L’impedimento a comparire dell’imputato

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 19 maggio 2020, n. 15407.

Massima estrapolata:

L’impedimento a comparire dell’imputato, previsto dall’art. 420-ter cod. proc. pen., concerne non solo la capacità di recarsi fisicamente in udienza, ma anche quella di parteciparvi dignitosamente e attivamente per l’esercizio del diritto costituzionale di difesa, ma esso non può derivare in via automatica dall’esistenza di una patologia più o meno invalidante, che deve, invece, determinare un’impossibilità effettiva ed assoluta, e perciò legittima, riferibile ad una situazione non dominabile né contenibile dall’imputato, oltre che a lui non ascrivibile, al fine di garantire il necessario bilanciamento con il principio di ragionevole durata del processo. (In applicazione del principio la Corte ha ritenuto la condizione fisica dell’imputato, affetto da incontinenza fecale-urinaria, quale postumo di un intervento oncologico, non assolutamente invalidante e tale da impedirne la presenza in udienza, potendo tale patologia essere contenuta con opportuni presidi medici preventivi, nè da questi non dominabile per il limitato tempo di permanenza in aula mediante presidi meccanici o farmacologici, idonei a rendere dignitosa la sua partecipazione al processo).

Sentenza 19 maggio 2020, n. 15407

Data udienza 24 febbraio 2020

Tag – parola chiave: Reati fallimentari – Fatti di bancarotta – Bancarotta fraudolenta – Sottrazione dolosa – Responsabilità dell’amministratore di diritto investito solo formalmente – “Testa di legno” – Condizioni

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CATENA Rossella – Presidente

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere

Dott. BRANCACCIO Matilde – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 31/01/2019 della CORTE APPELLO di GENOVA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO;
udito il Sostituto Procuratore Generale GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. (OMISSIS), che si riporta integralmente ai motivi.

RITENUTO IN FATTO

1. E’ impugnata la sentenza della Corte d’Appello di Genova che ha confermato quella del Tribunale di La Spezia con cui (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati condannati alla pena di tre anni di reclusione (ed alle pene accessorie previste dalla L. Fall., articolo 216, u.c., nella misura decennale fissa prevista prima della sentenza n. 222 del 2018 Corte Cost.) per il reato di bancarotta fraudolenta documentale, nelle loro qualita’, rispettivamente, (OMISSIS), di amministratore unico della fallita (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) di amministratore di fatto.
2. Avverso la pronuncia propongono ricorso entrambi gli imputati.
3. (OMISSIS), tramite il difensore avv. Sergi, deduce nel proprio ricorso due motivi.
3.1. La prima censura attiene al vizio di violazione di legge in relazione all’articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), e articolo 420 ter c.p.p., impugnando contestualmente alla sentenza d’appello anche l’ordinanza del 31.1.2019 con cui e’ stata rigettata l’istanza di rinvio dell’udienza per legittimo impedimento di salute dell’imputato, gravemente malato, ma ciononostante ritenuto non assolutamente impedito a presenziare in udienza in seguito agli accertamenti medici disposti con visita fiscale.
Il difensore argomenta che la constatata incontinenza fecale-urinaria derivante dalla complessiva situazione patologica in cui versava il ricorrente avrebbe dovuto determinare l’esito del rinvio essendo del tutto generica l’asserzione attestata dal medico fiscale di possibile partecipazione con “opportune cautele di prevenzione”.
Si afferma, infatti, che l’ordinamento garantisce non soltanto la partecipazione cosciente al processo ma anche quella dignitosa, adeguata e serena, che sarebbe stata impossibile nel caso del ricorrente.
3.2. Il secondo motivo di ricorso deduce contraddittorieta’ della motivazione quanto all’affermazione di colpevolezza dell’imputato, erroneamente ritenuto amministratore di fatto della fallita mentre invece era un mero dipendente di essa.
Sono insufficienti gli elementi di prova sui quali si basa la sentenza quanto al ruolo gestorio del ricorrente (le dichiarazioni della teste (OMISSIS), gia’ dipendente della fallita, ed una lettera proveniente da un dirigente scolastico in cui il ricorrente viene definito come “titolare” della fallita), mentre sarebbero stati decisivi i testimoni che la difesa aveva chiesto fossero ascoltati con l’atto di appello e che la Corte territoriale non ha ritenuto di sentire, non dando corso alla richiesta di rinnovazione istruttoria della difesa.
4. Il ricorso di (OMISSIS) e’ stato proposto dal difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), e si compone di due motivi.
4.1. Con il primo argomento eccepito il ricorrente deduce vizio di motivazione quanto all’affermazione della sua colpevolezza.
Egli non ha avuto un effettivo ruolo nella fallita, ma e’ stato solo una cd. “testa di legno” sicche’ non poteva automaticamente essere imputato di bancarotta fraudolenta documentale, secondo la giurisprudenza di legittimita’ dominante che ritiene invece sussistente la responsabilita’ dell’amministratore solo formalmente tale in presenza della violazione dei doveri di vigilanza e controllo che derivano dall’accettazione della carica cui pero’ va aggiunta la dimostrazione non soltanto astratta e presunta ma effettiva e concreta della consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, tale da procurare un ingiusto profitto ad altri (si cita. Sez. 5, n. 44293 del 17/11/2005, Rv. 232816.
4.2. Il secondo motivo di ricorso attiene al vizio di violazione di legge in relazione al diniego del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nonostante il comportamento processuale ed extraprocessuale del tutto collaborativo, di sostanziale ammissione dei fatti, diversamente dal coimputato (OMISSIS).
Ebbene, sia la confessione che il ruolo marginale e meramente formale del ricorrente nella gestione della fallita avrebbero dovuto indurre la Corte d’Appello a concedere le circostanze attenuanti generiche richieste.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono entrambi inammissibili perche’ manifestamente infondati ed in parte generici.
2. Il primo motivo del ricorso di (OMISSIS) e’ privo di pregio anche dopo la verifica degli atti compiuta dal Collegio, consentita per la natura processuale del vizio dedotto. L’ordinanza della Corte d’Appello con cui non si e’ dato seguito alla richiesta di rinvio dell’imputato per legittimo impedimento e’ corretta dal punto di vista delle ordinarie regole interpretative di natura processuale.
Risulta che i giudici di secondo grado abbiano piu’ volte aderito alle richieste di rinvio dell’imputato in ragione del suo stato di salute e che, opportunamente, all’ennesima richiesta, si sia disposta visita fiscale per consentire un accertamento piu’ approfondito, in coerenza con le regole della ragionevole durata del processo (articolo 111 Cost., comma 2).
Ebbene, la patologia dell’imputato (OMISSIS), benche’ sicuramente non di poco conto, si e’ accertato che non determinava un’impossibilita’ assoluta a partecipare all’udienza, cosi’ come invece richiesto dalla disposizione di cui all’articolo 420 ter c.p.p..
E’ vero, infatti, che, come si e’ anche di recente ribadito, che l’impedimento a comparire dell’imputato previsto dalla citata disposizione concerne non solo la capacita’ di recarsi fisicamente in udienza, ma anche quella di parteciparvi attivamente per l’esercizio del diritto costituzionale di difesa e puo’ essere integrato anche da una malattia a carattere cronico, ma tale impedimento deve necessariamente determinare un’impossibilita’ effettiva, assoluta e percio’ legittima, a partecipare all’udienza, riferibile ad una situazione non dominabile dall’imputato e a lui non ascrivibile (ex multis Sez. 3, n. 6357 del 16/10/2018, dep. 2019, Santi, Rv. 275000; Sez. 3, n. 10482 del 15/12/2015, Ingoglia, Rv. 266494; Sez. 5, n. 15646 del 5/2/2014, Coviello, Rv. 259841; vedi anche Sez. 3, n. 11460 del 5/12/2018, dep. 2019, Salvucci, Rv. 275184).
L’accento posto sulla necessita’ che l’impedimento, cronico oppure no, debba essere “assoluto” e “non dominabile” per determinarne la sua operativita’ al fine di consentire il rinvio ex articolo 420 ter c.p.p., ispira tutta la giurisprudenza sul tema e non e’ contraddetto neppure (come invece segnalato dal Massimario) dalla sentenza Sez. 3, n. 1371 del 3/11/2011, dep. 2012, Sabella, Rv. 251901, che ha affermato come la presenza di una situazione patologica cronica e legata all’eta’ dell’imputato, ove non sia tale da impedirne la presenza in udienza o la sua partecipazione cosciente al procedimento, non costituisce legittima causa ne’ della sospensione del procedimento per incapacita’ dell’imputato ne’ di rinvio del dibattimento per legittimo impedimento a comparire di quest’ultimo.
Senza dubbio, il contemperamento tra i diritti costituzionali di difesa effettiva dell’imputato e di ragionevole durata del processo impone la prevalenza del primo qualora la partecipazione all’udienza, fisica e cosciente, sia impedita da una ragione non dominabile ed assoluta e tuttavia l’accertamento dei due caratteri di “assolutezza” e “non dominabilita’” deve essere rigoroso, proprio per garantire il secondo dei due diritti costituzionali in gioco, altrimenti di facile elusione in caso di atteggiamenti riottosi al processo.
Nel caso di specie, e’ stato accertato dal medico incaricato della visita fiscale che la patologia diagnosticata (incontinenza fecale-urinaria quale postumo di un intervento oncologico) non era talmente invalidante da impedire la presenza in udienza e da non poter essere contenuta con opportuni presidi medici preventivi; d’altra parte, e’ stato notato come non fosse stata addotta la natura permanente o transeunte della patologia stessa: cio’ rende sicuramente la richiesta generica poiche’ inidonea a consentire una decisione consapevole ed un’adeguata programmazione delle udienze.
Pertanto, la verifica condotta attraverso i due piani di ragionamento indicati – assolutezza dell’impedimento a comparire e non dominabilita’ della patologia che lo ha determinato ha dato esiti entrambi negativi per il ricorrente.
Da un lato, e’ mancata la prova dell’assolutezza dell’impedimento, poiche’ si e’ accertato che la patologia rilevata non rientra nel novero di quelle che impediscono la deambulazione o la presenza sicura in luogo diverso dalla propria abitazione o dalle sedi ospedaliere e cliniche; dall’altro, e’ mancato anche l’accertamento sul carattere di “non dominabilita’”, inteso anche in un’accezione di impossibilita’ di “contenimento” della patologia per le poche ore in cui doveva presumibilmente svolgersi l’attivita’ d’udienza, mediante presidi meccanici ovvero anche eventualmente farmacologici.
Del resto, l’affermazione del difensore, secondo cui deve essere garantita non soltanto la partecipazione al processo, ma anche che essa sia “dignitosa” per l’imputato – in astratto certamente condivisibile – non puo’ essere seguita la’ dove pare assimilare la malattia ad una condizione, di per se’, di non dignitosa manifestazione della personalita’ individuale nel processo.
Cio’ non e’ ovviamente; ed anzi deve essere garantito dall’ordinamento che anche chi sia affetto da una patologia piu’ o meno invalidante possa partecipare con le opportune cautele al processo, se lo ritiene opportuno e necessario per la sua difesa, dovendosi approntare in tal caso soltanto gli strumenti idonei a consentire tale partecipazione ed a renderla effettiva, fruibile e rispettosa della dignita’ individuale.
Viceversa, la “dignitosa partecipazione” al processo non puo’ configurarsi quale concetto privo di contenuto oggettivo e lasciato alla percezione individuale dell’imputato che intenda o meno presenziare in udienza, pena l’eclissi del principio costituzionale di ragionevole durata del processo.
Deve essere, pertanto, affermato il seguente principio di diritto: l’impedimento a comparire dell’imputato previsto dall’articolo 420 ter c.p.p., concerne non solo la capacita’ di recarsi fisicamente in udienza, ma anche quella di parteciparvi attivamente e dignitosamente per l’esercizio del diritto costituzionale di difesa, ma tale impedimento non puo’ derivare automaticamente dall’esistenza di una patologia piu’ o meno invalidante, bensi’ deve necessariamente determinare un’impossibilita’ effettiva, assoluta, e percio’ legittima, a partecipare all’udienza, riferibile ad una situazione non dominabile ne’ contenibile dall’imputato, oltre che a lui non ascrivibile, per consentire il necessario bilanciamento con il principio di ragionevole durata del processo.
2.1. Il secondo motivo di ricorso formulato dall’imputato (OMISSIS) e’ inammissibile per genericita’ ed aspecificita’.
Sotto un primo profilo, il ricorrente non si confronta se non apparentemente con la motivazione del provvedimento impugnato quanto alla prova del suo ruolo gestorio, logicamente argomentata dalla Corte d’Appello sulla base dell’evidenza principale costituita dalla diretta osservazione degli operanti della Guardia di Finanza nel corso dell’ispezione effettuata presso la sede della societa’ (OMISSIS) s.r.l.: nel verbale, sottoscritto dalle parti, si da’ atto che l’attivita’ di gestione dell’esercizio commerciale di “money transfert” era svolta proprio da (OMISSIS) e da una dipendente.
Per quanto concerne la doglianza riferita al mancato esame testimoniale richiesto dalla difesa, deve invece esserne sottolineata la macroscopica genericita’ di formulazione sia in appello che, anzitutto, nel ricorso per cassazione.
Non sono state indicate specificamente le ragioni di rilevanza e decisivita’ dell’esame dei testi richiesti (ben undici secondo l’indicazione sottolineata dai giudici d’appello) e neppure ne sono stati indicati i ruoli (non essendo sufficiente che essi siano stati individuati per essere dipendenti della fallita) e le circostanze di fatto sulle quali dovevano eventualmente essere ascoltati.
Il Collegio intende ribadire, infatti, ed ulteriormente chiarire come, in tema di ricorso per cassazione, la violazione del diritto di difesa, sotto il profilo della mancata ammissione delle prove dedotte ovvero, come nel caso di specie, del mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione istruttoria, esige che siano indicate specificamente le prove che l’imputato non ha potuto assumere e le ragioni della loro rilevanza ai fini della decisione nel contesto processuale di riferimento (Sez. 5, n. 39764 del 29/5/2017, Rhafor, Rv. 271849).
La Corte d’Appello ha, per parte sua, correttamente argomentato sull’inammissibilita’ del motivo genericamente proposto, che di per se’ si riverbererebbe sulla successiva censura dinanzi al Collegio, peraltro anch’essa formulata in modo generico.
3. Il ricorso di (OMISSIS) e’ ugualmente inammissibile avuto riguardo ad entrambi i motivi di censura dedotti.
3.1. La responsabilita’ del ricorrente per il reato di bancarotta fraudolenta documentale e’ stata desunta dai giudici d’appello nel prisma degli orientamenti di legittimita’ in tema di coinvolgimento dell’amministratore mera “testa di legno” nel reato in esame.
Ed infatti, costituisce principio consolidato quello – che deve essere combinato alle argomentazioni del ricorrente tratte sempre dalla giurisprudenza di legittimita’ – secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta, con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben puo’ ritenersi la responsabilita’ del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture (mentre non altrettanto puo’ dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non puo’, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilita’ dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione: in tal senso, tra le tante, cfr. le piu’ recenti massimate Sez. 5, n. 19049 del 19/2/2010, Succi, Rv. 247251; Sez. 5, n. 54490 del 26/9/2018, C., Rv. 274166).
Il Collegio sottolinea che tale condivisibile orientamento fa eco a quello che – egualmente ribadendo come, in tema di reati fallimentari, l’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili, anche laddove sia investito solo formalmente dell’amministrazione della societa’ fallita, in quanto sussiste il suo diretto e personale obbligo di tenere e conservare le predette scritture – sottolinea come debba, altresi’, essere fornita la dimostrazione dell’effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari (Sez. 5, n. 642 del 30/10/2013, dep. 2014, Demajo, Rv. 257950; Sez. 5, n. 43977 del 14/7/2017, Pastechi, Rv. 271754; Sez. 5, n. 44293 del 17/11/2005, Liberati, Rv. 232816).
Ebbene, nel caso di specie la Corte d’Appello ha evidenziato gli indicatori di tale effettiva e concreta consapevolezza della fraudolenta ed omissiva tenuta delle scritture contabili da parte del ricorrente, costituiti dagli accertamenti svolti dalla curatela e dalla Guardia di finanza: si e’ dato atto che nessuna scrittura contabile e’ stata consegnata, indice macroscopico che l’amministratore di diritto non potesse chiamarsi fuori da una totale inadempienza ai suoi obblighi, nonche’ il fatto che avesse dichiarato al curatore l’assenza di beni da inventariare, nascondendo l’esistenza di un’autovettura di proprieta’ della fallita e di un contratto d’affitto d’azienda in favore della (OMISSIS), sottoscritto personalmente da lui. I rapporti economici con tale ultima societa’ non sono stati chiariti dall’indagine proprio per la mancata collaborazione e la mancanza di documentazione contabile al riguardo.
3.2. Infine, e’ inammissibile per manifesta infondatezza la censura attinente al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Il motivo non e’ stato dedotto specificamente in appello (dando atto la Corte di merito solo della richiesta di rimodulare la decisione sulla sospensione condizionale della pena) e, pertanto, risulta di per se’ inammissibile.
I giudici d’appello hanno, in ogni caso, motivato implicitamente sul diniego, mediante il richiamo alle argomentazioni della sentenza di primo grado e alla ritenuta non meritevolezza del beneficio della sospensione condizionale della pena, oltre che attraverso l’analisi della gravita’ del coinvolgimento del ricorrente nel reato e delle omissioni contabili a lui riconducibili.
4. Nonostante l’inammissibilita’ dei ricorsi proposti dagli imputati, come si e’ anticipato, il provvedimento impugnato deve essere annullato d’ufficio nei loro confronti quanto alle pene accessorie, coerentemente a quanto stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 5 dicembre 2018, che ha dichiarato l’incostituzionalita’ della durata fissa delle pene accessorie dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacita’ ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, prevista ex lege in dieci anni dalla L. Fall., articolo 216, u.c., in relazione alle ipotesi di condanna relativa ai reati di bancarotta fraudolenta ed ha rimodulato, con la suddetta sentenza manipolativa sostitutiva, la formula normativa con il disposto “fino a dieci anni”. Il Collegio ritiene che debba essere rilevata sia pur d’ufficio l’illegalita’ della pena, anche di quella accessoria, inflitta sulla base di un dettato normativo divenuto incostituzionale pur in caso di inammissibilita’ del ricorso, tranne che nell’ipotesi di ricorso tardivo (Sez. U, n. 33040 del 26/2/2015, Jazouli, Rv. 264207), ed e’ certamente illegale la pena che sia stata determinata sulla base di limiti edittali dichiarati incostituzionali (Sez. U, n. 33040 del 26/2/2015, Jazouli, Rv. 264205).
L’annullamento deve essere operato con rinvio, spettando al giudice di merito la valutazione dei parametri fattuali ai quali ancorare la determinazione della misura della sanzione accessoria, commisurandola ai criteri indicati dall’articolo 133 c.p., in ossequio alle indicazioni delle Sezioni Unite che, con la sentenza Sez. U, n. 28910 del 28/2/2019, Suraci, proprio in relazione al caso delle pene accessorie decennali previste per i reati di bancarotta fraudolenta dichiarate incostituzionali dalla sentenza n. 222 del 2018 Corte Cost., hanno cosi’ disposto, risolvendo la questione del se la rimodulazione conseguente alla pronuncia di incostituzionalita’ dovesse comportare la commisurazione delle pene accessorie fisse illegali gia’ disposte alla pena principale applicata, ai sensi dell’articolo 37 c.p., ovvero la rideterminazione dovesse essere operata dal giudice, nell’ambito dei limiti edittali risultanti dalla nuova formulazione, in base ai criteri di cui all’articolo 133 c.p..
In generale, infatti, con un principio che travalica la materia dei soli reati fallimentari, le Sezioni Unite hanno stabilito che la durata delle pene accessorie per le quali la legge stabilisce, in misura non fissa, un limite di durata minimo ed uno massimo, ovvero uno soltanto di essi, deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’articolo 133 c.p., e non rapportata, invece, alla durata della pena principale inflitta ex articolo 37 c.p..
Del resto, la stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 222 del 2018 aveva tracciato il solco per un’interpretazione che conducesse all’applicazione dei criteri previsti dall’articolo 133 c.p., per la determinazione della misura oramai non piu’ fissa delle pene accessorie della bancarotta fraudolenta.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle pene accessorie di cui alla L. Fall., articolo 216, u.c., con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di Appello di Genova.
Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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