Corte di Cassazione, penale, Sentenza|8 febbraio 2021| n. 4740.
Nei casi di applicazione da parte del giudice della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, previsti dall’articolo 222 del codice della strada, la determinazione della durata di tale sospensione deve essere effettuata non in base ai criteri di cui all’articolo 133 del codice penale, ma in base ai diversi parametri di cui all’articolo 218, comma 2, del codice della strada, sicché le motivazioni relative alla misura della sanzione penale e di quella amministrativa restano tra di loro autonome e non possono essere raffrontate ai fini di un’eventuale incoerenza o contraddittorietà intrinseca del provvedimento (nella specie, è stato dichiarato inammissibile il ricorso con cui ci si doleva del fatto che, essendo stato condannato l’imputato al minimo della pena, il giudice di merito avrebbe dovuto applicare nel minimo anche la durata della sospensione della patente di guida).
Sentenza|8 febbraio 2021| n. 4740
Data udienza 18 novembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Guida sotto l’influenza dell’alcool aggravata dalla causazione di un incidente stradale – Difetto di specificità dei motivi di doglianza – Inammissibilità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente
Dott. CIAMPI Francesco Mari – Consigliere
Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere
Dott. CENCI Daniele – rel. Consigliere
Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 07/10/2019 della CORTE APPELLO di L’AQUILA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DANIELE CENCI;
sulle conclusioni rassegnata dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. FODARONI MARIA GIUSEPPINA, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di L’Aquila il 7 ottobre 2019, in parziale riforma della sentenza, appellata dall’imputato, con cui il Tribunale di Pescara il 15 ottobre 2018, all’esito del dibattimento, ha riconosciuto (OMISSIS) responsabile del reato di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti finalizzati alla verifica dello stato di ebbrezza alcoolica (capo B: Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285, articolo 186, comma 7), fatto commesso l'(OMISSIS), in esso assorbita la contestazione di guida in stato di ebbrezza (capo A: Decreto Legislativo n. 285 del 1992, articolo 186, comma 2, lettera c e comma 2-bis), in conseguenza, per quanto qui rileva, condannandolo, con l’aggravante di avere provocato un incidente stradale, alla pena stimata di giustizia, con sospensione della patente di guida per un anno, ha, invece, assolto l’imputato dalla contestazione di cui al capo A), per insussistenza del fatto, ha escluso la sussistenza dell’aggravante della causazione di incidente e ha rideterminato, riducendola, la pena; con conferma quanto al resto.
2. Ricorre per la cassazione della sentenza l’imputato, tramite difensore di fiducia, affidandosi ad un unico motivo, con il quale denunzia promiscuamente violazione di legge (articolo 186 C.d.S., comma 7, e articolo 133 c.p.) e difetto di motivazione, che sarebbe contraddittoria.
Riassunta la vicenda processuale e sottolineata l’intervenuta assoluzione dal fatto storico originariamente rubricato sub lettera A) e la riduzione della sanzione, lamenta (OMISSIS) la illegittimita’ della conferma della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida nella misura di un anno. Ad avviso del ricorrente, avendo la Corte di appello ritenuto espressamente di dover applicare la sanzione penale nella misura del minimo (p. 4), in conseguenza avrebbe dovuto applicare nel minimo anche la durata della sospensione della patente per il reato sub lettera B), cioe’ per sei mesi (forbice edittale da sei mesi a due anni), mentre ha confermato nella misura di un anno, che – si sottolinea – e’ pari alla durata minima della sanzione amministrativa per il reato di cui al capo A) (forbice da uno a due anni), dal quale l’imputato e’ stato assolto.
3. Il P.G. il 3 novembre 2020 ha concluso per iscritto (del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8) chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ manifestamente infondato, per le seguenti ragioni.
Vero e’ che la sanzione penale applicata e’ particolarmente “mite” (avendo i giudici dichiarato espressamente di applicare il minimo edittale, p. 4 della sentenza impugnata) e la sanzione amministrativa accessoria attestata su un valore non pari al minimo, ma comunque inferiore al valore medio (infatti valore medio un anno e tre mesi; minimo un anno, massimo due anni Decreto Legislativo n. 285 del 1992, ex articolo 186, comma 7).
Non esiste, pero’, alcuna correlazione indefettibile di proporzionalita’ tra le due statuizioni (quella penale in senso stretto e quella amministrativa), che sono protese a diverse finalita’. Infatti, come gia’ opportunamente puntualizzato da Sez. 4, n. 55130 del 08/11/2017, Fiorini, Rv. 271661-01, con affermazione cui senz’altro deve darsi continuita’, “Nei casi di applicazione da parte del giudice della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, previsti dall’articolo 222 C.d.S., la determinazione della durata di tale sospensione deve essere effettuata non in base ai criteri di cui all’articolo 133 c.p.p., ma in base ai diversi parametri di cui all’articolo 218 C.d.S., comma 2, sicche’ le motivazioni relative alla misura della sanzione penale e di quella amministrativa restano tra di loro autonome e non possono essere raffrontate ai fini di un’eventuale incoerenza o contraddittorieta’ intrinseca del provvedimento”.
In ogni caso, risulta tranciante il rilievo che il ricorso e’ tutto impostato su una mera ipotesi del ricorrente, che cioe’ i giudici di merito abbiano inteso fare riferimento alla sanzione accessoria prevista per il capo A), mentre di cio’ non vi e’ traccia ne’ nella sentenza impugnata, che ne ha escluso la sussistenza, ne’ in quella di primo grado, che aveva ritenuto – propriamente o impropriamente ma con pronunzia non contestata – il fatto storico sub A) assorbito nel capo B).
2.Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, che si stima conforme a diritto ed equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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