L’esposto contro un avvocato al Consiglio di disciplina anche se infarcito di coloriture o frasi di per sé offensive non può essere considerato diffamatorio

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 27 settembre 2018, n. 42570.

La massima estrapolata:

L’esposto contro un avvocato al Consiglio di disciplina anche se infarcito di coloriture o frasi di per sé offensive non può essere considerato diffamatorio – escludendo l’esimente dell’esercizio del diritto di critica – per il solo fatto dei toni offensivi e dell’avvenuta archiviazione del procedimento disciplinare. La scriminante va comunque accertata e va tenuto conto della persona da cui promana lo scritto.

Sentenza 27 settembre 2018, n. 42570

Data udienza 20 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZAZA Carlo – Presidente

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

Dott. TUDINO A. – Rel. Consigliere

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere

Dott. MOROSINI Elisabett – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 14/09/2017 del TRIBUNALE di TRAPANI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Tudino Alessandrina;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa Fodaroni Maria Giuseppina che ha concluso chiedendo il rigetto;
il difensore presente si riporta ai motivi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 14 settembre 2017, il tribunale di Trapani ha confermato la decisione del Giudice di Pace in sede del 21 aprile 2016, con la quale (OMISSIS) e’ stato condannato alla pena di giustizia per il reato di diffamazione, aggravato dall’attribuzione di fatti determinati, per avere presentato un esposto al COA di (OMISSIS) a carico dell’avvocato (OMISSIS), contenente espressioni denigratorie ed offensive.
Nel confermare il giudizio di responsabilita’, il giudice di merito ha ritenuto giuridicamente corretta e sostenuta da adeguata ed esaustiva motivazione la decisione di primo grado in relazione a tutte le censure articolate nell’atto di gravame, con riferimento alla ritenuta insussistenza della causa di esclusione del reato di cui all’articolo 51 c.p., anche nella invocata forma putativa, alla integrazione della condotta materiale ed al correlativo elemento soggettivo, nonche’ alla esclusione di ulteriori profili di giustificazione del fatto illecito.
2. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso l’imputato, per mezzo del difensore.
Con unico motivo, deduce violazione della legge penale in riferimento alla sussistenza della causa di giustificazione di cui all’articolo 51 c.p., per avere la corte territoriale affermato in via apodittica la sussistenza degli elementi costitutivi del reato, omettendo di valutare la veridicita’ dei fatti secondo la prospettazione dell’agente e, dunque, la ricorrenza del legittimo esercizio del diritto di critica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato.
2. Secondo il consolidato orientamento di legittimita’, in tema di diffamazione realizzata mediante esposti indirizzati ad organi di disciplina, integra il reato – sotto il profilo materiale – la condotta di colui che invii una missiva gratuitamente denigratoria ad un ordine professionale. Sussiste, infatti, in tal caso, il requisito della comunicazione con piu’ persone, considerato che la destinazione alla divulgazione puo’ trovare il suo fondamento, oltre che nella esplicita volonta’ del mittente-autore, anche nella natura stessa della comunicazione, in quanto propulsiva di un determinato procedimento (giudiziario, amministrativo, disciplinare) che deve essere portato a conoscenza di altre persone, diverse dall’immediato destinatario, sempre che l’autore della missiva prevedesse o volesse la circostanza che il contenuto relativo sarebbe stato reso noto a terzi (ex multis Sez. 5, Sentenza n.26560 del 29/04/2014, Cadoria, Rv. 260229).
2.1. La destinazione funzionale dell’esposto all’attivazione dei poteri di accertamento e disciplinari dell’organismo destinatario impone la necessaria valutazione della possibile sussistenza della causa di giustificazione di cui all’articolo 51 c.p., o della causa di non punibilita’ ex articolo 598 c.p., rilevabili “ex officio” anche in sede di legittimita’ (Sez. 5, Sentenza n. 23222 del 06/04/2011, PG in proc. Saccucci, Rv. 250458), ricorrendo l’esimente del diritto di critica quando i fatti esposti siano veri o quanto meno l’accusatore sia fermamente e incolpevolmente, ancorche’ erroneamente, convinto della loro veridicita’ (Rv. 260229 cit, ibidem).
Nella delineata prospettiva, non integra il delitto di diffamazione la condotta di chi invii un esposto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati contenente dubbi e perplessita’ sulla correttezza professionale di un legale, considerato che, in tal caso, ricorre la generale causa di giustificazione di cui all’articolo 51 c.p., “sub specie” di esercizio del diritto di critica, preordinato ad ottenere il controllo di eventuali violazioni delle regole deontologiche (5, Sentenza n.42576 del 20/07/2016, Crimaldi, Rv. 268044, N. 33994 del 2010 Rv. 248422, N. 23222 del 2011 Rv. 250458, N. 26560 del 2014 Rv. 260229), anche in forma putativa, laddove l’agente abbia esercitato il diritto di critica ed assolto l’onere di deduzione di fatti nella convinzione, anche erronea, del rilievo disciplinare dei medesimi.
2.2. In tal senso, il diritto di critica si concretizza in un giudizio valutativo che postula l’esistenza del fatto assunto ad oggetto o spunto del discorso critico ed una forma espositiva non ingiustificatamente sovrabbondante rispetto al concetto da esprimere e, conseguentemente, esclude la punibilita’ di coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale, purche’ tali modalita’ espressive siano proporzionate e funzionali all’opinione o alla prospettazione di una violazione di natura deontologica, in considerazione degli interessi e dei valori che si ritengono compromessi.
In particolare, nella valutazione del requisito della continenza, necessario ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur aspri e forti, non siano gravemente infamanti e gratuiti, ma siano, invece, comunque pertinenti al tema in discussione (V. Sez. 5, Sentenza n. 4853 del 18/11/2016 – dep. 2017, Fava, Rv. 269093) ed alla sede dell’esternazione, che tollera limiti piu’ ampi alla tutela della reputazione.
3. Il tribunale non ha fatto corretta applicazione degli enunciati principi.
3.1. Ed invero, al fine della sussistenza del requisito della verita’ dei fatti oggetto di rappresentazione, il tribunale ha evinto dall’archiviazione dello stesso procedimento disciplinare la falsita’ degli addebiti, laddove, invece, l’esimente richiede un valutazione ex ante ed in concreto della dimensione soggettiva del dichiarante, non potendosi risolvere la antigiuridicita’ della condotta diffamatoria nella accertata infondatezza dell’esposto disciplinare, in tal modo sovrapponendosi alla delibazione della soggettiva prospettazione il successivo esito del procedimento amministrativo.
3.2. Sotto il profilo della pertinenza espressiva, la sentenza impugnata non ha fatto buon governo del principio secondo cui il requisito della continenza postula una forma espositiva corretta della critica rivolta – e cioe’ strettamente funzionale alla finalita’ di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione – e non puo’ ritenersi superato per il solo fatto dell’utilizzo di termini che, pur avendo accezioni indubitabilmente offensive, hanno pero’ anche significati di mero giudizio critico negativo di cui deve tenersi conto anche alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato, rispetto al quale assume rilevanza il profilo soggettivo del dichiarante e la sua capacita’ espressiva in riferimento al livello culturale e sociale.
Nella delineata prospettiva, le espressioni utilizzate non possono essere riguardate nell’astratto tenore testuale e semantico, ma debbono essere valutate nella loro concreta articolazione e nella complessiva portata significativa, non esorbitando dai limiti della critica consentiti quando le stesse abbiano una accezione, comune per la lingua italiana, compatibile con il requisito della continenza.
3.3. Dal testo della sentenza impugnata non risultano, a riguardo, opportunamente valutate le espressioni ritenute non continenti, invece esplicitamente formulate in via solo suggestiva e congetturale (…mi fa’ pensare di essere sempre e nei fatti stato preso in giro… io e mia moglie ci chiedevamo, tra di noi, se magari prendesse delle medicine oppure se fosse chimicamente alterato…) e rispetto alla cui elaborazione sintattica e testuale deve farsi riferimento al profilo soggettivo dell’esponente rispetto alla sede in cui le medesime sono state formalizzate.
4. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata, con rinvio al Tribunale di Trapani perche’, in applicazione degli enunciati principi ed in piena liberta’ di giudizio, proceda a nuovo esame (V. Sez. 5, Sentenza n. 42814 del 19/06/2014, PG in proc. Cataldo, Rv. 261760).

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al tribunale di Trapani

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