Legittimità dell’atto amministrativo nel processo di impugnazioni

Consiglio di Stato, Sentenza|28 settembre 2021| n. 6517.

Legittimità dell’atto amministrativo nel processo di impugnazioni.

La legittimità dell’atto amministrativo nell’ambito del processo di impugnazione va accertata sulla base dello stato di fatto esistente e delle norme di diritto vigenti nel momento in cui esso fu emanato, in base al principio tempus regit actum.

Sentenza|28 settembre 2021| n. 6517. Legittimità dell’atto amministrativo nel processo di impugnazioni

Data udienza 16 settembre 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Rifiuti solidi urbani – Gestione – Complesso integrato di impianti – Carenze tecniche e di gestione – Dissequestro – Diniego dell’autorizzazione – Impugnazione – Legittimità dell’atto amministrativo – Accertamento – Legittimità dell’atto amministrativo nel processo di impugnazioni

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1050 del 2018, proposto dalla società -OMISSIS- S.p.a. in proprio e quale incorporante la -OMISSIS- S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Be. Gi. Ca. ed En. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. in Roma, via (…);
contro
la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’interno ed il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
il Delegato al coordinamento della protezione civile presso la Presidenza del Consiglio – Uta – Missione gestione contenzioso e situazione creditoria e debitoria pregressa ex O.P.C.M. 3686/08; il Responsabile unico del procedimento ed il Responsabile tecnico del Commissario di Governo, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Lazio, sede di Roma, sez. I, -OMISSIS-, che ha respinto il ricorso n. -OMISSIS-R.G. proposto per l’annullamento dei seguenti atti del Commissario del Governo per l’emergenza rifiuti nella Regione Campania delegato ai sensi dell’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 febbraio 2004 n. 3341:
a) del provvedimento 22 febbraio 2005, prot. n. 433 CD-Rif/Gab, comunicato via fax lo stesso giorno, di diniego alla richiesta di autorizzazione all’additivazione del combustibile derivato dai rifiuti – CDR ricavato dagli impianti di pertinenza con rifiuti speciali non pericolosi assimilabili agli urbani avanzata dalla -OMISSIS- S.p.a. e dalla -OMISSIS-S.p.a. quali affidatarie del servizio smaltimento rifiuti nella Regione Campania;
b) della nota 31 dicembre 2004 prot. n. 17421/Cd Rif.,
c) della nota 17 gennaio 2005 prot. n. 840/Cd/Rif;
d) della nota 22 febbraio 2005 prot. 431 CD-Rif/Gab;
e di ogni altro atto ovvero provvedimento preordinato, connesso e conseguenziale;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 settembre 2021 il Cons. Francesco Gambato Spisani e viste le istanze di passaggio in decisione depositate dagli avvocati Gi. Be. Ca. ed En. Ma. e dall’avvocato dello Stato Da. Gi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Legittimità dell’atto amministrativo nel processo di impugnazioni

FATTO e DIRITTO

1. La vicenda per la quale è processo si inserisce nel quadro della situazione di emergenza che, per fatto notorio, ebbe ad interessare la gestione dei rifiuti solidi urbani- RSU nella regione Campania a partire dall’anno 2000 e per alcuni anni a seguire.
2. A questa situazione di emergenza, per quanto qui interessa, si ritenne di porre rimedio con l’affidamento ad un consorzio di imprese dell’incarico di realizzare e gestire un complesso integrato di sette impianti che, nelle province di Napoli, Benevento, Salerno, Avellino e Caserta avrebbero dovuto produrre combustibile derivato dai rifiuti – CDR, attualmente denominato combustibile solido secondario- CSS e all’epoca noto con il termine “ecoballe”- e utilizzarlo come termovalorizzatori, ovvero bruciarlo per produrre energia elettrica, il tutto come da contratti 7 giugno 2000 rep. n. 11503 e 5 settembre 2001 rep. n. 52 dell’Ufficiale rogante assegnato agli uffici del Commissario straordinario nominato dalla Presidenza del Consiglio per far fronte all’emergenza (doc. ti 5 e 6 in primo grado dell’amministrazione, contratti citati).
3. Le ricorrenti -OMISSIS- e -OMISSIS-sono appunto le società di progetto create ai sensi dell’art. 3 di questi contratti per subentrare all’originario raggruppamento contraente e gestire gli impianti, li hanno concretamente realizzati e li hanno messi in esercizio previa autorizzazione ai sensi delle norme al tempo vigenti, ovvero degli artt. 27 e 28 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, così come imposto dall’art. 26 dei contratti stessi (documenti 5 e 6 in primo grado dell’amministrazione, cit.).

 

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4. Per ragioni che in questa sede non rilevano, il CDR prodotto da questi impianti presentava una percentuale di umidità superiore a quella prevista dalla normativa all’epoca vigente, ovvero dal D.M. 5 febbraio 1998; di conseguenza, risultava di basso potere calorifico, e quindi di corrispondente basso valore economico (v. sentenza di primo grado p. 4; il fatto è incontestato).
5. Di conseguenza, la -OMISSIS-, con nota 23 gennaio 2003, ha chiesto al Commissario straordinario l’autorizzazione ad additivare questo CDR con rifiuti speciali non pericolosi assimilabili agli urbani, ovvero in concreto ad aggiungere alla miscela di rifiuti utilizzata per produrlo un certo quantitativo di pneumatici fuori uso, notoriamente infiammabili, che in ipotesi avrebbero consentito di incrementarne il potere calorifico nella misura voluta (doc. 10 in primo grado delle appellanti, istanza, p. 81 del file relativo).
6. Il processo di additivazione di cui si è detto all’epoca dei fatti era disciplinato dalle norme di cui subito si dà conto.
6.1 Il combustibile derivato da rifiuti era definito in generale dall’art. 6 comma 1 lettera p) del d.lgs. 22/1997 come “il combustibile ricavato dai rifiuti urbani mediante trattamento finalizzato all’eliminazione delle sostanze pericolose per la combustione ed a garantire un adeguato potere calorico, e che possieda caratteristiche specificate con apposite norme tecniche”.
6.2 Le norme tecniche in questione erano poi contenute nel D.M. 5 febbraio 1998 già citato, secondo il quale la produzione ed il successivo utilizzo del CDR costituivano “recupero energetico” dei rifiuti, per produrre calore ed energia elettrica, così come previsto dall’art. 4 e dall’allegato 2 del decreto.
6.3 Sul punto specifico della composizione del CDR, disponeva poi l’allegato 1 punto 14.1.2 del decreto citato, per cui per produrlo si potevano utilizzare “i rifiuti solidi urbani ed assimilati dopo separazione delle frazioni destinate a recupero di materia attuata mediante raccolta differenziata”, con la precisazione che “nella produzione di combustibile derivato da rifiuti (CDR) è ammesso per una percentuale massima del 50% in peso l’impiego di rifiuti dichiarati assimilati agli effetti di tale recupero costituiti da… pneumatici fuori uso”.
Poiché i pneumatici fuori uso non sono propriamente RSU, si comprende l’uso del termine “additivazione” per descrivere il passaggio da una produzione di CDR esclusivamente composto da RSU a una produzione di CDR composto anche dai pneumatici in questione.
6.4 Nello specifico, questa possibilità era prevista sia all’art. 29 di ciascuno dei contratti di cui si è detto (doc ti 5 e 6 in primo grado dell’amministrazione, cit.) sia all’art. 27 del capitolato d’oneri relativi al servizio (doc. 18 in primo grado dell’amministrazione), che permettevano in modo esplicito di produrre il CDR anche facendo uso di rifiuti di altro tipo rispetto ai RSU, nei limiti previsti dalla legge.

 

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7. Con successiva nota 29 dicembre 2004, la stessa -OMISSIS- ha comunicato al Commissario di avere adeguato in tal senso i propri impianti, e di essere pronta a cominciare la relativa produzione il successivo 1° gennaio, utilizzando pneumatici fuori uso forniti da una società del settore, certa Ecorec (doc. 25 in primo grado delle appellanti, p. 159 del file relativo).
8. Con la nota 31 dicembre 2004, prot. 17421, indicata in epigrafe (doc. 26 in primo grado delle appellanti, p. 162 del file relativo), il Commissario ha peraltro comunicato loro di ritenere necessario per iniziare l’attività “il dovuto iter autorizzativo”.
9. Successivamente, con la nota 17 gennaio 2005, prot. n. 840, pure indicata in epigrafe, il Commissario ha dato atto che l’autorizzazione ritenuta necessaria appunto non esisteva (doc. 3 in primo grado dell’amministrazione).
10. Con l’atto 22 febbraio 2005, prot. n. 433, in risposta ad una diffida in tal senso delle appellanti, il Commissario ha poi dichiarato di “non poter accogliere” la domanda di autorizzazione, “stante il provvedimento cautelare dell’A.G. sugli impianti di CRD gestiti da codesta società ” (doc. 2 in primo grado dell’amministrazione).
11. Parallelamente, con la nota 22 febbraio 2005, prot. n. 431, il Commissario ha ricordato alle società la necessità di attenersi rigorosamente a quanto imposto dall’Autorità giudiziaria nei provvedimenti citati (doc. 4 in primo grado dell’amministrazione).
12. Era accaduto che il GIP presso il Tribunale di Napoli, con decreto 12 maggio 2004 nel proc. pen. 15940/03 R.G.N.R., aveva disposto il sequestro preventivo di tutti gli impianti di produzione di CDR di cui si è detto, ravvisando una serie di ipotesi di reato nella relativa gestione (doc. 34 in primo grado dell’amministrazione, decreto di sequestro).
13. Successivamente, il Pubblico Ministero presso quello stesso Tribunale, con decreto 19 febbraio 2005 pronunciato su istanza del Commissario straordinario, ne aveva disposto il dissequestro per un periodo di 45 giorni con prescrizioni relative al loro esercizio. In sintesi, il decreto di dissequestro dava atto di quanto esposto nell’istanza di restituzione, e cioè che gli impianti in questione avrebbero presentato da lungo tempo una serie di carenze tecniche e di gestione, che non avevano consentito di raggiungere i livelli qualitativi imposti dalla legge e dal contratto sia nel CDR prodotto sia nella frazione organica stabile – FOS derivata dai rifiuti lavorati; dava poi atto della necessità di predisporre un piano di intervento per eliminare queste carenze; per quanto qui direttamente interessa disponeva infine “l’utilizzo degli impianti di CDR soltanto per le attività necessarie per la predisposizione del preventivato progetto, con esclusione delle attività di lavorazione degli RSU che continueranno ad essere conferiti presso gli impianti”, e quindi in sostanza il blocco della relativa produzione in attesa degli interventi di cui si è detto (doc. 35 in primo grado dell’amministrazione, decreto citato).

 

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14. Le società hanno impugnato il provvedimento di diniego 22 febbraio 2005 e testualmente le comunicazioni 31 dicembre 2004, 17 gennaio 2005 e 22 febbraio 2005 di cui si è detto, con ricorso al TAR Campania, Sede di Napoli, deducendo fra l’altro il contrasto di questi atti con un parere 10 febbraio 2005 del Ministero dell’Ambiente, che si sarebbe detto favorevole all’iniziativa (doc. 13 in primo grado dell’amministrazione).
15. Con sentenza della sez. I, -OMISSIS-, il TAR Campania, Sede di Napoli, si è dichiarato incompetente in favore della competenza funzionale del TAR Lazio, Sede di Roma.
16. Il successivo 30 settembre 2009 la -OMISSIS- ha incorporato la -OMISSIS-, divenendo quindi successore della stessa.
17. Ritualmente riassunta la causa, il TAR per il Lazio, Sede di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso, con la motivazione che ora si sintetizza.
17.1 In primo luogo, il TAR ha disposto istruttoria, richiedendo al Ministero dell’ambiente il deposito di una relazione per appurare “se, alla luce del quadro normativo di riferimento in materia di sicurezza ambientale, le affidatarie del servizio potevano essere autorizzate ad esercitare, presso gli impianti per la produzione di combustibile derivato da rifiuti (CDR), il processo di additivazione del CDR con i rifiuti solidi assimilabili agli urbani (RSAU), nella specie, “pneumatici fuori uso” (codice CER 160103)” (sentenza impugnata, pp. 8-9).
17.2 Sulla base della relazione depositata, il TAR ha poi respinto il ricorso nel merito, affermando che la -OMISSIS- non avrebbe potuto ottenere questa autorizzazione, asseritamente richiesta in procedura semplificata, la quale avrebbe richiesto che i Comuni conferitori dei rifiuti indifferenziati avessero in precedenza deliberato l’assimilazione ai rifiuti urbani dei pneumatici fuori uso. Ciò posto, il TAR ha concluso che “il diniego dell’autorizzazione, o meglio il mancato silenzio-assenso previsto in procedura semplificata… deve intendersi motivato dalla mancanza assoluta dei presupposti previsti dalla disciplina”, tenuto anche conto che, come si è detto, i pneumatici fuori uso sarebbero pervenuti non dal Comune, ma da una società specializzata nella loro raccolta (sentenza, p.14).

 

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18. Contro questa sentenza, la -OMISSIS- ha proposto impugnazione, con appello che contiene tre motivi, così come segue:
– con il primo di essi, deduce la violazione degli artt. 2, 3 e 19 c.p.a. Premesso che la sentenza impugnata ha motivato esclusivamente richiamandosi alla citata relazione del Ministero dell’ambiente, parte in causa, l’appellante sostiene che ciò rappresenterebbe una violazione dell’art. 19 c.p.a. citato: si tratterebbe di una verificazione affidata, in modo inammissibile, ad un soggetto non terzo; sostiene poi che comunque la relazione non sarebbe stata valutata in modo corretto, perché la sentenza non avrebbe considerato in alcun modo la relazione di parte, prodotta a difesa;
– con il secondo motivo, deduce la violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato e sostiene che la sentenza di primo grado avrebbe, nella sostanza, integrato a posteriori la motivazione dell’atto impugnato. Quest’ultimo sarebbe motivato esclusivamente con il richiamo al provvedimento dell’Autorità giudiziaria penale, ma si tratterebbe comunque di una motivazione erronea, perché per i reati oggetto del relativo procedimento sarebbe stata disposta l’assoluzione come da sentenza del Tribunale di Napoli, 1° febbraio 2014, n. 16316, prodotta in copia;
– con il terzo motivo, sostiene infine di avere chiesto l’autorizzazione con procedura ordinaria, e che nell’ambito di questa procedura essa sarebbe stata concedibile, a prescindere da qualsiasi delibera dei Comuni sul trattamento degli pneumatici fuori uso.
La parte appellante ha quindi riprodotto le conclusioni di cui al ricorso di primo grado ed ha chiesto l’annullamento dei “provvedimenti impugnati” e l’accertamento del proprio diritto ad ottenere l’autorizzazione all’additivazione del CDR.
19. Hanno resistito le amministrazioni intimate, con memoria 23 marzo 2018, ed hanno chiesto che l’appello sia respinto.

 

Legittimità dell’atto amministrativo nel processo di impugnazioni

20. Con memoria 21 giugno e replica 21 luglio 2021 per le amministrazioni e con memoria 16 luglio 2021 per la società, le parti hanno ribadito le rispettive posizioni.
20.1 In particolare, nella memoria 21 giugno 2021, l’amministrazione ha eccepito l’inammissibilità della domanda di accertamento del diritto ad ottenere l’autorizzazione, in quanto – per effetto dei provvedimenti legislativi emanati successivamente ai fatti di causa per porre fine all’emergenza – dal 16 dicembre 2005 la -OMISSIS- non gestisce più alcun servizio e dal 31 dicembre 2009 sono cessate anche le funzioni del Commissario straordinario.
20.2 La società, nella memoria 16 luglio 2021, ha invece sostenuto in primo luogo che per effetto dell’assoluzione disposta in sede penale con la sentenza del Tribunale di Napoli di cui si tratta, passata in giudicato per effetto della sentenza di appello Corte d’appello di Napoli 19 luglio 2019, n. 3888, irrevocabile il successivo 17 ottobre, il provvedimento amministrativo impugnato si dovrebbe ritenere caducato in via automatica e retroattiva dal venir meno del sequestro disposto dalla sentenza penale citata. La società ha poi sostenuto che la sentenza di primo grado impugnata sarebbe ulteriormente errata per violazione dell’art. 654 c.p.p., avendo, in ipotesi, sostenuto fatti in contrasto con il giudicato penale.
21. Alla pubblica udienza del giorno 16 settembre 2021, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.
22. È infondata e va respinta l’eccezione preliminare dedotta dalla parte appellata, di inammissibilità -meglio detto di improcedibilità, perché viene collegata a circostanze sopravvenute- della domanda di accertamento del preteso diritto ad ottenere l’autorizzazione, nei termini che seguono.
22.1 In proposito, è necessario preliminarmente qualificare l’azione proposta con tale domanda di accertamento, ciò che spetta a questo Giudice come previsto in modo espresso dall’art. 32, comma 2, del c.p.a. in base ai relativi elementi sostanziali.
22.2 Sul punto, va allora chiarito che per la costante giurisprudenza un’azione di accertamento mero nel processo amministrativo è senz’altro ammissibile sulla base dell’art. 100 c.p.c., qualora risulti sorretta da un apprezzabile interesse: così in termini generali anzitutto C.d.S. A.P. 23 marzo 2011, n. 3, nonché sez. V, 27 novembre 2012, n. 6002, e più di recente sez. V, 1° dicembre 2020, n. 7624.

 

Legittimità dell’atto amministrativo nel processo di impugnazioni

Di questo principio, è espressione l’art. 34, comma 3, del c.p.a., per cui, “Quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”.
22.3 D’altro canto, per giurisprudenza del tutto pacifica, il principio di conservazione degli atti, espresso dall’art. 1367 c.c. in materia di contratti, per cui “nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno”, si applica anche agli atti processuali (così per tutte Cass., sez. trib., 23 gennaio 2019, n. 1787, e sez. II, 1° aprile 1997, n. 2842).
22.4 Applicando i principi appena delineati al caso concreto, si deve allora concludere che l’azione di accertamento mero proposta dalla parte appellante va interpretata come prodromica ad una futura azione di risarcimento, e come tale è sorretta da un interesse apprezzabile.
Si tratta dell’unico significato utile che essa potrebbe avere, considerato il dato, in sé indiscutibile, per cui come si è detto tanto il servizio affidato e le funzioni del Commissario sono ormai cessati. Come tale, quest’azione è astrattamente ammissibile, e non si può ritenere improcedibile, dato che essa sta e cade con la parallela azione di annullamento.
Essa però è infondata nel merito, come si dirà oltre.
23. L’appello è infatti infondato nel merito, per le ragioni ora esposte.
24. Va esaminato per primo il secondo motivo di appello proposto, che assume priorità logica, in quanto riguarda in modo specifico la motivazione contenuta nel provvedimento 22 febbraio 2005, prot. n. 433 CD-Rif/Gab, che, come va precisato per chiarezza, è l’unico degli atti impugnati ad avere autonomo carattere lesivo, nonostante l’appello chieda, alla lettera, l’annullamento dei “provvedimenti” impugnati.
Le note a loro volta indicate in epigrafe come impugnate sono infatti con tutta evidenza atti endoprocedimentali, che di carattere lesivo autonomo sono privi.
25. Il secondo motivo in questione è infondato.
25.1 Per principio giurisprudenziale del tutto costante e pacifico, la legittimità dell’atto amministrativo nell’ambito del processo di impugnazione va accertata sulla base dello stato di fatto esistente e delle norme di diritto vigenti nel momento in cui esso fu emanato, in base al principio tempus regit actum (così per tutte C.d.S., sez. II, 21 giugno 2021, n. 4759, e sez. IV, 21 agosto 2012, n. 4583).
25.2 In questi termini, è allora evidente che il provvedimento 22 febbraio 2005, prot. n. 430, di diniego dell’autorizzazione ad additivare il CDR (doc. 2 in primo grado dell’amministrazione, cit.) nel momento in cui fu pronunciato era del tutto legittimo sulla base della situazione di fatto e di diritto allora esistente. Come si è detto, gli impianti in quel momento erano interessati dal decreto di restituzione con prescrizioni del PM di Napoli, 19 febbraio 2005 (doc. 35 in primo grado, cit.), che ne aveva bloccato l’esercizio, prevedendo che vi si potesse svolgere solo l’attività di adeguamento da lui stesso ordinata.
25.3 La circostanza dedotta dalla parte appellante, per cui con la successiva sentenza del Tribunale di Napoli, 1° febbraio 2014, n. 16316, sarebbe stata disposta un’assoluzione per le ipotesi di reato contestate a fondamento del sequestro, evidentemente non rileva, perché si tratta appunto di una circostanza successiva, oltretutto di alcuni anni, all’atto impugnato.
La parte appellante afferma invece (memoria 16 luglio 2021) che questa sentenza avrebbe efficacia automatica in questo processo e avrebbe determinato una caducazione retroattiva altrettanto automatica del provvedimento impugnato, ma ciò non è sostenibile, in mancanza di una norma di legge in tal senso, perché, come si ripete, nel momento in cui fu emanato il diniego il provvedimento restrittivo, ovvero il dissequestro con prescrizioni, che nella sostanza manteneva il sequestro, esisteva ed era efficace.
26. La reiezione del secondo motivo di appello comporta l’improcedibilità dei motivi restanti, i quali riguardano una questione logicamente successiva, ovvero la possibilità astratta di accordare per quell’impianto l’autorizzazione ad additivare, sulla quale il provvedimento di diniego oltretutto non si esprime assolutamente, dato che in quel momento in concreto questa possibilità era preclusa.
27. Da quanto sopra, deriva innanzitutto la reiezione della domanda di annullamento del provvedimento impugnato; deriva poi anche la reiezione della domanda di accertamento mero come sopra qualificata, perché evidentemente, sulla base di quanto esposto, nel caso concreto il titolo per ottenere l’autorizzazione richiesta non sussisteva.
28. Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e si liquidano così come in dispositivo, tenuto conto ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, che la causa è di valore indeterminabile, ma va considerata di particolare importanza, e che le amministrazioni appellate hanno un unico patrocinio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 1050/2018), lo respinge.
Condanna la parte appellante a rifondere alla parte appellata le spese di questo grado di giudizio, spese che liquida in Euro 10.000 (diecimila/00), oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 settembre 2021 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere, Estensore
Alessandro Verrico – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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