Corte di Cassazione, penale, Sentenza|9 aprile 2021| n. 13439.
L’elusione dell’esecuzione di un provvedimento del giudice civile che riguardi l’affidamento di minori non può concretarsi in un comportamento di mancato esercizio di un diritto (nella specie, omessa presentazione, da parte del padre, agli incontri col figlio minore nei giorni stabiliti dal giudice civile), trattandosi di condotta inidonea a determinare la lesione delle legittime pretese altrui a tutela delle quali è prevista la fattispecie incriminatrice di cui all’art.388 cod.pen.
Sentenza|9 aprile 2021| n. 13439
Data udienza 28 gennaio 2021
Integrale
Tag – parola chiave: REATI CONTRO LA FAMIGLIA – DELITTI CONTRO L’ASSISTENZA FAMILIARE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRICCHETTI Renato – Presidente
Dott. VILLONI Orlando – Consigliere
Dott. GIORDANO Emilia A – rel. Consigliere
Dott. APRILE Ercole – Consigliere
Dott. AMOROSO Riccardo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 22/11/2019 della Corte di appello di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Emilia Anna Giordano;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Senatore Vincenzo, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio in relazione al primo motivo di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Bari ha confermato la condanna di (OMISSIS) alla pena di mesi cinque di reclusione, in relazione ai reati di cui alla L. 8 febbraio 2006, n. 54, articolo 3 e articolo 388 c.p., comma 2.
All’imputato era contestato (richiamando l’articolo 570 c.p., comma 1 e comma 2, n. 2) l’omesso versamento al coniuge separato, (OMISSIS), e al figlio minore, la somma di Euro trecento stabilita dal Tribunale di Bari in sede di omologa della separazione nonche’ il reato di elusione del diritto di visita in favore del figlio, in alcuni giorni della settimana, condotte commesse dal febbraio 2012, in permanenza.
2.Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione il ricorrente denuncia:
2.1. erronea applicazione della legge penale sostanziale, con riferimento all’articolo 388 c.p., comma 2, e cumulativi vizi di motivazione sul punto. Sostiene il ricorrente che il diritto-dovere di cura della prole preesiste e sussiste indipendentemente dall’intervento di una pronuncia giurisdizionale che non puo’ concretarsi nel mancato esercizio di un diritto trattandosi di condotta inidonea a determinare la “frustrazione delle legittime pretese altrui.
2.2. Erronea applicazione dell’articolo 570-bis c.p. e cumulativi vizi di motivazione. A fronte della qualificazione del fatto operata gia’ in primo grado – erronea, peraltro, era anche la individuazione della persona offesa nella ex coniuge risultante dalla originaria contestazione non e’ configurabile la volonta’ dell’imputato di sottrarsi agli oneri impostigli con la pronuncia di omologazione trattandosi di omissione alla quale aveva dato luogo ben prima di detta pronuncia. La condotta ascritta all’imputato va, pertanto, ricondotta alla violazione dell’articolo 570 c.p. sicche’ e’ irragionevole la scelta di sdoppiare la condotta in quella di cui alla L. n. 54 del 2006, articolo 3 e all’articolo 388 c.p., comma 2, potendo, al piu’, ritenersi sussistente la condotta di cui al n. 2 dell’articolo 570 c.p., comma 2, n. 2.
2.3. violazione di legge e vizio di motivazione per il diniego di applicazione delle circostanze attenuanti generiche e la determinazione del trattamento sanzionatorio in contrasto con la funzione dell’articolo 62-bis c.p. che e’ proprio quella di poter giungere al contenimento del trattamento sanzionatorio in ragione della peculiarita’ delle circostanze del caso concreto, nel caso valorizzando la sostanziale ammissione degli addebiti da parte dell’imputato e il mutamento dello stile di vita dell’imputato, anche nei rapporti con il figlio.
3. Il ricorso e’ stato trattato con conclusioni scritte, a norma del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, convertito, con modificazioni, in L. 18 dicembre 2020, n. 176.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. E’ fondato il primo motivo di ricorso con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata, in riferimento al reato di cui all’articolo 388 c.p., comma 2, perche’ il fatto non sussiste.
Il ricorso, nel resto, deve essere rigettato e, ferma la dichiarazione di irrevocabilita’ della sentenza in relazione al reato di cui all’articolo 570-bis c.p., va disposta la trasmissione degli atti alla Corte di appello per la rideterrninazione del trattamento sanzionatorio.
La Corte di appello di Bari ha confermato la condanna per il reato di cui all’articolo 388 c.p., comma 2 ritenendo accertato, sulla scorta delle dichiarazioni rese da (OMISSIS), che l’imputato aveva omesso di presentarsi agli incontri con il figlio minore pur avendo il giudice civile, in sede di separazione, disposto che dovesse incontrarlo il mercoledi’, il venerdi’ e la domenica a settimane alterne. La difesa ha correttamente contestato che il fatto, come accertato, sia sussumibile nella fattispecie incriminatrice richiamando un precedente di questa Corte a stregua del quale l’elusione dell’esecuzione di un provvedimento del giudice civile che riguardi l’affidamento di minori non puo’ concretarsi in un comportamento di mancato esercizio di un diritto, trattandosi di condotta inidonea a determinare la “frustrazione” delle legittime pretese altrui (Sez.6, Sentenza n. 47287 del 12/11/2015, F., Rv. 265353). Tale conclusione e’ senz’altro da condividere perche’ in linea con la ricostruzione dell’interesse protetto dalla fattispecie incriminatrice in esame, individuato, fin dalla risalente decisione a Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 36692 del 27/09/2007, Vuocolo, Rv. 236937) non nell’autorita’ in se’ delle decisioni giurisdizionali, bensi’ nell’esigenza costituzionale di effettivita’ della giurisdizione in quelle situazioni nelle quali la natura personale delle prestazioni imposte escludano che l’esecuzione possa prescindere dal contributo dell’obbligato poiche’, in tal caso, l’inadempimento dell’obbligato contraddice di per se’ la decisione giudiziale e ne pregiudica la eseguibilita’. La tutela penale e’, dunque, accordata in una situazione opposta a quella addebitata all’odierno ricorrente quando, cioe’, siano state frustrati i diritti derivanti, a suo favore, dal provvedimento giurisdizionale e non nell’ipotesi in cui, come nel caso in esame, il soggetto a cui favore e’ posto il diritto di visita non ha mai inteso esercitarlo.
2.Non e’ fondato il secondo motivo di ricorso, peraltro di difficile ricostruzione.
Premesso che effettivamente nell’omologa di separazione non si fa alcun riferimento al versamento di un assegno in favore della ex coniuge e che gia’, in tal senso, il giudice di primo grado aveva escluso la fondatezza della contestazione e che l’inadempimento dell’imputato perdurava anche al momento della escussione della persona offesa in dibattimento (tranne sporadiche e limitate contribuzioni), la sentenza impugnata ha dato atto che il reato, gia’ sussunto nella sentenza di primo grado nella fattispecie di cui alla L. 8 febbraio 2006, n. 54, articolo 3, va oggi inquadrato in quello dell’articolo 570-bis c.p..
Corretto e’ il riferimento della sentenza impugnata alla giurisprudenza di questa Corte che ha precisato, con riferimento ai fatti commessi prima della entrata in vigore del Decreto Legislativo 1 marzo 2018, n. 21, che vi e’ continuita’ normativa tra la fattispecie prevista dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, articolo 3 e quella prevista dall’articolo 570-bis c.p. (Sez. 6, Sentenza n. 55744 del 24/10/2018, G., Rv. 274943). La giurisprudenza successiva ha anche confermato gli elementi strutturali del reato in esame nel senso che la condotta del reato e’ integrata non dalla mancata prestazione di mezzi di sussistenza, ma dalla mancata corresponsione delle somme stabilite in sede civile, cosicche’ l’inadempimento costituisce di per se’ oggetto del precetto penalmente rilevante, non essendo consentito al soggetto obbligato operarne una riduzione e non essendo necessario verificare se per tale via si sia prodotta o meno la mancanza di mezzi di sussistenza (Sez. 6, Sentenza n. 4677 del 19/01/2021, M., Rv. 280396).
La Corte di merito, sulla scorta delle dichiarazioni rese dalla ex moglie dell’imputato – del tutto genericamente contrastate con il ricorso – ha ricostruito l’inadempimento economico da parte dell’imputato ed ha rilevato che lo stesso imputato, nel corso delle dichiarazioni spontanee, aveva confermato di non avere corrisposto quanto si era impegnato, con l’omologa, a versa per il mantenimento del figlio richiamando le difficolta’ economiche che ne avevano contrassegnato l’attivita’ lavorativa e la fiducia che egli riponeva nella capacita’ economica di far fronte ai bisogni del figlio. La Corte di merito ha, dunque, incentrato la motivazione della condanna sul mancato assolvimento dell’obbligo di mantenimento del figlio da parte dell’imputato – inadempimento protrattosi fino alla escussione in dibattimento della (OMISSIS) – ed ha precisando che l’imputato, anche in costanza di matrimonio, si era disinteressato del figlio e non aveva mai costruito con il bambino un rapporto affettivo.
Tale ricostruzione non puo’ essere piegata – secondo l’operazione ricostruttiva proposta nel ricorso – nel senso di escludere la volonta’ dell’imputato di sottrarsi all’adempimento degli obblighi economici impostigli con la omologa della separazione visto che la condotta omissiva era iniziata ben prima della separazione ne’ tale condotta, come accertata, puo’ essere sussunta – secondo le conclusioni della difesa – nell’ipotesi di cui all’articolo 570 c.p., comma 1, alla quale rinvia quoad poenam l’articolo 570-bis c.p., tenuto conto che il contenuto del rapporto dell’imputato con il figlio e’ rimasto indeterminato e, comunque, non e’ stata accertata la incidenza sul rapporto con il minore e la idoneita’ a mettere in pericolo il pieno ed equilibrato sviluppo della personalita’ del questi. Il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare di cui all’articolo 570 c.p., comma 1, non e’ integrato dai comportamenti omissivi contrassegnati da minimo disvalore o espressivi di mere disfunzioni dei rapporti intra-familiari, ma soltanto dalle condotte che, attraverso la sostanziale dismissione delle funzioni genitoriali, pongano seriamente in pericolo il pieno ed equilibrato sviluppo della personalita’ del minore (Sez. 6, Sentenza n. 51488 del 24/10/2013, M., Rv. 257392). Dalla sentenza impugnata non emergono elementi per una ricostruzione dei rapporti genitore-figlio dandosi atto semplicemente che l’imputato si era separato, di fatto dalla moglie ben prima dell’omologa della separazione e un mese dopo la nascita del bambino e della mancata ottemperanza al diritto di visita del genitore.
3.Manifestamente infondato e’ il motivo di ricorso che concerne la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche che, in una materia rimessa alla discrezionalita’ del giudice di merito, la Corte di appello ha motivato con argomentazioni che si sottraggono a rilievi in sede di legittimita’ ritenendo subvalenti, rispetto alla gravita’ del fatto per la sua protrazione nel tempo e l’intensita’ del dolo, gli elementi allegati dalla difesa (il parziale versamento di quanto pattuito; gli incontri sia pure sporadici tra padre e figlio) oltre che il contegno processuale tenuto, ritenuto non meritevole di considerazione e, infine, richiamando i precedenti penali che gravano l’imputato. Si tratta di argomentazioni affatto apparenti e, soprattutto, complete, con riguardo ai parametri di cui all’articolo 133 c.p. perche’ incentrate non solo sulla condotta ma anche sulla personalita’ dell’imputato.
4. Il Tribunale, individuata la pena base per il piu’ grave reato di cui al capo b) (articolo 388 c.p.) in mesi quattro di reclusione ha poi aumentato la pena, per effetto della continuazione, a mesi cinque di reclusione: dall’annullamento consegue, dunque la necessita’ di procedere, alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio per il reato, come ritenuto, di cui al capo A) per il quale, ai sensi dell’articolo 624 c.p.p., comma 2, va dichiarata irrevocabile l’affermazione di responsabilita’ dell’imputato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio con riguardo al capo B) perche’ il fatto non sussiste. Annulla la medesima, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Bari. Rigetta nel resto il ricorso. Dichiara, ai sensi dell’articolo 624 c.p.p., comma 2, irrevocabile l’affermazione di responsabilita’ dell’imputato.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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