L’esistenza di una qualunque società richiede il concorso di un elemento oggettivo

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|12 gennaio 2021| n. 284.

L’esistenza di una qualunque società, semplice, di persone, di capitali, regolare, irregolare, e quindi anche di una società di fatto, richiede il concorso di un elemento oggettivo, rappresentato dal conferimento di beni o servizi, con la formazione di un fondo comune, e di un elemento soggettivo, costituito dalla comune intenzione dei contraenti di vincolarsi e di collaborare per conseguire risultati patrimoniali comuni nell’esercizio collettivo di un’attività imprenditoriale. Tale comune intenzione costituisce il contratto sociale, senza il quale la società, qualsiasi società, non può esistere. Quel che caratterizza la società di fatto, e la differenzia dalla società irregolare, non è dunque la mancanza del contratto sociale, ma il modo in cui questo si manifesta e si esteriorizza; esso, infatti, può essere stipulato anche tacitamente, e risultare da manifestazioni esteriori dell’attività di gruppo, quando esse, per la loro sintomaticità e concludenza, evidenzino l’esistenza della società

Ordinanza|12 gennaio 2021| n. 284

Data udienza 22 dicembre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Iniziativa economica comune – Società di fatto – Elementi costitutivi – Questione – Titoli alternativi delle reciproche pretese – Questione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – rel. Presidente

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere

Dott. SCALIA Laura – Consigliere

Dott. VELLA Paola – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
Sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avv. (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. (OMISSIS) in (OMISSIS), come da procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliato presso il suo studio in (OMISSIS), in forza di procura speciale in calce all’atto;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza App. Brescia 25/05/2018, n. 893/2018, in R.G. n. 284/2016, rep. 801/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 22 dicembre 2020 dal Presidente relatore Dott. Ferro Massimo.

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:
1. (OMISSIS) impugna la sentenza App. Brescia 25/05/2018, n. 893/2018, in R.G. n. 284/2016, rep. 801/2018, che riformava parzialmente la sentenza del Tribunale di Brescia n. 2578 del 04.09.2015 la quale, nel respingere la sua domanda di accertamento della societa’ di fatto fra lo stesso (OMISSIS) e Massimiliano (OMISSIS), accertava un residuo credito dell’attore (e nei confronti di (OMISSIS)) per soli Euro 6.499,98, pari alla differenza tra le rispettive poste attive reciprocamente avanzate in giudizio; il giudice d’appello, adito da (OMISSIS) e con l’attuale ricorrente a sua volta appellante in via incidentale, riconosceva invece il credito di (OMISSIS) in 89.969,47 Euro e il credito di (OMISSIS) in 51.060,00 Euro e, operatane la compensazione, condannava (OMISSIS) a pagare a (OMISSIS) la somma di 38.909,47 Euro, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo;
2. la corte ha premesso che: a) l’attore (OMISSIS) aveva chiesto accertarsi che, nel 2006, con (OMISSIS) aveva convenuto di “intraprendere insieme una attivita’ d’impresa”, costituendo a tale scopo dapprima una societa’ ( (OMISSIS) s.r.l. di (OMISSIS)) formalmente riferibile al solo (OMISSIS) ed esercente carpenteria metallica, con divisione dei compiti rispettivamente operativi in capo a (OMISSIS) e amministrativi in capo a (OMISSIS); b) (OMISSIS) riferiva nel frattempo di aver assunto spese in proprio per l’impresa comune fino al 2009, quando, intendendo (OMISSIS) procedere individualmente ed essendo dunque insorta la necessita’ di regolare una liquidazione, vi era controversia tra le parti sull’ammontare del dovuto, chiedendo l’attore, oltre ad un importo di 60.000 Euro gia’ concordati a tale titolo, anche corrispettivi per 30.900 Euro per attivita’ di consulenza; c) per il tribunale, l’attivita’ di (OMISSIS) non era stata svolta uti socius, bensi’ alla stregua di collaboratore esterno, rientrando le varie prestazioni nell’incarico di gestione affidatogli dall’impresa, riconducibile al solo (OMISSIS) e, verificato un prelievo ingiustificato da parte di (OMISSIS) sul conto su cui poteva operare, liquidava all’attore la citata differenza rispetto al maggior compenso riconosciuto per la mera collaborazione;
3. la corte ha cosi’ ritenuto che: a) non si poteva ravvisare una societa’ fra le due parti, difettando la necessaria partecipazione di tutti all’esercizio dell’attivita’ in vista di un risultato unitario, secondo le regole dell’ordinamento interno, con conferimenti diretti a costituire un patrimonio comune; b) tale prova non era nel nome (OMISSIS) s.r.l., posto che, al di la’ degli acronimi riuniti, l’impresa operava in forma individuale; c) i testi avevano riferito di operare insieme e al pari di (OMISSIS) come collaboratori esterni della ditta individuale; d) canoni di locazione, bollette, tasse venivano pagate con denaro proveniente dal conto dell’impresa e solo movimentato da (OMISSIS), mentre la fidejussione era stata prestata senza rinuncia al diritto di regresso; e) conseguentemente non sussistevano i presupposti per il riconoscimento degli utili, come chiesto in appello incidentale da (OMISSIS);
4. riunendo l’esame di altro motivo dell’appello incidentale e dell’appello principale la sentenza ha inoltre ritenuto che: f) era sostanzialmente non contestato il credito di (OMISSIS) per le fatture emesse, salvo una somma a deconto incassata in assegno, cosi’ diminuendo il dovuto a Euro 28.560; g) quanto ai prelievi dal conto corrente della s.r.l., effettuati da (OMISSIS) sia a propria firma sia con quella di (OMISSIS), non risultavano adeguate o credibili giustificazioni, derivandone l’obbligo di restituzione per 89.969,47 Euro, mentre si potevano ad essi contrapporre solo crediti di (OMISSIS) per il versamento iniziale sul conto per 22.500 Euro, di contro ad altre asserite spese in realta’ non provate, per cui l’appello incidentale andata accolto per tale limitata somma;
5. il ricorso e’ su tre motivi e ad esso resiste con controricorso (OMISSIS); con il ricorso si deduce: a) (primo motivo) violazione dell’articolo 2697 c.c. e articolo 116 c.p.c., per errata valutazione delle risultanze della prova testimoniale volta a provare l’esistenza di una societa’ di fatto, emergendo in modo non equivoco non solo la volonta’ di (OMISSIS) e (OMISSIS) di costituire una societa’, ma altresi’ la costituzione della stessa per fatti concludenti, considerati gli apporti dei soci e la suddivisione dei ruoli; b) (secondo motivo) violazione dell’articolo 2697 c.c. – articolo 116 c.p.c. per errata valutazione delle risultanze della prova documentale, avendo il giudice d’appello omesso di considerare che le fatture emesse dalla ditta individuale (OMISSIS) corrispondevano ad attivita’ effettuata non dal (OMISSIS) quale socio di (OMISSIS) (che a tale diverso titolo rivendicava la quota di utili e per altre prestazioni), bensi’ in esecuzione di “Assistenza Vs clienti”, come recava testualmente l’oggetto di tutte i documenti; c) (terzo motivo) violazione dell’articolo 2247 c.c., avendo erroneamente la sentenza escluso che la societa’ di fatto potesse essere riconosciuta in presenza di elementi presuntivi idonei a concorrere al raggiungimento della prova degli elementi costitutivi del sodalizio; il ricorrente ha altresi’ depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:
1. i motivi vanno trattati unitariamente, per l’intima connessione e sono inammissibili; costituisce consolidato orientamento della Corte di cassazione il limite alla invocazione, nella sede di legittimita’, di un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso meramente difforme da quello preteso dalla parte, ove una motivazione sia stata comunque esplicitata e sia ravvisabile come tale, ancorche’ non condivisa, non spettando al giudice di legittimita’ il potere di valutare e riesaminare il merito della causa, trattandosi di attivita’ istituzionalmente riservata al giudice di merito, all’esito di una valutazione degli elementi probatori; cosi’ “e’ inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realta’, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito” (Cass. s. u. 34476/2019);
2. neppure sotto il profilo della violazione dell’articolo 2697 c.c. puo’ essere invocata una lettura delle risultanze probatorie difforme da quella operata dalla corte territoriale, poiche’ “una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. non puo’ porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione” (Cass. 1229/2019) e di tale censura, la sola ammissibile, non v’e’ traccia, nemmeno in prospettazione del ricorso;
3. con la riforma del n. 5 dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, inoltre, “la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimita’, per cui l’anomalia motivazionale che puo’ essere eccepita, e’ solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in se’, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. s.u. 8053/2014);
4. e’ vero poi che, per costante indirizzo, “la esistenza di una qualunque societa’, semplice, di persone, di capitali, regolare, irregolare, e quindi anche di una societa’ di fatto, richiede il concorso di un elemento oggettivo, rappresentato dal conferimento di beni o servizi, con la formazione di un fondo comune, e di un elemento soggettivo, costituito dalla comune intenzione dei contraenti di vincolarsi e di collaborare per conseguire risultati patrimoniali comuni nell’esercizio collettivo di un’attivita’ imprenditoriale. Tale comune intenzione costituisce il contratto sociale, senza del quale la societa’, qualsiasi societa’, non puo’ esistere. Quel che caratterizza la societa’ di fatto, e la differenzia dalla societa’ irregolare, non e’ dunque la mancanza del contratto sociale, ma il modo in cui questo si manifesta e si esteriorizza; esso infatti puo’ essere stipulato anche tacitamente, e risultare da manifestazioni esteriori dell’attivita’ di gruppo, quando esse, per la loro sintomaticita’ e concludenza, evidenzino l’esistenza della societa’” (Cass. 1961/2000, 4089/2001,4588/2010); ma cio’ che il giudice di merito nella vicenda ha escluso e’ proprio la concludenza ex articolo 2247 c.c. dei pur plurimi indizi connotativi di una forma di collaborazione economica tra le parti, non cosi’ univoci da evidenziare la esistenza della societa’; ed invero ognuno di essi, letto in coordinamento logico-temporale con gli altri, ha posto in luce significati diversi o ambigui o addirittura inconciliabili con un’iniziativa che non parrebbe essersi inoltrata oltre la mera progettazione di un sodalizio, senza in realta’ realizzarlo in alcuno dei termini organizzativi stabili pur ipotizzati; e per i quali le forme aggregative inizialmente prescelte tra cui l’utilizzo di un’impresa individuale, cui collaboravano il ricorrente ed altri soggetti – non sono state dal giudice di merito ritenute essersi mutate in senso evolutivo per i rapporti intrattenuti dai soggetti nel corso del triennio 2006-2009, fino alla cessazione della volonta’ di collaborazione tout court; non sono sufficienti, infatti, condotte cooperative e sostegno economico per singole operazioni pur collegate, occorrendo, al contratto di societa’, quella convergente assunzione del rischio per la medesima impresa che dia conto della destinatarieta’ inequivoca degli apporti dei singoli (siano essi di lavoro o finanziari o patrimoniali) ad unico, ma distinto, rischio, qualificante l’attivita’ economica e condiviso secondo regole che ne disciplinino senza equivocita’ la messa a fattor comune;
il ricorso e’ dunque inammissibile; ne consegue, oltre alla condanna alle spese regolata secondo il principio della soccombenza e liquidazione come meglio da dispositivo, la dichiarazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimita’, liquidate in Euro 6.100 (di cui Euro 100 per esborsi), oltre al rimborso in via forfettaria nella misura del 15% e agli accessori di legge; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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