Mancato esame delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 2 aprile 2019, n. 9110.

La massima estrapolata:

Il mancato esame delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio integra un vizio della sentenza che può essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 360, n° 5, c.p.c., come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Ordinanza 2 aprile 2019, n. 9110

Data udienza 28 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere

Dott. SCALIA Laura – Consigliere

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
su ricorso n.14380/2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS) presso lo studio dell’Avv.to (OMISSIS) che la rappresenta e difende con l’Avv.to (OMISSIS) del Foro di Milano giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA, presso la Corte di Appello di Milano;
– intimato –
CURATORE SPECIALE DEL MINORE (OMISSIS), nella persona dell’Avv.to (OMISSIS);
– intimato –
TUTORE DEL MINORE (OMISSIS), Comune di Milano, nella persona del Sindaco;
– intimato –
avverso la sentenza n.15/2018 della CORTE DI APPELLO DI Milano in data 12/4/2018;
udita la relazione del Consigliere Marina Meloni svolta nella camera di consiglio della prima sezione civile in data 28/1/2019.

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Milano con sentenza in data 12/4/2018, ha confermato la sentenza in data 7/7/2017 pronunciata dal Tribunale per i minorenni di Milano con la quale veniva dichiarato lo stato di adottabilita’ del minore (OMISSIS), nonche’ la decadenza della madre dalla responsabilita’ genitoriale sulla scorta di una CTU espletata nel corso del giudizio di primo grado.
In particolare risulta dalla sentenza impugnata che la ricorrente e’ madre, oltre che del minore (OMISSIS) nato il (OMISSIS) e riconosciuto dalla sola ricorrente, di altri due figli minori rispettivamente di sette ed otto anni, (OMISSIS) e (OMISSIS), di padri diversi, e che i primi due figli come anche il piccolo (OMISSIS) sono sempre vissuti accanto alla ricorrente che se ne e’ occupata in prima persona pur vivendo in comunita’ e col sostegno dei servizi sociali.
Gli episodi di violenza ed aggressione fisica alla donna da parte del suo compagno (OMISSIS) ai quali i minori sovente assistevano, erano stati la causa dell’intervento dei servizi sociali, episodi interrotti comunque nel dicembre 2015 a causa della sopraggiunta carcerazione del (OMISSIS) il quale, successivamente scarcerato in data (OMISSIS), e’ stato espulso dal territorio italiano.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso in cassazione la ricorrente affidato a due motivi. Il curatore speciale, il tutore ed il P.G. presso il giudice a quo non hanno spiegato difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente (OMISSIS) lamenta violazione del L. 4 maggio 1983, n. 184, articoli 1, 8 e 15, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il giudice di merito dichiarato lo stato di abbandono e lo stato di adottabilita’ del minore (OMISSIS) in assoluta carenza dei presupposti di legge. In particolare la ricorrente afferma l’assoluta insussistenza di qualsivoglia stato di abbandono del figlio al quale non ha mai fatto mancare cure, attenzioni, affetto e sostentamento al pari degli altri due figli da lei stessa cresciuti ed accuditi.
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per avere il giudice di merito dichiarato lo stato di abbandono e lo stato di adottabilita’ del minore senza considerare la capacita’ genitoriale della madre cosi’ come emerge dalla stessa CTU espletata i cui passi salienti sono stati riportati nella parte motiva della sentenza impugnata.
Il ricorso e’ fondato e deve essere accolto.
Occorre premettere che, come questa Corte ha piu’ volte ribadito, la L. 4 maggio 1983, n. 184, articolo 1, (nel testo novellato dalla L. 28 marzo 2001, n. 149) attribuisce al diritto del minore di crescere nell’ambito della propria famiglia d’origine un carattere prioritario – considerandola l’ambiente piu’ idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico – e mira a garantire tale diritto attraverso la predisposizione di interventi diretti a rimuovere situazioni di difficolta’ e di disagio familiare. Il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia d’origine comporta dunque che il ricorso alla dichiarazione di adottabilita’ sia praticabile solo come “soluzione estrema”, quando, cioe’, ogni altro rimedio appaia inadeguato con l’esigenza dell’acquisto o del recupero di uno stabile ed adeguato contesto familiare in tempi compatibili con l’esigenza del minore stesso e la rescissione del legame familiare sia l’unico strumento che possa evitare un piu’ grave irrimediabile pregiudizio.
E’ stato ulteriormente ribadito che il giudice di merito, nell’accertare lo stato di adottabilita’ di un minore, deve in primo luogo esprimere una prognosi sull’effettiva ed attuale possibilita’ di recupero, attraverso un percorso di crescita e sviluppo, delle capacita’ e competenze genitoriali, con riferimento, in primo luogo, alla elaborazione, da parte dei genitori, di un progetto, anche futuro, di assunzione diretta della responsabilita’ genitoriale, caratterizzata da cura, accudimento, coabitazione con il minore, ancorche’ con l’aiuto di parenti o di terzi, ed avvalendosi dell’intervento dei servizi territoriali (Cass. sez. 2018/7559, 2017/22589).
Alla luce dei suddetti principi nel caso in esame non risulta compiutamente accertato da parte dei giudici di merito lo stato di adottabilita’ del minore.
Risulta infatti dalla sentenza impugnata che la madre ha allevato in prima persona i suoi primi due figli, fratelli di (OMISSIS), tenendoli sempre con se’ al pari di (OMISSIS) e che in riferimento a quest’ultimo lo stesso CTU incaricato di rispondere in ordine alla capacita’ genitoriale della ricorrente ha rilevato non solo disponibilita’, empatia ed attaccamento affettivo al bambino da parte della madre, ma anche capacita’ di accudimento che possono essere ulteriormente valorizzate attraverso un idoneo percorso, tanto piu’ che attualmente il compagno della donna, colpevole di episodi violenti nei suoi confronti, si e’ definitivamente allontanato dall’Italia a seguito di espulsione. Risulta dalla sentenza, sulla base della stessa CTU espletata nel corso del giudizio di primo grado, che nonostante la personalita’ complessivamente fragile della ricorrente con nuclei traumatici tuttora irrisolti, “la capacita’ della madre di rispondere ai bisogni di accudimento esclusivamente concreto del piccolo si e’ evidenziata come sufficientemente adeguata” e che “nella relazione con il piccolo la sig.ra dimostra una spontanea attitudine al nutrimento, alla manipolazione, alla cura primaria del neonato, come se fosse un’abitudine innata oltre che appresa dalle esperienze precedenti”. Infine il minore (OMISSIS) e’ stato descritto nella CTU come un bambino allegro e vivace nel quale non sono visibili fenomeni di trascuratezza, malnutrizione, ritardo o scarsa crescita, che dimostra di aver interiorizzato le figure di riferimento e cioe’ la madre e mantiene con lei una “relazione positiva”.
Appaiono pertanto contraddittorie ed incoerenti alla luce di quanto sopra le conclusioni tutt’altro che decisive cui e’ pervenuta la CTU (secondo la quale “non appare possibile immaginare un permanere del minore presso il nucleo familiare d’origine”), acriticamente recepite nella sentenza impugnata che lungi dall’affermare l’irreversibilita’ della situazione di fragilita’ psicologica della ricorrente vittima di relazioni violente peraltro oggi definitivamente cessate, evidenzia gli aspetti problematici della personalita’ della ricorrente senza tuttavia valorizzarne i progressi compiuti. Non puo’ revocarsi in dubbio che il mancato esame delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio – in quanto, come nella specie, veicola nel processo un fatto idoneo a determinare una decisione di segno diverso – integra un vizio della sentenza che puo’ essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti (Cass., 07/07/2016, n. 13922; Cass., 29/05/2018, n. 13399; Cass., 31/05/2018, n. 13770).
La sentenza impugnata, che nelle prime quindici pagine trascrive la sentenza di primo grado del Tribunale e nelle pagine da 16 a 20 trascrive la relazione del CTU, motiva nelle ultime tre pagine la decisione di confermare la sentenza di primo grado e dichiarare lo stato di abbandono del minore (OMISSIS) sulla base degli atti trascritti affermando l’interesse del minore ad essere adottato in quanto “il minore (OMISSIS) e’ rimasto con la madre solo un anno e non ha costruito con lei relazioni significative a livello affettivo ed emotivo”; ma cio’ appare in assoluto contrasto con quanto affermato dal CTU in ordine al legame esistente tra la madre ed il figlio sempre da lei accudito quantomeno nel primo anno di vita e tenuto presso di se’ al pari dei fratelli.
In ordine a questi ultimi due poi la sentenza impugnata ha minimizzato le conseguenze della separazione dai due fratelli maggiori del piccolo (OMISSIS) che, se adottato, verrebbe definitivamente privato del rapporto con i suoi fratelli. La sentenza ha poi negato il senso di privazione che a loro volta proverebbero i fratelli di (OMISSIS) in caso di sua separazione definitiva, motivando nel senso che la separazione possa essere intesa anche come rimedio al normale sentimento di gelosia tra fratelli (si legge infatti: “i fratellini (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno perso (OMISSIS), in quanto gia’ collocato presso una famiglia affidataria, ma ciascuno di loro ha tali e tanti bisogni di accudimento affettivo personalizzato per cui la vicinanza del fratello, vissuto come presenza ingombrante nella relazione con la madre, non appare indispensabile per una loro crescita armoniosa”).
Il ricorso appare dunque meritevole di accoglimento, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata alla medesima Corte di Appello in diversa composizione affinche’ attenendosi ai principi di diritto sopra richiamati effettui i necessari accertamenti e valutazioni e provveda sulle spese del giudizio di legittimita’. Non ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimita’.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalita’ di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalita’ e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

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