L’opera abusiva va identificata con riferimento alla unitarietà dell’immobile o del complesso immobiliare

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 30 maggio 2019, n. 3611.

La massima estrapolata:

L’opera abusiva va identificata con riferimento alla unitarietà dell’immobile o del complesso immobiliare, ove sia stato realizzato in esecuzione di un disegno unitario, essendo irrilevante la suddivisione in più unità abitative, e non essendo consentita la presentazione di distinte domande per aggirare il limite di volumetria normativamente previsto.

Sentenza 30 maggio 2019, n. 3611

Data udienza 7 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6629 del 2008, proposto dalla signora Al. An., rappresentata e difesa dagli avvocati Gu. Fi. e Gi. Fi., con domicilio eletto presso l’avv. Pa. Fi. in Roma, via (…),
contro
Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ed.oardo Ba., Gi. Ta., An. An., Fa. Ma. Fe. e Br. Cr. con domicilio eletto presso l’avv. Gi. Ma. Gr. in Roma, corso (…),
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Quarta n. 6542 del 2007, resa tra le parti, concernente il provvedimento del Comune di Napoli, n. 352 del 15 dicembre 2000, di reiezione della domanda di condono edilizio presentata, ai sensi della legge n. 724 del 1994, per la realizzazione abusiva dell’immobile sito in via (omissis) vicinale (omissis).
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 maggio 2019 il Cons. Cecilia Altavista e uditi per le parti gli avvocati Gi. Fi. e Ga. Pa. su delega di Br. Cr.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La signora An. Al. presentava il 28 febbraio 1995 domanda di condono edilizio, ai sensi della legge 23 dicembre 1994, n. 724, per la avvenuta realizzazione di un immobile abusivo sito in via (omissis) vicinale (omissis). In particolare, nella domanda di condono (n. 7047 del 1995) era indicato un immobile composto da un piano fuori terra e un seminterrato con una superficie complessiva da condonare di 233 metri quadri e un volume di 700 metri cubi. Nella relazione allegata alla domanda di condono era indicato un appartamento di 116 metri quadri di superficie e volume, pari a 480 metri cubi, oltre ad un piano seminterrato di 82 metri quadri di superficie, per un volume di 267,20 metri cubi per il garage seminterrato (per la volumetria complessiva di 747 metri cubi) e un garage interrato di 233 metri cubi.
Con provvedimento n. 352 del 15 dicembre 2000 il Comune di Napoli respingeva la domanda di condono, in quanto l’opera realizzata eccedeva il limite massimo di 750 metri cubi prevista dall’art. 39 della legge n. 724 del 1994 per l’applicazione del condono edilizio.
Avverso tale provvedimento è stato proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Campania, formulando i seguenti motivi:
– violazione di legge ed eccesso di potere per l’avvenuta formazione del silenzio assenso sulla istanza di sanatoria;
– insufficiente istruttoria e erroneità dei presupposti, in quanto l’abuso rientrerebbe nel limite volumetrico di 750 metri cubi previsto dall’art. 39 della legge n. 724 del 1994; il Comune avrebbe, infatti, erroneamente calcolato anche il volume della parte di edificio di proprietà della sorella Al. Ma., oggetto di separata domanda di condono; i limiti volumetrici non sarebbero stati comunque superati, in quanto il garage di 233 metri cubi avrebbe dovuto considerarsi interrato e quindi privo di volumetria, né avrebbero dovuto essere considerati i volumi tecnici (quali il vano scale pari a 110 metri cubi);
– difetto di motivazione;
– mancanza di vincoli al momento di realizzazione dell’abuso;
– violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 per la mancata comunicazione di avvio del procedimento.
Con la sentenza di primo grado è stato respinto il ricorso, per l’infondatezza della prima, seconda, terza e quinta censura; è stata dichiarata inammissibile la quarta censura in quanto generica e inconferente rispetto al provvedimento impugnato.
Con l’atto di appello sono stati proposti motivi di errore in procedendo e in iudicando, in relazione al rigetto della seconda, terza e quinta censura del ricorso di primo grado; in particolare, con riguardo al superamento della volumetria si sostiene che avrebbe dovuto essere considerata la sola volumetria relativa alla singola unità immobiliare di An. Al., oggetto di autonoma domanda di condono, e che dalla volumetria complessiva avrebbe dovuto comunque essere escluso il volume di 233 metri cubi del garage, in quanto interrato, nonché il volume del vano scale (110 metri cubi), in quanto volume tecnico; con riferimento alla censura di difetto di motivazione si deduce l’insufficienza della motivazione del provvedimento impugnato, in quanto riferita solo al superamento della volumetria, mentre il diniego di sanatoria avrebbe dovuto motivare anche sul contrasto con gli strumenti urbanistici; in relazione alla mancata comunicazione di avvio del procedimento, si deduce che la relativa disciplina avrebbe dovuto essere applicata anche ai procedimenti ad istanza di parte e agli atti vincolati, come sarebbe stato chiarito dalle modifiche introdotte dalla legge n. 15 dell’11 febbraio 2005.
Si è costituito in giudizio il Comune di Napoli contestando la fondatezza dell’appello.
All’udienza pubblica del 7 maggio 2019 il giudizio è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato.
L’art. 39 della legge, 23 dicembre 1994, n. 724, aveva previsto la sanatoria delle opere abusive, realizzate entro il 31 dicembre 1993, con riferimento alle nuove costruzioni “non superiori ai 750 metri cubi per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria”.
Nel caso di specie, la relazione allegata alla domanda di condono n. 7047 del 1995, presentata dalla signora An. Al. per la realizzazione di un immobile abusivo sito in via (omissis) vicinale dell’Arco 54, indicava la superficie dell’appartamento pari a 116 metri quadri e il volume dell’appartamento pari a 480 metri cubi, oltre alla superficie del piano seminterrato di 82 metri quadri, con un garage seminterrato di 267,20 metri cubi (per la volumetria complessiva sommata a quella dell’appartamento di 747,2 metri cubi) e un garage interrato di 233 metri cubi.
Il Comune ha respinto la domanda di condono ritenendo superato il limite volumetrico di 750 metri cubi, in particolare calcolando un volume complessivo dell’immobile oggetto della domanda di condono pari a 949 metri cubi, comprensivo anche del volume del garage, indicato come interrato nella relazione allegata alla domanda di condono.
Tale calcolo del volume complessivo risulta dalla “scheda riepilogativa accertamento – pratica n. 7047/95” della U.O.C. tecnica condono, depositata dal Comune di Napoli nel giudizio di primo grado, in cui gli uffici comunali, che hanno effettuato l’istruttoria, hanno fatto riferimento alle “misurazioni da grafici allegati supportate anche da relazione tecnica di parte”.
Tale calcolo ha condotto ad una volumetria complessiva, riferita alla sola domanda n. 7047 del 1995 presentata da An. Al., come superiore al limite di 750 metri cubi previsto dall’art. 39 della legge n. 724 del 1994 per l’ammissibilità del condono edilizio.
Rispetto a tale calcolo effettuato dagli uffici comunali sulla base della documentazione anche progettuale allegata alla domanda di condono, quindi, non rilevano né la presentazione di altra domanda di condono (n. 7046 del 1995) da parte della sorella dell’appellante, Maria Altera, nella quale è stata indicata la medesima cubatura della domanda per cui è causa, con ana riferimento al volume del garage interrato – non considerata dal Comune ai fini della reiezione della domanda – né le prospettazioni della difesa appellante circa il calcolo del volume tecnico costituito dal vano scale, pari a 110 metri cubi, che comunque non rilevano rispetto al limite di 750 metri cubi ampiamente superato dal solo garage dichiarato come interrato.
Nel provvedimento impugnato, infatti, il Comune non ha fatto alcun riferimento alla valutazione della volumetria dell’intero edificio o all’esame congiunto delle due domande di condono presentate per il medesimo immobile, che, in base alla “scheda riepilogativa accertamento – pratica n. 7047/95” risulta avere una superficie complessiva pari a 375 metri quadri, di cui la metà è stata oggetto della domanda di condono presentata dalla odierna appellante.
Il Comune ha quindi considerato superato il limite volumetrico di 750 metri cubi dalla sola domanda di condono di An. Al..
Al riguardo si deve, peraltro, evidenziare come la giurisprudenza ritiene che l’opera abusiva vada identificata con riferimento alla unitarietà dell’immobile o del complesso immobiliare, ove sia stato realizzato in esecuzione di un disegno unitario, essendo irrilevante la suddivisione in più unità abitative, e non essendo consentita la presentazione di distinte domande per aggirare il limite di volumetria normativamente previsto (Consiglio di Stato, sez. VI, 5 settembre 2012, n. 4711) con un orientamento, la cui applicazione avrebbe condotto, comunque, nel caso di specie, alla reiezione della domanda di condono, in quanto sommando le volumetrie delle due domande di condono, si supererebbe di gran lunga il limite volumetrico di 750 metri cubi.
In ordine al calcolo della volumetria effettuata dagli uffici comunali, come sopra evidenziato, nella “scheda riepilogativa accertamento – pratica n. 7047/95″ della U.O.C.” si fa riferimento a misurazioni sulla base dei grafici allegati alla domanda di condono e dei dati della relazione tecnica allegata alla domanda di condono (che hanno condotto, peraltro, al calcolo di un volume dell’appartamento di 394,98 anche inferiore a quello indicato nella relazione tecnica allegata alla domanda invece di 480 metri cubi) con un calcolo del volume seminterrato per 443,96 metri cubi (esclusi i 110 metri cubi del corpo scala).
Rispetto a tale calcolo volumetrico operato dagli uffici comunali, le contestazioni mosse dalla difesa appellante relative alla illegittima qualificazione del garage come seminterrato costituiscono mere deduzioni difensive contenute nel ricorso e nell’atto di appello, prive di qualsiasi supporto probatorio in fatto, non idonee quindi a contestare le circostanze risultanti dalle indicazioni rese dagli uffici tecnici comunali.
Il superamento del limite complessivo indicato dall’art. 39 della legge n. 724 del 1994 in relazione al volume indicato nella domanda di condono comporta l’esclusione della sanatoria, con conseguente legittimità del provvedimento impugnato in primo grado sotto tale profilo.
La sussistenza del presupposto del superamento del limite volumetrico indicato dall’art. 39 della legge n. 724 del 1994 comporta anche il rigetto degli ulteriori motivi di appello.
Infatti, il provvedimento comunale, motivato sulla base del superamento del limite massimo di volumetria per cui era ammessa la sanatoria, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, esplicita sia i presupposti di fatto che le ragioni giuridiche della decisione, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, né la motivazione del provvedimento avrebbe dovuto riguardare altri aspetti della fattispecie, essendo l’applicazione della disciplina del condono impedita dal superamento del limite di volumetria assentibile.
In ordine al motivo di appello relativo all’erronea applicazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, sostiene l’appellante che a seguito delle modifiche introdotte con la legge n. 15 del 2005 (art. 8 comma 2, lettera c) ter, e art. 10 bis), sarebbe stato chiarito che la comunicazione di avvio del procedimento riguarda anche i procedimenti ad istanza di parte e comunque la partecipazione al procedimento dovrebbe applicarsi anche agli atti vincolati.
Tale motivo è infondato, in primo luogo, in quanto il provvedimento impugnato è stato adottato prima della introduzione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 e della specificazione di cui all’art. 8, comma 2 lettera c) ter, della legge n. 241 del 1990; inoltre, l’art. 8, comma 2, lettera c) ter, si riferisce alle parti diverse dalla istante, mentre la legge n. 15 del 2005 ha introdotto, nella legge n. 241, anche l’art. 21 octies, applicabile anche alla presente fattispecie, in quanto, in base alla costante giurisprudenza, disposizione di carattere processuale, applicabile anche ai procedimenti in corso o già definiti alla data di entrata in vigore della legge n. 15 del 2005 (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 03 dicembre 2010, n. 8509; sez. VI, 18 febbraio 2011, n. 1040; sez. IV, 27 ottobre 2011, n. 5758).
Come è noto, la disposizione dell’art. 21 octies – per cui “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”- ha condotto la giurisprudenza a dare una lettura sostanzialistica delle garanzie procedimentali di cui agli artt. 7 e segg. della legge n. 241 del 1990.
Le garanzie partecipative procedimentali sono ritenute poste a tutela di concreti interessi e non devono risolversi in inutili aggravi procedimentali; pertanto, l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento non va inteso in senso formalistico, ma risponde all’esigenza di provocare l’apporto collaborativo da parte dell’interessato, e viene meno qualora nessuna effettiva influenza avrebbe potuto avere la partecipazione di questo rispetto alla concreta portata del provvedimento finale, anche perché in tal caso la partecipazione non solo sarebbe inutile, ma finirebbe per contraddire i fondamentali canoni di efficienza e speditezza del procedimento amministrativo (Consiglio di Stato, sez. V, 14 marzo 2017, n. 1167; sez. IV, 12 giugno 2017, n. 2855; sez. IV, 13 agosto 2018, n. 4918; sez. IV, 27 settembre 2018, n. 5562; sez. IV, 11 gennaio 2019, n. 256; sez. III, 19 febbraio 2019, n. 1156), non sussistendo, quindi, l’obbligo di avvio del procedimento quando questo sia promosso su istanza di parte o culminato in un provvedimento sostanzialmente vincolato (Cons. Stato, sez. VI, 2 novembre 2018, n. 6219; sez. IV, 28 marzo 2019, n. 2052).
Applicando tali consolidati orientamenti, nel caso di specie, non sussiste alcun profilo di legittimità derivante dalla mancata comunicazione di avvio del procedimento, in quanto il diniego di sanatoria era atto totalmente vincolato, sussistendo il superamento del limite volumetrico consentito e non essendo stati dedotti neppure in giudizio elementi utili a contrastare le misurazioni effettuate dagli uffici comunali.
L’appello è quindi infondato e deve essere respinto.
In considerazione della particolarità della materia trattata sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere, Estensore

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