Modifica dell’orario di lavoro da full-time a part-time

Corte di Cassazione, sezione lavoro, Ordinanza 21 gennaio 2019, n. 1499.

La massima estrapolata:

Le norme che disciplinano la modifica dell’orario di lavoro da full-time a part-time, oggi contenute nel Jobs act, sono chiare: il rifiuto del dipendente di trasformare il proprio orario lavorativo da tempo pieno a tempo parziale, o viceversa, non può costituire giustificato motivo di licenziamento. Fermo restando tale divieto, la giurisprudenza negli anni è stata chiamata a interrogarsi sull’operatività di una simile disposizione nei casi in cui la proposta datoriale di modificare l’orario lavorativo del dipendente sia connessa al tentativo di ricollocare il lavoratore a seguito di una riorganizzazione aziendale, al fine di evitare il recesso dal rapporto per motivo oggettivo. In sostanza, dunque, i tribunali italiani hanno frequentemente dovuto interrogarsi sul bilanciamento tra, da una parte, la tutela offerta al dipendente dalla norma che ne impedisce ogni forma di discriminazione o ritorsione connessa al rifiuto di modificare il proprio orario di lavoro e, dall’altra parte, il diritto del datore di lavoro a riorganizzare l’attività aziendale secondo il paradigma della propria libertà imprenditoriale.

Ordinanza 21 gennaio 2019, n. 1499

Data udienza 16 ottobre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 5782-2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.R.L. – (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 186/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 16/08/2016 R.G.N. 20/2016.

RILEVATO

1. che la Corte di appello di Ancona, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda di (OMISSIS) intesa all’annullamento del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatole in data 25.1.2010 dalla datrice di lavoro (OMISSIS) s.r.l.;
1.1. che il rigetto dell’impugnativa di licenziamento e’ stata fondata sulla prova della effettiva dismissione delle attivita’ del settore banco e biglietteria aerea alle quali era addetta la dipendente, ulteriormente evidenziandosi che la proposta di trasformazione del rapporto da full time in part time, formulata poco prima della intimazione del licenziamento e dalla (OMISSIS) rifiutata, costituiva prova del tentativo di “repechage” posto in essere dalla datrice di lavoro; la assunzione di altra dipendente, risalente al gennaio 2011, dopo un anno dal licenziamento della (OMISSIS) non era avvenuta in sostituzione di quest’ultima ma di altra dipendente cessata dal servizio il 31.12.2010;
2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso (OMISSIS) sulla base di quattro motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso illustrato con memoria depositata ai sensi dell’articolo 380 – bis.1 cod. proc. civ..

CONSIDERATO

1. che con il primo motivo di ricorso si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti; premesso che l’attivita’ del settore banco e della biglietteria aerea per il pubblico non era mai stata dismessa si rappresenta che per tali incombenze era stata assunta altra dipendente, (OMISSIS), la quale era stata adibita a mansioni in precedenza svolte dalla (OMISSIS); tale circostanza era stata ammessa nella propria memoria dalla stessa societa’ e confermata dalle deposizioni testimoniali;
2. che con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’articolo 2697 cod. civ. e della L. 15 luglio 1966, n. 604, articolo 5. Si assume che costituiva onere della societa’ dimostrare che la persona successivamente assunta, peraltro illegittimamente, allo scopo di esautorare la ricorrente, fosse parimenti soggetta alla riduzione dell’orario di lavoro di cui alla proposta formulata dalla societa’ alla (OMISSIS) poco prima del recesso datoriale; la assenza di tale prova avrebbe confermato la natura strumentale della proposta formulata al solo fine di indurre la lavoratrice a lasciare il posto di lavoro o a ridurre, per la parte aziendale, le conseguenze negative in caso di annullamento del provvedimento espulsivo;
3. che con il terzo motivo di ricorso si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla volonta’ ripetutamente espressa dalla societa’ datrice di addivenire al licenziamento della ricorrente, atteggiamento rivelatore di un intento ritorsivo nei confronti della stessa;
4. che con il quarto motivo di ricorso si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, prospettato in relazione alla mancata valutazione delle condotte discriminatorie poste in essere dalla Direzione aziendale nei confronti della (OMISSIS) e della loro correlazione con il provvedimento espulsivo; si richiamano a tal fine alcune circostanze fattuali emerse dalla prova orale che si asseriscono sintomatiche di un atteggiamento ingiustificatamente ostile della parte datoriale e come tale idoneo a ledere la personalita’ morale della lavoratrice. In particolare, ci si sofferma sul ruolo di coordinatore svolto dalla dipendente licenziata e sul progressivo esautoramento della stessa;
5. che il primo motivo di ricorso e’ inammissibile. Si premette che secondo quanto chiarito da questa Corte (Cass. Sez. Un. 07/04/2014 n. 8053) il controllo previsto dall’articolo 360 cod. proc. civ., n. 5) nel testo attualmente vigente, applicabile ratione temporis, concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). In conseguenza, la parte ricorrente sara’ tenuta ad indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale)tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisivita’ del fatto stesso.
5.1. La sentenza impugnata ha accertato, all’esito di puntuale disamina delle emergenze in atti, la effettiva soppressione del posto di lavoro al quale era addetta la (OMISSIS) evidenziando, tra l’altro, che il servizio di diretta emissione dei biglietti aerei era stato dismesso; ha precisato, quanto alla (OMISSIS), assunta nel gennaio 2011, decorso un anno dal licenziamento in oggetto, che la assunzione non era avvenuta in sostituzione della (OMISSIS) bensi’ a seguito della cessazione (alla data 31.12.2010) del rapporto di lavoro di altra dipendente. Tale accertamento non risulta inficiato dalle deduzioni della odierna ricorrente la quale, pur formalmente prospettando omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, si duole in realta’ dell’apprezzamento del materiale probatorio e della mancata valutazione delle ammissioni formulate nella memoria di costituzione di controparte. L’omesso esame non potrebbe, infatti, prospettarsi con riferimento alla vicenda relativa alla asserita sostituzione della (OMISSIS) con la dipendente (OMISSIS), assunta dopo circa un anno dal licenziamento della prima, posto che la relativa questione e’ stata espressamente affrontata e disattesa dalla Corte di merito (v. sentenza d appello, pag. 7); quanto poi alle pretese ammissioni formulate dalla societa’ nella memoria di costituzione di primo grado, rimane assorbente la considerazione che la relativa evocazione non e’ avvenuta nel rispetto delle prescrizioni di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 essendo affidata alla riproduzione di una unica frase contenuta nel detto scritto difensivo, intrinsecamente inidonea, in quanto estrapolata dal contesto argomentativo di riferimento ed in specie del collegamento con le conclusioni spiegate dalla societa’, a esprimere la posizione difensiva della (OMISSIS) s.r.l.;
6. che il secondo motivo di ricorso e’ inammissibile in quanto muove da un presupposto – sostituzione della Sgolastro da parte della (OMISSIS) – escluso dalla sentenza impugnata con accertamento non inficiato dalle censure articolate con il motivo precedente. Tanto e’ sufficiente a determinare gia’ in astratto la irrilevanza, sotto il profilo prospettato, della eventuale mancata proposta anche alla dipendente (OMISSIS) di trasformazione dell’orario in part time, a suo tempo formulata alla (OMISSIS);
7. che il terzo motivo di ricorso e’ inammissibile. La sentenza impugnata, nello storico di lite, ha precisato che il giudice di prime cure aveva respinto la domanda principale di nullita’ del licenziamento per motivo illecito Non risulta ne’ e’ allegato che tale capo sia stato impugnato, di talche’ deve ritenersi esulare dall’ambito devoluto al giudice di appello la verifica del motivo illecito determinante, al quale e’ riconducibile la questione del preteso intento ritorsivo ispiratore del recesso datoriale. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, qualora una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimita’, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’, per novita’ della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicita’ di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa. (v. tra le altre, Cass. 28/01/2013 n. 1435; Cass. 28/07/2008 n. 20518; Cass. 20/10/2006 n. 22540);
8. che sulla base delle medesime considerazioni ora sviluppate deve affermarsi la inammissibilita’ del quarto motivo posto che parte ricorrente non ha allegato di avere ritualmente introdotto la questione del carattere discriminatorio del licenziamento e di averla ritualmente riproposta in seconde cure ne’ risultando la relativa devoluzione al giudice di secondo grado dalla sentenza di appello che non affronta specificamente tale questione limitandosi a dare atto del rigetto della domanda di nullita’ del licenziamento;
9. che a tanto consegue la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso e la condanna alle spese della parte ricorrente;
10 che sussistono i presupposti per l’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

Avv. Renato D’Isa

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