L’accertamento, da parte del giudice del merito della volontà delle parti contraenti

Corte di Cassazione, penaleSentenza|8 febbraio 2021| n. 4754.

L’accertamento, da parte del giudice del merito, della volontà delle parti contraenti emergente da una clausola contrattuale non può essere soggetto al sindacato della Corte di cassazione se l’indagine è stata condotta senza violazione delle norme stabilite dalla legge per l’interpretazione dei contratti ed è sorretta da congrua e logica motivazione.

Sentenza|8 febbraio 2021| n. 4754

Data udienza 18 novembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Sequestro preventivo – Denaro depositato presso la banca creditrice – Sussistenza di un pegno regolare – Esclusione del mutamento della natura per effetto del trasferimento della garanzia sulla somma di denaro – Possibilità di sottoposizione a vincolo cautelare – Insussistenza del vizio di violazione di legge – Inammissibilità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente

Dott. CIAMPI Francesco Mari – Consigliere

Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere

Dott. CENCI Daniele – rel. Consigliere

Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) – (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 28/05/2020 del TRIB. LIBERTA’ di PISTOIA;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. DANIELE CENCI;
lette le conclusioni del PG Dr. FODARONI MARIA GIUSEPPINA, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Pistoia, in funzione di giudice dell’appello cautelare, decidendo in sede di rinvio (Sez. 3, n. 5295 del 06/12/2019, dep. 2020, non mass.), con ordinanza del 28 maggio – 17 giugno 2020 ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di (OMISSIS) – (OMISSIS), che, in veste di terzo interessato, aveva impugnata l’ordinanza del 3 luglio 2019 con la quale era stata rigettata la richiesta di restituzione della somma di 114.006,05 Euro, giacente sul conto corrente aperto presso tale istituto di credito e cointestato a (OMISSIS) (ed a (OMISSIS)) ed assoggettato a vincolo cautelare per effetto del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di (OMISSIS), indagato dalla Procura della Repubblica del Tribunale di Pistoia per i reati di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articoli 10-bis e 10-ter, reati che lo stesso avrebbe commesso quale amministratore di una societa’.
2.In occasione del primo ricorso, l’istituto di credito, ritenendo di essere divenuto proprietario delle somme in questione, poiche’ oggetto di un contratto di pegno irregolare, e di averne, quindi, diritto alla restituzione, aveva, tra l’altro, censurato:
la violazione dell’articolo 1851 c.c., avendo, ad avviso dell’ente, l’ordinanza illegittimamente affermato che la somma sequestrata dovesse ritenersi costituita in pegno regolare piuttosto che irregolare, conseguenza che discenderebbe ex lege dalla circostanza che, dal gennaio 2015, oggetto del pegno era un deposito di danaro (primo motivo);
la violazione degli articoli 1834, 1846, 1851 e 1852 c.c., i quali prevedono che nei depositi di una somma di denaro presso una banca, questa ne acquista la proprieta’ e che il pegno concesso a garanzia di un’anticipazione di credito in conto corrente e’ di per se’ irregolare (secondo motivo);
ed omissione di motivazione, sotto tre profili:
per non avere il Tribunale, nonostante la doglianza svolta con l’impugnazione, fornito risposta all’argomento secondo il quale la garanzia pignoratizia, originariamente data con riguardo a strumenti finanziari dematerializzati, a seguito della scadenza degli stessi, si era trasferita sulle somme incassate, dando cosi’ luogo ad un pegno irregolare (terzo motivo);
per non avere considerato la previsione dell’articolo 4 delle condizioni generali di contratto (quarto motivo);
e per non avere preso posizione rispetto al tema dell’applicabilita’ al caso di specie delle norme del codice civile piu’ sopra richiamate, da cui si ricaverebbe, ad avviso del ricorrente, la natura irregolare del pegno, non potendo ritenersi che alla scadenza dei titoli la garanzia si fosse trasferita su banconote da conservarsi fisicamente in cassaforte (quinto motivo).
3. La S.C. con la decisione richiamata (Sez. 3, n. 5295 del 06/12/2019, dep. 2020) ha cosi’ stabilito (nn. 1-4 del “considerato in diritto”, pp. 3-5):
“1. E’ pacifico – e la stessa ricorrente non lo contesta – che la possibilita’ di sottoporre a sequestro penale beni costituiti in pegno sia consentita laddove si tratti di pegno regolare (Sez. 3, n. 36293 del 18/05/2011, Hypo Alpe Adria Bank S.p.a., Rv. 251133; Sez. 2, n. 45400 del 07/11/2008, Palmieri, Rv. 241975) e non, invece, quando la garanzia sia qualificabile come pegno irregolare, posto che quest’ultimo determina il trasferimento della proprieta’ del bene in capo al creditore (Sez. 2, n. 23659 del 06/05/2010, Banca MB S.p.a., Rv. 247409, relativa al sequestro preventivo di un conto corrente bancario le cui somme risultavano costituite in pegno irregolare a garanzia dell’anticipazione concessa dalla banca al correntista con conseguente trasferimento in proprieta’ al creditore delle somme gravate dalla garanzia; Sez. 3, n. 40784 del 12/05/2015, Gagliardelli, Rv. 264988).
Laddove la garanzia cada su titoli obbligazionari, la giurisprudenza di questa Corte in materia di sequestrabilita’ penale di beni costituiti in pegno e’ nel senso che questo deve ritenersi regolare quando difetta il conferimento alla banca della facolta’ di disporre del relativo diritto (Sez. 2, n. 38824 del 28/03/2017, Banca Monte Dei Paschi Di Siena S.p.a., Rv. 271298, in materia di misure di prevenzione patrimoniale). Laddove si tratti, invece, di somme denaro, non puo’ disporsi il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente quando le stesse, depositate su conto corrente, siano state costituite in pegno irregolare a garanzia di una obbligazione dell’imputato, attesa la immediata acquisizione della proprieta’ delle stesse da parte del creditore (Sez. 3, n. 19500 del 16/09/2015, dep. 2016, Banca Nazionale Del Lavoro Spa, Rv. 267008, nella cui motivazione si precisa che, ai fini della individuazione e differenziazione del pegno irregolare rispetto a quello regolare, non rilevano ne’ il “nomen” contrattualmente attribuito al rapporto e nemmeno il fatto che la somma di denaro rimanga depositata su un conto corrente bancario intestato al debitore e continui a maturare interessi, ma e’ decisiva la circostanza che, nel caso di inadempimento del debitore, il creditore abbia la facolta’ di soddisfarsi immediatamente e direttamente sulla cosa o sulle cose date a pegno, secondo la previsione di cui all’articolo 1851 c.c., ovvero debba attivare una forma di vendita pubblica, ai sensi degli articoli 2796 e 2797 c.c.).
2. Cio’ premesso, nel caso di specie l’ordinanza impugnata ha dichiarato di voler fare applicazione di richiamati principi di diritto e ha confermato il diniego di restituzione della somma sequestrata ritenendo che il contratto concluso tra le parti avesse dato vita ad un pegno regolare, poiche’ la proprieta’ degli strumenti finanziari dati in garanzia – specificamente individuati – era rimasta in capo al debitore, come si desumeva dal fatto che alla banca era stata contrattualmente attribuita la procura all’esercizio dei diritti sui titoli e l’autorizzazione al reimpiego delle somme derivanti dal loro eventuale incasso, cio’ che radicalmente escludeva il loro trasferimento in capo al creditore. Essendo stata altresi’ espressamente convenuta la facolta’ di alienare i titoli in pegno per realizzare la garanzia in ipotesi di inadempimento del debitore, ad avviso del tribunale si era confermata la qualificazione del pegno come regolare, essendosi sostanzialmente richiamato lo schema di cui all’articolo 2797 c.c.. Per contro, secondo l’ordinanza, non vi sarebbe alcuna pattuizione contrattuale idonea a legittimare la conclusione circa la natura irregolare del pegno una volta che la garanzia veniva a cadere sul denaro incassato dalla vendita dei titoli.
3. Come esattamente deduce la ricorrente, tuttavia, il tribunale non ha in alcun modo esaminato il disposto di cui all’articolo 4 delle condizioni generali di contratto richiamato nell’appello, sub motivo 1.b e, di nuovo, sub motivo 2 – a norma del quale, “nel caso di rimborso totale o parziale degli strumenti stessi, la garanzia pignoratizia si trasferisce sulle somme incassate” e non ha valutato se – in forza delle disposizioni di legge parimenti evocate nell’appello (gli articoli 1851, 1846 e 1834 c.c.) – per il patto di rotativita’ contrattualmente convenuto, il pegno (pur qualificabile come regolare allorquando oggetto ne erano i titoli) sia successivamente divenuto irregolare per la citata pattuizione negoziale.
Non essendo stata esaminata tale specifica – e potenzialmente dirimente – doglianza, il provvedimento impugnato e’ sul punto affetto dal vizio, deducibile in sede di legittimita’, di assenza di motivazione dedotto in ricorso ai motivi 3, 4 e 5, che risultano quindi fondati con assorbimento dei restanti.
Ed invero, in forza dell’articolo 325 c.p.p., pur essendo il ricorso per cassazione ammissibile solo per violazione di legge (Sez. 3, n. 45343 del 06/10/2011, Moccaldi e a., Rv. 251616) e’ deducibile l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119; Sez. 6, n. 50946 del 18/09/2014, Catalano, Rv. 261590). E la motivazione e’ apparente – quindi censurabile con il ricorso per cassazione per violazione di legge – quando le argomentazioni non risultano ancorate alle peculiarita’ del caso concreto (Sez. 4, n. 43480 del 30/09/2014, Giovannini, Rv. 260314), si’ da integrare un vizio tanto radicale da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza che consentano di “rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli e a., Rv. 269656; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, Faiella, Rv. 269296). La motivazione, per altro verso, e’ inesistente quando manchi la puntuale e analitica risposta sulle questioni devolute dall’appellante (Sez. 2, n. 52617 del 13/11/2018, Di Schiena, Rv. 274719) rispetto ad un tema contenuto nell’atto di impugnazione che abbiano carattere di decisivita’ (Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, Perna e a., Rv. 267723).
4. L’ordinanza impugnata va pertanto annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Pistoia”.
4. Il Tribunale di Pistoia con provvedimento del 28 maggio – 17 giugno 2020 ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di (OMISSIS).
Richiamate le circostanze – di fatto – che erano stati costituiti in pegno strumenti finanziari dematerializzati caratterizzati da un codice identificativo, non costituenti, pertanto, beni fungibili e – di diritto – che era stata conferita alla banca una procura per l’esercizio dei diritti sui titoli assoggetti al vicolo del pegno e l’autorizzazione a reimpiegare le somme riscosse in seguito alla scadenza dei titoli per l’acquisto di ulteriori strumenti finanziari, circostanze che sarebbero incompatibili con il trasferimento della proprieta’ in favore del creditore pignoratizio, trasferimento che costituisce effetto tipico del pegno irregolare (pp. 1-2 dell’ordinanza), il Tribunale, riassunta la decisione di annullamento con rinvio della S.C. cosi’ argomenta.
Risulterebbe dirimente il “rilievo che la sopravvenuta natura fungibile del bene costituito in garanzia (divenuto denaro per effetto della scadenza dei titoli obbligazionari) non appare di per se’ sola incompatibile con la natura regolare del pegno (…) in materia di anticipazione bancaria cosi’ come in tema di deposito bancario (la cui disciplina e’ richiamata dalla stessa ricorrente) (… e’) configurabile un pegno di natura sia regolare che irregolare, a seconda che le cose date in garanzia siano o meno individuate o che sia stata conferita o meno al creditore la facolta’ di disporne; non appare quindi risolutivo il richiamo operato dalla ricorrente agli articoli 1834 e 1851 c.c., dovendosi, in tale prospettiva, indagare piuttosto la effettiva volonta’ della parti, come risultante dal relativo regolamento contrattuale” (p. 2 dell’ordinanza).
Si richiamano, poi (pp. 2-3), due precedenti di legittimita’ della Corte di cassazione civile, secondo cu, rispettivamente:
“Il pegno di un libretto di deposito bancario costituito a favore della banca depositaria si configura come pegno irregolare solo quando sia conferita espressamente alla banca la facolta’ di disporre del relativo diritto, mentre, nel caso in cui difetti il conferimento di tale facolta’, si rientra nella disciplina del pegno regolare, onde la banca garantita non acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento (con obbligo di riversare o scomputare il relativo ammontare), ma e’ tenuta a restituire il titolo o il documento stesso, con la conseguenza che, difettando i presupposti per la compensazione dell’esposizione passiva del cliente con una corrispondente obbligazione pecuniaria della banca, la costituzione del pegno rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 67 L.F. ed e’ pertanto assoggettabile a revocatoria fallimentare” (Sez. 1 civ., n. 5845 del 09/05/2000, Banca Monte Paschi Siena Spa vs. Fall. Maar Spa, Rv. 536277-01);
e “Il pegno di saldo di conto corrente bancario costituito a favore della banca depositaria si configura come pegno irregolare solo quando sia espressamente conferita alla banca la facolta’ di disporre della relativa somma mentre, nel caso in cui difetti il conferimento di tale facolta’, si rientra nella disciplina del pegno regolare, ragion per cui la banca garantita non acquisisce la somma portata dal saldo, ne’ ha l’obbligo di restituire al debitore il “tantundem”, sicche’, difettando i presupposti per la compensazione dell’esposizione passiva del cliente con una corrispondente obbligazione pecuniaria della banca, l’incameramento della somma conseguente all’escussione del pegno rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 67 L.F. ed e’ assoggettabile a revocatoria fallimentare” (Sez. 1 civ., n. 16618 del 08/08/2016, Banca Nazionale Lavoro Spa vs. Fallimento Europlastec Srl, Rv. 640911-01).
Alla luce di tali principi, che stima condivisibili, il Tribunale di Pistoia ritiene (p. 3 dell’ordinanza) essersi nel caso di specie in presenza di un pegno regolare anche in presenza della costituzione in garanzia di un bene fungibile quale, tipicamente, e’ il denaro depositato presso la banca creditrice pignoratizia.
Passando poi ad esaminare l’articolo 4 della condizioni generali di contratto (come imposto dalla S.C. con la sentenza di annullamento con rinvio), che disciplina, tra l’altro, il trasferimento della garanzia sulla somme incassate in caso di rimborso, parziale o totale, degli strumenti finanziari dematerializzati, osservano i giudici di merito (p. 3) come il trasferimento della garanzia sulla somme incassate, in assenza della contestuale previsione della facolta’ in capo alla banca di disporre di tali somme uti dominus, non risulti idonea a determinare il trasferimento della natura del pegno – originariamente regolare – in pegno irregolare per il solo fatto che la garanzia si sia trasferita su di una somma di denaro, cioe’ su un bene che, di per se’ considerato, sarebbe fungibile.
Infatti osserva il Collegio di merito – l’articolo 4 delle condizioni generali di contratto prevede che in caso di estensione e di trasferimento della garanzia resti escluso ogni effetto novativo: “(…) l’effetto realizzatosi in conseguenza della scadenza del titolo – vale a dire la sostituzione dello strumento finanziario dematerializzato ad una somma di denaro – puo’ essere pienamente ricondotto al fenomeno della surrogazione reale, ossia ad una mera modifica (senza effetti novativi) dell’oggetto della garanzia, e non gia’ al trasferimento della titolarita’, in favore del creditore pignoratizio, del relativo bene, quand’anche divenuto fungibile”.
Si richiama poi (pp. 3-4 dell’ordinanza) ulteriore precedente di legittimita’ ritenuto pertinente, di Sez. 1 civ., n. 3674 del 17/02/2014, Unipol Banca Spa vs. Fall. Nuova Ulisse Edizioni Srl, Rv. 629946-01: “Il patto che preveda la facolta’ del creditore pignoratizio di provvedere autonomamente alla riscossione dei titoli concessi in pegno alla scadenza e di impiegare gli importi riscossi nell’acquisto di altrettanti titoli della stessa natura, e cosi’ di seguito a ogni successiva scadenza dei titoli provenienti dal rinnovo o dai rinnovi, con l’avvertenza che gli importi riscossi e i titoli con essi acquistati restino soggetti all’originario vincolo di pegno, e’ incompatibile con il pegno irregolare, in quanto la riscossione dei titoli alla scadenza (e non la vendita degli stessi in qualsiasi momento) e l’acquisto di titoli della stessa natura rendono evidente la mera surrogazione dell’oggetto di un pegno regolare e non l’attribuzione alla banca della facolta’ di disporre dei titoli. Ne’ ad escludere tale natura e’ idonea l’inclusione dei titoli in un certificato cumulativo, atteso che la dematerializzazione, pur superando la fisicita’ del titolo, non e’ incompatibile con il pegno regolare, consentendone forme di consegna e di trasferimento virtuali, attraverso meccanismi alternativi di scritturazione, senza la movimentazione e senza neppure la creazione del supporto cartaceo”.
Passando a “tirare le fila” del ragionamento ritiene il Tribunale di Pistoia (p. 4) applicabili nel caso di specie i richiamati principi, poiche’, come si legge all’articolo 1 della sezione “strumenti finanziari dematerializzati e cartolarizzati”, nel disciplinare il patto di rotativita’ le parti hanno contrattualmente previsto, da un lato, il conferimento alla banca dell’autorizzazione a reimpiegare le somme riscosse alla scadenza dei titoli vincolati per l’acquisto di altrettanti titoli di quantita’ e di durata pari a quelli scaduti e, cosi’, di seguito ad ogni successiva scadenza, e, dall’altro, il trasferimento del vincolo, senza effetti novativi, sui titoli, strumenti finanziari e valori acquisiti in seguito alla estinzione e/o alienazione dei titoli scaduti e/o alienati.
Del resto, sempre ad avviso del Tribunale, la gia’ richiamata puntualizzazione di Sez. 1, n. 3674 del 17/02/2014 cit., secondo cui “la riscossione dei titoli alla scadenza (e non la vendita degli stessi in qualsiasi momento) e l’acquisto di titoli della stessa natura rendono evidente la mera surrogazione dell’oggetto di un pegno regolare e non l’attribuzione alla banca della facolta’ di disporre dei titoli”, dimostrerebbe ulteriormente la incompatibilita’ di un patto rotativo di tal genere con un pegno irregolare.
In definitiva, conclude il Collegio all’esito del riferito ragionamento, “non emergendo dal regolamento contrattuale il conferimento al creditore pignoratizio della facolta’ di disporre del relativo diritto (pure nell’ipotesi in cui ricada sulla somma derivante dalla scadenza del titolo), il trasferimento della garanzia sulla somma di denaro non sia idonea a mutare la natura del pegno, da qualificarsi, sia in origine sia in seguito alle vicende dipendenti dalla pattuita rotativita’, in ogni caso come regolare. Dalla natura regolare della garanzia pignoratizia discende, pertanto, che, non essendo i beni costituiti in pegno mai usciti dalla titolarita’ del debitore, gli stessi possano essere sottoposti a vincolo cautelare reale di cui il predetto e’ destinatario senza che vengano in rilevo diritti di proprieta’ di terzi” (cosi’ alla p. 4 dell’ordinanza impugnata).
5.Tanto premesso, ricorre nuovamente, tramite difensore di fiducia, il Presidente del consiglio di amministrazione di (OMISSIS) – (OMISSIS), per la cassazione del provvedimento del 28 maggio – 17 giugno 2020.
L’impugnazione e’ affidata a quattro motivi, con i quali, ripercorsi sinteticamente gli antefatti (pp. 1-3 del ricorso), si denunzia violazione di legge.
5.1. In particolare, con il primo motivo (p. 3 del ricorso) si lamenta violazione dell’articolo 627 c.p.p., comma 3, in quanto i giudici di merito avrebbero disatteso il principio di diritto fissato dalla S.C. ed avrebbero interpretato l’articolo 4 delle condizioni generali di contratto, su cui doveva vertere la decisione, “in modo assolutamente arbitrario ed ingiustificato, volendo rinvenire la non applicabilita’ degli articoli 1851 e 1834 (c.c.) nel non essere stato menzionato in modo espresso nel contratto di pegno il potere di disposizione da parte della banca del denaro liquidato sul conto”.
5.2. Mediante il secondo motivo (pp. 3-6) si censura la ritenuta violazione dell’articolo 1851 c.c..
L’istituto ricorrente richiama argomenti gia’ svolti nel precedente ricorso e, ripercorsa in sintesi la motivazione dell’ordinanza impugnata, evidenzia la natura irregolare del pegno, in quanto, ad avviso della banca, ai sensi dell’articolo 4 delle condizioni generali di contratto, essendo scaduti nel gennaio 2015 gli strumenti finanziari, essi non sono stati sostituiti con nuovi titoli ma il relativo valore, pari a 114.006,65 Euro e’ stato meramente annotato su di un conto, senza che, pero’, la somma oggetto di pegno sia mai stata effettivamente trasformata in banconote fisicamente individuate ed individuabili.
In conseguenza della riconosciuta natura irregolare del pegno in denaro, alla stregua della interpretazione che appare preferibile dell’articolo 1851 c.c., che pone la nozione pegno irregolare, secondo cui “i due requisito della non individuazione e della facolta’ di disporre sono alternativi” (cosi’ alla p. 6 del ricorso), il Tribunale avrebbe dovuto riconoscere la proprieta’ della somma in capo a (OMISSIS).
I precedenti di legittimita’ richiamati nel provvedimento impugnato riguarderebbero situazioni, diverse, ove oggetto del pegno erano libretto di deposito bancario e saldo di conto corrente e, anzi, condurrebbero, ove esattamente intesi, ad accogliere la tesi della banca ricorrente: “male ha fatto l’ordinanza impugnata a ritenere che con riferimento al pegno di denaro come quello in questione si debba valutare se sia stata attribuita contrattualmente alla banca la facolta’ di disposizione delle somme. Dalla corretta interpretazione dell’articolo 1851 c.c., infatti, consegue che il pegno di denaro liquido su conto e’ pegno di un bene non individuato e fungibile, con riferimento al quale c’e’ obbligo di restituzione del tantundem (e non certo della medesima banconota, mai neppure fisicamente individuata) e che quindi di per se’ costituisce pegno irregolare.
Cio’ senza alcuna necessita’ di accertare se la banca abbia o meno facolta’ di disposizione del denaro versato su conto corrente; e d’altra parte, come meglio specificato nel successivo motivo di ricorso, tale facolta’ di disposizione e’ comunque attribuita alla banca per legge dall’articolo 1834 c.c.” (cosi’ alla p. 6 dell’impugnazione).
5.3. Con il terzo motivo (pp. 7-10), strettamente collegato al precedente, ci si duole della ritenuta violazione degli articoli 1834, 1852, 1846 e 1851 c.c..
Rammenta la banca ricorrente di avere gia’ nel primo motivo di appello a suo tempo presentato evidenziato che, ai sensi dell’articolo 1834 c.c., nei depositi di una somma di denaro presso una banca, questa ne acquista la proprieta’ ed e’ obbligata a restituirla nella stessa specie monetaria alla scadenza del termine convenuto: ne discende che, al momento della liquidazione del valore dei titoli, l’importo liquidato sarebbe divenuto di proprieta’ della banca, banca che nel caso di specie non potrebbe equipararsi ad una sorta di custode con l’obbligo di restituzione delle medesime banconote, peraltro mai fisicamente individuate.
Dalla stessa considerazione della finalita’ dell’attivita’ bancaria (raccolta di denaro e concessione del credito) discenderebbe che “qualsiasi deposito di denaro presso una banca, a meno che non vengano pattuite clausole sostanzialmente incompatibili con l’attivita’ bancaria come l’obbligo di custodia di plichi di banconote, comporta di default l’acquisizione del denaro al patrimonio della banca e l’assunzione di un obbligo di rimborso (a richiesta o alla scadenza) (…) In applicazione dell’articolo 1834 c.c. nel caso in cui l’oggetto del pegno sia una somma di denaro liquidata su conto, la natura irregolare del pegno e’ in re ipsa, senza necessita’ di alcun ulteriore accertamento sulla previsione di una espressa facolta’ di disposizione del denaro da pare della banca. La facolta’ di disposizione del denaro, infatti, discende dall’applicazione delle norme del codice civile, in specie quelle relative all’attivita’ bancaria: qualunque somma depositata su conto e’ oggetto di libera disposizione da parte della banca stessa, la quale puo’ utilizzare il denaro investendolo come ritiene piu’ opportuno e redditizio; salva l’obbligazione di restituzione di una somma equivalente a quella oggetto di credito” (cosi’ alla p. 7 del ricorso).
Inoltre, essendo stato il pegno in questione concesso a garanzia di un’anticipazione di credito in conto corrente, il combinato disposto degli articoli 1846 e 1851 c.c. permetterebbe di affermare che il pegno di denaro a garanzia di anticipazioni bancarie e’, di per se’, irregolare, in quanto determina la possibilita’-necessita’ per la banca finanziatrice di restituire solo la somma che eccede l’ammontare del credito garantito (p. 8 del ricorso).
Sottolineato che nel caso di specie il denaro derivante dalla estinzione dei titoli e’ rimasto “appostato” su di un conto di contabilita’, si assume che la situazione non sarebbe molto diversa nemmeno se esso fosse andato a comporre il saldo di un vero e proprio rapporto di conto corrente, perche’ la banca potrebbe comunque utilizzare il denaro sul conto, fermo l’obbligo di rimborsare il cliente (p. 8 dell’impugnazione).
Solevate, poi (p. 9), alcune perplessita’ circa la condivisibilita’ del fondamento logico della sentenza della S.C. richiamata dal Tribunale (Sez. 1 civ., n. 16618 del 08/08/2016, Banca Nazionale Lavoro Spa vs. Fallimento Europlastec Srl, cit.), si censura, ritenendola illogica (p. 9 del ricorso), la motivazione dell’ordinanza impugnata, secondo cui “poiche’ gli strumenti finanziari originariamente oggetto di pegno non erano di proprieta’ della banca, anche il denaro su cui successivamente e’ ricaduto il pegno non dovrebbe essere considerato di proprieta’ della banca e cio’ in quanto le parti hanno espressamente escluso effetti novativi dell’originaria obbligazione in relazione al patto di rotativita’” relativo cioe’ alla sostituzione dell’oggetto della garanzia.
L’esclusione di effetti novativi, a ben vedere (p. 9 del ricorso), sarebbe una pattuizione volta a fare in modo che gli effetti di vincolo del pegno di denaro siano fatti risalire giuridicamente alla data di stipulazione dell’originario contratto di pegno, ai fini della qualificazione della garanzia come atto a titolo oneroso (ai sensi dell’articolo 2901 c.c.), ma nulla direbbe in ordine al regime giuridico del pegno, come regolare o come irregolare, che dipende invece – si sottolinea dalla natura dell’oggetto su cui il pegno si appunta di tempo in tempo.
Prosegue il ricorso evidenziando (alla p. 10) che, “Poiche’ nel contratto originario era previsto che il pegno potesse passare sulla somma di denaro, e poiche’ in quel caso non vi era alcuna necessita’ (in base alle regole generali) di una clausola che dichiarasse espressamente applicabile a quel punto l’articolo 1834 c.c. (ma semmai di una assurda clausola che affermasse che, nel caso di rotazione del pegno sul denaro, quel denaro avrebbe dovuto rimanere appostato in qualche cassaforte), il contratto gia’ prevedeva la possibilita’ che il pegno da regolare divenisse irregolare e la esclusione degli effetti novativi consente semplicemente di far risalire gli effetti del pegno (ora irregolare) fino alla data iniziale del contratto di pegno. L’obbligazione rimane la medesima originariamente prevista, che gia’ disciplinava la possibilita’ di pegno irregolare di denaro. Dunque, la surrogazione dell’oggetto dell’obbligazione nulla dice sulla facolta’ di disporre del denaro depositato sul conto, facolta’ che le parti non hanno avuto alcuna necessita’ di disciplinare espressamente in contratto in quanto e’ prevista direttamente per legge (articoli 1834, 1852, 1846 e 1851 c.c.)”.
Evidenziata, dunque, la non pertinenza nel peculiare caso dei precedenti di legittimita’ richiamati dal Tribunale, si afferma nel ricorso (p. 10) che “la corretta interpretazione degli articoli 1834, 1851, 1846 e 1852 c.c. avrebbe dovuto condurre a ritenere che, una volta che il denaro non individuato liquidato su conto sia divenuto oggetto di pegno, il pegno debba considerarsi irregolare senza necessita’ di una espressa attribuzione della facolta’ di disporre del denaro all’interno del contratto in quanto tale facolta’ di disposizione e’ prevista per legge dalle citate norme del codice civile la cui applicazione non e’ stata esclusa da nessuna clausola contrattale tra le parti (…) risulta evidente l’irregolarita’ del pegno e la proprieta’ del denaro in capo alla banca e pertanto incorre nuovamente in violazione di legge anche l’ordinanza oggi impugnata, laddove disconosce la corretta qualifica che discende dal combinato disposto delle norme sopra richiamate”.
5.4. Infine, con l’ultimo motivo (p. 11) si critica la ritenuta violazione di legge per essere la motivazione – si ritiene – meramente apparente, in quanto ancorata al richiamo a sentenze di legittimita’ adottate in fattispecie differenti, in cui oggetto di pegno era il saldo di conto corrente ovvero libretti di deposito, ossia beni specificamente individuati e fungibili, mentre la peculiarita’ del caso di specie – che si ritiene non essere stata colta dai decidenti – consiste nell’essere stato costituito il pegno sul bene-denaro.
Si chiede, dunque, l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
6. Il Procuratore generale della S.C. il 3 novembre 2011 ha concluso per iscritto ex Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, chiedendo il rigetto del ricorso.
7.Con memoria pervenuta il 12 novembre 2020 il Difensore di (OMISSIS) (OMISSIS) ha replicato alle conclusioni del P.G. ed ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.In relazione al primo motivo di impugnazione (dedotta violazione dell’articolo 627 c.p.p., comma 3 – si assume che i giudici di merito avrebbero disatteso il principio di diritto fissato dalla S.C. in sede di annullamento con rinvio), l’assunto difensivo e’ con ogni evidenza contraddetto dalla motivazione dell’ordinanza impugnata, che verte proprio (v. pp. 2-4) sulla interpretazione da offrire all’articolo 4 delle condizioni generali di contratto: i giudici di merito, quindi, hanno provveduto all’attivita’ di analisi che e’ stata loro devoluta dalla S.C..
2.Quanto al secondo e al terzo motivo (lamentata violazione degli articoli 1851, 1846 e 1834 c.c.), il ricorso, a ben vedere, sia pure richiamando reiteratamente il vizio di violazione di legge, e’ in realta’ incentrato su di un preteso difetto di motivazione. I giudici di merito hanno interpretato in un determinato senso il contratto stipulato tra le parti, in particolare l’articolo 4, e dunque la volonta’ delle parti, con valutazione che e’ severamente censurata dalla banca ricorrente, che ne propone, con una pluralita’ di argomenti concatenati tra di loro, una alternativa, stimata soggettivamente preferibile, basata sulla non necessita’ di richiamo espresso di determinati articoli del codice civile, la cui applicazione – si sottolinea – non e’ stata espressamente esclusa dai contraenti.
Differente e’, pero’, la – legittima – lettura del contratto offerta dai giudici di merito, i quali, con motivazione esistente, sufficiente, non incongrua ne’ manifestamente illogica, anche con richiamo di pertinente giurisprudenza di legittimita’, hanno ritenuto (v. p. 3 dell’ordinanza impugnata) essersi nel caso di specie in presenza di un pegno regolare anche in presenza della costituzione in garanzia di un bene fungibile quale, tipicamente, il denaro depositato presso la banca creditrice pignoratizia. Cio’ principalmente in quanto – si e’ ritenuto – il trasferimento della garanzia sulla somme incassate, in assenza della contestuale previsione della facolta’ in capo alla banca di disporre di tali somme uti dominus, non risulta ad avviso dei giudici di merito idonea a determinare il trasferimento della natura del pegno – originariamente regolare – in pegno irregolare per il solo fatto che la garanzia si sia trasferita su di una somma di denaro, cioe’ su un bene che, di per se’, sarebbe fungibile.
Osserva al riguardo il Tribunale che l’articolo 4 delle condizioni generali di contratto prevede che in caso di estensione e di trasferimento della garanzia resti escluso ogni effetto novativo: alla p. 3 dell’ordinanza impugnata si legge che “(…) l’effetto realizzatosi in conseguenza della scadenza del titolo – vale a dire la sostituzione dello strumento finanziario dematerializzato ad una somma di denaro – puo’ essere pienamente ricondotto al fenomeno della surrogazione reale, ossia ad una mera modifica (senza effetti novativi) dell’oggetto della garanzia, e non gia’ al trasferimento della titolarita’, in favore del creditore pignoratizio, del relativo bene, quand’anche divenuto fungibile”.
Ancora: ad avviso del Tribunale, nel disciplinare il patto di rotativita’ le parti hanno contrattualmente previsto, da un lato, il conferimento alla banca dell’autorizzazione a reimpiegare le somme riscosse alla scadenza dei titoli vincolati per l’acquisto di altrettanti titoli di quantita’ e di durata pari a quelli scaduti e, cosi’, di seguito ad ogni, successiva scadenza, e, dall’altro, il trasferimento del vincolo, senza effetti novativi, sui titoli, strumenti finanziari e valori acquisiti in seguito alla estinzione e/o alla alienazione dei titoli scaduto e/o alienati (p. 4 dell’ordinanza impugnata). Donde la conclusione, non manifestamente illogica ne’ incongrua, cui perviene il Collegio di merito: “non emergendo dal regolamento contrattuale il conferimento al creditore pignoratizio della facolta’ di disporre del relativo diritto (pure nell’ipotesi in cui ricada sulla somma derivante dalla scadenza del titolo), il trasferimento della garanzia sulla somma di denaro non sia idonea a mutare la natura del pegno, da qualificarsi, sia in origine sia in seguito alle vicende dipendenti dalla pattuita rotativita’, in ogni caso come regolare. Dalla natura regolare della garanzia pignoratizia discende, pertanto, che, non essendo i beni costituiti in pegno mai usciti dalla titolarita’ del debitore, gli stessi possano essere sottoposti a vincolo cautelare reale di cui il predetto e’ destinatario senza che vengano in rilevo diritti di proprieta’ di terzi” (cosi’ alla p. 4 dell’ordinanza).
3.Ebbene, secondo un remoto, assai interessante, precedente di legittimita’ (Sez. 2 pen., n. 750 del 17/03/1971, Rossi, Rv. 117733-01), che puo’ risultare illuminante per la valutazione del presente ricorso, “L’accertamento, da parte del giudice del merito, della volonta’ delle parti contraenti, emergente da una clausola contrattuale (nella specie, al fine di indagare sulla sussistenza o meno del reato di appropriazione indebita di una somma di danaro) non puo’ essere soggetto al sindacato della Corte di Cassazione se l’indagine e’ stata condotta senza violazione delle norme stabilite dalla legge per l’interpretazione dei contratti (articolo 1362 c.c.) ed e’ sorretta da congrua e logica motivazione”.
Il richiamato insegnamento, cui occorre dare continuita’ con convinzione, si salda perfettamente con la nozione di teoria generale secondo la quale l’interpretazione della volonta’ delle parti e’ quaestio facti, di per se’ esclusa dal sindacato di legittimita’, a meno che la motivazione presenti aporie del tutto insuperabili, aporie che, pero’, nel caso di specie non risultano.
Al riguardo, e’ opportuno rammentare che ha gia’ puntualizzato la Corte di cassazione civile che “In,materia di interpretazione del contratto, l’accertamento della volonta’ degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio, si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, onde la possibilita’ di censurare tale accertamento in sede di legittimita’, a parte l’ipotesi in cui la motivazione sia cosi’ inadeguata da non consentire la ricostruzione del percorso logito seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, e’ limitata al caso di violazione delle norme ermeneutiche, violazione da dedursi, peraltro, con la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il ragionamento del giudice si sia da esse discostato, poiche’, in caso contrario, la critica alla ricostruzione del contenuto della comune volonta’ si sostanzia nella proposta di un’interpretazione diversa.
In altri termini, il ricorso in sede di legittimita’, riconducibile, in linea generale, al modello dell’argomentazione di carattere confutativo, laddove censuri l’interpretazione del contratto accolta dalla sentenza impugnata, non puo’ assumere tutti i contenuti di cui quel modello e’ suscettibile, dovendo limitarsi ad evidenziare l’invalidita’ dell’interpretazione adottata attraverso l’allegazione (con relativa dimostrazione) dell’inesistenza o dell’assoluta inadeguatezza dei dati tenuti presenti dal giudice di merito o anche solo delle regole giustificative (anche implicite) che da quei dati hanno condotto alla conclusione accolta, e non potendo, invece, affidarsi alla mera contrapposizione di un risultato diverso sulla base di dati asseritamente piu’ significativi o di regole di giustificazione prospettate come piu’ congrue” (Sez. civ. L, n. 18375 del 23/08/2006, Autolinee Capponi Srl vs. Casali, Rv. 591659-01).
Piu’ recentemente si e’ precisato, nello stesso senso, che “In tema di interpretazione di clausole contrattuali recanti espressioni non univoche, la contestazione proposta in sede di legittimita’ non puo’ limitarsi a prospettare una pur plausibile interpretazione alternativa delle clausole stesse, fondata sulla valorizzazione di talune espressioni ivi contenute piuttosto che di altre, ma deve rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la valutazione ermeneutica operata dal giudice del merito, cui l’attivita’ di interpretazione del contratto e’ riservata” (Sez. 1 civ., n. 15471 del 22/06/2017, T. vs. L., Rv. 645074-01).
4. Il punto allora e’ che, come gia’ evidenziato dalla S.C. nella sentenza di annullamento con rinvio (Sez. 3, n. 5295 del 06712/2019, dep. 2020, v. spec. punto n. 3 del “considerato in diritto”, p. 5), “Il ricorso per cassazione, proposto contro l’ordinanza del tribunale del riesame confermativa di un decreto di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, e’ ammesso solo per violazione di legge. (In motivazione la Corte ha precisato che il sequestro per equivalente, in quanto ricompreso tra le misure cautelari reali, soggiace al regime impugnatorio dettato dall’articolo 325 c.p.p.)” (cosi’ Sez. 3, ord. n. 45343 del 06/10/2011, P.M. in proc. Moccaldi e altro, Rv. 251616-01), ma non gia’ per difetto di motivazione, a meno che l’apparato giustificativo non risulti mancante ovvero meramente apparente (come gia’ puntualizzato da Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692-01, secondo cui “Il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio e’ ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione cosi’ radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. (Conf. S.U., 29 maggio 2008 n. 25933, Malgioglio, non massimata sul punto)”; in conformita’, tra le Sezioni semplici successive, Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093-01; Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893-01; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, dep. 2017, Faiella, Rv. 269296-01; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli e altro, Rv. 269656-01).
5.Non ricorrendo, dunque, nel caso di specie per le ragioni esposte ne’ inesistenza ne’ mera apparenza ne’ illogicita’ marchiana (crr. Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, cit.) dell’apparato giustificativo, il ricorso, che mira in buona sostanza a far emergere ipotetici difetti di motivazione, risulta manifestamente infondato.
6. Discende dalle considerazioni svolte la declaratoria di inammissibilita’ e la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si stima conforme a diritto ed equa, indicata in dispositivo in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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