Luci e comunione di un cortile fra edifici appartenenti a proprietari diversi

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|11 marzo 2022| n. 7971.

Luci e comunione di un cortile fra edifici appartenenti a proprietari diversi.

Nel caso di comunione di un cortile sito fra edifici appartenenti a proprietari diversi, l’apertura di una veduta da una parete di proprietà individuale verso lo spazio comune rimane soggetta alle prescrizioni contenute nell’art. 905 c.c., finendo altrimenti per imporre di fatto una servitù a carico della cosa comune, senza che operi, al riguardo, il principio di cui all’art. 1102 c.c., in quanto i rapporti tra proprietà individuali e beni comuni finitimi sono disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue o asservite; né può invocarsi, al fine di escludere la configurabilità di una servitù di veduta sul cortile di proprietà comune, il principio “nemini res sua servit”, il quale trova applicazione soltanto quando un unico soggetto è titolare del fondo servente e di quello dominante e non anche quando il proprietario di uno di essi sia anche comproprietario dell’altro.

Sentenza|11 marzo 2022| n. 7971. Luci e comunione di un cortile fra edifici appartenenti a proprietari diversi

Data udienza 10 febbraio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: COMUNIONE E CONDOMINIO – COMUNIONE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi G. – Presidente
Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

Dott. MASSAFRA Umberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso n. 25280/2016 R.G. proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato (OMISSIS), li rappresenta e difende in virtu’ di procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), e (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende in virtu’ di procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1103/2015 della Corte d’Appello di Brescia;
Udita la relazione della causa svolta dal consigliere Dott. Lorenzo Orilia;
Uditi il Procuratore Generale e i Difensori delle parti.

Luci e comunione di un cortile fra edifici appartenenti a proprietari diversi

RITENUTO IN FATTO

Con atto notificato in data 24.3.2006 (OMISSIS), proprietaria di un edificio in (OMISSIS), citava a comparire dinanzi al Tribunale di Brescia (OMISSIS) e (OMISSIS), proprietari di un edificio adiacente e prospiciente un comune cortile (in catasto mappale (OMISSIS)).
Esponeva, tra l’altro, che i convenuti, negli anni (OMISSIS), nel corso dei lavori di ristrutturazione del loro edificio, avevano trasformato le due feritoie prima esistenti in due finestre prospicenti il cortile comune, cosi’ aggravando la servitu’ di veduta; avevano aperto un nuovo accesso carrabile alla loro autorimessa, con aggravio della servitu’ di passaggio; avevano chiuso con una cancellata ed un cancelletto una porzione del portico comune e se ne erano cosi’ appropriati.
Chiedeva, tra l’altro, condannarsi i convenuti alla riduzione in ripristino.
I convenuti, costituitisi, si opponevano alle domande chiedendone il rigetto.
Dopo aver disposto una consulenza tecnica di ufficio, l’adito tribunale, con sentenza n. 2086/2011, respinta ogni ulteriore istanza, condannava i convenuti a ripristinare le feritoie in origine esistenti ed a rimuovere la cancellata ed il cancelletto atti ad intercludere porzione del comune portico.
I soccombenti (OMISSIS) e (OMISSIS) proponevano appello a cui resisteva la (OMISSIS), spiegando, a sua volta, appello incidentale avverso, tra l’altro, il rigetto dell’invocata chiusura dell’accesso carrabile.
Con sentenza n. 1103/2015 la Corte di Brescia in parziale accoglimento dell’appello dei convenuti, ha respinto la domanda di eliminazione delle due finestre aperte da costoro sul cortile comune in luogo delle preesistenti feritoie, mentre ha confermato la condanna dei convenuti a rimuovere la cancellata e il cancelletto di cui a pagg. 4 della CTU.
Secondo la Corte di merito, la trasformazione in finestre delle due feritoie dapprima esistenti doveva reputarsi legittima siccome aperte su cortile di proprieta’ comune. Si trattava quindi di un uso piu’ intenso del bene comune, ma pur sempre lecito ai sensi dell’articolo 1102 c.c..

 

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Quanto alle altre opere, secondo la Corte territoriale occorreva previamente distinguere la porzione di portico asseritamente interclusa in modo indebito dagli appellanti principali con la realizzazione di una cancellata e di un cancelletto dal cortile comune, indicato anche come passaggio comune. Reputava, quindi, che la porzione di portico, cosi’ come aveva chiarito il c.t.u., era di proprieta’ esclusiva degli appellanti principali alla stregua delle risultanze delle schede catastali allegate al titolo di provenienza, il rogito in data 10.3.1940, dei loro danti causa.
Riteneva infine che la trasformazione del passaggio pedonale in passaggio carraio (in dipendenza della destinazione ad autorimessa del locale dapprima destinato a laboratorio) non costituisse aggravamento di servitu’ di passaggio, anche perche’ il cortile era di ampiezza tale da consentire l’ingresso delle autovetture.
(OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) (eredi della originaria attrice, deceduta nelle more del giudizio di merito) hanno proposto ricorso per la cassazione della predetta sentenza, sulla base di sei motivi, illustrati da memoria e contrastati dai (OMISSIS)- (OMISSIS) con controricorso.
Con ordinanza interlocutoria emessa nell’adunanza del 15.7.2021 il Collegio ha rimesso la trattazione del ricorso alla pubblica udienza ai sensi dell’articolo 375 c.p.c., u.c..
Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

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CONSIDERATO IN DIRITTO

1 Preliminarmente, va fugato ogni dubbio posto a pag. 6 del controricorso sugli “aspetti formali del ricorso” (sottoscrizione del ricorso dal solo avv. (OMISSIS), benche’ il mandato fosse stato conferito con una medesima procura anche all’avv. (OMISSIS); notifica avvenuta solo su richiesta del signor (OMISSIS), e non di tutti e tre i ricorrenti; sostanziale duplicazione di alcuni motivi: cfr.): essendo stato conferito mandato di agire in via “separata e disgiunta” (cfr. procura speciale rilasciata a margine del ricorso per cassazione), ciascuno dei difensori poteva regolarmente sottoscrivere il ricorso e chiedere la notifica, come avvenuto nel caso in esame; l’incompleta menzione di tutti e tre i ricorrenti nella richiesta di notifica e’ un mero refuso, privo di rilievo, posto che comunque l’attivita’ e’ stata posta in essere dal difensore in virtu’ di di procura rilasciata dai tre ricorrenti. De tutto privo di specificita’ e’ poi il rilievo in ordine alla duplicazione di alcuni motivi senza altra specificazione.
Passando all’esame dei motivi, col primo di essi i ricorrenti denunciano ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’articolo 905 c.c., comma 1 e articolo 1102 c.c., comma 1, per avere la Corte d’appello errato a ritenere, nel quadro dell’articolo 1102 c.c., che la trasformazione delle originarie feritoie in due finestre sia una forma di piu’ intenso godimento del cortile comune sul quale le finestre prospettano. Secondo i ricorrenti, nel caso di specie si e’ in presenza di edifici autonomi ed il cortile e’ un autonomo bene in comproprieta’ destinato al solo passaggio.
2 Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione degli articoli 101, 112 e 342 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, e la conseguente nullita’ del procedimento e della sentenza impugnata.
Deducono che le controparti non avevano mai dedotto in grado d’appello la mancata applicazione dell’articolo 1102 c.c., quale previsione idonea a legittimare la trasformazione in finestre delle originarie feritoie.
Rilevano che l’oggetto del contendere, quale segnato dall’effetto devolutivo dell’appello, era rappresentato dall’illegittimo aggravamento, recte dall’illegittima costituzione di una servitu’ di veduta in luogo delle preesistenti semplici luci.
Deducono altresi’ che l’applicabilita’ dell’articolo 1102 c.c. e’ stata rilevata di ufficio, sicche’ la Corte di Brescia epoca antecedente all’introduzione, sottoporla previamente al contraddittorio delle parti.
3.1 con ragioni di priorita’ logica va esaminato innanzitutto il secondo motivo, che pone una questione procedurale di carattere assorbente.

 

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Questo motivo e’ infondato.
Il giudice d’appello puo’ qualificare il rapporto dedotto in giudizio in modo diverso rispetto a quanto prospettato dalle parti o ritenuto dal giudice di primo grado, purche’ non introduca nel tema controverso nuovi elementi di fatto, lasci inalterati il “petitum” e la “causa petendi” ed eserciti tale potere-dovere nell’ambito delle questioni, riproposte con il gravame, rispetto alle quali la qualificazione giuridica costituisca la necessaria premessa logico-giuridica, dovendo, altrimenti, tale questione preliminare formare oggetto di esplicita impugnazione ad opera della parte che risulti, rispetto ad essa, soccombente (cfr. Sez. 3 -, Ordinanza n. 12875 del 15/05/2019, Rv. 653896).
Inoltre, l’effetto devolutivo dell’appello entro i limiti dei motivi d’impugnazione preclude al giudice del gravame esclusivamente di estendere le sue statuizioni a punti che non siano compresi, neanche implicitamente, nel tema del dibattito esposto nei motivi d’impugnazione, mentre non viola il principio del “tantum devolutum quantum appellatum” il giudice di appello che fondi la decisione su ragioni che, pur non specificamente fatte valere dall’appellante, tuttavia appaiano, nell’ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi, costituendone necessario antecedente logico e giuridico. Nel giudizio d’appello, infatti, il giudice puo’ riesaminare l’intera vicenda nel complesso dei suoi aspetti, purche’ tale indagine non travalichi i margini della richiesta, coinvolgendo punti decisivi della statuizione impugnata suscettibili di acquisire forza di giudicato interno in assenza di contestazione, e decidere, con pronunzia che ha natura ed effetto sostitutivo di quella gravata, anche sulla base di ragioni diverse da quelle svolte nei motivi d’impugnazione (cfr. Sez. 3 -, Ordinanza n. 9202 del 13/04/2018 Rv. 648592).
E ancora, il giudice ha l’obbligo di rilevare d’ufficio l’esistenza di una norma di legge idonea ad escludere, alla stregua delle circostanze di fatto gia’ allegate ed acquisite agli atti di causa, il diritto vantato dalla parte, e cio’ anche in grado di appello, senza che su tale obbligo possa esplicare rilievo la circostanza che, in primo grado, le questioni controverse abbiano investito altri e diversi profili di possibile infondatezza della pretesa in contestazione e che la statuizione conclusiva di detto grado si sia limitata solo a tali diversi profili, atteso che la disciplina legale inerente al fatto giuridico costitutivo del diritto e’ di per se’ sottoposta al giudice di grado superiore, senza che vi ostino i limiti dell’effetto devolutivo dell’appello (cfr. Sez. 2 -, Sentenza n. 11287 del 10/05/2018 Rv. 648501).
Sulla scorta di tali principi di diritto – a cui va data continuita’ – deve escludersi che la sentenza impugnata sia incorsa nel vizio denunziato laddove, in una controversia in cui si discuteva della legittimita’ di aperture realizzate su un bene comune (il cortile appunto), ha ritenuto applicabili le norme sulla comunione senza sollecitare il preventivo contraddittorio sullo specifico principio dell’articolo 1102 c.c..

 

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3.2 Occorre adesso soffermarsi sul primo motivo, che e’ fondato.
La questione di diritto che il Collegio e’ chiamato a risolvere (e che ha determinato la trattazione del ricorso alla pubblica udienza) riguarda la legittimita’ o meno della apertura di vedute (o della trasformazione di preesistenti luci in vedute) su un cortile comune da parte del proprietario esclusivo di un edificio che sia anche comproprietario del cortile, con la peculiarita’ che tra il cortile comune (sul quale prospetta la veduta) e l’edificio nel quale e’ stata creata non esista nessun rapporto di accessorieta’.
Nella giurisprudenza di legittimita’ si registrano due posizioni: alcune pronunce hanno affermato che, quando un cortile e’ comune a distinti corpi di fabbrica e manca una disciplina contrattuale vincolante per i comproprietari al riguardo, il relativo uso e’ assoggettato alle norme sulla comunione in generale, e in particolare alla disciplina di cui all’articolo 1102 c.c., comma 1, in base al quale ciascun partecipante alla comunione puo’ servirsi della cosa comune, sempre che non ne alteri la destinazione e non ne impedisca il pari uso agli altri comunisti. In tal senso, l’apertura di vedute su area di proprieta’ comune ed indivisa tra le parti costituirebbe opera sempre inidonea all’esercizio di un diritto di servitu’ di veduta, sia per il principio “nemini res sua servir, che per la considerazione che i cortili comuni, assolvendo alla precipua finalita’ di dare aria e luce agli immobili circostanti, sono ben fruibili a tale scopo dai condomini, cui spetta, pertanto, anche la facolta’ di praticare aperture che consentano di ricevere aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte, in tema di luci e vedute, a tutela dei proprietari dei fondi confinanti di proprieta’ esclusiva, con il solo limite, posto dall’articolo 1102 c.c., di non alterare la destinazione del bene comune o di non impedirne l’uso da parte degli altri comproprietari (Cass. Sez. 2, 14/06/2019, n. 16069; Cass. Sez. 2, 26/02/2007, n. 4386; Cass. Sez. 2, 19/10/2005, n. 20200).

 

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Accanto a tale impostazione se ne pone un’altra, che, a ben vedere, si collega all’originario orientamento di questa Corte, secondo cui, ove sia accertata la comunione di un cortile sito fra edifici appartenenti a proprietari diversi ed allorche’ fra il cortile e le singole unita’ immobiliari di proprieta’ esclusiva non sussista quel collegamento strutturale, materiale o funzionale, ovvero quella relazione di accessorio a principale, che costituisce il fondamento della condominialita’ dell’area scoperta, ai sensi dell’articolo 1117 c.c.), l’apertura di una veduta da una parete di proprieta’ individuale verso lo spazio comune rimane soggetta alle prescrizioni contenute nell’articolo 905 c.c. Il partecipante alla comunione del cortile non puo’, in sostanza, aprire una veduta verso la cosa comune a vantaggio dell’immobile di sua esclusiva proprieta’, finendo altrimenti per imporre di fatto una servitu’ a carico della cosa comune, senza che operi, al riguardo, il principio di cui all’articolo 1102 c.c., il quale non e’ applicabile ai rapporti tra proprieta’ individuali e beni comuni finitimi, che sono piuttosto disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprieta’ contigue od asservite (Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 26807 del 21/10/2019 Rv. 655658; Cass. Sez. 2, 04/07/2018, n. 17480; Cass. Sez. 2, 21/05/2008, n. 12989; Cass. Sez. 2, 20/06/2000, n. 8397; Cass. Sez. 2, 25/08/1994, n. 7511; Cass. Sez. 2, 28/05/1979, n. 3092).
Il Collegio ritiene di dare continuita’ a quest’ultimo orientamento per le seguenti ragioni:
-innanzitutto, perche’ valorizza un dato di fatto ineludibile, cioe’ il collegamento strutturale, materiale o funzionale, ovvero quella relazione di accessorio a principale, che costituisce il fondamento della condominialita’ dell’area scoperta, ai sensi dell’articolo 1117;
-in secondo luogo, perche’ si fa carico di una corretta ricostruzione del principio “nemini res sua servir, il quale, secondo la costante giurisprudenza, trova applicazione soltanto quando un unico soggetto e’ titolare del fondo servente e di quello dominante, e non anche quando il proprietario di uno di essi sia anche comproprietario dell’altro, giacche’ in tal caso l’intersoggettivita’ del rapporto e’ data dal concorso di altri titolari del bene comune (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26807 /2019 cit; Sez. 2 -, Ordinanza n. 21020 del 06/08/2019 Rv. 655193; Cass. Sez. 2, 03/10/2000, n. 13106; Cass. Sez. 2, 02/06/1999, n. 5390; Cass. Sez. 2, 18/02/1987, n. 1755).
Nel caso in esame, il giudice di merito ha applicato seccamente le norme sulla comunione (articolo 1102 c.c.) senza prima accertare in fatto se la situazione obbiettiva desse luogo alla presenza di piu’ unita’ immobiliari o piu’ edifici aventi parti comuni, ai sensi dell’articolo 1117 e dell’articolo 1117 bis c.c. (se, cioe’, sussistesse la relazione di accessorieta’ strumentale e funzionale che collega le unita’ immobiliari di proprieta’ esclusiva a talune cose, impianti e servizi comuni, i quali siano contestualmente legati, attraverso la relazione di accessorio a principale, con piu’ edifici o immobili, in modo che l’uso del bene comune non sia suscettibile di autonoma utilita’, ma solo correlato al godimento del bene individuale); trattasi di accertamento necessario per poter eventualmente escludere, alla luce del citato principio di diritto affermato dal Collegio, l’applicazione delle norme che regolano i rapporti tra proprieta’ contigue od asservite per far posto a quello sull’utilizzo del bene comune.
Si rende necessario nuovo esame.
3 Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti e l’insufficienza della motivazione: la Corte d’Appello ha omesso di considerare l’avvenuto l’aggravamento di servitu’ in dipendenza della trasformazione del passaggio pedonale in passaggio carraio, trasformazione correlata alla destinazione ad autorimessa del locale dapprima destinato a laboratorio.
A dire dei ricorrenti, la servitu’ di passaggio carraio costituisce di per se’ aggravio della precedente servitu’ pedonale; del resto l’accesso carraio postula uno spazio di manovra ed importa per gli altri comproprietari l’impossibilita’ di utilizzo di una porzione significativa del cortile comune.
Deducono che d’altra parte l’arretramento della basculante e’ avvenuto in misura pari a cm. 50 non gia’ in misura pari a cm. 120.
4 Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli articoli 1063, 1064, 1065 e 1067 c.c..
Deducono sub specie di error in iudicando le medesime censure addotte con il terzo motivo.
Deducono che nella circostanza non vi e’ un titolo costitutivo della servitu’, nondimeno e’ fuor di contestazione che la servitu’ fosse unicamente di passaggio pedonale e non carraio, cosicche’ la trasformazione della servitu’ in pedonale e carraio ne importa di per se’ l’aggravamento.
4.1 Ragioni di priorita’ logica consigliano di partire dall’esame del quarto motivo, che e’ fondato, anche se occorre correggere alcune imprecisioni sul rapporto tra servitu’ pedonale e servitu’ di passo carrabile.
La servitu’ di passo carrabile si differenzia da quella di passaggio pedonale per la maggiore ampiezza del suo contenuto, perche’, condividendo con quest’ultima la funzione di consentire il transito delle persone, soddisfa l’ulteriore esigenza di trasporto con veicoli di persone e merci da e verso il fondo dominante; ne consegue che dall’esistenza della servitu’ di passaggio pedonale non puo’ desumersi l’esistenza di quella di passo carrabile, ne’ il passaggio a piedi costituisce atto idoneo a conservare il possesso della servitu’ di passaggio con automezzi (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 19483 del 23/07/2018 Rv. 649992; Sez. 2, Sentenza n. 3906 del 30/03/2000 Rv. 535216; Sez. 2, Sentenza n. 1906 del 05/07/1973 Rv. 364967).
Nel caso in esame, la Corte d’Appello ha affermato che “non costituisce aggravio della servitu’ di passaggio il fatto che l’edificio prima adibito a laboratorio sia stato poi destinato ad autorimessa, essendo, da una lato, implicito che il cortile fosse di ampiezza tale da consentire l’ingresso delle auto dal momento che si e’ contestato il diritto di parcheggiare le auto e, dall’altro, che l’edificio prima utilizzato quale laboratorio potesse, una volta che fossero mutate le esigenze della proprieta’, essere adibito ad autorimessa. L’aggravio della servitu’ di passaggio non sussiste, inoltre, potendo l’autorimessa in questione contenere una sola autovettura (vedi fotografie)” (cfr. sentenza pagg. 17 e 18).
Prima di giungere ad una tale conclusione, la Corte d’Appello avrebbe dovuto pero’ dapprima individuare esattamente il tipo di servitu’ di passaggio esercitato sul cortile, sulla scorta di quanto tempestivamente dedotto dalle parti nel giudizio di merito ed accertato: avrebbe dovuto stabilire, cioe’, se la originaria attrice avesse tempestivamente dedotto una servitu’ di passaggio pedonale poi trasformata in carrabile con un nuovo accesso, oppure se avesse dedotto la preesistenza di un passaggio carrabile successivamente modificato e, a seconda della qualificazione data al rapporto originario, avrebbe dovuto poi trarre le debite conseguenze per effetto delle modifiche apportate.
La sentenza non ha invece preso posizione sul tipo di servitu’ esercitata precedentemente sul cortile, ma si e’ concentrata unicamente sulle dimensioni del cortile e su una serie di presunzioni.
Si rende pertanto necessario un nuovo esame e quindi la sentenza va cassata anche in relazione a tale motivo, con logico assorbimento del terzo.
5 Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti l’insufficienza della motivazione.
Sostengono i ricorrenti che ha errato la corte territoriale allorche’ ha ritenuto che la porzione di portico piu’ interna, delimitata dalla cancellata e dal cancelletto, dovesse reputarsi di proprieta’ esclusiva degli appellanti principali. Deducono che ne’ il CTU ne’ i giudici di merito hanno considerato che il portico non ha mai avuto un suo autonomo numero di mappale ed e’ sempre stato parte integrante del mappale n. (OMISSIS), poi divenuto n. (OMISSIS).
Deducono quindi che il portico ed il cortile comune sono catastalmente un tutt’uno e non possono quindi avere destinazioni differenti.
Deducono altresi’ che la corte lombarda, allorche’ ha ritenuto che anche la loro dante causa aveva inglobato nella sua proprieta’ esclusiva porzione del portico asseritamente comune, non ha tenuto conto delle schede catastali prodotte dal loro precedente difensore.
Deducono inoltre che la corte bresciana non ha tenuto conto della convenzione siglata in data 18.3.1993 da (OMISSIS) con i danti causa delle controparti.
Il motivo e’ in parte inammissibile (laddove denunzia la motivazione insufficiente, cioe’ un vizio della sentenza ormai espunto dal catalogo di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5) ed in parte infondato.
L’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629831).
Nel caso in esame, il fatto che si assume decisivo, l’appartenenza del cd. “portico comune” e’ stato esaminato dalla Corte d’Appello (cfr. sentenza pagg. 16 e 17), anche se con esito non conforme alle aspettative degli attori-appellati. Il problema si sposta allora sulla motivazione, ma il vizio, come si e’ detto, non e’ piu’ denunziabile in sede di legittimita’, cosi’ come non e’ denunziabile l’apprezzamento dei fatti di causa e degli elementi istruttori (ed in particolare le schede catastali), che, pero’, e’ tipica prerogativa del giudice di merito.
6 Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli articoli 950 e 2697 c.c.
Premettono che allorquando e’ contestato il confine tra proprieta’ aliene in mancanza di altri elementi la linea confinaria va acclarata alla stregua delle mappe catastali. Indi deducono che la corte d’appello non ha tenuto conto delle risultanze effettive delle mappe catastali alla cui stregua il passaggio comune ed il portico hanno sempre fatto parte del medesimo mappale.
Il motivo, cosi’ come articolato, e’ inammissibile.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimita’ ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’ per novita’ della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicita’ di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (cfr. tra le tante, Sez. 2 -, Ordinanza n. 2038 del 24/01/2019 Rv. 652251; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018 Rv. 649332; Sez. 3 -, Ordinanza n. 27568 del 21/11/2017 Rv. 646645).
Nel caso in esame l’accertamento della proprieta’ esclusiva dei convenuti sul cd. “portico in comune” era stato gia’ compiuto dal primo giudice proprio sulla scorta degli accertamenti svolti dal consulente tecnico di ufficio, a loro volta basati sull’esame delle schede catastali richiamate nell’atto di provenienza dei convenuti (ne da’ atto la Corte d’Appello a pag. 6) e la sentenza impugnata ha sostanzialmente recepito tale argomentazione laddove a pagg. 16 e 17 ha richiamato anch’essa gli accertamenti peritali, il titolo di provenienza dei convenuti e le schede catastali.
Sarebbe quindi stato specifico onere per i ricorrenti di sottoporre con l’impugnazione incidentale alla Corte d’Appello la questione di diritto sulla gerarchia delle prove nell’azione di regolamento di confini (articolo 950 c.c.) e sul riparto dell’onere della prova (articolo 2697 c.c.), ma il ricorso e’ completamente silente (cfr. pag. 5, 27 e ss.).
In conclusione, accolti il primo e quarto motivo, assorbito il terzo e respinti gli altri, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’Appello di Brescia in diversa composizione che si pronuncera’ anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo e il quarto motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo e rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’Appello di Brescia in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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