L’ordine di demolizione e motivazione

Consiglio di Stato, Sentenza|19 agosto 2021| n. 5942.

L’ordine di demolizione e motivazione.

L’ordine di demolizione delle opere abusive costituisce attività vincolata del Comune, essendo preordinato ad accertare il compimento di opere edilizie realizzate senza titolo edilizio, non abbisogna di motivazione, in quanto la funzione di tale atto è quella di provocare il tempestivo abbattimento del manufatto abusivo ad opera del responsabile, rendendogli noto che il mancato adeguamento spontaneo determina sanzioni più onerose a tale scopo è quindi sufficiente che l’atto indichi il tipo di sanzione che la legge collega all’abuso, senza puntualizzare le aree eventualmente destinate a passare nel patrimonio comunale.

Sentenza|19 agosto 2021| n. 5942. L’ordine di demolizione e motivazione

Data udienza 14 luglio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Ordine di demolizione – Contenuto – Motivazione – Attività vincolata della PA – Opere realizzate in assenza del titolo edilizio

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 240 del 2015, proposto dalla s.r.l. Ag., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Da. Ac., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Pa. Ca. in Roma, via (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Sa. Pr. e Do. Si., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Gr. Le. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sede di Napoli Sezione Sesta, n. 3067/2014, resa tra le parti, concernente un diniego condono edilizio ed il ripristino dello stato dei luoghi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 14 luglio 2021 il Cons. Oreste Mario Caputo.
L’udienza si svolge ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e dell’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Mi. Te.” come previsto dalla circolare del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa 13 marzo 2020, n. 6305.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

L’ordine di demolizione e motivazione

FATTO e DIRITTO

È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sede di Napoli Sezione Sesta, n. 3067/2014, di reiezione del ricorso e dei motivi aggiunti proposti dalla s.r.l. Ag. avverso, rispettivamente, il diniego (n. 28 del 27 marzo 2007) opposto dal Comune di (omissis) alle istanze di condono edilizio prot. 2107 e 2108 del 28 febbraio 1995 e l’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi.
Cumulativamente la società ha impugnato il verbale di sopralluogo del 13 febbraio 2003, i pareri sfavorevoli n. 43/2003 e 39/2003 espressi dalla Commissione Edilizia Comunale e dalla Commissione Edilizia Comunale Integrata in data 13 giugno 2003, la relazione prot. n. 16785 del 13 dicembre 2006 del Comando di Polizia Municipale di Meta e la nota prot. n. 6873 del 10 maggio 2007, ed infine, con motivi aggiunti, il verbale di accertamento di inottemperanza prot. n. 18195 del 24 novembre 2011.
La società ricorrente, acquirente dei due manufatti siti alla via (omissis) nel Comune di (omissis) realizzati in difetto di titolo abilitativo insistenti su due terrazzamenti attigui, piano terra e primo piano, con superficie di circa 260 mq destinati allo stoccaggio di agrumi e al deposito di attrezzi agricoli – già sottoposti a sequestro dal Comando di Polizia Municipale nel 1992 – ha, in primo luogo, contestato la legittimità dei dinieghi di condono di cui alle separate istanze presentate dagli autori delle opere, danti causa della società .
2. Il Tar ha respinto il motivo d’impugnazione, precisando che l’ordinanza n. 28 del 27 marzo 2007 menziona espressamente entrambe le istanze di condono prot. n. 2107 e 2108 del 1995 a firma dei signori St. e Se. Ma. e riguarda espressamente la “realizzazione di superficie coperta al 1° piano ad uso attività industriale o artigianale” e la “realizzazione di superficie coperta a piano terra ad uso attività industriale o artigianale” presso il fondo sito alla via (omissis).
I giudici di prime cure hanno sottolineato che la ragione del rigetto delle richieste di condono è costituita dalla mancata ultimazione dei manufatti al 31 dicembre 1993 ai sensi dell’art. 39 l. 724/1993 (cfr. pareri della C.E.C. e della C.E.C.I. resi nella seduta del 13 giugno 2003, verbali n. 43/2003 e n. 39/2003) e che legittimamente il Comune ha contestato il completamento delle opere abusive come accertato a seguito dei sopralluoghi svolti il 13 febbraio 2003 e il 12 dicembre 2006.
E’ stata perciò rilevata la conseguente inapplicabilità dell’art. 43 l. 47/1985, poiché oggetto della disposizione sono i lavori attinenti alle “strutture realizzate” che “siano strettamente necessari alla loro funzionalità “, con la conseguenza, ha evidenziato il Tar, che essa può essere applicata ai soli lavori necessari per assicurare la funzionalità di quanto già costruito e non consente, invece, di integrare le opere con interventi edilizi che diano luogo di per sé a nuove strutture.
Quanto all’ordinanza di demolizione, dopo aver ricordato che i manufatti abusivi ricadono in zona paesaggisticamente tutelata, il Tar ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale consolidato per il quale l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato e, quindi, non richiede una specifica valutazione delle ragioni d’interesse pubblico, anche di natura urbanistica ed ambientale, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati.
Infine, esaminando i motivi aggiunti proposti avverso il verbale di accertamento di inottemperanza prot. n. 18195 del 24 novembre 2011, i giudici di prime cure hanno accolto l’eccezione d’inammissibilità sollevata dalla difesa dell’amministrazione comunale, sul rilievo che il verbale ha valore di atto endoprocedimentale, strumentale alle successive determinazioni dell’ente locale ed ha efficacia meramente dichiarativa delle operazioni effettuate dalla Polizia Municipale, alla quale non è attribuita la competenza all’adozione di atti di amministrazione attiva.
3. Appella la sentenza Società Ag. S.r.l. Resiste il Comune di (omissis).
4. Alla pubblica udienza del 14 luglio 2021, tenuta in modalità telematica da remoto, la causa, su richiesta di parte appellante, è stata trattenuta in decisione.
5. Con il primo motivo d’appello, la società appellante lamenta l’errore di giudizio in cui sarebbe incorso il Tar per non aver considerato che il Comune, accogliendo l’istanza da essa presentata, ha riavviato il procedimento per la rivalutazione della situazione volta ad accertare che
nei manufatti di cui alle avanzate istanze di condono si svolgerebbe solo attività di raccolta e di stoccaggio degli agrumi e non sarebbe presente un laboratorio per la lavorazione dei limoni.
Pertanto, la mera attività di stoccaggio degli agrumi non richiederebbe muri perimetrali, né impianti di alcun genere e potrebbe essere svolta anche nelle strutture precarie in parola, che potrebbero soddisfare di per sé stesse la funzione alla quale erano destinate, con conseguente sussistenza dei requisiti di cui all’art. 39 della legge n. 724/1994, poiché le opere potrebbero dirsi ultimate alla data del 31 dicembre 1993.
5.1 Il motivo è infondato.
Il fatto che il Comune abbia aperto un nuovo procedimento istruttorio ancora in itinere non ha alcun riflesso sulla situazione storico-giuridica cristallizzata con gli atti impugnati, della cui legittimità qui si discute con l’appello in esame.

 

L’ordine di demolizione e motivazione

Alla luce dei nuovi accertamenti istruttori, il Comune potrà eventualmente emanare ulteriori provvedimenti, del tutto autonomi e distinti da quelli in esame.
6. Con il secondo motivo di doglianza, la società appellante lamenta che il TAR avrebbe violato il principio di separazione dei poteri di cui all’art. 34, comma 2°, c.p.a., non imponendo al Comune di completare l’istruttoria di riesame delle pratiche di condono e, in tal modo, sostituendosi all’amministrazione comunale.
6.1 Il motivo è infondato.
L’appellante non si è avvalso dello specifico rimedio previsto dall’ordinamento, di cui all’art. 117 c.p.a., avverso il silenzio-inadempimento eventualmente serbato dal Comune.
Sicché, in forza del principio nemo venire contra factum proprium, essa non può dedurre alcun effetto viziante scaturente dalla mancata definizione del procedimento di riesame, di cui peraltro non si specificano modalità e tempi d’esame.
7. Con il terzo ed il quarto motivo di appello che, in quanto strettamente connessi possono essere trattati congiuntamente, si lamenta l’errore in cui sarebbe incorso il TAR, laddove ha confermato che le opere in parola non potevano dirsi completate ai sensi dell’art. 39 l. 724/1993.
A sostegno dei motivi, la s.t.l. Ag. richiama l’avvenuto completamento funzionale delle opere di mero stoccaggio dei limoni e non di lavorazione degli stessi, attività che potrebbe essere svolta anche in strutture precarie.
7.1 I motivi sono infondati.
Dagli atti impugnati emerge che, dopo la presentazione delle istanze di condono, parte appellante ha posto in essere tutta una serie di rilevanti opere edilizie (modifica prospetti, sostituzioni travi, costruzione di pareti perimetrali in tufo, apposizione di infissi, di pavimentazione, completamento di un vano preesistente) che hanno dato luogo ad organismi edilizi del tutto differenti rispetto a quelli di cui si era chiesto il condono.
Contraddicendosi, la stessa società appellante afferma che il completamento funzionalmente delle opere ai sensi dell’art. 39 della legge n. 724/1994, è avvento con opere c.d. “precarie”, comunque incidenti sulle strutture tanto da dare luogo ad organismi edilizi del tutto differenti rispetto a quelli preesistenti.
Che non si tratti di opere precarie è evidenziato dalla circostanza della loro perdurante esistenza in loco.
Ad analoga conclusione deve giungersi con riguardo al motivo di appello avverso l’affermata inapplicabilità nella sentenza appellata dell’art. 43 della legge n. 47/1985.
Le opere poste in essere con gli interventi edilizi hanno dato luogo a nuove e differenti strutture edilizie, non già alla mera integrazione con opere strettamente necessari alla loro funzionalità, di cui alla disposizione richiamata.
8. Né, venendo all’ultimo motivo d’appello, l’ordinanza demolitoria n. 28/2007 è affetta dai vizi lamentati dalla ricorrente.
L’ordine di demolizione delle opere abusive costituisce attività vincolata del Comune, essendo preordinato ad accertare il compimento di opere edilizie realizzate senza titolo edilizio, non abbisogna di motivazione, in quanto la funzione di tale atto è quella di provocare il tempestivo abbattimento del manufatto abusivo ad opera del responsabile, “rendendogli noto che il mancato adeguamento spontaneo determina sanzioni più onerose…a tale scopo è quindi sufficiente che l’atto indichi il tipo di sanzione che la legge collega all’abuso, senza puntualizzare le aree eventualmente destinate a passare nel patrimonio comunale” (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 8 aprile 2004, n. 1998).
L’orientamento giurisprudenziale, qui condiviso, è univoco nell’affermare che “presupposto per l’adozione dell’ordine di demolizione di opere edilizie abusive è soltanto la constatata realizzazione di esse in assenza o in difformità della concessione, con la conseguenza che, nella sussistenza di tale presupposto, il provvedimento costituisce atto dovuto ed è sufficientemente motivato con l’accertamento dell’abusività del manufatto, essendo in re ipsa l’interesse pubblico alla sua rimozione, anche quando la sanzione sia adottata a distanza di anni dalla realizzazione dell’abuso” (cfr. Cons. Stato, ad. plen., n. 7 2019; Cons. Stato, sez. V, 8 luglio 1998, n. 1015).
9. Conclusivamente l’appello deve essere respinto.
10. Le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 240 del 2015, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la s.r.l. Ag. al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio in favore del difensore del Comune di (omissis), dichiaratosi antistatario, che si liquidano in 5.000,00 (cinquemila) euro, oltre diritti ed accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2021 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere, Estensore
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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