Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 12 giugno 2020, n. 11394.
La massima estrapolata:
L’integrazione dello straniero, in particolare lavorativa, non basta di per sé al riconoscimento del diritto di soggiornare, altrimenti vi sarebbe un’automatica ammissione degli immigrati per motivi economici
Ordinanza 12 giugno 2020, n. 11394
Data udienza 12 dicembre 2019
Tag – parola chiave: Immigrazione – Integrazione dello straniero – Integrazione lavorativa – Riconoscimento del diritto di soggiornare – Insufficienza – Automatica ammissione degli immigrati per motivi economici – Esclusione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente
Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere
Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere
Dott. SCALIA Laura – Consigliere
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19511/2017 proposto da:
Ministero dell’interno, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 286/2017 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 16/05/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/12/2019 dal Consigliere PARISE Clotilde.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 286/2017 depositata il 16-5-2017 la Corte d’Appello di Trieste ha accolto parzialmente l’impugnazione proposta da (OMISSIS), cittadino della Nigeria, avverso la decisione del Tribunale della medesima citta’, riconoscendogli per l’effetto il diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari sul presupposto del suo radicamento lavorativo, in forza di contratto a tempo determinato, in Italia, nonche’ considerando la sua giovane eta’ e “la mancanza di solidi legami familiari e sociali in una situazione pesante e sovraccarica di tensioni, nel caso di rientro in Nigeria (non ha piu’ avuto rapporti con i due fratelli da anni)”. 2.Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’Interno sulla base di un unico motivo nei confronti del cittadino straniero, che e’ rimasto intimato.
3.Il ricorso e’ stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 375 c.p.c., u.c. e articolo 380 bis 1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con unico articolato motivo il Ministero ricorrente lamenta “Violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 25 del 2008, articolo 32, comma 3 e Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 5, comma 6, articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. L’Amministrazione ricorrente deduce l’erroneita’ della sentenza impugnata per avere la Corte territoriale riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria unicamente sul presupposto dell’integrazione lavorativa del richiedente senza che fosse stata fornita la prova di un concreto rischio umanitario in caso di rientro nel Paese d’Origine. Rileva che, ove fosse ritenuto fondato l’orientamento espresso con la sentenza impugnata, si verificherebbe una sorta di automatismo nella concessione del permesso per motivi umanitari, pur in assenza delle condizioni di legge, e solo per ragioni economiche.
2. In via preliminare, con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis in tema di protezione umanitaria, le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito che “In tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilita’ per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con il Decreto Legge n. 113 del 2018, convertito con L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del Decreto Legge n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comportera’ il rilascio del permesso di soggiorno per “casi specialie” previsto dal suddetto D.L., articolo 1, comma 9″ (Cass. S.U. n. 29459/2019).
Nel caso di specie, dunque, non trova applicazione la normativa introdotta con il Decreto Legge n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 5, comma 6, e delle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno. La domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari e’ stata presentata dal ricorrente prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge e deve essere, pertanto, scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione.
3. Passando ora all’esame della censura, l’unico articolato motivo di ricorso e’ fondato nei termini di seguito precisati.
3.1. Questa Corte ha affermato che “In materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarita’ e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignita’ personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza” (Cass. n. 4455/2018). Con la sentenza n. 29459/2019 citata le Sezioni Unite hanno ribadito il suddetto orientamento, precisando che “In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalita’ dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”, e che non puo’ essere considerato, isolatamente ed astrattamente, il livello di integrazione in Italia del cittadino straniero. Inoltre la valutazione della condizione di vulnerabilita’ che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poiche’, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non gia’ la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 5, comma 6, (Cass. n. 9304/2019 e Cass. S.U. n. 29459/2019 citata).
3.2. La Corte territoriale, accogliendo parzialmente l’appello, non ha operato, alla stregua dei principi suesposti, la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente, nei limiti delle sue allegazioni, con riferimento al Paese di origine, del quale nella sentenza impugnata e’ solo genericamente richiamata la “situazione pesante e sovraccarica di tensioni”, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta in Italia, secondo il parametro normativo di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 5, comma 6, declinato nel senso precisato, ed e’, quindi, incorsa nella violazione di legge denunciata.
4. In conclusione, il ricorso e’ accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione, che provvedera’ anche sulle spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Trieste in diversa composizione.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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