atto di indirizzo e di normazione – per così dire – standard fino all’entrata in vigore della nuova legge regionale di recezione o di adeguamento allo ius novum di derivazione comunitaria (cfr. sul punto Corte cost. 17 luglio 1998, n. 273, e 10 febbraio 1997, n. 18; cfr., altresì, Cons. Stato, Sez. VI, 28 settembre 2001, n. 5169); e, in tale contesto, proprio la sentenza di Corte cost. 17 luglio 1998, n. 273, segnatamente relativa alla recezione della disciplina di derivazione comunitaria in tema di V.I.A. da parte della Provincia Autonoma di Trento, va – per l’appunto – intesa nell’inequivoco significato letterale delle stesse sue parole così come dianzi riportate dalla medesima parte appellante, ossia che il d.P.R. 12 aprile 1996 pone nei confronti di tale autonomia speciale – e, quindi, anche nei confronti della Regione Sardegna -, “un obbligo di attuazione degli obiettivi in esso stabiliti, ma non ha valore di normativa dettagliata e assolutamente vincolante nei particolari procedurali”.
Risulta pertanto ben chiaro – ancora una volta, e a differenza di quanto poi sostenuto dalla parte appellante – che le autonomie speciali, ivi dunque compresa la stessa Regione Sardegna, sono comunque obbligate a recepire il d.P.R. predetto, sebbene siano tenute ad attuarne gli obiettivi senza che il dettaglio della disciplina in esso contenuta risulti per esse vincolante.
Mediante l’art. 31 della l.r. 18 gennaio 1999, n. 1, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Sardegna n. 2 dd. 19 gennaio 1999, la Regione Sardegna ha invero introdotto nel proprio ordinamento una disciplina transitoria in materia di valutazione di impatto ambientale “in attuazione delle disposizioni comunitarie e del decreto del Presidente della Repubblica del 12 aprile 1996… o nelle aree proposte dall’Amministrazione regionale per l’inserimento nella rete “Natura 2000″ in attuazione della direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale” (cfr. ivi, comma 1).
Con l’entrata in vigore di tale disciplina transitoria è dunque cessata nel territorio della Sardegna l’applicazione suppletiva del d.P.R. 12 aprile 1996 che aveva avuto inizio in data 7 settembre 1996.
Posto ciò, va evidenziato che Ek. ha depositato il proprio progetto definitivo in data 20 maggio 1998, ossia nella vigenza non già dell’art. 31 della l.r. 1 del 1999, ma in quella suppletiva del predetto d.P.R. 12 aprile 1996, e che pertanto il progetto in questione doveva essere comunque assoggettato a V.I.A. à sensi di quanto da quest’ultimo previsto.
Se così è, neppure risulta rilevante nell’economia di causa l’assunto dell’appellante secondo cui la deliberazione della Giunta Regionale n. 36/39 dd. 2 agosto 1999 escludeva l’applicazione della disciplina contenuta nell’art. 31 della l.r. n. 1 del 1999 per i progetti per i quali al momento dell’entrata in vigore della medesima l.r. n. 1 del 1999 risultava già presentata la richiesta di autorizzazione.
Tale, invero, era la situazione per il progetto di Ek., ma – a ben vedere – proprio da questa circostanza si trae la necessitata conseguenza che il progetto medesimo comunque doveva essere assoggettato a V.I.A. anche se non già à sensi della sopravvenuta disciplina di fonte regionale, bensì à sensi della disciplina contenuta nel d.P.R. 12 aprile 1996, comunque applicabile al riguardo ratione temporis.
Né giova all’appellante l’assunto secondo cui la tipologia dell’impianto progettato non rientrerebbe nelle previsioni dell’allegato I, nn. 9 e 10, dell’anzidetta direttiva n. 85/337/CEE e che pertanto l’impianto medesimo non sarebbe assoggettato a V.I.A. secondo la disciplina di fonte comunitaria: e ciò in quanto la necessità di applicazione nella presente fattispecie della V.I.A. così come normata nell’ordinamento statuale italiano discende da quanto disposto in proposito dagli allegati al predetto d.P.R. 12 aprile 1996, laddove – per l’appunto – risulta obbligatoria la procedura di V.I.A. anche per i progetti di realizzazione di discariche di rifiuti speciali non pericolosi eccedenti i 100.000 mc.
3.3.1. Con il secondo ordine di motivi l’appellante deduce l’avvenuto superamento del termine previsto per la conclusione del procedimento riguardante la V.I.A.
In tal senso l’appellante rileva che, mentre l’art. 31, lett. f), della l.r. n. 1 del 1999 e l’art. 5 del d.P.R. 12 aprile 1996 contemplano l’obbligo per l’amministrazione regionale di definire il procedimento di V.I.A. entro il termine di 150 giorni dalla ricezione della domanda, nel caso di specie il relativo procedimento è stato definito dopo ben 577 giorni: e ciò, dunque, a fronte di una richiesta presentata il 19 febbraio 2001, debitamente corredata da tutta la documentazione richiesta, e di un’istruttoria conclusa il 19 settembre 2002.
L’appellante censura in particolare l’assunto del giudice di primo grado, secondo cui “tale obbligo di pronunciarsi determinava, in caso di decorso del termine, la formazione del silenzio-inadempimento e la conseguente possibilità di esercitare la relativa azione”, di modo che “l’inutile decorso del termine di legge, pur potendo consentire l’attivazione dei rimedi di legge, non consuma di per sé il potere dell’autorità competente di provvedere nel procedimento di valutazione dell’impatto ambientale” (cfr. pag. 12 e ss. della sentenza impugnata).
A tale assunto l’appellante oppone la tesi secondo cui il termine in questione sarebbe perentorio, e denota comunque che lo stesso d.P.R. 12 aprile 1996 – del quale lo stesso T.A.R. ha nella specie fatto applicazione – contempla comunque l’istituto del silenzio-assenso, in particolare previsto per la procedura di screening ivi contemplata nell’art. 10.
Secondo l’appellante risulterebbe pertanto del tutto infondata la tesi del giudice di primo grado secondo cui l’unica conseguenza della ben grave violazione commessa dall’amministrazione si identificherebbe con il mero riconoscimento all’interessato della facoltà di instaurare un giudizio per l’accertamento del silenzio-inadempimento.
3.3.2. Il Collegio a questo riguardo ribadisce che nei procedimenti amministrativi, anche di carattere valutativo, come quello ora in esame, un termine è perentorio soltanto qualora vi sia una previsione normativa che espressamente gli attribuisca questa natura, ovvero quando ciò possa desumersi dagli effetti, sempre normativamente previsti, che il suo superamento produce (quali, ad esempio, una preclusione o una decadenza, nella specie – per l’appunto – non contemplati, come del resto l’anzidetto art. 5 del d.P.R. 12 aprile 1996, recante la disciplina applicabile al caso di specie, non contempla la formazione del silenzio-assenso, nel mentre il richiamo all’art. 10 dello stesso decreto da parte dell’appellante non rileva ai fini della presente causa, trattandosi di disciplina non applicata al caso di specie).
Ove manchi un’espressa indicazione circa la natura del termine o gli specifici effetti dell’inerzia, deve aversi riguardo alla funzione che lo stesso in concreto assolve nel procedimento, nonché alla peculiarità dell’interesse pubblico coinvolto, con la conseguenza che, in mancanza di elementi certi per qualificare un termine come perentorio, per evidenti ragioni di favor, esso deve ritenersi ordinatorio (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 6 giugno 2017, n. 2718, con riguardo anche a Cons. Stato, A.P., 25 febbraio 2014, n. 10).
In dipendenza di ciò, quindi, anche per la presente fattispecie trova applicazione il principio per cui il potere amministrativo di provvedere non viene meno per il mero fatto della scadenza del termine fissato in via ordinatoria per il suo esercizio, solo restando salve le conseguenze di tipo disciplinare o risarcitorio per danno da ritardo (così, ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 30 luglio 2018, n. 4657), nella specie comunque non configurabili.
3.4.1. Con il terzo ordine di motivi l’appellante deduce l’infondatezza della sentenza impugnata laddove ha respinto le censure formulate in primo grado in ordine all’eccesso di potere sotto i profili dello sviamento, della manifesta illogicità e della contraddittorietà dell’azione amministrativa che vizierebbero la decisione dell’amministrazione regionale di non consentire la realizzazione del progetto: e ciò, peraltro, con riguardo a giudizi e a valutazioni formalmente intervenuti nel procedimento di V.I.A. ma di fatto estranei alle finalità di quest’ultima.
In particolare la parte appellante contesta la sentenza impugnata laddove afferma che “in tema di valutazione dell’impatto ambientale, il potere dell’Amministrazione appare caratterizzato da discrezionalità tecnica: ne consegue che il sindacato del giudice deve esercitarsi soprattutto in relazione a macroscopiche illegittimità ed incongruenze manifeste, anche se senza alcuna aprioristica limitazione derivante dalla natura tecnica dell’attività che è suscettibile di sindacato, in sede di legittimità, sia per vizi logici, sia per errore di fatto, sia per travisamento dei presupposti, sia per difetto di istruttoria, sia, infine, per cattiva applicazione delle regole tecniche (Cons. Stato, Sez. VI, 11 febbraio 2004, n. 458). In definitiva l’Amministrazione in sede di V.I.A. esercita un’ampia discrezionalità e le scelte effettuate sono sostanzialmente insindacabili in considerazione del valore primario ed assoluto riconosciuto dalla Costituzione al paesaggio e all’ambiente; pertanto la ponderazione degli interessi privati con gli interessi pubblici connessi alla tutela paesaggistica ed ambientale non è richiesta neppure allo scopo di dimostrare che il sacrificio imposto al privato è stato contenuto nel minimo possibile (Cons. Stato, Sez. IV, 05 luglio 2010, n. 4246). Nel caso sottoposto all’attenzione del Collegio non risulta che le scelte dell’Amministrazione siano illogiche od incongrue” (cfr. sentenza impugnata, pag. 13).
La V.I.A. – rimarca viceversa l’appellante – è essenzialmente finalizzata alla tutela della salute e al miglioramento della qualità della vita umana tramite la ponderazione degli effetti diretti e indiretti dell’opera proposta sull’uomo e sull’ambiente complessivamente considerato: e, nondimeno, il parere reso nella specie dall’O.T.I. e recepito dalla Giunta Regionale non evidenzierebbe alcun pericolo per la salute umana e per l’ecosistema, bensì ragioni ostative estranee a tali beni tutelati dalla disciplina in esame, fondandosi – per l’appunto – sulle considerazioni qui di seguito riassunte:
a) “la discarica non risulta essere necessaria nel panorama attuale, in quanto le maggiori produttrici di rifiuti hanno già impostato le loro iniziative”, con la conseguenza che il piano di disinquinamento della regione del Sulcis risulterebbe già soddisfatto, mentre non sussisterebbe “alcuna possibilità di conferimento di residui derivanti dalla bonifica e risanamento ambientale delle aree minerarie” ivi dismesse, nonché parimenti abbandonate nell’Iglesiente e nel Guspinese;
b) sussisterebbe nel territorio interessato dal progetto “un notevole carico ambientale attribuibile agli impianti di smaltimento dei rifiuti ed altre attività invasive in atto e pregresse”;
c) l’area è inserita in un proposto sito di importanza comunitaria (SIC), nel quale sarebbero presenti non meglio individuate specie di animali di importanza comunitaria, nel mentre “l’incidenza dell’intervento è cumulativa agli effetti provocati da preesistenti attività “;
d) la comunità locale e lo stesso Comune di (omissis) sarebbero fortemente contrari all’intervento.
L’insieme di tali motivazioni risulterebbero, ad avviso dell’appellante, intrinsecamente prevalenti e allo stesso tempo estranee alle predette finalità perseguite dalla normativa dettata in tema di V.I.A.
Comunque sia, per quanto attiene all’asserita inutilità della discarica, l’appellante reputa tale valutazione attinente agli indirizzi di gestione del territorio ma non al pericolo di compromissione ambientale e alla tutela dei beni protetti.
Inoltre, sempre secondo l’appellante, il medesimo giudizio di inutilità dell’impianto risulterebbe smentito dall’esistenza di un contratto quinquennale di locazione concluso tra la medesima Ek. S.r.l. e la Ifras S.p.a., comunicata all’amministrazione regionale in data 16 aprile 2002 e contemplante il conferimento nella discarica in questione di un quantitativo minimo annuo di mc. 300.000 di rifiuti provenienti dal Parco Geominerario.
Per quanto attiene all’asserita esistenza di un elevato carico ambientale nell’area, l’appellante richiama le differenti valutazioni “di larga parte dei componenti dell’O.T.I.” (così a pag. 17 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio.
In particolare l’appellante rimarca che:
1) l’Ufficio Tutela del Paesaggio di Cagliari, favorevole all’intervento, “riferisce che il sito, da un punto di vista paesistico, non presenta particolari peculiarità “, nel mentre l’impatto dell’intervento “potrebbe risultare sostenibile se, come peraltro già previsto dal progetto presentato dal committente, la coltivazione procedesse per moduli successivi, senza quindi una generale compromissione del sito” e “inoltre eventuali interventi di mitigazione e compensazione risulterebbero di facile applicazione”;
2) il Genio Civile di Cagliari, parimenti favorevole all’intervento, afferma a sua volta che “da un punto di vista degli impatti sull’ambiente, e con particolare riferimento al territorio, all’ubicazione e all’inserimento del paesaggio, non sembrano esserci impatti rilevanti”, nel mentre ritiene che “le considerazioni inerenti la quantità di rifiuti industriali effettivamente prodotti e le conseguenti valutazioni circa le dimensioni e la proponibilità dell’intervento riguardino altra sede, e non quella della sostenibilità ambientale”;
3) l’Assessorato alla Sanità, parimenti favorevole all’intervento, ha affermato che “non si ravvisano particolari pericolosità per la salute umana”;
4) il Servizio Tutela del Suolo ha ritenuto che “gli elaborati progettuali trattino in maniera complessivamente soddisfacente le problematiche territoriali… escludendo sostanziali modificazioni dell’assetto idrogeomorfologico tali da generare situazioni di rischio”:
5) l’Ispettorato Ripartimentale di Iglesias, competente per l’aspetto forestale ed idraulico, ha affermato che “da un punto di vista forestale, l’area non riveste particolare valore sia da un punto di vista vegetazionale che sotto l’aspetto selviculturale che idrogeologico”, ma ha comunque espresso “un parere generale negativo determinato dalla mancanza di necessità alla realizzazione della discarica proposta”.
L’appellante rileva inoltre che, per quanto segnatamente attiene al paventato rischio di compromissione di un'”area inserita in un SIC in cui sono presenti tra l’altro alcune specie di animali di importanza comunitaria”, lo stesso O.T.I. nel proprio documento riconosce che “la superficie interessata dall’intervento, pari a circa 50 ettari, incide per lo 0,54% rispetto alla superficie del proposto Sito di Interesse Comunitario “Co. di Ne.”, che dovrebbe essere esteso per 9.220 ha”, con ciò ammettendo che l’intervento di fatto assumerebbe un’incidenza di fatto irrisoria nell’economia ambientale del luogo.
Da ultimo, per quanto riguarda la rilevata contrarietà della comunità locale e dello stesso Comune di (omissis) (ancorché lo stesso abbia stipulato una convenzione per la realizzazione della discarica), l’appellante riafferma la palese estraneità di tale argomento alle problematiche della tutela ambientale così come considerate nella normativa disciplinante la V.I.A.
3.4.2. Il Collegio – per parte propria – rileva che il procedimento di V.I.A. è in effetti connotato da un’ampia – ma non esclusiva – componente di discrezionalità tecnica, e allo stesso tempo denota che tale attività può essere sindacata in sede giurisdizionale sotto il profilo del difetto di istruttoria, della totale carenza o assoluta illogicità della motivazione, della erroneità dei presupposti di fatto, ovvero di manifesta incoerenza della procedura valutativa; e ciò – per l’appunto – conformemente al consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui, più in generale, ogni giudizio che è espressione di discrezionalità tecnica impinge direttamente nel merito dell’azione amministrativa e, quindi, di per sé sfugge alle censure di legittimità, salvo che esso non risulti manifestamente arbitrario, irrazionale, illogico, ovvero basato su un evidente travisamento di fatti che, peraltro, spetta al ricorrente dimostrare (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 13 giugno 2011, n. 3561 e, Sez. IV, 26 marzo 2010, n. 1776).
Più in particolare, anche per la presente fattispecie giova premettere che circa l’esatta individuazione della natura del potere e l’ampia latitudine della discrezionalità esercitata dall’amministrazione in sede di V.I.A. – istituto finalizzato alla tutela preventiva dell’ambiente inteso in senso ampio – gli approdi esegetici cui è pervenuta la giurisprudenza sia comunitaria che nazionale confermano la natura ampiamente discrezionale delle scelte effettuate e che risultano giustificate dai valori primari ed assoluti coinvolti (cfr., ad es., Corte cost., 7 novembre 2007, n. 367; Cons. Stato, Sez. VI, 13 giugno 2011, n. 3561; Sez. IV, 5 luglio 2010, n. 4246; Sez. V, 12 giugno 2009, n. 3770; Corte giust. UE, 25 luglio 2008, C-142/07).
E’ stato in tal senso chiarito che nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale, l’amministrazione esercita un’amplissima discrezionalità che non si esaurisce peraltro in un mero giudizio tecnico – suscettibile, in quanto tale, di verificazione effettuabile tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione – ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti; detto altrimenti, la natura schiettamente discrezionale della decisione finale risente dei suoi presupposti sia sul versante tecnico che amministrativo (cfr. in tal senso Cons. Stato, Sez. V, 22 marzo 2012, n. 1640); e risulta altrettanto assodato che in tali evenienze il sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni discrezionali della pubblica amministrazione deve essere svolto extrinsecus, ossia nei limiti della rilevabilità ictu oculi dei vizi di legittimità dedotti, essendo diretto ad accertare il ricorrere di seri indici di invalidità e non alla sostituzione dell’amministrazione nel proprio apprezzamento discrezionale (cfr. ibidem, con la giurisprudenza ivi citata).
Va pure qui rimarcato che, a differenza di quanto sostenuto dalla parte appellante, la V.I.A. è connotata comunque da valutazioni ad ampio spettro, le quali possono quindi tenere in considerazione elementi di natura diversa tra loro, e quindi non soltanto strictu sensu naturalistici: e in riguardo a ciò, quindi, tale procedura non consiste nella mera verifica dell’astratta compatibilità dell’opera ma, conformemente alla disciplina comunitaria e nazionale, si sostanzia in un’analisi comparata tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all’utilità socio-economica, tenendo conto delle alternative praticabili ivi inclusa l’opzione zero, ossia la non realizzazione dell’opera: cosicché è fisiologica una decisione negativa ove l’intervento proposto cagioni un sacrificio ambientale superiore a quello necessario per il soddisfacimento dell’interesse diverso sotteso all’iniziativa (così, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 5 luglio 2010, n. 4246).
Posto ciò, dall’esame dei provvedimenti impugnati si ricava che la valutazione ha avuto esito negativo nei riguardi del progetto proposto da Ek. in quanto, anche al di là dei pareri favorevoli da esso riscossi e riportati in sintesi dall’attuale appellante, l’O.T.I. ha puntualmente evidenziato che la discarica non risulta di per sé utile in quanto il fabbisogno connesso con lo smaltimento dei rifiuti è già coperto nel Sulcis e anche nelle aree finitime dagli impianti esistenti, e la circostanza dell’esibizione da parte di Ek. di un impegno scritto di conferimento di materiali al proprio nuovo impianto non risulta di per sé decisiva per un diverso apprezzamento di tale realtà di fatto, posto che dall’istruttoria non emerge anche un concomitante dato di saturazione delle discariche a quel momento operanti nella stessa area e, quindi, di un’impossibilità del sistema di smaltimento dei rifiuti di soddisfare le esigenze locali.
Risulta pertanto evidente che in tale contesto l’aggiunta di un ulteriore impianto senza una comprovata necessità della sua apertura determinerebbe un aggravamento delle condizioni ambientali della superficie prescelta e delle zone circostanti in termini di deterioramento del territorio, emissioni inquinanti e antropizzazione: il tutto, quindi, con ben evidente ricaduta negativa per l’equilibrio dell’ecosistema locale.
Di particolare rilievo risulta in tal senso il parere espresso all’O.T.I. dal Servizio Gestione dei rifiuti, secondo il quale – per l’appunto – “a) la discarica non risulta essere necessaria nel panorama attuale, in quanto le maggiori produttrici di rifiuti hanno già impostato le loro iniziative per lo smaltimento e dunque si è adempiuto ai dettati del D.P.C.M. e del D.P.R. inerenti il Piano Disinquinamento Sulcis; nonché al momento non si intravede alcuna possibilità di conferimento di residui derivanti dalla bonifica e risanamento ambientale delle aree minerarie dismesse del Sulcis – Iglesiente – Guspinese; peraltro la discarica non risulta necessaria secondo quanto previsto dal Piano di gestione dei rifiuti speciali recentemente approvato dalla Giunta Regionale con deliberazione n. 23/34 del 30 aprile 2002; b) il sito scelto non è in linea con le indicazioni regionali sui criteri di localizzazione in quanto il sito non è intrinsecamente sicuro e non vi è alcun recupero di territorio degradato; al contrario il progetto della discarica in rilevato comporta la realizzazione di una nuova collinetta per una superficie di circa 50 ha: c) nel territorio comunale di (omissis) esiste già un notevole carico ambientale attribuibile agli impianti di smaltimento dei rifiuti; infatti già esistono due discariche esaurite autorizzate negli anni passati per lo smaltimento delle scorie derivanti dal ciclo produttivo della Portovesme (già Enirisorse) e la discarica della società Ecodump che, sebbene in Comune di Carbonia, è in linea d’aria molto più prossima al centro abitato di (omissis); d) la realizzazione della discarica richiede il reperimento di materiale da cave di prestito per la formazione dell’argine per oltre 720.000 mc., con un forte impatto nel territorio, oltre al materiale argilloso richiesto in elevata volumetria per via dell’interessamento di una vasta superficie; e) le caratteristiche di ventosità della zona non sono elemento favorevole per la realizzazione di una discarica su un pianoro esposto a tutti i venti”.
La non utilità della discarica per il territorio che si vorrebbe servire risulta pertanto ex se dirimente per fondare la legittimità dell’esito della V.I.A., unitamente a tutte le ulteriori circostanze ora descritte: e va altresì evidenziato che rileva nel medesimo senso anche la circostanza che la pur ridotta dimensione della discarica rispetto all’areale complessivo del proposto SIC ragionevolmente non impedirebbe le ricadute ambientali negative su una superficie ben più ampia di quella della discarica medesima.
L’insieme di tali considerazioni supporta pertanto la legittimità dell’esito negativo della V.I.A. ottenuto dal progetto presentato dalla Ek..
3.5.1. Con il quarto ordine di motivi l’appellante ha dedotto l’avvenuta violazione della convenzione sulla realizzazione della discarica di cui trattasi stipulata in data 27 novembre 1981 tra l’amministrazione comunale di (omissis) e la medesima Ek., nonché approvata dalla Giunta Comunale di (omissis) con deliberazione n. 440 adottata in pari data.
A tale riguardo l’appellante criticamente rileva che il Consiglio Comunale di (omissis), con due distinte deliberazioni – segnatamente la n. 42 dd. 27 luglio 1998 e la n. 41 dd. 10 luglio 200, in ordine alle quali, tra l’altro, la medesima appellante non documenta in questa sede di aver proposto impugnative al riguardo – si è successivamente espresso in senso risolutamente contrario alla realizzazione della discarica, ponendo tra l’altro in dubbio la stessa perdurante vigenza dell’anzidetta convenzione.
L’appellante rimarca pure che nella seduta dell’O.T.I. dd. 14 marzo 2002 gli amministratori comunali, nel ribadire la propria contrarietà alla realizzazione della discarica, hanno pure testualmente precisato che “quel terreno è di proprietà del Comune” e che “lo stesso Comune non ha alcuna intenzione, né tantomeno alcun obbligo di doverlo cedere alla Ek.”.
Il giudice di primo grado ha testualmente affermato in proposito che “il giudizio negativo in ordine alla valutazione di impatto ambientale è stato reso non solo sulla base del parere del Comune di (omissis). Il riferimento alla validità della convenzione è del tutto inconferente, posto che l’intervento non è stato assentito non per la violazione della convenzione (indipendentemente dalla sua validità ) bensì per non aver superato la fase della valutazione di impatto ambientale” (così a pag. 14 della sentenza impugnata).
L’appellante reputa per contro del tutto rilevante la convenzione di cui trattasi nell’economia della presente causa, posto che per effetto di tale atto stipulato inter partes il Comune di (omissis) ha prestato il proprio assenso alla realizzazione della discarica a fronte dell’obbligo assunto a carico della medesima Ek. di eseguire “sotto la propria responsabilità i lavori necessari alla realizzazione materiale della discarica” e di accogliere gratuitamente in essa i conferimenti dei “residui urbani dell’abitato di (omissis), della frazione di Nuraxi Figas e durante il periodo estivo della spiaggia Plagemesu e Fontanamare”.
Ek., oltre ad aver depositato agli atti di causa tre pareri legali che affermano la perdurante vigenza della convenzione, afferma che “senza la determinata ed illegittima opposizione del Comune di (omissis) la procedura di V.I.A. si sarebbe senz’altro conclusa in senso diametralmente opposto, visto che l’istruttoria non ha fatto emergere alcun potenziale pregiudizio per l’ambiente e la salute” (così a pag. 21 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio).
Va qui soggiunto che con il susseguente quinto motivo di appello Ek. ulteriormente ribadisce la perdurante vigenza dei vincoli contemplati inter partes dall’anzidetta convenzione, richiamando in particolare il parere pro veritate reso al riguardo dall’avv, Pa. Ro. e dal prof. Pi. Ci., segnatamente nel senso che la convenzione predetta risulta – per l’appunto – “ancora valida ed efficace”; che “l’atto autorizzatorio risulta sottoposto alla condizione sospensiva del rilascio delle autorizzazioni regionali” e che “l’amministrazione comunale, per motivi di pubblico interesse, potrebbe legittimamente, in sede di autotutela, annullare unilateralmente il precedente provvedimento amministrativo”, ma che “in questo caso dovrebbe analizzare attentamente le ragioni che in sede di comparazione di interessi giustificano il sacrificio dei diritti e degli interessi privati, esternandole successivamente in motivazione”, posto che “l’incongruità e il difetto di motivazione infatti renderebbero l’atto di annullamento o di revoca illegittimo”, e che “ciò esporrebbe il Comune di (omissis) alla pesante richiesta risarcitoria del concessionario”.
Su questi assunti l’appellante fonda pertanto il proprio ordine di motivi di eccesso di potere sotto i profili dell’illogicità manifesta e della contraddittorietà che inficerebbe l’attuale agire del Comune di (omissis).
3.5.2. Il Collegio a tale riguardo rileva che, per quanto dianzi esposto al § 3.4.1 e al § 3.4.2 della presente sentenza, risulta ben evidente che l’opposizione – per così dire “politica” – espressa dal Comune di (omissis) nei riguardi della realizzazione della discarica e fondata peraltro anche sull’asseritamente sopravvenuta inefficacia dell’anzidetta convenzione sottoscritta in epoca ormai remota con la Ek., non può invero definirsi di per sé determinante agli effetti dell’esito negativo della procedura di V.I.A. espletata nei riguardi del progetto presentato dall’attuale appellante, posto che l’esito stesso è stato originato da motivi di natura eminentemente tecnica e puntualmente dedotti da altri soggetti istituzionali partecipanti all’O.T.I.
Posto ciò, quindi, soltanto per completezza espositiva il Collegio rileva che la convenzione di cui trattasi, risalente al 1981 e pertanto sottoscritta in un contesto ordinamentale alquanto diverso da quello in essere all’epoca dei fatti per cui è ora causa, prevede – come del resto puntualmente rilevato nello stesso parere reso pro veritate dall’avv. Pa. Ro. e dal prof. Pi. Ci. – che il rilascio dell’atto autorizzatorio da parte dell’amministrazione comunale ad Ek. sia “sottoposto alla condizione sospensiva del rilascio delle autorizzazioni regionali”: formula convenzionale, questa, che, nell’intento delle parti, assumeva e assume valenza dinamica, tale dunque da necessariamente indurre le parti medesime sin dal 1981 all’apposizione di una condizione risolutiva nell’ipotesi in cui la competente autorità regionale non avesse autorizzato la realizzazione del progetto, e quindi tale da ricomprendere in sé ogni futura ipotesi di atto autorizzatorio indefettibilmente necessario per la realizzazione e l’esercizio della discarica, ivi dunque naturalmente compreso anche l’esito della pur non allora contemplata procedura di V.I.A.
3.6.1. Con il sesto ordine di motivi Ek. censura in via derivata la deliberazione della Giunta Regionale n. 10/34 dd. 28 marzo 2003 recante il diniego di approvazione del proprio progetto, affermando al riguardo che la procedura di V.I.A. non esaurisce – di per sé – gli incombenti procedimentali complessivamente richiesti agli effetti del rilascio delle autorizzazione per la realizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti di cui all’allora vigente art. 27 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 che pertanto i provvedimenti che concludono tali incombenti dovevano essere autonomamente motivati.
A tale riguardo l’appellante rileva che il giudice di primo grado ha respinto la relativa censura, “posto che l’impugnata delibera espone le ragioni che hanno portato al diniego e tenuto conto che l’adeguatezza della motivazione deve essere valutata con diretto ed immediato riferimento alla natura dell’atto e alla corrispondenza fra la determinazione adottata e le acquisizioni istruttorie compiute, essendo ammissibile, con riferimento a tali atti, anche una motivazione “per relationem”, in cui le ragioni della scelta operata possono ricavarsi dagli atti della serie procedimentale che hanno preceduto il provvedimento finale e che sono stati dallo stesso richiamati (Cons. Stato, Sez. VI, 18 gennaio 2006, n. 129)”.
L’appellante – per contro – insiste sulla necessità, nella specie, di una motivazione autonoma in ordine al mancato rilascio dell’autorizzazione di cui all’allora vigente art. 27 del d.lgs. n. 22 del 1997 anche e soprattutto sulla scorta dell’invero risalente pronuncia di Cons. Stato, Sez. V, 6 dicembre 1993, n. 1262, che nella vigenza dell’art. 3-bis della l. 29 ottobre 1987, n. 441 – sostanzialmente omo nel suo contenuto al testé riferito art. 27- affermò che “la valutazione di impatto ambientale ad opera del Ministero dell’ambiente in forza dell’art. 8 della l. 9 novembre 1988, n. 475 per gli impianti di trattamento e stoccaggio dei rifiuti urbani non si sovrappone del tutto alla Conferenza dei servizi prevista dall’art. 3-bis della l. 29 ottobre v1987, n. 441, atteso che a quest’ultima spetta l’acquisizione e la valutazione di tutti gli elementi relativi alla “compatibilità del progetto con le esigenze ambientali e territoriali”, mentre alla prima compete la sola “valutazione di compatibilità con le esigenze ambientali”, per cui la valutazione de qua non costituisce il momento istruttorio finale e centrale da assumere a base della valutazione sull’approvazione e/o sull’autorizzazione da adottare dalla Giunta Regionale ai sensi dell’art. 3-bis cit.”.
La medesima appellante reputa – altresì – al riguardo del tutto inconferente il richiamo da parte del giudice di primo grado della sentenza n. 129 del 2006 resa dalla Sez. VI di questo Consiglio di Stato, in quanto essa non costituirebbe un precedente puntuale al principio di diritto affermato dal giudice medesimo, riguardando – per contro – una ben diversa tematica incentrata sulla legittimità di atti di alta amministrazione che impegnavano il programma e la responsabilità del Governo.
Va qui anche necessariamente soggiunto che con il settimo e ultimo ordine di motivi l’appellante ha dedotto che i vizi del procedimento di V.I.A. si sarebbero comunque riverberati anche in via derivata sull’anzidetta deliberazione della Giunta Regionale n. 10/34 dd. 28 marzo 2003 recante il diniego di approvazione del progetto della discarica, e richiama pertanto al riguardo il contenuto dei primi cinque motivi di appello qui innanzi esposti.
3.6.2. Il Collegio, per parte propria, rileva che il richiamo dell’appellante alla predetta pronuncia di Cons. Stato, Sez. V, 6 dicembre 1993, n. 1262, risulta del tutto inconferente per l’economia di causa, trattandosi innanzitutto di una pronuncia resa in un contesto ordinamentale del tutto diverso da quello per cui ora è causa, posto che a quel tempo la procedura di V.I.A. risultava attribuita non già alla competenza regionale, bensì a quella statale à sensi dell’art. 8 della l. 9 novembre 1988, n. 475, e del d.p.c.m. 10 agosto 1988, n. 377.
Inoltre – ed in via del tutto assorbente – va rimarcato che la sentenza invocata da Ek. a supporto della propria tesi aveva affermato che in caso di esiti del tutto negativi dell’attività istruttoria e delle valutazioni espresse dalla conferenza di servizi prevista dall’art. 3-bis della l. n. 441 del 1987 nonché dalla V.I.A. effettuata dal Ministero dell’Ambiente à sensi degli anzidetti art. 8 della l. n. 475 del 1988 e del d.p.c.m. 10 agosto 1988, n. 377, la Giunta Regionale non poteva provvedere all’approvazione dei progetti dei nuovi impianti di trattamento e di stoccaggio dei rifiuti urbani, speciali nonché tossici e nocivi; viceversa, nell’ipotesi in cui i predetti esiti fossero stati non del tutto negativi ma nemmeno completamente positivi, la Giunta Regionale poteva, valutando le risultanze istruttorie e motivando, addivenire a conclusioni sia negative sia positive, non potendo peraltro in quest’ultimo caso prescindere dalle prescrizioni e dalle condizioni espresse tanto in sede di Conferenza di servizi, quanto di V.I.A.: e ciò proprio in quanto il procedimento di V.I.A. di competenza ministeriale e quello della Conferenza di servizi di cui all’art. 3-bis della l. n. 441 del 1987 si integravano a vicenda e costituivano due momenti della fase istruttoria in base al quale l’amministrazione regionale provvedeva all’approvazione dei progetti sulla base delle valutazioni espresse da entrambe.
Posto ciò, nel caso presentemente in esame l’esito della V.I.A. è stato indubitabilmente negativo proprio in quanto per l’opera in questione è stata prescelta l’opzione zero, essendone stata reputata l’inutilità : e, se così è, non residuava per certo alla Conferenza di servizi e alla Giunta Regionale una discrezionalità di valutazione della fattispecie in termini diversi da quanto apprezzato in sede di V.I.A., con la conseguenza che il diniego dell’autorizzazione richiesta da Ek. costituiva, ad ogni buon conto, una scelta di fatto obbligata.
3.7. Dalla reiezione di tutte le censure di natura impugnatoria dedotte nell’appello consegue pure la reiezione della domanda di risarcimento del danno.
4. Pur respingendo l’appello, il Collegio dispone l’integrale compensazione tra tutte le parti delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio, stante la quantità e complessità dei motivi d’appello complessivamente proposti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa integralmente tra tutte le parti le spese e gli onorari del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Fulvio Rocco – Consigliere, Estensore
Antonella Manzione – Consigliere
Giovanni Orsini – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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