Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Sentenza 17 giugno 2020, n. 11702.
La massima estrapolata:
Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia può giustificare il recesso del datore di lavoro, in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una fraudolenta simulazione, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio “ex ante” in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio.
Sentenza 17 giugno 2020, n. 11702
Data udienza 10 dicembre 2019
Tag – parola chiave: Licenziamento illegittimo – Reintegra – Giusta causa – Simulazione stato di malattia – Condotta del lavoratore idonea a pregiudicare il rientro al lavoro – Prova carente
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente
Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere
Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28595/2018 proposto da
(OMISSIS) S.R.L., A SOCIO UNICO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4731/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 01/08/2018, R.G.N. 770/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi gli Avvocati (OMISSIS) per delega verbale avvocato (OMISSIS) e (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 4731/2018 la Corte di appello di Napoli, pronunziando in sede di reclamo, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato la illegittimita’ del licenziamento intimato, in data 21 dicembre 2016, da (OMISSIS) s.r.l. a socio unico a (OMISSIS), ordinato la reintegra dello stesso nel posto di lavoro e condannato la societa’ datrice di lavoro al pagamento di sei mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto pari a Euro 1.641,70, oltre al versamento delle contribuzioni dovute dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegrazione.
Il licenziamento era stato intimato sulla base di contestazione che addebitava al lavoratore comportamenti tali da attestare, in relazione al periodo 22/24 novembre 2016, la simulazione del proprio stato di malattia o quanto meno da risultare potenzialmente idonei a ritardare la guarigione; era inoltre contestata la recidiva nel biennio in relazione a condotte sanzionate con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.
2. La Corte di merito ha respinto il reclamo della societa’ inteso a censurare la declaratoria di illegittimita’ del licenziamento da parte del giudice dell’opposizione osservando che le risultanze istruttorie non confermavano ne’ la simulazione dello stato di malattia da parte del lavoratore ne’ l’adozione di comportamenti tali da aggravarne le condizioni di salute o quantomeno porne in pericolo o ritardo la guarigione e, quindi, il rientro al lavoro; ha, inoltre, escluso, a differenza di quanto ritenuto dal giudice di primo grado, che configurasse violazione degli obblighi di buona fede e correttezza contrattuale la circostanza che il (OMISSIS) collaborasse piu’ o meno attivamente all’attivita’ commerciale formalmente intestata a sua moglie, ulteriormente evidenziando la genericita’ del riferimento a tale attivita’ nell’ambito della contestazione disciplinare e la piena consapevolezza che del relativo espletamento aveva la societa’ datrice secondo quanto emerso dalla prova orale. In base a tali considerazioni, rilevato che la condotta posta in essere dal lavoratore era inidonea a dimostrare qualsiasi volonta’ di insubordinazione tale da compromettere il vincolo fiduciario, rilevata la insussistenza di presupposti del recesso datoriale del quale era stata accertata l’oggettiva inesistenza giuridica e fattuale, ha ritenuto spettare la tutela reintegratoria oltre alla indennita’ risarcitoria commisurata a sei mensilita’ della retribuzione globale di fatto.
3. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso (OMISSIS) s.r.l. a socio unico sulla base di cinque motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.
4. Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la societa’ ricorrente deduce omesso esame di fatti storici decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, fatti riportati nella relazione investigativa e confermati dal teste (OMISSIS), rappresentati, in sintesi, dalle attivita’ espletate dal dipendente nei giorni in cui era in malattia (ricorso pagg. 14 e sgg.); nella memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c., assume che l’omesso esame riguardava altresi’ i fatti storici presupposti, rispetto all’accertamento investigativo, costituiti dalla modifica dell’orario lavorativo, non gradita al dipendente, conseguente alla riorganizzazione del magazzino al quale questi era addetto (memoria pag. 3 e sgg.).
2. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c. e dell’articolo 2697 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere omesso di esaminare e dare rilievo alle dichiarazioni del teste (OMISSIS), conferendo alle stesse un valore sussidiario rispetto a quanto emerso dal video dell’agenzia investigativa.
3. Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 2016 c.c. e dell’articolo 2119 c.c., censurando la sentenza di appello per avere ritenuto insussistente la giusta causa di licenziamento sul rilievo che il (OMISSIS) non aveva posto in essere comportamenti in grado di pregiudicare il rientro al lavoro.
4. Con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 7, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto insussistente la recidiva sul rilievo che le condotte precedentemente sanzionate non erano della stessa indole di quelle alla base del licenziamento.
5. Con il quinto motivo, in via subordinata, deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 18, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, articolo 1, censurando la sentenza impugnata per avere riconosciuto la tutela reintegratoria e non solo quella indennitaria. Assume che poiche’ il “fatto contestato” risultava inconfutabilmente sussistente e poiche’ lo stesso non risultava punito dal contratto collettivo con sanzione conservativa trovava applicazione la sola tutela indennitaria.
6. Il primo motivo di ricorso e’ inammissibile.
Preliminarmente deve rilevarsi che poiche’ la memoria ex articolo 378 c.p.c., non puo’ integrare i motivi del ricorso per cassazione, assolvendo all’esclusiva funzione di chiarire ed illustrare i motivi di impugnazione che siano gia’ stati ritualmente – cioe’ in maniera completa, compiuta e definitiva – enunciati nell’atto introduttivo del giudizio di legittimita’, con il quale si esaurisce il relativo diritto di impugnazione (Cass. 20/12/2016, n. 26332; Cass. 25/02/2015, n. 3780; Cass. 18/12/2014 n. 26670), risultano inammissibili le deduzioni con la quale la parte ricorrente indica, rispetto a quanto dedotto in ricorso, fatti ulteriori rispetto ai quali denunzia l’omesso esame da parte del giudice di merito.
La denunzia di vizio di motivazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, formulata con il motivo in esame risulta inammissibile sia in quanto i fatti dei quali si denunzia l’omesso esame (ricorso pagg. 14 e sgg.) sono stati presi in considerazione dalla sentenza impugnata (sentenza, pag. 9 e sg.) sia per la preclusione scaturente, ai sensi dell’articolo 348 ter c.p.c., comma 5, dalla esistenza di una “doppia conforme” in merito alla illegittimita’ del licenziamento, non avendo la parte allegato e dimostrato che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, erano tra loro diverse, come suo onere al fine della valida censura della decisione sotto il profilo del vizio motivazionale (Cass. 22/12/2016, n. 26674; Cass. 10/03/2014, n. 5528).
7. Il secondo motivo di ricorso e’ inammissibile in quanto non verte sul significato e sulla portata applicativa dell’articolo 116 c.p.c. e dell’articolo 2697 c.c., ma e’ inteso essenzialmente a denunziare la inadeguata valutazione della dichiarazione del teste (OMISSIS). Come e’ noto, mentre la deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11/01/2016, n. 195; Cass. 30/12/2015, n. 26110; Cass. 04/04/2013, n. 8315; Cass. 16/07/2010, n. 16698; Cass. 26/03/2010, n. 7394; Cass. Sez. Un., 05/05/2006, n. 10313). Puo’, inoltre aggiungersi, che la norma prevista dall’articolo 2697 c.c., regola l’onere della prova, non anche (come concretamente censurata nella specie) la materia della valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova, viceversa disciplinata dagli articoli 115 e 116 c.p.c. e la cui erroneita’ ridonda comunque in vizio di motivazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. 17/06/2013, n. 15107; Cass. 29/11/2012, n. 21234; Cass. 05/09/2006, n. 19064; Cass. 12/02/2004, n. 2707).
8. Il terzo motivo di ricorso e’ infondato. La relativa illustrazione e’ affidata all’evocazione di principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita’ in tema prestazione di attivita’ esterna, a titolo gratuito od oneroso, da parte del dipendente assente per malattia, condotta alla quale e’ stato riconosciuto rilievo disciplinare non solo nell’ipotesi di simulazione della malattia ma anche nell’ipotesi in cui la ripresa lavorativa del lavoratore ammalato sia anche solo messa in pericolo dal comportamento imprudente dello stesso da valutarsi con giudizio ex ante (Cass. 29/11/2012, n. 21253; Cass. 01/07/2005 n. 14046). Tali principi non risultano, tuttavia, applicabili alla concreta fattispecie in quanto la Corte di merito, con accertamento di fatto non incrinato dalle censure articolate dalla odierna ricorrente, ha escluso che le ragioni di salute alla base dell’assenza per malattie fossero simulate e che la condotta concretamente tenuta dal dipendente fosse idonea a pregiudicarne il rientro al lavoro. In altri termini, alla stregua della ricostruzione del giudice di merito e’ da escludere il verificarsi del presupposto fattuale condizionante la applicabilita’ dei principi richiamati a sostegno delle censure articolate.
9. L’esame del quarto motivo di ricorso, incentrato sulla applicabilita’ della recidiva, negata dalla Corte di merito, risulta assorbito dal rigetto delle censure intese a contestare l’accertamento di insussistenza dell’addebito oggetto di contestazione.
10. Il quinto motivo e’ da respingere in quanto fondato su una inesatta nozione di “insussistenza del fatto”, alla quale far conseguire la applicabilita’ della tutela reintegratoria ai sensi della L. n. 300 del 1970, novellato articolo 18, comma 4. Come chiarito da questa Corte, la “insussistenza del fatto” comprende oltre alle ipotesi in cui la condotta contestata non si sia realizzata sul piano fenomenico anche la ipotesi in cui sia accertato il verificarsi del fatto materiale contestato ma lo stesso – come avvenuto nel caso di specie – non presenti profili di illiceita’ (Cass. 10/05/2018, n. 11322; Cass. 26/05/2017, n. 13383; Cass. 20/09/2016, n. 18418; Cass. 13/10/2015, n. 20540). In questa prospettiva risulta pertanto irrilevante che dal quadro istruttorio risulti accertato che il lavoratore abbia effettivamente posto in essere le condotte materiali oggetto di addebito, posto che delle stesse e’ stata esclusa la illiceita’ sia in relazione alla simulazione, sia in relazione al potenziale pregiudizio alle stesse connesse in ordine alla tempestiva ripresa dell’attivita’ lavorativa.
11. Al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite.
12. Le spese di lite sono liquidate secondo soccombenza.
13. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori, come per legge. Con distrazione.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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