L’istituto della perenzione

Consiglio di Stato, Sentenza|30 aprile 2021| n. 3447.

Con il Dlgs n. 104/2010 (Codice Processo Amministrativo) l’istituto della perenzione è stato regolamentato avendosi cura di disciplinarne la transizione: da un lato, l’articolo 1, I, Disp. Trans. di detto Codice consente (rectius, impone) alle parti di presentare una “nuova” istanza di fissazione di udienza, nel termine di 180 giorni dalla data di entrata in vigore del medesimo Codice, purché si tratti di “ricorsi pendenti da oltre cinque anni e per i quali non è stata ancora fissata l’udienza di discussione”; dall’altro il successivo articolo 2 ha previsto l’ultrattività della disciplina previgente “per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice”. L’istituto della perenzione (articolo 82 Codice) ha una doppia anima: quella privatistica, legata alla constatazione di una tacita rinuncia agli atti del giudizio, e quella pubblicistica, la cui ratio è individuabile nell’esigenza di definizione delle controversie che vedano coinvolta la Pa nell’esercizio di poteri amministrativi. Esso impone che vi sia piena certezza riguardo alla correttezza ed effettività della comunicazione dell’avviso di segreteria da cui dipende il decorso del termine per la riproposizione dell’istanza di fissazione.

Sentenza|30 aprile 2021| n. 3447

Data udienza 15 aprile 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Processo amministrativo – Ritiro del fascicolo di parte – Annotazione di avvenuto ritiro – Mancanza – Conseguenze procedurali – Individuazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 8518 del 2020, proposto dalla signora Ma. Vi., rappresentata e difesa dall’avvocato Fo. Ma. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Ministero per i beni culturali e ambientali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
dell’ordinanza collegiale del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Napoli, Sezione Quinta, n. 3848 del 16 settembre 2020, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2021 2021 – svoltasi mediante collegamento da remoto ai sensi dell’art. 25, d.l. n. 137 del 2020 – il consigliere Daniela Di Carlo;
Nessuno è presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La signora Ma. Vi. ha proposto ricorso contro il Ministero per i beni e le attività culturali e il Comune di (omissis), allibrato al n. r.g. 138921994, avanti il T.a.r. per la Campania.
2. Con decreto del medesimo T.a.r. n. 5811 del 12 maggio 2011, il ricorso è stato dichiarato estinto per intervenuta perenzione ex art. 9, comma 2, l. n. 205 del 2000.
3. Con ordinanza del T.a.r. per la Campania, sez. V, n. 3848 del 16 settembre 2020, è stata dichiarata irricevibile l’opposizione proposta, in data 27 marzo 2019, dalla signora Ma. Vi. avverso il summenzionato decreto n. 5811 del 12 maggio 2011, a cagione della intervenuta comunicazione, alla Segreteria del T.a.r. presso cui era domiciliato ex lege il difensore, dell’avviso di deposito del decreto decisorio (in data 12 maggio 2011).
4. Con ricorso notificato e depositato in data 4 novembre 2020, è stato interposto appello avverso la su menzionata ordinanza, incentrato su quattro autonomi motivi di censura (da pagina 5 a pagina 19 del ricorso), e segnatamente:
4.1. Vizio di motivazione – Travisamento del fatto – Errore sul presupposto – Error in iudicando.
A dire dell’appellante, la pronuncia impugnata sarebbe erronea nella parte in cui ha ritenuto tardiva l’opposizione avverso il decreto di perenzione n. 5881/2011, avendo la Segreteria del T.a.r. prodotto, in data 25 maggio 2020, documentazione attestante il deposito del decreto in parola valevole ai fini della rituale comunicazione al difensore, ritenuto domiciliato ex lege, ai sensi dell’art. 25 c.p.a., presso la Segreteria del T.a.r., e individuato nella data del 12 maggio 2011 il dies a quo per poter esperire l’opposizione nei sessanta giorni stabiliti dall’art. 85 comma 2, c.p.a.
Inoltre, la pronuncia sarebbe erronea perché non avrebbe adeguatamente considerato la perdita del fascicolo d’ufficio, da cui sarebbe derivata l’impossibilità, in capo all’Ufficio giurisdizionale, di verificare l’onere di comunicazione del pronunciato decreto di perenzione
4.2. Vizio di motivazione – Errore sul presupposto – Violazione di legge.
La pronuncia impugnata sarebbe altresì ingiusta perché la ricorrente non sarebbe venuta a conoscenza in alcun modo della maturata perenzione giusta decreto del 12 maggio 2011, mai – si sostiene – comunicato e, comunque sia, non assistito da idonea prova circa l’avvenuta notifica dell’avviso di perenzione ex art. 9, l. n. 205/2000.
4.3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 della l. n. 205/2000.
Ad avviso dell’appellante, la disciplina promanante dalla suddetta disposizione metterebbe in luce il dato, enfatizzato anche dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale “l’istituto della perenzione decennale dei ricorsi non si traduce in una presunzione di disinteresse per la decisione di merito al decorrere di un tempo definito dopo che la domanda sia stata proposta, ma comporta soltanto la necessità che le parti siano messe in condizione, tramite apposito avviso, di soffermarsi sull’attualità dell’interesse alla decisione e di manifestarlo” (cfr. Cass. civ. sez. VI, 06.11.2015 n.
22762; cass. civ. n. 230/2013)”.
4.4. Errore sul presupposto – Mancato esame su di un fatto decisivo – Violazione e falsa applicazione art. 5, comma V, norme att. c.p.a.
Ad implementare l’erroneità del decisum di cui all’ordinanza collegiale impugnata, si collocherebbe pure l’ulteriore circostanza, parimenti pregiudizievole per la ricorrente, secondo la quale il fascicolo afferente al giudizio sopra dettagliato non è nemmeno stato rinvenuto negli archivi del T.a.r. adito, risultando, di fatto, impedite le verifiche da parte dell’Ufficio circa l’avvenuto deposito tempestivo dell’istanza della parte di perdurante interesse alla decisione di merito, nonché della comunicazione del decreto di perenzione.
5. Il Ministero dei beni culturali si è costituito in resistenza.
6. Il Comune di (omissis) non si è costituito nel presente grado d’appello.
7. In via preliminare, la Sezione rileva l’irrituale menzione dell’avvocato Ip. Ma. nel frontespizio dell’atto di appello, sia perché trattasi di difensore non iscritto nell’Albo speciale dei patrocinanti dinanzi alle Corti superiori, sia perché la procura rilasciata dalla signora Vi., allegata alla notificazione dell’atto di appello via p.e.c., concerne il solo difensore avvocato Ma. Fo. La., il quale solamente, per l’appunto, ha sottoscritto l’atto di appello e ha autenticato la procura alle liti.
8. La Sezione ritiene che l’appello sia infondato e che vada, pertanto respinto.
9. La Sezione ritiene che siano decisive, nel senso del rigetto del gravame, le seguenti considerazioni.
10. Innanzitutto, è dirimente l’esame del primo motivo di appello, con cui si contesta la declaratoria di irricevibilità dell’opposizione proposta dopo circa otto anni dalla emanazione del decreto di perenzione.
Il motivo non è fondato in quanto:
a) dalla documentazione versata in atti, è risultato come non sia stato possibile effettuare la ricostruzione del fascicolo d’ufficio ex art. 5 disp. att. c.p.a., pure diligentemente disposta dal T.a.r., essenzialmente per inerzia addebitabile alla parte ricorrente, la quale non ha depositato neppure una copia libera dell’originario ricorso.
A questo proposito, la Sezione fa osservare che la giurisprudenza di legittimità ha già ampiamente chiarito che “Ove al momento della decisione della causa risulti la mancanza di taluni atti da un fascicolo di parte, il giudice è tenuto a disporne la ricerca o, eventualmente, la ricostruzione, solo se sussistano elementi per ritenere che tale mancanza sia involontaria, ovvero dipenda da smarrimento o sottrazione” e che soltanto “qualora, pur in presenza di tali elementi, il giudice ometta di disporre la ricerca o la ricostruzione degli atti mancanti, tale omissione può tradursi in un vizio della motivazione, ma la parte che intenda censurare un siffatto vizio in sede di legittimità ha l’onere di richiamare nel ricorso il contenuto dei documenti dispersi e dimostrarne la rilevanza ai fini di una decisione diversa” (Cass. civ., ordinanza, sez. II, 7 ottobre 2020, n. 21571; ancora in tema di autoresponsabilità, di principio di prova e di collaborazione della parte processuale nella ricerca e nella ricostruzione del fascicolo processuale, si veda Cass. civ., sez. II, 9 gennaio 2019, n. 314, secondo cui “Ove non risulti alcuna annotazione dell’avvenuto ritiro del fascicolo di una parte, il giudice non può rigettare una domanda, o un’eccezione, per mancanza di una prova documentale inserita nel fascicolo di parte, ma deve disporre le opportune ricerche tramite la cancelleria, e, in caso di esito negativo, concedere un termine all’appellante per la ricostruzione del proprio fascicolo, presumendosi che le attività delle parti e dell’ufficio si siano svolte nel rispetto delle norme processuali e, quindi, che il fascicolo, dopo l’avvenuto deposito, non sia mai stato ritirato; soltanto in caso di insuccesso delle ricerche da parte della cancelleria, ovvero in caso di inottemperanza della parte all’ordine di ricostruire il proprio fascicolo, il giudice potrà pronunciare sul merito della causa in base agli atti a sua disposizione; al fine di decidere se la scelta del giudice di primo grado, di pronunciare nel merito in assenza del fascicolo, sia stata assunta in presenza dei presupposti”).
Ad ogni modo, malgrado non sia stato possibile procedere alla ricostruzione materiale del fascicolo, è comunque emerso un adeguato principio di prova circa l’avvenuta comunicazione del decreto di perenzione in data 12 maggio 2011, evincibile dall’atto di attestazione di Segreteria;
b) in secondo luogo, l’appellante non ha fornito la prova che l’originario difensore della signora Vi. avesse effettivamente eletto domicilio nel Comune sede del T.a.r. adito, prova che – in fin dei conti – sarebbe stata per la parte di agevole dimostrazione, stante il principio di prossimità della prova;
c) in terzo luogo, è del tutto irrilevante che alla data di pubblicazione del decreto di perenzione fosse entrato in vigore il d.l. n. 185 del 2008 (convertito in l. n. 2 del 2009) che aveva imposto agli avvocati di munirsi di un indirizzo di p.e.c. da comunicare al Consiglio dell’ordine, perché :
i) non c’è prova che tale adempimento sia stato effettuato;
ii) in ogni caso, la richiamata disciplina non ha imposto la sostituzione del domicilio eletto ex art. 25 c.p.a., con quello digitale, avvenuta molti anni dopo (ad opera del d.l. n. 168 del 2016 con decorrenza dal 1 gennaio 2017), successivamente alla pubblicazione del decreto di perenzione;
d) in quarto luogo, in base al combinato disposto degli artt. 12 e 33, comma 1 del codice deontologico degli avvocati, il difensore è tenuto diligentemente a consegnare (e quindi preventivamente ad acquisire e custodire) tutti i documenti rilevanti per il proprio cliente.
11. La Sezione osserva che dal rigetto del primo mezzo di gravame discende la sopravvenuta carenza di interesse all’esame degli ulteriori due mezzi con cui si contrasta nel merito la statuizione di estinzione dell’originario ricorso di primo grado.
12. Ad ogni modo, la Sezione rileva che l’originario ricorso n. r.g. 13892/1994 risulta perento ai sensi dell’art. 1, disp. trans. c.p.a., non essendo stata fornita la prova, da parte dell’interessata, della proposizione della indefettibile e insostituibile istanza di fissazione di udienza richiesta dalla menzionata norma, che non ammette equipollenti rispetto all’atto tipico previsto (arg. da Cons. Stato, sez. IV, n. 4603 del 2016; sez. V, n. 4974 del 2015; sez. III, n. 3139 del 2013; sez. V, n. 4639 del 2012).
13. In definitiva, l’appello va respinto.
14. Le spese del presente grado d’appello sono liquidate come in dispositivo tra l’appellante e il Ministero costituito sulla base dei parametri di cui al regolamento n. 55 del 2014 e s.m.i., mentre non vi è luogo a provvedere sulle spese nei confronti del Comune di (omissis), attesa la sua mancata costituzione.
15. Il Collegio rileva, inoltre, che l’infondatezza del ricorso in appello si fonda su ragioni manifeste in modo da integrare i presupposti applicativi dell’art. 26, comma 2, c.p.a. secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. IV, 2205 del 2018; n. 2879 del 2017; 5497 del 2016, cui si rinvia ai sensi dell’art. 88, comma 2, lettera d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della sanzione), conformemente ai principi elaborati dalla Corte di cassazione (cfr. da ultimo Sez. VI, n. 11939 del 2017; n. 22150 del 2016).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 8518/2020, come in epigrafe proposto:
a) respinge l’appello;
b) condanna l’appellante a rifondere in favore del Ministero appellato le spese del presente grado d’appello, liquidate in complessivi euro 1.000,00 oltre accessori di legge;
c) dispone il non luogo a provvedere sulle spese nei confronti del Comune appellato;
d) condanna la ricorrente ai sensi dell’art. 26, comma 2, c.p.a., al pagamento della somma di Euro 2.000,00 (duemila) da versare secondo le modalità di cui all’art. 15 disp. att. c.p.a., mandando alla Segreteria per i conseguenti adempimenti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2021 – svoltasi mediante collegamento da remoto ai sensi dell’art. 25, d.l. n. 137/2020 – con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere, Estensore
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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