Liquidazione cause di valori superiore ad € 520.000

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|24 ottobre 2022| n. 31347.

Liquidazione cause di valori superiore ad € 520.000

In tema di liquidazione delle spese di lite, non incorre in violazione dell’art. 6 d.m. n. 55 del 2014 il giudice che, nelle cause di valore superiore a 520.000,00 Euro, applica incrementi percentuali inferiori al 30% in relazione ai vari passaggi di scaglione, non essendo prescritte né l’obbligatorietà dell’aumento né una misura fissa per quest’ultimo, ferma restando, comunque, la legittimità dell’incremento massimo del 30% per ciascun passaggio.

Ordinanza|24 ottobre 2022| n. 31347. Liquidazione cause di valori superiore ad € 520.000

Data udienza 14 giugno 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Condanna alle spese – Art. 6 DM 55/2014 – Liquidazione – Cause di valori superiore a 520.000 € – Applicazione di incrementi percentuali inferiori al 30% – Passaggi di scaglione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente
Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. AMBROSI Irene – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 27589/2019 proposto da:
(OMISSIS) Spa, in persona del procuratore speciale, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) Spa;
– intimata –
nonche’ da
(OMISSIS) Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– ricorrente incidentale –
contro
(OMISSIS) Spa, in persona del procuratore speciale, elettivamente domiciliata in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4155/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 20/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/06/2022 dal Cons. Dott. DANILO SESTINI

FATTI DI CAUSA

La s.p.a. (OMISSIS) ( (OMISSIS)) convenne in giudizio l'(OMISSIS) s.p.a. per sentirla condannare al pagamento di oltre 31 milioni di Euro a titolo di arricchimento senza causa per la manutenzione dei sistemi di Aiuto Visivo Luminoso (AVL) degli aeroporti di (OMISSIS) e di (OMISSIS); sistemi che erano stati originariamente compresi nella concessione rilasciata il 26.6.1974 dal Ministero dei Trasporti alla (OMISSIS) e che, successivamente, con Decreto Ministeriale 14 novembre 2000, erano stati attribuiti al patrimonio dell'(OMISSIS), per essere infine retrocessi, con Decreto Ministeriale 7 marzo 2013, al demanio pubblico dello Stato.
L'(OMISSIS) resistette alla domanda e chiese, in via riconvenzionale, la condanna dell’attrice al risarcimento dei danni (o ad un indennizzo ex articolo 2041 c.c.) per l’indebito godimento degli impianti AVL da parte della (OMISSIS) (che si era rifiutata di metterli a disposizione dell'(OMISSIS) ed aveva instaurato un contenzioso amministrativo definito soltanto nell’anno 2012, con sentenza del TAR che aveva accertato la proprieta’ dei sistemi di aiuto visivo in capo all'(OMISSIS)).
Il Tribunale di Roma dichiaro’ inammissibile la domanda della soc. (OMISSIS), per difetto dei presupposti previsti dall’articolo 2041 c.c., ritenendo che le prestazioni eseguite trovassero la loro genesi in una fonte contrattuale con un soggetto diverso da (OMISSIS), ossia col Ministero, e che il lamentato depauperamento della societa’ attrice non fosse privo di giusta causa, trattandosi di prestazione eseguita in forza di un obbligo contrattualmente assunto e a fronte di un interesse della societa’ attrice a mantenere in efficienza gli impianti e le apparecchiature per conseguire un vantaggio di natura economica; il Tribunale ritenne, inoltre, di non dover esaminare la domanda riconvenzionale, in quanto connessa con quella principale.
Pronunciando sul gravame principale dell’ (OMISSIS) e su quello incidentale dell'(OMISSIS), la Corte di Appello di Roma ha dichiarato ammissibile, ma infondata, la domanda della (OMISSIS) e, rigettata per il resto la domanda riconvenzionale dell'(OMISSIS), ha riliquidato in aumento le spese del giudizio di primo grado; ha inoltre condannato V (OMISSIS) al pagamento delle spese del grado in favore della controparte.
Piu’ specificamente, la Corte ha affermato che:
“l’obbligo di manutenzione degli impianti trova(va…) la sua fonte nel rapporto di concessione dal quale consegue l’obbligo della
concessionaria di mantenere gli impianti sino alla consegna dei beni che, di fatto, per decisione della stessa concessionaria, e’ avvenuta in favore dello Stato solo a seguito del Decreto Ministeriale Finanze 7 marzo 2013, con il quale gli impianti sono stati sottratti ad (OMISSIS)”, con la conseguenza che “l’azione proposta e(ra) infondata, non essendosi verificato alcun depauperamento e correlativo arricchimento senza giusta causa: la societa’ appellante era obbligata alla manutenzione fino alla consegna degli impianti in forza della convenzione del 1974”;
quanto alla domanda riconvenzionale, basata sull’assunto dell'(OMISSIS) che la indisponibilita’ dei beni le avrebbe arrecato un danno in re ipsa da liquidare in via equitativa, la Corte ha rilevato che “l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa (…) presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicche’ grava sulla parte interessata l’onere di dimostrare non solo l’an debeatur del diritto al risarcimento, ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno di cui possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficolta’, si’ da consentire al giudice il concreto esercizio del potere di liquidazione in via equitativa, che ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso”; tanto premesso, ha affermato che “nella specie, nessun elemento e’ stato fornito in tal senso, ne’ risultano dagli atti elementi utili per identificare concretamente l’esistenza del lamentato danno”, cosicche’ la domanda risarcitoria andava rigettata; ne’, ha aggiunto, poteva accogliersi la domanda di indennizzo ex articolo 2041 c.c., “non sussistendo il carattere sussidiario dell’azione (articolo 2042 c.c.)”;
la Corte ha invece accolto il motivo con cui l'(OMISSIS) aveva contestato, in quanto ampiamente inferiore ai minimi, la liquidazione delle spese processuali relative al giudizio di primo grado; considerato il valore della controversia (superiore a 31 milioni di Euro) ha liquidato le spese di primo grado in Euro 37.888,00 e quelle del giudizio di appello (sempre a carico della (OMISSIS)) in Euro 22.930,44 (in entrambi i casi, oltre accessori).
Ha proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS) s.p.a., affidandosi a cinque motivi; l'(OMISSIS) s.p.a. ha resistito con controricorso contenente ricorso incidentale basato su tre motivi; ad esso ha resistito la (OMISSIS) con controricorso.
La trattazione dei ricorsi e’ stata fissata ai sensi dell’articolo 380 bis.1 c.p.c..
Entrambe le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

IL RICORSO PRINCIPALE DI (OMISSIS) SPA.
1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la nullita’ della sentenza, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, “nella parte in cui la Corte di Appello, nello statuire che la domanda di (OMISSIS) sia “infondata”, ha erroneamente concluso di avere integralmente confermato la sentenza di primo grado”: la ricorrente rileva che la motivazione della sentenza e’ viziata nella parte in cui ha dichiarato di confermare la sentenza di primo grado giacche’, “in termini del tutto contrari rispetto a quanto statuito dal Tribunale”, ha ritenuto ammissibile la domanda ex articolo 2041 c.c., poi rigettandola perche’ ritenuta infondata, e ha coerentemente trattato il merito della domanda riconvenzionale (riproposta da (OMISSIS) con appello incidentale) che invece non era stata esaminata dal primo giudice; assume che sussiste pertanto un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, tale da determinare incertezza sul ragionamento della Corte, che “afferma al tempo stesso sia di “integralmente confermare” la sentenza di primo grado (e quindi l’inammissibilita’ della domanda ex articolo 2041 c.c.), sia di rigettare la stessa nel merito perche’ “infondata””.
1.1. Il motivo e’ infondato.
La motivazione esprime chiaramente il percorso logico-giuridico che ha condotto la Corte a ritenere infondata, ancorche’ ammissibile, la domanda ex articolo 2041 c.c., e a riformare la sentenza impugnata in punto di quantum delle spese di lite; la circostanza che la Corte abbia dichiarato in dispositivo di confermare “nel resto” la sentenza di primo grado non vale a generare dubbi sulle ragioni e sulla portata delle statuizioni adottate e non e’ tale, pertanto, da determinare la nullita’ della decisione.
2. Il secondo motivo deduce la violazione e la falsa applicazione “del Decreto Ministeriale Finanze 14 novembre 2000, articolo 1 e dell’articolo 691-bis c.n., comma 3, nella parte in cui la Corte di Appello ha ritenuto la perdurante applicazione agli AVL della Convenzione 1974”; la ricorrente lamenta che la Corte “ha ragionato partendo dall’apodittico presupposto della perdurante validita’ ed efficacia rispetto agli AVL della Convenzione 1974 (richiamando espressamente gli articoli 4, 22 e 25) anche successivamente al trasferimento della proprieta’ degli stessi a (OMISSIS), per concludere, altrettanto apoditticamente, che la “societa’ appellante era obbligata alla manutenzione fino alla consegna degli impianti in forza della convenzione 1974″”, che doveva invece intendersi caducata “per effetto del Decreto Ministeriale 2000″.
3. Col terzo motivo, viene denunciato l'”omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella parte in cui la Corte di Appello ha ritenuto la perdurante applicazione agli AVL della Convenzione 1974, con particolare riferimento al giudicato contenuto nella sentenza TAR”: la ricorrente lamenta l’omesso esame del “carattere innovativo sulla Convenzione 1974, quanto agli AVL, del Decreto Ministeriale 2000 e dell’articolo 691-bis c.n.”, nonche’ delle “ammissioni di (OMISSIS) nel giudizio amministrativo quanto alla sopravvenuta “inefficacia delle previsioni concessorie” e, “soprattutto il successivo giudicato formatosi sul punto con l’accertamento in proposito contenuto nella sentenza TAR”; conclude che “la sentenza va pertanto cassata anche perche’ erroneamente fondata su di un accordo (la Convenzione 1974), posto nel nulla rispetto agli AVL da norme di legge sopravvenute, come accertato con sentenza passata in giudicato, il cui esame e la inevitabile dirimente rilevanza sono stati completamente omessi dalla Corte romana”.
4. Il quarto motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 691-bis c.n., comma 3, del Decreto Ministeriale Finanze 14 novembre 2000, articolo 1 e dell’articolo 2041 c.c.”, nonche’ l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio “nella parte in cui la Corte di Appello ha ritenuto “infondata” la domanda di arricchimento senza causa ex articolo 2041 c.c., proposta da (OMISSIS)”; denuncia, inoltre (sub 5.1), la “violazione dell’articolo 1366 c.c., con riferimento agli articoli 4 e 25 della Convenzione 1974, al contenuto del Decreto Ministeriale 2000 e al disposto dell’articolo 691-bis c.n.” e, altresi’ (sub 5.2), l'”omesso esame del contenuto della lettera di (OMISSIS) del 10 luglio 2012 e di quella di (OMISSIS) del successivo 20 luglio” e, infine (sub 5.3) la “violazione e falsa applicazione dell’articolo 2041 c.c.”.
La ricorrente lamenta che “la Corte ha in particolare errato nel formare il proprio convincimento sulla sola circostanza della mancata riconsegna degli AVL successivamente alla entrata in vigore del Decreto Ministeriale 2000, in base ad una lettura dell’articolo 4 che e’ andata completamente immune dalla innovata situazione legislativa in materia, e in particolare dal principio sancito dell’articolo 691-bis c.n., comma 3, secondo cui costituisce elemento decisivo per l’espletamento della attivita’ di assistenza al volo “la gestione e la manutenzione degli impianti AVL di sua proprieta’”; aggiunge che la Corte ha “comunque violato il principio della interpretazione del contratto secondo buona fede di cui all’articolo 1366 c.c., che avrebbe imposto una diversa valutazione delle disposizioni di quell’accordo (del quale (OMISSIS) non era parte)”; contesta, inoltre che la consegna degli AVL sia avvenuta, per decisione della (OMISSIS), soltanto a seguito del Decreto Ministeriale Finanze 7 marzo 2013, e lamenta che la Corte ha omesso l’esame della corrispondenza intercorsa nel luglio 2012 fra (OMISSIS) e (OMISSIS); contesta, altresi’, alla Corte di merito di avere erroneamente escluso, in relazione alla domanda ex articolo 2041 c.c., la ricorrenza dell’impoverimento dell’ (OMISSIS) e dell’arricchimento dell'(OMISSIS); assume che, al contrario, ricorrevano sia l’impoverimento e che l’arricchimento e mancava una giusta causa che li giustificasse.
5. I motivi – che possono essere esaminati congiuntamente per l’evidente connessione delle censure – sono inammissibili sotto piu’ profili.
5.1. Non risulta osservata la prescrizione dell’articolo 366 c.p.c., n. 6, giacche’ tutti e tre i motivi argomentano le censure con riferimento ad atti e documenti di cui non trascrivono (e neppure sunteggiano in misura adeguata) il contenuto; e cio’, segnatamente, in relazione alla Convenzione del 1974, alla sentenza del TAR di cui si fa valere l’efficacia del giudicato, alle “ammissioni” che sarebbero state effettuate dall'(OMISSIS) nel giudizio amministrativo, alle due lettere scambiate fra le parti nel luglio 2012, ai costi che sarebbero stati sostenuti dall’ (OMISSIS) e ai finanziamenti ricevuti dall'(OMISSIS).
5.2. Le censure deducenti vizi ex articolo 360 c.p.c., n. 3, difettano di specificita’, in quanto assumono in modo assertivo la violazione o la falsa applicazione delle norme richiamate in rubrica, senza specificamente argomentare sul “come” la Corte abbia effettuato un’erronea ricognizione della fattispecie normativa astratta o sul perche’ i fatti esaminati non sarebbero stati correttamente sussunti nell’ambito di fattispecie normative pur esattamente ricostruite.
5.3. In ogni caso, sia le censure che denunciano violazione o falsa applicazione di legge che quelle formulate ex articolo 360 c.p.c., n. 5, propongono, nella sostanza, una lettura alternativa della vicenda che e’ basata in larga misura su apprezzamenti fattuali rispetto ai quali si sollecita a questa Corte una non consentita diversa valutazione di
merito; e cio’, segnatamente, in relazione alla possibilita’ di predicare un onere di manutenzione a fronte della mera formale attribuzione degli AVL al patrimonio dell'(OMISSIS) o, al contrario, in dipendenza della effettiva disponibilita’ degli impianti e della persistenza degli obblighi manutentivi fino al momento della riconsegna (come ritenuto dalla sentenza impugnata), nonche’ in relazione alla possibilita’ di individuare un depauperamento rispetto ad attivita’ di manutenzione che l’ (OMISSIS) ha scelto essa stessa di effettuare rifiutando la messa a disposizione degli impianti in favore dell'(OMISSIS).
5.4. Va considerato, infine, che, a ben vedere, nessuna delle censure svolte investe adeguatamente il “fondo” della decisione impugnata, da individuare nell’affermazione (a pag. 13) che l’obbligo di manutenzione era correlato alla persistenza della disponibilita’ dei beni in capo all’ (OMISSIS) (essendo funzionale all’obbligo, scaturente dalla Convenzione del 1974, di restituire gli impianti “in condizioni di uso normale e regolare funzionamento”) e cio’ fino al momento della riconsegna che, di fatto e per volonta’ della stessa (OMISSIS), era stata effettuata soltanto a seguito del Decreto Ministeriale 7 marzo 2013; dal che conseguiva il difetto di alcun depauperamento per l’ (OMISSIS) e del correlativo arricchimento senza causa in favore dell'(OMISSIS) (cui i beni non erano mai stati riconsegnati).
6. Il quinto motivo deduce la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c., “avuto riguardo all’addebito delle spese di lite del secondo grado di giudizio”: la ricorrente contesta la condanna alle spese del giudizio di secondo grado rilevando che la Corte di Appello ha erroneamente presupposto un rigetto integrale del gravame (laddove, invece, la domanda ex articolo 2041 c.c., ancorche’ ritenuta infondata, era stata dichiarata ammissibile, come richiesto da (OMISSIS)) e, inoltre, non ha considerato che l’appello incidentale era stato accolto soltanto in relazione a uno dei motivi proposti.
6.1. Il motivo e’ infondato giacche’ la Corte ha considerato la totale soccombenza dell’ (OMISSIS) rispetto alla domanda volta al riconoscimento dell’indennizzo ex articolo 2041 c.c., e ha ritenuto tale soccombenza prevalente sulla soccombenza parziale dell'(OMISSIS) rispetto alla domanda riconvenzionale; non risulta pertanto violato il criterio secondo cui le spese non possono essere poste a carico della parte integralmente vittoriosa; ne’ e’ sindacabile la scelta della Corte di non procedere ad una compensazione totale o parziale delle spese.
7. Nel complesso, il ricorso principale va pertanto rigettato. IL RICORSO INCIDENTALE DI (OMISSIS) SPA.
8. Col primo motivo, la ricorrente incidentale denuncia “violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 2727, 2697, 1226 e 2056 c.c., con riferimento al principio generale della sussistenza e della prova del “danno in re ipsa”, nella parte in cui la Corte di Appello ha rigettato per difetto di prova sul danno la domanda risarcitoria ex articolo 2043 c.c., (ri)proposta da (OMISSIS) con il primo motivo di appello incidentale”, nonche’ “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5”; assume che, “a fronte di un fatto acquisito come pacifico agli atti di causa -ossia l’abusiva detenzione degli AVL da parte di (OMISSIS) per ben 13 anni- il Collegio avrebbe dovuto valutare come consequenzialmente acquisito anche il danno subito dal proprietario (OMISSIS), ingiustamente privato dei beni di sua proprieta’”; aggiunge di avere fornito ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e contesta alla Corte territoriale di non aver motivato – ne’ fatto alcun cenno – al mancato ingresso in giudizio delle prove richieste da (OMISSIS) al punto 7)C delle proprie conclusioni in appello.
8.1. Il motivo e’ inammissibile in relazione ad entrambi gli ordini di censure.
Quanto alla denuncia di omesso esame circa fatti decisivi, va escluso che possa essere censurata ex articolo 360 c.p.c., n. 5, la mancata ammissione di istanze istruttorie (nello specifico: CTU, ispezione dei luoghi, ordine di esibizione e prove per testi in denegata ipotesi di ammissione delle prove testimoniali avversarie) ove non si alleghi specificamente in quale misura cio’ abbia comportato, in concreto, il mancato esame del fatto storico rilevante in causa (cfr. Cass. n. 27415/2018).
Quanto al vizio ex articolo 360 c.p.c., n. 3, le censure risultano generiche e inidonee a investire puntualmente il “nodo” della motivazione, che non e’ incentrata sulla questione della configurabilita’ del danno in re ipsa, quanto piuttosto – e in maniera assorbente – sulla considerazione che l'(OMISSIS) non aveva allegato “ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui po(tesse) disporre nonostante la riconosciuta difficolta’, si’ da consentire al giudice il concreto esercizio” del potere di liquidazione in via equitativa, che ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso”.
9. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4, “violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, relativamente alla parte della sentenza in cui la Corte di Appello ha rigettato la domanda ex articolo 2041 c.c. (ri)proposta da (OMISSIS)”, nonche’, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, “violazione e falsa applicazione dell’articolo 2042 c.c.”.
9.1. Il motivo e’ infondato in relazione al vizio ex articolo 360 c.p.c., n. 4, in quanto la motivazione espressa dalla Corte di Appello – “La domanda risarcitoria, va pertanto respinta; ne’ puo’ accogliersi la domanda di indennizzo ex articolo 2041 c.c., non sussistendo il carattere sussidiario dell’azione (articolo 2042 c.c.), ancorche’ estremamente sintetica, esplicita chiaramente la ragione della decisione (ossia il difetto di sussidiarieta’); e’ invece inammissibile – per genericita’ – la censura svolta ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, dato che la ricorrente non illustra specificamente in quali termini la norma dell’articolo 2042 c.c., sarebbe stata violata o falsamente applicata.
10. Il terzo motivo censura la quantificazione delle spese processuali liquidate in favore dell'(OMISSIS) per il primo e per il secondo grado di giudizio e deduce “violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3, del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 6 e articolo 12, comma 1, dell’articolo 2233 c.c., comma 2, della L. n. 247 del 2012, articolo 13 bis, in materia di equo compenso, relativamente ai capi della sentenza in cui la Corte di Appello, pur accogliendo il secondo motivo di appello incidentale proposto da (OMISSIS), compie un’errata valutazione dei criteri di determinazione del compenso dell’avvocato nella liquidazione delle spese di lite del primo grado e compie il medesimo errore nella liquidazione delle spese di secondo grado”; aggiunge che “la predetta errata determinazione dei presupposti numerici individuati dal Giudice di Appello, integra altresi’ violazione dell’articolo 306 (rectius, articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.
Premesso che la Corte di Appello ha affermato che le spese devono essere liquidate in base al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, applicando i “valori medi del VI scaglione con gli aumenti previsti dall’articolo 6 del Decreto Ministeriale citato”, la ricorrente assume che, “compiendo il calcolo corretto per lo scaglione di valore fino a 32 milioni di Euro (…), il compenso medio per il giudizio di primo grado e’ pari ad Euro 103.236,00 (…) e per il giudizio di secondo grado e’ pari ad Euro 92.481”; tanto rilevato, evidenzia che l’errore e’ dipeso dal non aver applicato allo scaglione superiore a 520.000,00 Euro e a quelli successivi l’aumento fino al 30% previsto dall’articolo 6 del DM 55/2014 e sostiene che, “per individuare il compenso medio spettante per un (de)terminato scaglione (…), il Giudice deve prendere come base il compenso medio che deriva dall’applicazione del 30% in aumento per ciascuno scaglione precedente fino a quello rilevante per la causa, e poi determinare il compenso dello scaglione di riferimento, aumentandolo “fino al 30% in piu'” (ossia fino ad un massimo del 30% ulteriore), il compenso risultante dallo scaglione precedente. In sostanza, la discrezionalita’ del Giudice e’ limitata alla determinazione del compenso dello scaglione di riferimento (l’ultimo dunque), solo in relazione all’aumento ulteriore del 30% rispetto al compenso dello scaglione precedente, la cui determinazione, invece, non e’ soggetta ad alcuna discrezionalita’, perche’ determinata dal legislatore attraverso l’applicazione, per ogni scaglione superiore a quello del valore di 520.000,00 Euro, della percentuale del 30%”.
La ricorrente aggiunge che la liquidazione operata dalla Corte di Appello “porta ad un’applicazione contra legem della norma, atteso che non rispetta i criteri dell’equo compenso di cui alla L. n. 247 del 2012, articolo 13 bis, e viola altresi’ il divieto posto dal Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 12, comma 1, nella parte in cui non consente di liquidare compensi inferiori ai minimi di legge”.
10.1. Al riguardo, la controricorrente osserva che “la tesi secondo cui l’integrazione “fino al 30%” stabilita rispetto a ciascuno scaglione superiore a 520.000,00 Euro sarebbe obbligatoria per il Giudice (…) e’ palesemente infondata, e agevolmente smentita dall’uso da parte della norma della preposizione “fino””; rileva che, nel separato procedimento per correzione di errore materiale promosso dall'(OMISSIS), la Corte di Appello romana (che ha ritenuto che l’aumento poteva essere disposto in misura diversa dal 30%) ha rilevato che l’aumento e’ stato di circa il 10% per il primo grado e di circa l’8,5% per il secondo grado, con percentuali applicate su ciascuno dei sei scaglioni da considerare.
10.2. Il motivo e’ infondato, nei termini di seguito indicati.
Il Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 6 (“Cause di valore superiore ad Euro 520.000,00”) cosi’ recita: “1. Alla liquidazione dei compensi per le controversie di valore superiore a Euro 520.000,00 si applica di regola il seguente incremento percentuale: per le controversie da Euro 520.000,00 ad Euro 1.000.000,00 fino al 30 per cento in piu’ dei parametri numerici previsti per le controversie di valore fino a Euro 520.000,00; per le controversie da Euro 1.000.000,01 ad Euro 2.000.000,00 fino al 30 per cento in piu’ dei parametri numerici previsti per le controversie di valore sino ad Euro 1.000.000,00; per le controversie da Euro 2.000.000,01 ad Euro 4.000.000,00 fino al 30 per cento in piu’ dei parametri numerici previsti per le controversie di valore sino ad Euro 2.000.000,00; per le controversie da Euro 4.000.000,01 ad Euro 8.000.000,00 fino al 30 per cento in piu’ dei parametri numerici previsti per le controversie di valore sino ad Euro 4.000.000,00; per le controversie di valore superiore ad Euro 8.000.000,00 fino al 30 per cento in piu’ dei parametri numerici previsti per le cause di valore sino ad Euro 8.000.000,00; tale ultimo criterio puo’ essere utilizzato per ogni successivo raddoppio del valore della controversia”.
Dal complessivo contesto della norma emergono chiaramente due elementi: ossia la non obbligatorieta’ dell’incremento (“di regola” e “puo'”) e, soprattutto, il fatto che la percentuale non e’ fissa: puo’ giungere “fino” al 30% (tetto massimo), ma puo’ – evidentemente – essere inferiore.
Ne’ appare ragionevole distinguere – come propone la ricorrente incidentale – fra ultimo incremento (discrezionale) e incrementi precedenti (fissi), trattandosi di una distinzione che non trova base ne’ letterale ne’ logica nella norma.
considerate pertanto la pregnanza del dato letterale e l’assenza di ragioni di ordine logico-sistematico deponenti in senso contrario, deve ritenersi che, in relazione al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 6, non incorre in violazione di legge il giudice che, liquidando le spese di lite per cause di valore superiore a 520.000,00 Euro, applichi incrementi percentuali inferiori al 30% in relazione ai vari passaggi di scaglione, fermo restando che risultano parimenti legittime le liquidazioni che applicano, per ciascun passaggio, l’incremento massimo del 30%.
11. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese di lite.
12. Sussistono le condizioni per l’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale, compensando le spese di lite;
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quella incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

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