Necessario che il giudice provveda a un nuovo vaglio della pericolosità quando viene ripresa la misura di sicurezza

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 22 aprile 2020, n. 12693.

Massima estrapolata:

Necessario che il giudice provveda a un nuovo vaglio della pericolosità quando viene ripresa la misura di sicurezza, che era stata sospesa per il periodo passato in detenzione ai fini di espiare una pena.

Sentenza 22 aprile 2020, n. 12693

Data udienza 11 febbraio 2020

Tag – parola chiave: Violazioni delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale – Sospensione dell’esecuzione della misura di prevenzione a causa dello stato di detenzione – Onere del giudice di valutare la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato al momento della cessata espiazione della pena – Condizione di efficacia della misura di prevenzione – Annullamento senza rinvio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CASA Filippo – Presidente

Dott. MANCUSO Luigi Fabrizio – Consigliere

Dott. LIUNI Teresa – Consigliere

Dott. MAGI Raffaello – Consigliere

Dott. CAPPUCCIO Daniele – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 29/01/2019 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DANIELE CAPPUCCIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. CESQUI ELISABETTA, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.

 

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 29 gennaio 2019 la Corte di appello di Milano ha confermato quella con cui il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano, il 13 settembre 2017, ha condannato (OMISSIS) alla pena di due anni di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali, ritenendolo responsabile di reiterate violazioni delle prescrizioni impartitegli all’atto della sottoposizione alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, unite dal vincolo della continuazione, esteso anche ad altro, analogo reato, contestato in separato procedimento e definito con sentenza gia’ passata in giudicato.
Pacifica la sussistenza, sul piano obiettivo, delle condotte ascritte all’imputato, la Corte di appello ha, in primo luogo, rigettato la doglianza relativa alla commisurazione della pena, determinata dal Giudice dell’udienza preliminare muovendo dal minimo edittale di un anno di reclusione e correttamente applicando, in considerazione della mole dei precedenti, anche specifici, di (OMISSIS), l’aumento per la recidiva.
Ha, del pari, condiviso la decisione di primo grado nella parte in cui ha rigettato, in considerazione della protrazione temporale delle condotte illecite, in numero complessivo superiore a trenta, e dell’intensita’ del dolo, l’applicazione delle invocate circostanze attenuanti generiche, ha quantificato in un anno di reclusione l’aumento per la continuazione interna ed in quattro mesi di reclusione l’aumento per la continuazione con il reato autonomamente accertato.
Ha, da ultimo, ritenuto inammissibile, tardiva e, comunque, infondata, la censura mossa con note depositate all’udienza camerale di appello, afferente alla incidenza sulla sussistenza dei reati in contestazione dell’indirizzo ermeneutico, consacrato dalle Sezioni Unite nelle more della celebrazione del giudizio di secondo grado, che la esclude laddove l’esecuzione della misura di prevenzione, sospesa per effetto della duratura carcerazione del sottoposto, sia ripresa senza una rinnovata valutazione della sua attuale pericolosita’ sociale.
2. (OMISSIS) propone, con il ministero dell’avv. (OMISSIS), sostituto processuale dell’avv. (OMISSIS), ricorso per cassazione affidato a due motivi, con il primo dei quali eccepisce violazione di legge in relazione all’omessa applicazione del principio sancito dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 51407 del 21/06/2018, senz’altro applicabile al caso di specie, connotato dalla sospensione dell’esecuzione della misura di prevenzione tra il 2007 ed il 2015 e dall’omessa verifica, all’atto della nuova sottoposizione di (OMISSIS) alla misura di prevenzione, della sua pericolosita’ sociale.
Con il secondo ed ultimo motivo, deduce carenza di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, con specifico riferimento all’applicazione della recidiva ed al diniego delle circostanze attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato e merita, pertantoiaccoglimento.
2. La Corte costituzionale, con sentenza n. 291 del 2013, ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 24 Cost., della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, articolo 12 nonche’, in via consequenziale, del subentrato Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 15 nella parte in cui tali disposizioni non prevedono che, nel caso di sospensione dell’esecuzione di una misura di prevenzione personale a causa dello stato di detenzione, per espiazione di pena, del sottoposto, l’organo giudiziario che ha adottato la misura valuti, anche d’ufficio, la persistenza della pericolosita’ sociale dell’interessato, al momento della cessata espiazione della pena ed ai fini dell’eventuale nuova applicazione della misura di prevenzione.
Con la menzionata decisione, il giudice delle leggi ha, altresi’, specificato che resta rimessa all’applicazione giudiziale l’individuazione delle ipotesi nelle quali la reiterata verifica della pericolosita’ sociale possa essere ragionevolmente omessa, a fronte della brevita’ del periodo di differimento dell’esecuzione della misura di prevenzione.
Sul punto, sono successivamente intervenuti il legislatore, che ha dettato apposita disciplina di recepimento, novellando, per effetto della L. 17 ottobre 2017, n. 161, articolo 4, comma 1, il Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 14 e le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 51407 del 21/06/2018 (M., Rv. 273952).
Il massimo consesso nomofilattico, nel richiamare la piu’ recente disciplina, ha rilevato come la nuova verifica di pericolosita’ debba avvenire, ad opera del tribunale della prevenzione, anche d’ufficio, dopo la cessazione della detenzione per espiazione di pena che si sia protratta per almeno due anni; sotto altro aspetto, ha sancito che siffatta rivalutazione di pericolosita’ rappresenta una condizione di efficacia della misura di prevenzione, in difetto della quale non puo’ neppure configurarsi il reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, previsto dal Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 75.
3. La giurisprudenza di legittimita’ ha, ulteriormente, precisato che la sentenza della Corte costituzionale n. 291 del 2013 e la conseguente integrazione del quadro normativo si applicano ai casi in cui l’esecuzione della misura di prevenzione si sia protratta in epoca successiva alla pronunzia, lasso di tempo in cui, dunque, si sia verificata anche la violazione oggetto di contestazione in sede penale (Sez. 1, n. 36583 del 28/03/2017, Maffi, Rv. 271400).
La pronuncia del giudice delle leggi che ha modificato il regime di esecuzione della misura di prevenzione, introducendo, per le ipotesi esaminate, l’esigenza della necessaria rivalutazione della pericolosita’ sociale – assume, invero, valenza squisitamente procedimentale e, pertanto, influisce solo indirettamente sull’assetto della fattispecie penale sostanziale di cui al Decreto Legislativo n. 6 settembre 2011, n. 159, articolo 75.
A quest’ultimo proposito, va aggiunto che l’efficacia della sorveglianza speciale, e la vigenza degli obblighi da essa scaturenti, da cui l’incriminazione dipende, si riferiscono necessariamente allo statuto normativo vigente al tempo della sua esecuzione.
Con riferimento, allora, alle condotte trasgressive poste in essere successivamente alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 291 del 2013 – intervenuta “quando essa poteva ancora svolgere effetti in relazione all’esecuzione della misura di prevenzione ed in modo da influire sul presupposto della violazione costituente l’oggetto dell’imputazione a carico del sottoposto” (Sez. 1, n. 36583 del 2017, citata) – la vicenda esecutiva della misura di prevenzione e’ assoggettata al modello conformato dalla declaratoria di illegittimita’ costituzionale.
Quest’ultima, anche se relativa a norma formale, deve infatti ricevere immediata applicazione nel segmento procedimentale non completato e ancora in essere, e quindi, con riguardo ai rapporti pendenti e non definiti, in relazione agli effetti perduranti perche’ non incisi da preclusioni o decadenze ormai maturate, come impongono l’articolo 136 Cost. e L. n. 87 del 1953, articolo 30.
L’addizione normativa, conseguente alla menzionata declaratoria, ha dunque imposto pro futuro, nei casi da essa contemplati, l’obbligo di rivalutazione – anche officiosa – della pericolosita’ sociale, non solo logicamente configurabile ma, a quel punto, istituzionalmente doverosa.
Ne discende che, come chiarito dalle Sezioni Unite con la gia’ evocata sentenza n. 51407 del 2018, la nuova verifica da parte del giudice competente, attestante la pericolosita’ della persona gia’ sottoposta, costituisce una condizione di efficacia della misura di prevenzione e che, in difetto, il reato di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 75, comma 2, non puo’ sussistere, in quanto, senza tale efficacia, non puo’ configurarsi il fatto penalmente rilevante della sua violazione.
4. Nel caso in esame, l’esecuzione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, applicata a (OMISSIS) nel 2003 ed aggravata nel 2007, e’ rimasta sospesa per molti anni a causa della protratta espiazione di pena detentiva ed e’ ripresa, senza che si sia mai proceduto alla rivalutazione di persistenza ed attualita’ della pericolosita’ sociale, il 30 settembre 2015 – epoca successiva alla pubblicazione della sentenza costituzionale ed a partire dalla quale egli si e’ reso protagonista di decine di violazioni alle prescrizioni connesse alla medesima misura – e per il periodo residuo di un anno, cinque mesi e diciannove giorni.
La Corte di appello, cui la questione e’ stata sottoposta all’udienza camerale, ha rigettato la censura difensiva ritenendone, da un canto, la tardivita’ e, dall’altro, l’infondatezza, emergendo dall’incartamento processuale la persistente pericolosita’ sociale dell’imputato.
Entrambi gli argomenti appaiono privi di pregio.
4.1. Quanto al primo, la Corte di appello ha conformato la decisione al condiviso principio secondo cui i motivi nuovi debbono avere ad oggetto, a pena di inammissibilita’, i capi e i punti della decisione impugnata gia’ investiti con l’atto di impugnazione originario (cfr., per tutte, Sez. U. n. 4683 del 25/02/1998, Bono, Rv. 210259, nonche’ Sez. 2, n. 17693 del 17/01/2018, Corbelli, Rv. 272821), pacificamente applicabile a tutti i giudizi di impugnazione, e, quindi, anche all’appello (Sez. 2, n. 45739 del 04/11/2003, Marzullo, Rv. 226976), ed ha, aggiuntivamente, notato che la doglianza e’ stata sollevata oltre il termine previsto dall’articolo 585 c.p.p., comma 4.
Tali rilievi, in astratto corretti, non appaiono, tuttavia, pertinenti alla fattispecie in esame, atteso, in particolare, che l’insussistenza dell’addebito, conseguente all’applicazione della decisione della Corte costituzionale e dell’indirizzo ermeneutico poscia consolidatosi, era direttamente apprezzabile, gia’ da parte del giudice di appello, senza la necessita’ di ulteriori accertamenti di merito, si’ da imporre, ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., l’immediato ed officioso proscioglimento dell’imputato, che dovrebbe, comunque, essere disposto in sede di legittimita’ in forza della previsione di cui all’articolo 609 c.p.p..
4.2. La carenza di uno dei presupposti di legittimita’ dell’esecuzione della misura di prevenzione elide, d’altro canto, la rilevanza penale delle condotte poste in essere da (OMISSIS) per il solo fatto che l’organo preposto alla verifica di persistenza ed attualita’ della pericolosita’ sociale, da individuarsi nell’autorita’ giudiziaria che aveva emesso il decreto applicativo, non ha compiuto il prescritto adempimento.
Erra, quindi, la Corte di appello nell’assumere, implicitamente, che all’omissione possa porsi rimedio attraverso l’autonomo apprezzamento del giudice chiamato a decidere in ordine alla penale responsabilita’ per i comportamenti trasgressivi ma, ovviamente, privo di competenza in merito alla ripresa di esecuzione della misura a lungo sospesa in concomitanza dello stato detentivo del proposto.
5. La mancata rinnovazione della verifica della persistenza e dell’attualita’ della pericolosita’ sociale di (OMISSIS), dopo la scarcerazione, che ha fatto seguito ad una detenzione pluriennale, esclude, in conclusione, che si possa configurare il fatto penalmente rilevante ascritto, integrando la segnalata omissione il difetto di un presupposto strutturale della fattispecie penale e di una condizione di applicabilita’ della misura di prevenzione violata.
Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perche’ il fatto non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche’ il fatto non sussiste.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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