Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 25 febbraio 2019, n. 8312.

La massima estrapolata:

Integra l’elemento oggettivo del delitto di maltrattamenti in famiglia il compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo sufficiente la loro ripetizione e non rilevando, posta la natura abituale del reato, che durante lo stesso siano riscontrabili nella condotta dell’agente periodi di normalità e persino di apparente accordo con il soggetto passivo.

Sentenza 25 febbraio 2019, n. 8312

Data udienza 7 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente

Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere

Dott. APRILE Ercole – rel. Consigliere

Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere

Dott. ROSATI Martino – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 08/06/2018 della Corte di appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Tampieri Luca, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso;
udito per la parte civile (OMISSIS), l’avv. (OMISSIS) in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ o il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Torino riformava parzialmente la pronuncia di primo grado, escludendo la continuazione tra i reati, rideterminando la pena finale e concedendo all’imputato i doppi benefici, e confermava nel resto la medesima pronuncia del 15/05/2017 con la quale il Tribunale della stessa citta’ aveva condannato (OMISSIS) per il reato di cui all’articolo 572 c.p., per avere, in (OMISSIS), tra il (OMISSIS), maltrattato la moglie convivente (OMISSIS), ponendola in una situazione di sudditanza psicologica, esercitando nei suoi confronti violenza fisica e psicologica, ed in particolare percuotendola in piu’ occasioni, cagionandole lesioni, insultandola e umiliandola, sminuendone il ruolo di madre, sottoponendola a controllo invasivo, monitorandone i movimenti e impedendole di partecipare ad incontri di fede e di coltivare amicizie, con condotte pure realizzate in stato di alterazione da abuso di sostanze alcoliche.
Rilevava la Corte territoriale come non fosse stato necessario rinnovare l’istruttoria dibattimentale con l’ascolto del figlio (OMISSIS); e come la colpevolezza dell’imputato fosse stata provata dalle attendibili dichiarazioni rese dalla persona offesa, che erano risultate riscontrate dalla documentazione acquisita e dalle deposizioni rese dalle persone informate dei fatti, dati che avevano escluso la ricorrenza tra i coniugi di un mero rapporto paritario caratterizzato da litigiosita’ reciproca.
2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il (OMISSIS), con atto sottoscritto dal suo difensore avv. (OMISSIS), il quale ha dedotto i seguenti quattro motivi, cosi’ raggruppabili.
2.1. Violazione di legge, in relazione all’articolo 572 c.p., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’, per avere la Corte di appello erroneamente confermato la decisione di condanna di primo grado, senza spiegare quali fossero le prove della sussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato, laddove era risultata dimostrata l’esistenza solamente di una situazione conflittuale tra i coniugi, peraltro determinata dal consumo di alcolici da parte di entrambi, come pure confermato dalle dichiarazioni della (OMISSIS), che, in ogni caso, erano state travisate dal momento che ella aveva ammesso di aver reagito alle iniziative del marito e di non aver subito alcun rapporto di sudditanza.
2.2. Vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’, per avere la Corte distrettuale omesso di valutare gli elementi favorevoli evidenziati dalla difesa e, cosi’, ingiustamente negato all’imputato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
2.3. Vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’, per avere la Corte piemontese omesso di valutare il terzo motivo dell’atto di appello con il quale l’imputato si era doluto della ingiustificata condanna al pagamento di una provvisionale, nonostante il giudice di prime cure avesse riconosciuto di non poter compiutamente liquidare i danni patiti dalla persona offesa.
3. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile.
3.1. I primi due motivi del ricorso sono manifestamente infondati.
La sentenza impugnata ricostruisce in fatto le varie vicende oggetto di addebito con motivazione esaustiva, immune da vizi logici e strettamente ancorata alle emergenze processuali.
I rilievi formulati al riguardo dal prevenuto si muovono nella prospettiva di accreditare una diversa lettura delle risultanze istruttorie e si risolvono, quindi, in non consentite censure in fatto all’iter argomentativo seguito dalla sentenza di merito, nella quale, peraltro, vi e’ puntuale risposta a detti rilievi, in tutto sovrapponibili a quelli gia’ sottoposti all’attenzione della Corte territoriale. La quale ha avuto modo di affermare, con motivazione logicamente adeguata e con una adeguata lettura delle emergenze processuali, come nell’ambito di un rapporto conflittuale tra i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), nel quale la predetta aveva per esasperazione inizialmente tentato di reagire ai comportamenti oltraggiosi, violenti e prevaricatori del marito (come la stessa aveva ammesso senza riserve, cosi’ dimostrando anche una particolare spontaneita’ e sincerita’), le iniziative dell’odierno ricorrente avessero assunto un carattere di sistematica ed abituale sopraffazione ai danni della coniuge, che si era venuta a trovare in una situazione di sostanziale sudditanza rispetto ad un uomo dal quale ella non era stata in grado per lungo tempo di separarsi, perche’ minacciata dall’uomo di perdere i figli e di essere ridotta sul lastrico.
In tale ottica deve escludersi che vi sia stata da parte dei giudici di merito alcuna inosservanza o erronea esegesi della disposizione incriminatrice applicata nella fattispecie, in quanto costituisce ius receptum nelle pronunce di questa Corte regolatrice il principio secondo il quale integra l’elemento oggettivo del delitto di maltrattamenti in famiglia il compimento di piu’ atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione, e non rilevando, data la natura abituale del reato, che durante lo stesso siano riscontrabili nella condotta dell’agente periodi di normalita’ e persino di apparente accordo con il soggetto passivo (in questo senso, da ultimo, Sez. 3, n. 6724/18 del 22/11/2017, D.L., Rv. 272452).
La correttezza di tale enunciato va in questa sede riaffermata, anche in relazione alle peculiarita’ del caso di specie, in quanto – in ragione del bene giuridico protetto dalla norma in argomento, che attiene sia all’interesse della collettivita’ a garantite la famiglia da comportamenti violenti e vessatori di suoi singoli componenti, sia anche alla protezione fisica e psichica di ciascuno dei suoi membri, il cui sviluppo della personalita’ e’ connesso al rispetto dei valori di solidarieta’ che devono sempre qualificare le relazioni familiari – il reato deve ritenersi sussistente, sotto l’aspetto materiale, tutte le volte in cui, lungi dal rappresentare espressione di episodiche manifestazione di atteggiamenti prevaricatori, le condotte di uno dei componenti del nucleo familiare, pur se intervallate nel tempo e persino se contrastate, ma infruttuosamente, dalla vittima, abbiano finito per concretare una stabile alterazione di quelle relazioni e, cosi’, per comportare una sostanziale compromissione della dignita’ morale e fisica della persona offesa.
3.2. Manifestamente infondato e’ anche il terzo motivo del ricorso.
Il ricorrente ha preteso che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalita’ mediante le quali il giudice di merito ha esercitato il potere discrezionale a lui concesso dall’ordinamento ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche: esercizio che deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine all’adeguamento della pena concreta alla gravita’ effettiva del reato ed alla personalita’ del reo.
Nella specie, del tutto legittimamente la Corte di merito ha ritenuto ostativo al riconoscimento delle attenuanti generiche il protrarsi per lungo tempo delle condotte delittuose accertate, trattandosi di uno dei parametri considerati dall’articolo 133 c.p., applicabile anche ai fini dell’articolo 62 bis c.p.. In tal modo la Corte torinese ha fatto buon governo del principio di diritto piu’ volte enunciato dalla giurisprudenza di legittimita’ secondo il quale, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, il giudice puo’ limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dal predetto articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicche’ anche un solo elemento attinente alla personalita’ del colpevole o all’entita’ del reato ed alle modalita’ di esecuzione di esso puo’ essere sufficiente in tal senso (in questo senso, ex multis, Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone e altri, Rv. 249163).
3.3. Il quarto e ultimo motivo del ricorso e’ inammissibile, in quanto e’ pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che la pronuncia circa l’assegnazione di una provvisionale in sede penale ha carattere meramente delibativo e non acquista efficacia di giudicato in sede civile, mentre la determinazione dell’ammontare della stessa e’ rimessa alla discrezionalita’ del giudice del merito che non e’ tenuto a dare una motivazione specifica sul punto. Ne consegue che il relativo provvedimento non e’ impugnabile per cassazione poiche’, trattandosi di statuizione per sua natura insuscettibile di passare in giudicato, e’ destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (cosi’, tra le tante, Sez. 5, n. 32899 del 25/05/2011, Mapelli, Rv. 250934).
4. L’inammissibilita’ del ricorso comporta la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile, la cui liquidazione va rimessa al giudice di merito: ed infatti, e’ pacifico che, in tema di patrocinio a spese dello Stato, competente a decidere sulla istanza di liquidazione dei compensi relativi all’attivita’ difensiva svolta nel giudizio di legittimita’ e’ il giudice di merito che ha emesso il provvedimento impugnato, posto che la Corte di cassazione puo’ accedere agli atti esclusivamente ai fini della rilevazione di eventuali vizi processuali verificatisi nel corso del giudizio e, pertanto, non ha la piena disponibilita’ materiale e giuridica degli stessi, che devono essere restituiti, con pienezza di accesso, al giudice di merito una volta definito il giudizio di legittimita’ (cosi’, tra le tante, Sez. 3, n. 41525/17 del 15/12/2016, Amato, Rv. 271339).
Segue, altresi’, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a quella di una somma in favore della cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura pure indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS), ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara’ separatamente liquidata dal giudice di merito, disponendo il pagamento di tali spese in favore dello Stato.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

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