“Multilivello” il sistema di vendita

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 13 gennaio 2020, n. 321

La massima estrapolata:

Viene denominato “multilivello” il sistema di vendita realizzata fuori dai locali commerciali, in cui l’impresa attribuisce agli incaricati non solo il compito di vendere i prodotti o servizi, ma anche quello di invitare i consumatori a partecipare alla rete commerciale, attraverso la sottoscrizione di un contratto di incarico. Trattasi di una organizzazione gerarchica, ove ciascun incaricato potrà guadagnare una percentuale commisurata ai prodotti venduti da lui e da tutti gli incaricati che discendono direttamente ed indirettamente dalle proprie linee di vendita. I profitti rappresentati dai bonus sono quindi commisurati al posizionamento dell’incaricato nella rete.

Sentenza 13 gennaio 2020, n. 321

Data udienza 21 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8309 del 2017, proposto da:
OR. GO. EU. B.V., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Lu. Va., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Piazzale (…);
contro
AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 8905 del 2017;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 novembre 2019 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati Lu. Va. e Ag. So. dell’Avvocatura dello Stato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.? La società appellante premette quanto segue:
– OR. GO. EU. B.V. (di seguito: “OG”) commercializza in Italia alcune bevande a base di caffe per il tramite di un sistema di vendita che prevede un accordo d’intermediazione alle vendite con incaricati, ai sensi della legge n. 173 del 2005;
– gli incaricati intermediano la vendita dei prodotti della società a fronte di una commissione sostanzialmente parametrata al volume di vendite realizzate;
– il prodotto viene direttamente venduto da OG al cliente;
– il sistema prevede che un incaricato possa favorire l’ingresso di altro incaricato;
– a fronte di tale ingresso, l’incaricato “reclutante” potrà ricevere una commissione anche dalle vendite effettuate dall’incaricato reclutato e dagli incaricati da quest’ultimi reclutati fino a un certo limite;
– il sistema d’incentivo prevede che gli incaricati, sia in sede di reclutamento, sia successivamente, possono acquistare i prodotti della OG;
– per l’acquisto di tali prodotti il soggetto reclutante può avere una commissione sugli acquisti dell’incaricato reclutato;
– il sistema di remunerazione della OG non prevede alcun bonus realizzato per il solo reclutamento di un incaricato, ma bonus sempre collegati alla vendita dei prodotti;
– l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (di seguito: “Autorità “), in data 10 giugno 2013, avviava nei confronti di OG un procedimento istruttorio, per presunta violazione degli artt. 20, 21, comma 1, lettere b) e c), e 23, lettere p) e s), del decreto legislativo n. 206 del 2005 (di seguito: Codice del consumo);
– in particolare, la condotta contestata consisteva nella creazione e gestione di un articolato sistema con caratteristiche piramidali, di promozione e commercializzazione di bevande a base di ganoderma, a cui venivano attribuiti nei claims pubblicitari particolari proprietà benefiche e/o salutistiche, non comprovate sul piano scientifico;
– conclusa l’istruttoria, all’adunanza del 5 febbraio 2014, l’Autorità deliberava che la pratica commerciale doveva ritenersi scorretta, ai sensi degli artt. 20, 21, comma 1, lettere b) e c), 23, lettere p) e s), del Codice del consumo, sotto due profili: da un lato, perché idonea a generare affidamento sulle inesistenti proprietà salutistiche delle bevande pubblicizzate; dall’altro lato, in ragione del carattere piramidale del sistema di commercializzazione e vendita;
– su queste basi, l’Autorità irrogava a OG, in considerazione della gravità e della durata dell’infrazione, una sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 250.000,00;
– con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado Go. impugnava il predetto provvedimento sanzionatorio, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:
i) l’Autorità, forzando la nozione di consumatore, era intervenuta in una materia di competenza del giudice penale, per il combinato disposto degli artt. 5, 6 e 7 della legge n. 173 del 2005; gli incaricati alle vendite Go. non erano qualificabili quali consumatori e la struttura di vendita posta in essere dalla società non aveva natura piramidale;
ii) gli incentivi alle vendite agli stessi incaricati non erano equiparabili ad incentivi al reclutamento; l’Autorità non aveva poi assolto al fondamentale onere probatorio di dimostrare la prevalenza degli incentivi al reclutamento sulle vendite;
iii) gli effetti delle attività pubblicitarie ritenute ingannevoli non erano imputabili a OG, in quanto svolte da soggetti diversi dalla società ricorrente, e mancando prove che quest’ultima avesse impartito loro specifiche istruzioni al riguardo; e neppure era imputabile a OG una responsabilità a titolo di culpa in vigilando, stante la buona fede e la tempestività con la quale essa era intervenuta per impedire iniziative improprie dei suoi incaricati;
iv) il provvedimento di rigetto degli impegni era stato adottato dall’Autorità sulla base di una motivazione generica e incompleta, basata su un erroneo apprezzamento dei fatti;
v) nel quantificare la sanzione amministrativa, l’Autorità aveva male apprezzato la gravità della pratica commerciale e non aveva attribuito alcuna portata attenuante all’opera svolta dall’impresa per eliminare o attenuare l’infrazione;
– il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con sentenza n. 8905 del 2017, respingeva il ricorso.
3.? Avverso la predetta sentenza ha proposto appello la società OR. GO. EU. B.V., riproponendo le censure già sollevate in primo grado, sia pure adattate all’impianto motivazione della decisione gravata.
Secondo l’appellante la sentenza di primo grado, sarebbe erronea in quanto:
– l’equiparazione delle vendite a terzi rispetto alle vendite agli incaricati sarebbe eversiva del dettato normativo di cui all’art. 23, lettera p), del Codice del Consumo che contrappone in modo chiaro gli incentivi al reclutamento agli incentivi legati alla vendita o al consumo di prodotti; peraltro anche a voler seguire la tesi dell’Autorità, secondo cui gli incentivi riconosciuti agli acquisti effettuati dagli incaricati reclutati sarebbero in realtà da equiparare a incentivi al reclutamento, per provare la “piramidalità ” della struttura di vendita sarebbe stato necessario dimostrare che la maggior parte delle vendite effettuate da OG riguardava vendite agli incaricati piuttosto che vendite a terzi; dai punti 24 e 25 della stessa decisione emergerebbe invece che gli acquisti dei prodotti da parte degli incaricati rappresentavano, a giugno 2013, circa il 30% del fatturato realizzato nel primo semestre del 2013, e che nello stesso periodo il fatturato generato dal pagamento della fee di ingresso rappresentava circa il 10% del fatturato; risulterebbe, dunque, che più del 60% del fatturato di OG, nel periodo oggetto di investigazione, era stato realizzato con vendite a terzi (questi ultimi intesi come soggetti diversi dagli incaricati);
– la prevalenza degli incentivi sulle vendite indirette (ovverosia i bonus pagati sulle vendite effettuate dalla struttura di vendita di un incaricato rappresentata dagli incaricati che quest’ultimo ha reclutato) sulle vendite dirette (quelle intermediate dell’incaricato direttamente con i propri clienti), non potrebbe considerarsi un’ulteriore prova della prevalenza della natura piramidale del sistema messo in piedi da OG: lo stesso legislatore, all’art. 5 della legge 173 del 2005, allorché distingue tra incentivi alle vendite rispetto agli incentivi al reclutamento, chiaramente equiparerebbe le vendite effettuate indirettamente tramite incaricati che fanno parte della struttura alle vendite dirette, dicendo in modo molto chiaro che gli incentivi sulle vendite indirette non potrebbero considerarsi incentivi al reclutamento;
– non sarebbe possibile imputare alla OG i contenuti del sito gestito da terzi denominato www.organogolditalia.info, per il sol fatto che il sito abbia fatto riferimento al suo marchio e al suo sistema di vendita: sia nel corso del procedimento amministrativo, sia nel giudizio di primo grado, sarebbe stata fornita prova del fatto che il sito sopra indicato era stato registrato da un terzo e che OG aveva attivato un procedimento presso il gestore (“ISP”) per fare disattivare l’account, in quanto violativo dei suoi diritti di proprietà intellettuale;
– neppure si potrebbe contestare a OG una culpa in vigilando: non risulterebbe, infatti, in alcun modo identificato il soggetto titolare e gestore del sito www.organogolditalia.info e, pertanto, non sussisteva alcuna prova anche indiretta di alcun rapporto, né di interposizione, né comunque di pertinenza tra la società appellante e il gestore di tale sito;
– in ordine all’assenza del requisito di consumatore degli incaricati alle vendite, il mancato superamento delle soglie minime di imponibile per soggiacere all’obbligo di apertura della partita IVA non farebbe venir meno la natura professionale dell’attività, anche se effettuata in modo non esclusivo e occasionale.
La società appellante ha, inoltre, riproposto i motivi di impugnazione, rigettati dal giudice di prime cure, relativi alla illegittimità del rigetto degli impegni presentati e attuati da OG nel corso del procedimento, nonché le contestazioni in tema di eccessività della sanzione irrogata.
4.? Si è costituita in giudizio l’Autorità, sia pure con memoria formale, insistendo per il rigetto del gravame.
5.? All’odierna udienza del 21 novembre 2019, la causa è stata discussa e decisa.

DIRITTO

1.? L’appellante, in primo luogo, ripropone in appello le censure con le quali contesta che la pratica commerciale in esame sia qualificabile in termini di sistema a carattere “piramidale”.
La doglianza va respinta.
Preliminarmente, sono necessari alcuni spunti ricostruttivi della materia.
1.1.? Nella letteratura di settore, viene denominato “multilivello” il sistema di vendita realizzata fuori dai locali commerciali, in cui l’impresa attribuisce agli incaricati non solo il compito di vendere i prodotti o servizi, ma anche quello di invitare i consumatori a partecipare alla rete commerciale, attraverso la sottoscrizione di un contratto di incarico. Trattasi di una organizzazione gerarchica, ove ciascun incaricato potrà guadagnare una percentuale commisurata ai prodotti venduti da lui e da tutti gli incaricati che discendono direttamente ed indirettamente dalle proprie linee di vendita. I profitti rappresentati dai bonus sono quindi commisurati al posizionamento dell’incaricato nella rete.
1.2.? Le vendite piramidali sono anch’esse caratterizzate da un sistema commerciale multilivello ? rappresentato cioè da una rete di venditori strutturata su scala gerarchica interna ?, nel quale tuttavia l’obiettivo commerciale primario non è collocare sul mercato il bene o servizio, bensì reclutare un numero maggiore di incaricati, il cui accesso nella rete è subordinato, sotto diverse forme, al pagamento di una “fee” che rappresenta l’introito maggiore dell’impresa. In definitiva, mentre una società che opera attraverso forme di vendita diretta multilivello retribuisce i propri agenti o venditori riconoscendo loro delle provvigioni direttamente proporzionali al valore o alla quantità del bene venduto, personalmente o per il tramite di altri soggetti che si è riusciti ad includere nella struttura, in un’organizzazione piramidale il sistema finisce per svincolarsi completamente dai risultati della vendita dei beni e servizi.
Poiché il meccanismo della vendita piramidale comporta l’obbligo di pagamenti da parte dei soggetti che vogliano entrare nella rete dei venditori, il neo-affiliato, non appena avuto accesso alla struttura piramidale, avrà infatti come obiettivo primario la ricerca di altri venditori ai quali far pagare il diritto d’accesso alla catena o comunque la permanenza nella stessa, i quali a loro volta ne cercheranno altri e così via in un esercizio finalizzato a farlo avanzare nella scala gerarchica dei venditori, condizione che gli consente di percepire compensi per effetto di incaricati che siano posizionati sotto di lui.
Il sistema è destinato a saturarsi una volta che risulti impossibile reclutare ulteriori aderenti, con il risultato che gli aderenti collocati nei livelli più bassi della struttura sopporteranno in via definitiva il costo dovuto dal pagamento della fee d’ingresso che non sono riusciti a “scaricare” su un livello ancor più basso. Per questo motivo, le forme di vendita con caratteristiche piramidali costituiscono una fattispecie di reato ? tipizzata al comma 1 dell’art. 5 della legge 17 agosto 2005, n. 173, la quale fa divieto della “promozione e la realizzazione di attività e di strutture di vendita nelle quali l’incentivo economico primario dei componenti la struttura si fonda sul mero reclutamento di nuovi soggetti piuttosto che sulla loro capacità di vendere o promuovere la vendita di beni o servizi determinati direttamente o attraverso altri componenti la struttura” ?, punita con la pena alternativa dell’arresto da sei mesi ad un anno o dell’ammenda da Euro 100.000 a Euro 600.000 (art. 6 della legge n. 173 del 2005).
La tutela così apprestata dall’ordinamento si rivolge, tanto al consumatore finale, quanto ai venditori vicini alla base della “piramide”: questi ultimi, infatti, sono di fatto costretti ad acquistare quantità sproporzionate di beni e servizi che non riusciranno poi a loro volta a vendere se non cagionando danni ai consumatori finali, pregiudizi rappresentati da prezzi o interessi eccessivi. La “debolezza” di dei venditori finali è caratterizzata, al pari di quella dei consumatori finali, da una situazione di squilibrio informativo (rispetto ai promotori dell’attività di vendita piramidale), cui si aggiunge, il più delle volte, una condizione di precarietà economica e sociale.
L’art. 6 della legge n. 173 del 2005 elenca una serie di elementi presuntivi tipici di un sistema illecito, identificabili nei seguenti obblighi: di acquistare dall’azienda o da terzi una rilevante quantità di prodotto, senza che vi sia diritto di restituzione dell’invenduto; di corrispondere un’ingente somma all’entrata nel sistema, in assenza di una reale controprestazione; di acquistare, all’entrata del sistema, prodotti o servizi non strettamente necessari o comunque sproporzionati all’attività commerciale svolta.
1.3.? L’ordinamento giuridico prende in separata considerazione il caso in cui la figura dell’incaricato alle vendite si sovrappone a quella di “consumatore”. A questa ipotesi si riferisce l’art. 23, comma 1, lettera p), del Codice del consumo, il quale ? all’interno della lista delle pratiche commerciali considerate “in ogni caso” ingannevoli ? contempla la condotta del professionista che avvia, gestisce o promuove “un sistema di promozione a carattere piramidale nel quale il consumatore fornisce un contributo in cambio della possibilità di ricevere un corrispettivo derivante principalmente dall’entrata di altri consumatori nel sistema piuttosto che dalla vendita o dal consumo di prodotti”. La previsione è riferita alle vendite multilivello che inducono gli incaricati all’acquisto dei prodotti per uso personale.
Il fondamento della citata disposizione è qui quella di contrastare i sistemi distributivi basati sul progressivo ampliamento della base di consumatori reclutati con la prospettiva illusoria di ingenti guadagni.
Poiché anche le microimprese sono oramai incluse tra i soggetti tutelati dalla disciplina dettata per le pratiche commerciali scorrette, deve ritenersi ? in assenza di una disposizione analoga a quella che il legislatore ha espressamente inserito per escludere l’applicabilità della tutela prevista dal codice del consumo in materia di pubblicità ingannevole per le microimprese (art. 19, primo comma, del Codice del consumo) ? che l’ambito applicativo dell’art. 5 della legge n. 173 del 2005 sia limitato ai soli rapporti tra soggetti in cui quello tutelato non è, né il consumatore, né la micro-impresa.
1.4.? Importanti precisazioni sui contorni della fattispecie normativa in commento sono stati forniti dalla giurisprudenza europea.
La Corte di Giustizia ha avuto modo di affermare che il divieto di “sistemi di promozione a carattere piramidale”, ai sensi dell’allegato I, punto 14, della direttiva 2005/29, si fonda su tre condizioni cumulative. Innanzitutto, la promozione è basata sulla promessa che il consumatore avrà la possibilità di realizzare un beneficio economico. Poi, l’avveramento di tale promessa dipende dall’ingresso di altri consumatori in un siffatto sistema. Infine, la parte più consistente delle entrate che consentono di finanziare il corrispettivo promesso ai consumatori non risulta da un’attività economica reale (sentenza del 3 aprile 2014, C- 515/12, punto 20).
In assenza di una reale attività economica che consenta di generare entrate a sufficienza per finanziare il corrispettivo promesso ai consumatori, un sistema di promozione a carattere piramidale inevitabilmente si fonda sul contributo economico dei suoi partecipanti, giacché la possibilità che un aderente a detto sistema ottenga un corrispettivo dipende principalmente da quanto versato dagli ulteriori aderenti (sentenza del 3 aprile 2014, C- 515/12, punto 21).
Un sistema di questo genere presenta inevitabilmente “carattere piramidale” nel senso che la sua perpetuazione richiede l’adesione di un numero sempre crescente di nuovi partecipanti onde finanziare i corrispettivi versati ai membri già presenti. Esso implica altresì che gli aderenti più recenti sono meno suscettibili di ricevere un corrispettivo a fronte della loro partecipazione. Tale sistema cessa di essere redditizio allorché la crescita del numero degli aderenti, che teoricamente dovrebbe tendere all’infinito affinché il sistema perduri, non basta più a finanziare i corrispettivi promessi a tutti i partecipanti (sentenza del 3 aprile 2014, C- 515/12, punto 22).
Con specifico riguardo al nesso che deve sussistere tra i contributi versati da nuovi aderenti e i corrispettivi percepiti dagli aderenti già esistenti, risulta dalla formulazione della maggior parte delle versioni linguistiche dell’allegato I, punto 14, della direttiva 2005/29, che il finanziamento del corrispettivo che un consumatore può percepire dipende “essenzialmente” o “principalmente” dai contributi versati in seguito da nuovi partecipanti al sistema. Non è invece richiesto che il nesso finanziario imposto debba necessariamente essere diretto. Quel che rileva è la qualificazione come “essenziale” o “principale” delle partecipazioni versate da nuovi partecipanti a un siffatto sistema. L’allegato I, punto 14, della direttiva 2005/29 è pertanto applicabile a un sistema in cui sussiste un nesso indiretto tra le partecipazioni versate da nuovi aderenti e i corrispettivi percepiti dagli aderenti già presenti (sentenza 15 dicembre 2016, in causa C- 667/15).
1.5.? Su queste basi, il provvedimento impugnato ha correttamente qualificato il sistema commerciale della società appellante come appartenente allo schema delle vendite piramidali.
Gli elementi istruttori raccolti dall’Autorità compravano che il sistema OG è fondamentalmente orientato a creare non una rete di vendita multilivello, bensì un sistema di acquisto da parte dei consumatori che vengono fittiziamente reclutati come incaricati alle vendite.
Ricorrono, infatti, i minimi comuni denominatori della fattispecie, come sopra descritta, ovvero: i) il sistema è finanziato dai nuovi membri; ii) i corrispettivi vengono versati ai membri esistenti; iii) detti corrispettivi sono finanziati mediante i contributi di quei nuovi membri invece che con la vendita di prodotti; iv) coloro che aderiscono al sistema da ultimi hanno meno opportunità di ottenere un profitto rispetto a chi sta ad un livello più alto (i membri esistenti), in quanto, perché ciascun membro del sistema possa ottenere un profitto, il numero dei nuovi partecipanti dovrebbe essere infinito.
La comprensione del piano dei compensi delle società del network marketing, si rivela indispensabile per comprendere l’illiceità della pratica commerciale posta in essere da OG. Segnatamente, si consideri che:
– il sistema di distribuzione interessava, nel giugno 2013, circa 20.000-30.000 incaricati di cui circa 20.000-30.000 attivi, vale a dire che hanno intermediato per un valore minimo di affari quantificabili in 50 CV (volume commissionabile);
– il sistema di commercializzazione implicava il pagamento di una fee di reclutamento, rappresentata dall’importo versato per l’acquisto del kit di ingresso, e l’acquisto di uno dei pacchi promozionali disponibili (Oro, Argento e Bronzo), necessario per poter raggiungere le qualifiche che danno diritto al raggiungimento degli obiettivi all’interno del piano compensi;
– il recupero delle somme versate per l’acquisto di un pacco promozionale, avveniva attraverso la sponsorizzazione e l’ingresso di altri incaricati e specificamente in caso di acquisto di uno dei pacchi sopraindicati, nel quale all’incaricato sponsorizzatore veniva riconosciuto il compenso denominato “Bonus primo ordine”, in misura compresa tra il 12,6% e il 17,8% del valore del pacco acquistato dal nuovo incaricato;
– il Piano dei compensi prevedeva l’obbligo mensile di ordini personali, sia per le vendite direttamente intermediate (per un volume di prodotti pari a 50 CV) che su quelle indirette (100 CV);
– le commissioni di vendita previste dal piano di compensazione non erano riconosciute in relazione diretta al volume complessivo delle vendite procurate, ma solo su un sottoinsieme di questo; in particolare, per effetto del meccanismo di calcolo dei volumi realizzati solo su una delle downline realizzate, venivano escluse le vendite per un importo in volume pari a quello realizzato sulla gamba “lunga”;
– la sproporzione tra gli importi dei compensi collegati alle vendite dirette e quelli relativi alle indirette, e tra questi ultimi e i bonus legati all’inserimento di altri incaricati nel sistema, di fatto orientava di fatto l’incaricato a spostare il suo focus commerciale dall’attività di promozione delle vendite del prodotto all’inserimento di nuovi consumatori nel sistema OG.
In definitiva, la compiuta analisi dei piano dei compensi mostra inequivocabilmente e con riferimento alle singole voci di remunerazione – prima fra tutte la necessità di essere incaricati attivi – l’assoluta prevalenza dei proventi connessi al reclutamento e all’autoconsumo su quelli derivanti dalle vendite dirette, e come l’incaricato fosse principalmente indotto a reclutare nuovi consumatori anche per recuperare quanto inizialmente versato e questo costituisce il fulcro logico, non viziato da profili di irragionevolezza, del provvedimento impugnato.
L’insieme di tali circostanze consente di ritenere integrata la fattispecie sanzionata dall’Autorità .
Ne consegue l’infondatezza della tesi formulata dall’appellante (senza peraltro fornire riscontri contabili), secondo cui l’Autorità non avrebbe apprezzato la rilevanza delle vendite a favore degli incaricati della downline, dato sui cui il provvedimento impugnato si diffonde invece in modo specifico e decisivo al punto 58 della motivazione. I dati relativi alle vendite citati nel provvedimento al punto 25, richiamati più volte dall’appellante, sono relativi soltanto ad un periodo di tempo limitato rispetto alla complessiva operatività dell’azienda
Va considerato, da ultimo, che la fattispecie normativa in esame integra un illecito di “pericolo”, che colpisce strutture di vendita potenzialmente pericolose, ben prima che si realizzino effetti dannosi sul sistema economico e per i soggetti coinvolti, e tale pericolo, come si è detto, si evidenzia nella struttura del sistema dei compensi e nel numero degli addetti alle vendite reclutati con l’anzidetto sistema (e privi di partita IVA, come si dirà nel prosieguo), nonché nell’indiscutibile importanza del volume delle vendite indirette – pari a circa la metà del fatturato – o comunque degli ordini in autoconsumo, ed altresì nella natura ingannevole delle caratteristiche del prodotto pubblicizzato (di cui pure si dirà di seguito).
3.? Secondo l’appellante, ad escludere l’applicabilità del Codice del consumo alla fattispecie in esame starebbe pure il fatto che i soggetti che partecipano allo schema di vendite non sarebbero da qualificare alla stregua di consumatori.
Anche questa tesi è destituita di fondamento.
3.1.? Due ordine di fattori attestano che, nel sistema sopra descritto e nel periodo considerato, gli incaricati alle vendite agivano nella veste di consumatori e non di professionisti esercenti attività di vendita: i) l’altissima percentuale di ordini per autoconsumo; ii) la natura occasionale dell’attività commerciale (solo una quota marginale degli incaricati erano titolari di partita IVA).
In ogni caso, va rimarcato che, come si è visto sopra, l’art. 7 del decreto legge n. 1 del 2012 ha esteso alle microimprese, la tutela prevista dal Codice del consumo in materia di pratiche commerciali (art. 19, comma 1, del Codice del consumo).
4.? Con riguardo alle proprietà salutistiche del prodotto ? l’Autorità ha accertato che su di un sito web era stato diffuso materiale promozionale, alla cui stregua il ganoderma avrebbe avuto proprietà farmacologiche, tra cui le seguenti: “antinfiammatorio preventivo di malattie neurodegenerative e cardiovascolari; antitrombotico; aumento delle difese immunitarie e antitumorale; epatoprotettore” ? l’appellante non contesta la valutazione di ingannevolezza dei suddetti claims salutistici, bensì il solo fatto che la diffusione di tali messaggi pubblicitari possa essergli in qualche modo ascritta.
Anche tale ordine di censure non può essere accolto.
4.1.? Le informazioni riportate sul sito “www.organogolditalia.info”, aventi valenza pubblicitaria, riguardano i prodotti Or. Go. e riportano con elevatissimo grado di dettaglio delle informazioni sul sistema di vendita OG, che presumibilmente erano detenute soltanto da soggetti interni allo stesso.
A fronte di tali elementi presuntivi gravi precisi e concordanti, era onere della società dimostrare la riconducibilità di tale sito all’azione di soggetti del tutto terzi e indipendenti da OG.
Tale prova non è stata fornita.
Peraltro, anche se si fosse trattato dell’operato di semplici affiliati, l’illecito sarebbe comunque imputabile ad OG, in termini di contributo concausale, per l’omessa vigilanza prestata sull’attività promozionale dei suoi incaricati.
5.? L’appellante sostiene poi che illegittimamente l’Autorità avrebbe rifiutato gli impegni offerti dal professionista ? concretantesi nell’adozione di modifiche nel sistema commerciale ?, senza neppure motivare adeguatamente in ordine alla loro inidoneità .
Anche tale doglianza è infondata.
5.1.? È dirimente il riferimento, contenuto nel provvedimento impugnato in primo grado, al parametro della gravità dell’intesa, di per sé adeguato a giustificare la reiezione degli impegni. Infatti, secondo il consolidato indirizzo di questa Sezione, allorché l’Autorità ritenga di dovere irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria in considerazione della natura e dell’entità dell’illecito, correttamente può respingere gli impegni, senza che sia tenuta ad osservare ulteriori obblighi motivazionali. L’istituto degli impegni ha carattere derogatorio del procedimento ordinario di accertamento dell’infrazione, e pertanto – a norma dell’articolo 27, comma 7 del Codice del consumo – non può trovare applicazione, nei “casi di manifesta scorrettezza e gravità della pratica commerciale”.
Su queste basi, le motivazioni addotte dall’Autorità sulla prevalenza dell’interesse a procedere all’accertamento dell’infrazione risultano legittime. La gravità della pratica commerciale contestata risulta indubitabile in ragione: i) della preoccupante diffusione delle vendite piramidali (oggetto, di numerose altre istruttorie); ii) delle migliaia di consumatori coinvolti nella “piramide”; iii) della insidiosa spendita di enfatici, quanto infondati, vanti salutistici.
6.? Da ultimo, l’appellante lamenta l’assenza di proporzionalità della sanzione applicata e la mancata valutazione dell’opera svolta da OG per rimuovere i profili contestati con l’atto di avvio.
Anche tali censure sono destituite di fondamento.
6.1.? L’Autorità ? in applicazione dei parametri per la quantificazione della sanzione individuati dall’art. 11 della legge n. 689 del 1981, richiamato dall’articolo 27, comma 13, del Codice del consumo ? ha correttamente preso in considerazione:
– l’importanza e della dimensione economica del professionista: nel caso in esame, si tratta da una società di rilevanti dimensioni, con circa 12 milioni di euro di fatturato nel periodo considerato, operante in diversi paesi europei;
– l’ampiezza della pratica commerciale: la quale ha coinvolto un numero elevato di consumatori (circa 20.000 – 30.000);
– la peculiare natura delle violazioni riscontrate: relative all’adozione di uno schema distributivo di carattere piramidale e all’utilizzo di vanti salutistici destituiti di fondamento scientifico;
– la durata della violazione: dalla fine dell’anno 2011 ed era ancora in corso al momento di adozione del provvedimento.
La quantificazione operata appare anche proporzionata, posto che la sanzione comminata rappresenta soltanto 1/20 del massimo edittale e di appena lo 0,02 del fatturato registrato dalla società nel periodo costituito dal secondo semestre 2012 e primo trimestre 2013.
Quanto all’omessa considerazione dell’opera da essa svolta dall’agente ai fini della quantificazione della sanzione, va rimarcato che il comportamento dell’agente rivolto all’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione non può consistere nella mera interruzione volontaria di ulteriori comportamenti violativi dopo l’avvio del procedimento. Nel caso in esame, l’Autorità ha ampiamente motivato le ragioni per cui le modifiche realizzate da OG al Piano dei Compensi e più in generale al sistema di distribuzione erano inidonee a porre fine alla condotta illecita, rilevando quanto segue: “le misure proposte, pur apprezzabili per le modifiche degli aspetti più incisivi del piano di compensazione (eliminazione del bonus “primo ordine”, rimozione dei pacchi promozionali dalla disponibilità di acquisto da parte degli incaricati, modifica del bonus “du. Te.”), mantengono alcuni aspetti del vecchio schema – la necessità di raggiungere e mantenere determinate qualifiche per poter beneficiare dei compensi – e inseriscono nuovi elementi – ad esempio, la possibilità di portare al periodo successivo il volume intermediato eventualmente non liquidato nel periodo corrente, del quale non sono state fornite informazioni – che richiedono una nuova e complessiva valutazione dello schema che esula dall’accertamento della condotta in esame”.
7.? Le spese di lite del secondo grado di giudizio possono essere compensate, atteso che l’Autorità si è difesa con memoria di mero stile.
Non sussistono ragioni per dar luogo all’oscuramento dei dati, atteso che non è stato richiesto e che il provvedimento è rivolto avverso una persona giuridica.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
– respinge l’appello n. 8309 del 2017;
– Compensa integralmente le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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