Legittimari: azione di riduzione e di restituzione
ultimo aggiornamento 6 settembre 2020
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L’istituto della legittima, in quanto compressione della libertà del testatore di disporre dei suoi beni con atto di ultima volontà, trova la sua ratio nella esigenza di tradurre in dovere giuridico post mortem quello morale di mantenere i più stretti congiunti durante la vita terrena, ovvero, come tassativamente indicato dall’art. 536 c.c., il coniuge ed i figli[1].
Per una lontana sentenza della S.C.[2] nel sistema giuridico italiano, titolo primario ed assorbente della vocazione ereditaria è il testamento, considerato come suprema espressione della volontà umana; la successione legittima ha funzione suppletiva, ed interviene ove quella volontà manchi.
La successione necessaria ha funzione limitatrice e correttiva della volontà testamentaria, in quanto costituisce un argine al potere di disposizione mortis causa del testatore, ma non implica, di per se stessa, una investitura nella titolarità dei beni. Pertanto, il legittimario pretermesso non partecipa in nessun caso alla comunione ereditaria ed ha l’onere di agire in riduzione, se vuole conseguire i beni ad altri attribuiti nel testamento sia con istituzione di erede, sia con attribuzione di legati.
La quota di riserva
La legge fissa l’entità della quota (di cui non si può disporre a titolo di liberalità) di riserva distinguendo a seconda della persona dei legittimari, non avendo essi diritto sempre alla stessa quota.
Inoltre la legge si preoccupa anche di definire le quote in caso di concorso di più legittimari.
Questa quota, che corrisponde a una frazione aritmetica del patrimonio ereditario, è detta di riserva o legittima; mentre al resto del patrimonio ereditario, del quale il de cuius poteva liberamente disporre per atto di liberalità, si dà il nome di quota disponibile.
Le Sezioni Unite [3] con la pronuncia del 2006 hanno affermato che in tema di successione necessaria l’individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari ed ai singoli legittimari appartenenti alla medesima categoria deve essere effettuata sulla base della situazione esistente al momento dell’apertura della successione e non di quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento, per rinunzia o prescrizione, dell’azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari.
Successivamente la medesima Cassazione [4] ha affermato che, ai fini della determinazione della porzione disponibile e delle quote riservate ai legittimari, occorre avere riguardo alla massa costituita da tutti i beni che appartenevano al de cuius al momento della morte – al netto dei debiti – maggiorata del valore dei beni donati in vita dal defunto, senza che possa distinguersi tra donazioni anteriori o posteriori al sorgere del rapporto da cui deriva la qualità di legittimario.
Principio quest’ultimo ripreso anche da recente Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 7 marzo 2016, n. 4445
Particolarmente controverso è il tema della natura giuridica della successione dei legittimari.
In considerazione della collocazione della disciplina della riserva a favore dei legittimari nel Titolo dedicato alle «Disposizioni generali sulle successioni», era sorto il dubbio che essa costituisse un terzo tipo di successione, con carattere autonomo, accanto alla successione legittima e a quella testamentaria.
Probabilmente questa era la teoria originariamente seguita dai redattori del Codice civile, ma secondo la tesi attualmente prevalente in dottrina le norme sulla riserva determinano una vera e propria vocazione ereditaria dei soggetti i cui interessi intendono proteggere, e tale vocazione può essere compresa, insieme con quella intestata, in una più generale nozione di vocazione legale, giacché le rispettive discipline, per quanto differenti, si ispirano a criteri almeno in parte comuni.
I diritti di legittima e la tutela dei legittimari pretermessi
Secondo i principi generali, prima dell’apertura della successione, agli eventuali successibili non spetta alcun diritto, né come pretesa sull’eredità, né come aspettativa giuridica.
La possibilità di essere chiamato, in qualità di legittimario, alla successione mortis causa di altra persona ancora in vita non integra una situazione giuridica tutelabile in sé, né si risolve in una ragione di credito idonea a legittimare l’interferenza nella sfera giuridica dell’altro soggetto [5] (nel caso, esercitando un suo diritto, ad esso surrogandosi ex art. 2900 c.c.).
Nessuna modifica può derivare a tale principio da alcune recenti riforme legislative, che attribuiscono ai potenziali legittimari alcuni poteri e diritti anche prima della morte dell’eventuale dante causa: ci si riferisce alla nuova disciplina degli effetti della riduzione delle donazioni lesive della legittima[6] (art. 563 c.c.), e all’introduzione del patto di famiglia (artt. 768 bis[7] – 768 octies c.c.).
Queste figure, infatti, costituiscono eccezioni, che non permettono di modificare i principi generali.
La condizione di legittimario, dunque, assume rilevanza in ogni suo aspetto soltanto al momento dell’apertura della successione, poiché solo allora può evidenziarsi una lesione di legittima: di conseguenza, potrà aprirsi la successione necessaria, come effetto della dichiarazione di inefficacia, a seguito dell’esperimento dell’azione di riduzione [8], delle disposizioni testamentarie e/o delle donazioni lesive.
Perciò, la questione più dibattuta è quella relativa alla natura della posizione del legittimario leso o pretermesso, in quanto si discute se egli possa, o meno, essere considerato erede, e, nel caso di risposta positiva a questo primo quesito, in che momento egli acquisti la qualità di erede.
La giurisprudenza, comunque, aderisce, di massima, all’orientamento prevalente e ritiene che il legittimario pretermesso diventi erede dopo il positivo esperimento dell’azione di riduzione.
Questa impostazione è stata tuttavia rimessa in discussione da una decisione in cui la Cassazione [9] ha ritenuto che l’accoglimento della domanda di riduzione attribuisca al legittimario la posizione di chiamato all’eredità, con la conseguenza che egli potrà accettare o rinunziare nel termine di dieci anni dalla sentenza favorevole, dalla quale nasce per lui la delazione ereditaria.
Per ultima pronuncia della medesima Corte [10] i legittimari acquistano la qualità di eredi soltanto all’esito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, restando altrimenti estranei alla comunione ereditaria, assume che conseguentemente ai fini della determinazione della quota di riserva occorre fare riferimento soltanto a coloro che in concreto abbiano acquisito la qualità di erede, sia per testamento sia per effetto dell’utile esperimento dell’azione di riduzione.
Più in particolare è stato previsto [11] che il legittimario pretermesso acquista la qualità di chiamato alla eredità solo dal momento della sentenza che accoglie la sua domanda di riduzione rimuovendo l’efficacia preclusiva delle disposizioni testamentarie.
Da ultimo la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 30 maggio 2014, n. 12221
ribadendo che la totale pretermissione del legittimario si può avere sia nella successione testamentaria, sia nella successione ab intestato e per lo effetto il legittimario può dirsi pretermesso nella successione testamentaria quando il testatore ha disposto a titolo universale dell’intero asse a favore di altri, in tal caso, ai sensi dell’art. 457, secondo comma, cod. civ., il legittimario non è chiamato all’eredità fino a quando l’istituzione testamentaria di erede non venga ridotta nei suoi confronti. Nella successione ab intestato, la pretermissione si verifica qualora il de cuius si sia spogliato in vita dell’intero suo patrimonio con atti di donazione, sicché, stante l’assenza di beni relitti, il legittimario viene a trovarsi nella necessità di esperire l’azione di riduzione a tutela della situazione di diritto sostanziale che la legge gli riconosce. A ciò consegue che il legittimario pretermesso, sia nella successione testamentaria sia in quella ab intestato, il quale impugni per simulazione un atto compiuto dal de cuius a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di legittima, agisce in qualità di terzo e non in veste di erede, condizione che acquista, solo in conseguenza del positivo esercizio dell’azione di riduzione, e come tale non è tenuto alla preventiva accettazione dell’eredità con beneficio di inventario
Infine, con ultimo intervento il Legislatore, con la Legge 10 dicembre 2012 n. 219 – disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali, in merito alla successione dei figli naturali, ha determinato una modifica imponente, determinando per lo effetto la caducazione dell’atavica distinzione tra figli naturali e legittimi, in particolare come avremo modo di analizzare successivamente [12] abolendo il diritto di commutazione ex art. 537 c.c.
In altre parole sono state riscritte le norme sulla successione, in cui ai figli (nati fuori del matrimonio o al suo interno) è riservato lo stesso identico trattamento normativo.
Modifica legislativa che ha delegittimato (giustamente – a parere di chi scrive) anche l’intervento della Corte Costituzionale[13] secondo il quale venne dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 537, c. 3, c.c., nella parte in cui prevedeva che i figli legittimi avrebbero potuto soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli naturali che non vi si opponessero, in riferimento agli artt. 3 e 30, c. 3, Cost..
Con il decreto legislativo 154/2013 (in attuazione della delega contenuta all’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219)
è portata a compimento la più radicale modifica del diritto di famiglia successiva alla legge 19 maggio 1975, n. 151
LE VARIE CATEGORIE DEI LEGITTIMARI
art. 536 c.c. legittimari: le persone a favore delle quali la legge riserva (c.c.457, 549) una quota di eredità o altri diritti nella successione sono:
1) il coniuge,
2) i figli legittimi,
i figli naturali, (eliminazione avvenuta con il decreto legislativo del 12.7.13 recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219)
3) gli ascendenti legittimi, in assenza dei figli.
Ai figli legittimi sono equiparati i legittimati e gli adottivi (eliminazione avvenuta con il decreto legislativo 154/2013 recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219).
4) (eventualmente) A favore dei discendenti (c.c.77) dei figli legittimi o naturali (eliminazione avvenuta con il decreto legislativo154/2013 recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), i quali vengono alla successione in luogo di questi (467), la legge riserva gli stessi diritti che sono riservati ai figli legittimi o naturali.
A) Coniuge
art. 540 c.c. riserva a favore del coniuge: a favore del coniuge (c.c.459) è riservata la metà ½ del patrimonio dell’altro coniuge, salve le disposizioni dell’art. 542 per il caso di concorso con i figli.
Al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati 1) i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare (c.c.144), e 2) di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Tali diritti gravano sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli.
Coniuge e diritto di abitazione [14] [15]
Il legislatore ha inteso tutelare non tanto un interesse economico del coniuge superstite a disporre di un alloggio, quanto un interesse morale legato alla conservazione dei rapporti effettivi e di consuetudine con la casa familiare, oltre che al mantenimento del tenore di vita, delle relazioni sociali e degli status simbols goduti durante il matrimonio.
L’art. 540, comma II, c.c., dispone che al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti d’abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni[16].
In altre parole i diritti reali di abitazione e di uso dei mobili che l’arredano, riservati per legge, a titolo di legato, al coniuge superstite, hanno ad oggetto la casa coniugale, ossia quella che in concreto era adibita a residenza familiare, e non quella ove i coniugi, prima del decesso di uno di essi, avrebbero voluto fissare la residenza della famiglia (art. 144 c.c.) [17].
Il diritto di abitazione si estende sia a tutto ciò che concorre ad integrare la casa che ne è oggetto, sotto forma di accessorio o pertinenza (balconi, verande, giardino, rimessa etc.), giacché l’abitazione non è costituita soltanto dai vani abitabili, ma anche da tutto quanto ne rappresenta la parte accessoria, sia, in virtù del combinato disposto degli artt. 983 e 1026 c.c., alle accessioni (nella specie, nuova costruzione)[18].
Per ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 12 giugno 2014, n. 13407
il diritto reale di abitazione, riservato per legge al coniuge superstite (art. 540 cod. civ., comma 2), ha ad oggetto la casa coniugale, ossia l’immobile che in concreto era adibito a residenza familiare. Poiché, dunque, l’oggetto del diritto di abitazione mortis causa coincide con la casa adibita a residenza familiare, esso si identifica con l’immobile in cui i coniugi – secondo la loro determinazione convenzionale, assunta in base alle esigenze di entrambi- vivevano insieme stabilmente, organizzandovi la vita domestica del gruppo familiare. In caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare fa venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione dei diritti in parola. Se, infatti, per le ragioni esposte, il diritto di abitazione (e il correlato diritto d’uso sui mobili) in favore del coniuge superstite può avere ad oggetto esclusivamente l’immobile concretamente utilizzato prima della morte del “de cuius” come residenza familiare, è evidente che l’applicabilità della norma in esame è condizionata all’effettiva esistenza, al momento dell’apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare; evenienza che non ricorre allorché, a seguito della separazione personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi.
Ancora sul punto è tornata nuovamente la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 22 ottobre 2014, n. 22456
secondo la quale appunto il diritto reale di abitazione, riservato per legge al coniuge superstite…, ha ad aggetto la casa coniugale, ossia l’immobile che in concreto era adibito a residenza familiare” e “si identifica con l’immobile in cui i coniugi – secondo la loro determinazione convenzionale, assunta in base alle esigenze di entrambi – vivevano insieme stabilmente, organizzandovi la vita domestica del gruppo familiare”; che “le espressioni usate dall’art. 540, comma secondo… non lasciano al riguardo spazi a dubbi interpretativi”, riferendosi “alla casa che dai coniugi era stata adibita a residenza familiare (dove il concetto di residenza, di cui all’art. 43, comma secondo, c.c., richiama la effettività della dimora abituale nella causa coniugale)”; che “la ratio della suddetta disposizione è da rinvenire non tanto nella tutela dell’interesse economico del coniuge superstite di disporre di un alloggio, quanto dell’interesse morale legato alla conservazione dei rapporti affettivi e consuetudinari con la casa familiare”, quali “la conservazione della memoria del coniuge scomparso, delle relazioni sociali e degli status simbols goduti durante il matrimonio”; che “l’art. 548 primo comma c.c. equipara, quanto ai diritti successori attribuiti dalla legge, il coniuge separato senza addebito al coniuge non separato”, ma “in caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare [fa] venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione dei diritti in parola”, sicché “l’applicabilità della norma in esame è condizionata all’effettiva esistenza, al momento dell’apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare, evenienza che non ricorre allorché, a seguito della separazione personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi
Secondo la migliore dottrina[19] tali diritti rappresentano propriamente dei prelegati ex lege che l’art. 540, c.c. ha considerato come un’aggiunta alla quota di piena proprietà già riservata al coniuge.
Al legato in questione si è dato una funzione aggiuntiva non solo qualitativa (garantire al coniuge il godimento della casa familiare arredata), ma anche quantitativa.
Difatti, per la S.C.[20] si determina un incremento quantitativo della quota contemplata in favore del coniuge, in quanto i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la corredano (quindi, il loro valore capitale) si sommano alla quota riservata al coniuge in proprietà.
Posto che la norma stabilisce che i diritti di abitazione e di uso gravano, in primo luogo, la disponibile, ciò significa che, come prima operazione si deve calcolare la disponibile sul patrimonio relitto, ai sensi dell’art. 556 c.c. e, per conseguenza, determinare la quota di riserva.
Calcolata poi la quota del coniuge nella successione necessaria, in base a quanto stabiliscono gli artt. 540 comma primo, 542 e 543 comma primo, alla quota di riserva così ricavata si devono aggiungere i diritti di abitazione e di uso in concreto, il cui valore viene a gravare la disponibile.
Se la disponibile non è sufficiente, i diritti di abitazione e di uso gravano, anzitutto, sulla quota di riserva del coniuge, che viene ad essere diminuita della misura proporzionale a colmare l’incapienza della disponibile. Se neppure la quota di riserva del coniuge risulta sufficiente, i diritti di abitazione e di uso gravano sulla riserva dei figli o degli altri legittimari.
In altri termini solo se la disponibile non è sufficiente, i diritti in esame potranno gravare sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli.
Ne consegue che al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni, quale prelegato, che, in prededuzione, grava sulla porzione c.d. disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per la parte eccedente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli.
In tema, con ultima pronuncia sono intervenute le sezioni unite [21] stabilendo, nuovamente, e precisando che nella successione legittima spettano al coniuge del de cuius i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano previsti dall’articolo 540 secondo comma del codice civile; il valore capitale di tali diritti deve essere stralciato dall’asse ereditario per poi procedere alla divisione di quest’ultimo tra tutti i coeredi secondo le norme della successione legittima, non tenendo conto dell’attribuzione dei suddetti diritti secondo un meccanismo assimilabile al prelegato
È giusto evidenziare, anche, che ai diritti reali di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che l’arredano, attribuiti al coniuge superstite dall’art. 540 comma 2, c.c., non si applicano gli artt. 1021 e 1022 c.c. nella parte in cui limitano il diritto in relazione al fabbisogno del titolare[22].
Tali diritti si configurano, pertanto, come diritti esclusivi e non comprimibili del coniuge superstite, con la conseguenza che, così come non potrà trovare accoglimento la domanda di riconoscimento di un diritto di co-abitazione o di co-utilizzazione dei beni da parte di un coerede, al contrario dovrà essere accolta la domanda di esclusione dall’uso dei beni e dal diritto di abitazione della casa già residenza familiare, di un terzo, per quanto contitolare dell’immobile per diritto ereditario.
Il presupposto
Appartenenza della casa adibita a residenza familiare al de cuius o ad entrambi i coniugi.
Per la S.C.[23] il presupposto perché sorgano a favore del coniuge superstite i diritti di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la arredano è che la suddetta casa e il relativo arredamento siano di proprietà del de cuius o in comunione tra lui e il coniuge, con la conseguenza che deve negarsi la configurabilità dei suddetti diritti nell’ipotesi in cui la casa familiare sia in comunione tra il coniuge defunto ed un terzo.
Si è tuttavia posto il problema se la norma in questione si applichi anche nell’ipotesi di comproprietà con terzi della casa familiare.
A) teoria positiva [24]
1) sia per evitare limitazioni dei diritti del coniuge, peraltro non rispondenti allo spirito della legge
2) sia per impedire facili elusioni del diritto di aspettativa del coniuge stesso, quali potrebbero essere, ad es., le alienazioni in vita di piccole parti della proprietà dell’immobile a terzi.
B) teoria negativa [25], si basa sul fatto che –
1) nel caso di specie non si verificano i presupposti per la nascita del diritto di abitazione ed uso, non essendo realizzabile l’intento del legislatore di assicurare in concreto al coniuge il pieno godimento dei beni oggetto dei diritti stessi;
2) inoltre sul dato letterale della norma che richiede espressamente alla piena esclusiva proprietà in capo al defunto o ad entrambi i coniugi.
3) Per la Cassazione[26], nel caso in cui la residenza familiare del de cuius sia sita in un immobile in comproprietà, il diritto di abitazione del coniuge superstite trova limite ed attuazione in ragione della quota di proprietà del coniuge defunto, con la conseguenza che ove per l’indivisibilità dell’immobile non possa attuarsi il materiale distacco della porzione dell’immobile spettante e l’immobile stesso venga assegnato per intero ad altro condividente, deve farsi luogo all’attribuzione dell’equivalente monetario di quel diritto senza che — non ricorrendo l’ipotesi di legato di prestazione obbligatoria — possa verificarsi l’effetto estintivo per impossibilità della prestazione, previsto dal II comma dell’art. 673 c.c.
Natura giuridica
Trattandosi di legato ex lege l’acquisto è automatico e non si perde per rinunzia all’eredità.
In merito la Cassazione[27] ha, appunto, affermato che la titolarità del diritto di abitazione riconosciuto dall’art. 540, cpv., c.c. al coniuge superstite sulla casa adibita a residenza familiare, che, costituendo ex lege oggetto di un legato, viene acquisita immediatamente da detto coniuge, secondo la regola dei legati di specie (art. 649, secondo comma, c.c.), al momento dell’apertura della successione, ha necessario riferimento al diritto dominicale spettante sull’abitazione al de cuius.
Pertanto, nel caso in cui la residenza familiare del de cuius sia sita in un immobile in comproprietà, il diritto di abitazione del coniuge superstite trova limite ed attuazione in ragione della quota di proprietà del coniuge defunto, con la conseguenza che ove per l’indivisibilità dell’immobile non possa attuarsi il materiale distacco della porzione dell’immobile spettante e l’immobile stesso venga assegnato per intero ad altro condividente, deve farsi luogo all’attribuzione dell’equivalente monetario di quel diritto senza che — non ricorrendo l’ipotesi di legato di prestazione obbligatoria — possa verificarsi l’effetto estintivo per impossibilità della prestazione, previsto dal secondo comma dell’art. 673 c.c.
Nel caso di concorso di più legittimari
al coniuge superstite spetterà, ricorrendo i presupposti di cui all’art. 540 c.c., sia la quota di patrimonio riservata dalla legge che (in aggiunta) il legato in esame.
Nel caso di attribuzione degli stessi diritti ad un terzo
1) secondo alcuni autori [28] i diritti in questione si costituiscono automaticamente a favore del coniuge superstite, in quanto destinati a prevalere su qualunque disposizione testamentaria incompatibile.
2) È preferibile ritenere, con la dottrina prevalente [29], che il coniuge possa ottenere i diritti in esame solo con l’esperimento di un’azione di riduzione di carattere particolare, perché è rivolta ad una reintegra, sia quantitativa che qualitativa.
La trascrizione
1) alcuni autori[30] ritengono che siffatto acquisto non sia suscettibile di trascrizione poiché, trattandosi di legato ex lege, non può rientrare nella previsione dell’art.2648, ultimo comma, c.c. per il quale <la trascrizione dell’acquisto del de cuius si opera sulla base di un estratto autentico del testamento>.
2) la dottrina prevalente[31] sostiene la tesi della trascrivibilità, basandosi sull’art. 2648 c.c., il quale va inteso come comprensivo di qualunque forma di acquisto mortis causa, quindi anche del legato ex lege.
art. 2648 c.c. accettazione di eredità e acquisto di legato: si devono trascrivere l’accettazione della eredità (c.c.470 e seguenti) che importi acquisto dei diritti enunciati nei nn. 1, 2 e 4 dell’art. 2643 o liberazione dai medesimi e l’acquisto del legato (c.c.649) che abbia lo stesso oggetto.
La trascrizione dell’accettazione dell’eredità si opera in base alla dichiarazione del chiamato all’eredità, contenuta in un atto pubblico ovvero in una scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente (Cod. Proc. Civ. 220).
Se il chiamato ha compiuto uno degli atti che importano accettazione tacita dell’eredità (c.c.476 e seguenti), si può richiedere la trascrizione sulla base di quell’atto, qualora esso risulti da sentenza, da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente (Cod. Proc. Civ. 220).
La trascrizione dell’acquisto del legato si opera sulla base di un estratto autentico (c.c.2703) del testamento (disp.di att. al c.c. 225, 228).
Ma tra i fautori di questa teoria vi è divergenza riguardo al titolo idoneo per effettuare la trascrizione, non potendo essere utilizzato a tal fine lo steso art. 2648 il quale prevede due titoli qui non esistenti poiché nel nostro caso manca l’atto da trascrivere.
A) Un primo autore [32] sostiene che l’unica via che consente la trascrizione è la sentenza di accertamento dell’acquisto di abitazione da parte del coniuge,
B) Altro [33] indica il titolo idoneo in un atto notorio attestante la sussistenza dei presupposti legali per l’attribuzione del diritto;
C) Altro [34] ancora indica il titolo nel certificato di denunciata successione;
D) Mentre c’è chi [35] ritiene che per trascrivere l’acquisto basti presentare, insieme con il certificato di morte, la nota di trascrizione indicante il vincolo coniugale con il de cuius.
E) Altri, infine, sostengono[36], invece, che la trascrizione dell’acquisto del diritto di abitazione va effettuata sulla base di un atto pubblico o con sottoscrizione autenticata nel quale il coniuge dichiari di accettare il legato ex lege.
Secondo un’altra tesi [37], minoritaria, i diritti verrebbero meno in caso di nuove nozze: si richiamano gli artt. 632 2 co e 9 2 co bis, L.D. nonché, in chiave analogica di abuso di diritto, 1015 e 1026 c.c., quasi ad abitare nella casa con un nuovo coniuge offendesse la memoria del coniuge defunto.
In merito ai conflitti derivanti dalle trascrizioni la S.C.[38] ha stabilito che rispetto ad un immobile, destinato ad abitazione familiare e su cui il coniuge del defunto abbia acquistato il diritto di abitazione sulla base dell’art. 540, secondo comma, c.c., l’ipoteca iscritta dal creditore sulla piena proprietà dello stesso bene, in forza del diritto concessogli dall’erede, è opponibile al legatario alle condizioni stabilite dall’art. 534, commi secondo e terzo, c.c.
Non è invece utilizzabile come regola di risoluzione del conflitto quella dell’anteriorità della trascrizione dell’acquisto dell’erede rispetto alla trascrizione dell’acquisto del legatario, perché la norma sugli effetti della trascrizione, dettata dall’art. 2644 c.c., non riguarda il rapporto del legatario con l’erede e con gli aventi causa da questo: infatti, il legatario acquista il diritto di abitazione direttamente dall’ereditando, e perciò non si verifica né in rapporto all’acquisto dell’erede dall’ereditando né in rapporto all’acquisto del creditore ipotecario dall’erede la situazione del duplice acquisto, dal medesimo autore, di diritti tra loro confliggenti.
B) Coniuge separato
art. 548 c.c. riserva a favore del coniuge separato: il coniuge cui non è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato (Cod. Proc. Civ. 324), ai sensi del secondo comma dell’art. 151, ha gli stessi diritti successori del coniuge non separato.
Il coniuge cui è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato ha diritto soltanto ad un assegno vitalizio se al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto. L’assegno è commisurato alle sostanze ereditarie e alla qualità e al numero degli eredi legittimi, e non è comunque di entità superiore a quella della prestazione alimentare goduta. La medesima disposizione si applica nel caso in cui la separazione sia stata addebitata ad entrambi i coniugi.
Quanto alla natura giuridica dell’assegno vitalizio, sono state proposte in dottrina due opinioni:
1) quella delle natura non alimentare [39]; autorevolmente sostenuta si basa sulla lettera della legge, che non parla di alimenti e di stato di bisogno.
2) quella della natura alimentare [40]; il diritto all’assegno vitalizio nasce soltanto se il coniuge superstite già godeva degli alimenti al momento dell’apertura della successione, trovandosi, evidentemente, in stato di bisogno. La natura alimentare comporta l’applicazione della normativa sugli alimenti, in particolare l’art. 447 c.c e dell’art. 545 c.p.c.
art. 447 c.c. inammissibilità di cessione e di compensazione: il credito alimentare non può essere ceduto (1260, 2751)
L’ obbligato agli alimenti non può opporre all’altra parte la compensazione, neppure quando si tratta di prestazioni arretrate.
art. 545 c.p.c. crediti impignorabili: non possono essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per cause di alimenti, e sempre con l’autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte dal medesimo determinata mediante decreto.
Non possono essere pignorati crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell’elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza.
Le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura auto.ta dal presi.te del trib.le o da un giudice da lui delegato.
Tali somme possono essere pignorate nella misura di 1/5 per i tributi dovuti allo Stato, alle pr.ce e ai co.ni, ed in eguale misura per ogni altro credito.
Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate prece.nte non può estendersi oltre l’1/2 dell’amm.re delle somme predette.
Restano in ogni caso ferme le altre limitazioni contenute in spec. disp. di legge.
C) Coniuge divorziato
Il coniuge divorziato perde il diritto a succedere, per l’evidente ragione che non esiste il rapporto giustificativo della successione legittima.
La Legge dell’1 dicembre 1970, n.898 (modificata dalle leggi 1.8.1977, n.436 – 6.3.1987, n. 74) tuttavia gli ha riconosciuto un’attribuzione patrimoniale in considerazione del precedente vincolo matrimoniale.
Assegno (natura = legato alimentare) dovuto al soggetto, che aveva diritto alla corresponsione periodiche di somme di denaro, soltanto se versa in stato di bisogno. Di conseguenza troverà applicazione la normativa sugli alimenti (art. 433 e ss. c.c.)
In caso di più coniugi divorziarti superstiti la determinazione degli assegni non andrà fatta attraverso un semplice computo matematico (ad. Es tre coniuge ad ognuno di essi 1/3 della quota dell’assegno carico dell’eredità) ma la misura sarà determinata ad personam, poiché dalla legge sembra emergere che l’attribuzione patrimoniale in oggetto è determinata in funzione delle condizioni personali di ogni singolo coniuge.
Infine, in tema sempre di rapporto tra coniugi, per la S.C.[41], in tema di divorzio e con riguardo al trattamento economico del coniuge divorziato in caso di morte dell’ex coniuge, l’accordo intervenuto tra i coniugi in ordine all’attribuzione dell’usufrutto sulla casa coniugale a titolo di corresponsione dell’assegno di divorzio in unica soluzione, a norma dell’art. 5, comma 8, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, è idoneo a configurare la titolarità di detto assegno, alla stregua del principio della riconduzione ad assegno divorzile di tutte le attribuzioni operate in sede od a seguito di scioglimento del vincolo coniugale, dalle quali il beneficiario ritrae utilità espressive della natura solidaristico-assistenziale dell’istituto; ne consegue che tale costituzione di usufrutto soddisfa il requisito della previa titolarità di assegno prescritto dall’art. 5 della legge ai fini dell’accesso alla pensione di reversibilità, o, in concorso con il coniuge superstite, alla sua ripartizione.
D) Figli
legittimi e naturali – eliminazione avvenuta con il decreto legislativo del 12 luglio 13 recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219.
art. 537 c.c. riserva a favore dei figli legittimi e naturali: salvo quanto disposto dall’art. 542, se il genitore lascia un figlio solo, legittimo o naturale (eliminazione avvenuta con il decreto legislativo 154/2013 recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), a questi è riservata la metà ½ del patrimonio.
Se i figli sono più, è loro riservata la quota dei 2/3, da dividersi in parti uguali tra tutti i figli, legittimi e naturali (eliminazione avvenuta con il decreto legislativo 154/2013 recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219)
E) Ascendenti
art. 538 c.c. riserva a favore degli ascendenti legittimi: se chi muore non lascia figli legittimi né naturali (eliminazione avvenuta con il decreto legislativo del 154/2013 recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), ma ascendenti legittimi, a favore di questi è riservato un terzo del patrimonio, salvo quanto disposto dall’art. 544.
Ai sensi dell’art. 538 c.c. se chi muore non lascia figli legittimi né naturali, ma ascendenti legittimi, a favore di questi è riservato un terzo del patrimonio del de cuius, cd. legittima. La quota di legittima rappresenta, dunque, quella porzione di eredità di cui il testatore non può disporre, né a titolo di liberalità, né mortis causa (cd. quota indisponibile o riserva) in quanto spettante per legge ai soggetti di cui all’art 536 c.c., denominati legittimari, legati al de cuius da stretti rapporti di parentela o da un rapporto di coniugio, con la conseguenza che qualora la quota di legittima è intaccata dal de cuius, per effetto di atti di disposizione, o di donazioni, oppure in caso di testamento, si ha una lesione della legittima.
Il legittimario pretermesso dal testatore, non assume, pertanto, la posizione di chiamato all’eredità: a questa, infatti, sono chiamati solo coloro che sono designati dal testamento, il quale, intanto, rimane valido ed efficace.
In tal caso, al fine di reintegrare la quota di legge e, conseguentemente, conseguire la quota di eredità di spettanza, il legittimario preterito deve esercitare l’azione di riduzione, volta a far dichiarare invalidi (integralmente o parzialmente) gli atti che hanno prodotto la lesione della sua quota.
Solo a seguito di tale azione il legittimario conseguirà la qualità di chiamato all’eredità, in quanto avrà conseguito una quota della stessa; infatti, solo dal momento della sentenza che accoglie la domanda di riduzione, viene rimossa l’efficacia preclusiva delle disposizioni testamentarie, che conservano, fintantoché non vengano impugnate con l’azione di riduzione, la loro piena efficacia.
F) Figli naturali non riconoscibili
art. 594 c.c. assegno ai figli naturali non riconoscibili: gli eredi, i legatari e i donatari sono tenuti, in proporzione a quanto hanno ricevuto, a corrispondere ai figli naturali di cui all’art. 279, un assegno vitalizio nei limiti stabiliti dall’art. 580, se il genitore non ha disposto per donazione o testamento in favore dei figli medesimi. Se il genitore ha disposto in loro favore, essi possono rinunziare alla disposizione e chiedere l’assegno.
Articolo così sostituito con il decreto legislativo 154/2013 recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219.
art. 594 c.c. assegno ai figli nati fuori del matrimonio non riconoscibili.
Gli eredi, i legatari e i donatari sono tenuti, in proporzione a quanto hanno ricevuto, a corrispondere ai figli nati fuori del matrimonio di cui all’articolo 279 un assegno vitalizio nei limiti stabiliti dall’articolo 580, se il genitore non ha disposto per donazione o testamento in favore dei figli medesimi. Se il genitore ha disposto in loro favore, essi possono rinunziare alla disposizione e chiedere l’assegno.
art. 580 c.c. diritti dei figli naturali non riconoscibili: ai figli naturali aventi diritto al mantenimento, all’istruzione e alla educazione, a norma dell’art. 279, spetta un assegno vitalizio pari all’ammontare della rendita della quota di eredità alla quale avrebbero diritto, se la filiazione fosse stata dichiarata o riconosciuta.
Articolo così sostituito con il decreto legislativo 154/2013 recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219
art. 580 c.c. Diritti dei figli nati fuori del matrimonio non riconoscibili.
Ai figli nati fuori del matrimonio aventi diritto al mantenimento, all’istruzione e alla educazione, a norma dell’articolo 279, spetta un assegno vitalizio pari all’ammontare della rendita della quota di eredità alla quale avrebbero diritto, se la filiazione fosse stata dichiarata o riconosciuta.
I figli nati fuori del matrimonio hanno diritto di ottenere su loro richiesta la capitalizzazione dell’assegno loro spettante a norma del comma precedente, in denaro, ovvero, a scelta degli eredi legittimi, in beni ereditari.
I figli naturali hanno diritto di ottenere su loro richiesta la capitalizzazione dell’assegno loro spettante a norma del comma precedente, in denaro, ovvero, a scelta degli eredi legittimi, in beni ereditari.
Qualche autore [42] nega al figlio naturale non riconoscibile la qualità di legittimario, affermando che l’assegno in esame costituisce soltanto un onere gravante su coloro che hanno conseguito attribuzioni gratuite dal de cuius.
È preferibile la teoria positiva [43] perché la nuova normativa (art. 195 c.c. riforma del diritto di famiglia) indica chiaramente nel figlio naturale non riconoscibile (ex art. 279 c.c., poiché, in base all’art. 274 c.c., l’azione di riconoscimento giudiziale è ammessa solo quando concorrono specifiche circostanze tali da farla apparire giustificata e inoltre il riconoscimento dei figli incestuosi è vietato ex art. 251 c.c., richiamato dall’art. 278 c.c.) un legittimario e nell’assegno un diritto di legittima.
Non vi è dubbio che, come sostiene la dottrina quasi unanime[44], l’assegno vitalizio non ha carattere alimentare per l’assorbente ragione che esso è commisurato alle sostanze ereditarie, prescindendo dallo stato di bisogno.
Si tratta di un diritto che sorge ex novo per effetto di una vocazione mortis causa a titolo particolare e, più precisamente, di un legato obbligatorio ex lege di rendita vitalizia.
La principale conseguenza di questa natura giuridica è l’inapplicabilità della normativa sui crediti alimentari.
Pertanto
1) la decorrenza sarà dal giorno dell’apertura della successione (e non dal giorno della domanda giudiziale o della costituzione in mora ex art. 445 c.c.),
2) saranno consentite la cedibilità, la compensabilità e la transigibilità (negata agli alimenti ex art. 447 c.c.),
3) sarà irrilevante la svalutazione monetaria essendo un debito di valuta (e non di valore come quello alimentare).
Per una non recente sentenza della S.C.[45] l’ammontare dell’assegno vitalizio, che a norma dell’art. 580 c.c. è attribuito ai figli naturali non riconosciuti o non riconoscibili, si determina in proporzione delle sostanze ereditarie al momento dell’apertura della successione, quale che sia la loro natura, ed anche se le stesse non producano frutti o reddito, come nel caso di una pinacoteca, una biblioteca etc. Tale modo di commisurazione dell’assegno non è contraddetto dalla seconda parte dello stesso articolo 580, la quale non stabilisce affatto il criterio di determinazione, già fissato invece nella prima parte, ma pone soltanto un limite quantitativo dell’assegno, nel senso che questo non può superare l’ammontare della rendita della quota spettante al figlio naturale riconosciuto.
Gli artt. 580 e 594 c.c., in forza dei quali ai figli naturali non riconoscibili, siano essi minorenni o maggiorenni, spetta un assegno vitalizio di natura successoria sull’eredità del padre naturale (rispettivamente, in sede di successione legittima e di successione testamentaria), sono applicabili anche in favore di colui che abbia un diverso stato di figlio legittimo, tenuto conto che tale status non è incompatibile con un’indagine da effettuarsi incidenter tantum, ai soli indicati fini patrimoniali, su una diversa procreazione naturale, anche considerando che, nella disciplina del diritto di famiglia introdotta dalla legge 19 maggio 1975 n. 151, l’accertamento della genitorialità effettiva, purché non si profili l’incesto, è ammesso pure in situazione di divieto di riconoscimento per contrasto con lo stato di figlio legittimo o legittimato (art. 278 c.c., nuovo testo, in relazione ai precedenti artt. 251 e 253)[46].
Peraltro, il diritto all’indicato assegno postula, oltre all’accertamento del suddetto fatto procreativo, l’ulteriore requisito dell’impossibilità di proporre l’azione per la dichiarazione giudiziale della paternità (stante il richiamo all’art. 279 c.c. da parte dei citati artt. 580 e 594 c.c.), e tale requisito va inteso nel senso d’impossibilità assoluta, cioè originaria, non d’impossibilità soltanto relativa, perché sopravvenuta, con la conseguenza che il diritto medesimo deve essere negato al figlio naturale che, divenuto maggiorenne, abbia omesso di esperire, nel termine di decadenza all’uopo fissato, l’azione di disconoscimento del padre legittimo, sempreché ciò configuri una volontaria scelta circa l’incontestabilità dello status di figlio legittimo, in quanto compiuta nella consapevolezza della diversa filiazione naturale e nella ricorrenza delle condizioni previste per l’azione di disconoscimento del padre legittimo, nonché in assenza di cause di forza maggiore impeditive del tempestivo esercizio di detta azione di disconoscimento.
Per altra successiva pronuncia[47] il diritto all’assegno vitalizio di cui all’art. 580 c.c. (oltre che al figlio naturale soggetto ad un divieto assoluto di riconoscimento) spetta anche al figlio naturale che abbia il diverso status di figlio legittimo nel caso in cui sia scaduto il termine previsto dalla legge per l’esercizio dell’azione di disconoscimento della paternità legittima, salvo che questi abbia consapevolmente rinunciato al riconoscimento per lo specifico motivo di preferire la conservazione dello stato di figlio legittimo. Ne consegue che l’azione ex art. 580 c.c. è sempre ammissibile per il figlio naturale che non possa più agire per il disconoscimento della paternità legittima, gravando invece sul convenuto l’onere di provare il fatto ostativo del diritto all’assegno, costituito dalla consapevole rinuncia del richiedente al riconoscimento al fine di conservare lo stato di figlio legittimo.
G) IL DIRITTO DI COMMUTAZIONE
Abrogato con il decreto legislativo 154/2013 recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219
In realtà ante riforma tale commutazione era una facoltà concessa ad alcuni coeredi di soddisfare, in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ad altri coeredi, ritenendoli così estranei alla comunione ereditaria.
art. 537 c.c. riserva a favore dei figli legittimi e naturali: salvo quanto disposto dall’art. 542, se il genitore lascia un figlio solo, legittimo o naturale (eliminazione avvenuta con il decreto legislativo del 154/2013 recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), a questi è riservata la metà del patrimonio.
Se i figli sono più, è loro riservata la quota dei due terzi, da dividersi in parti uguali tra tutti i figli, legittimi e naturali.
I figli legittimi possono soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli naturali che non vi si oppongano. Nel caso di opposizione decide il giudice, valutate le circostanze personali e patrimoniali (eliminazione avvenuta con il decreto legislativo 154/2013 recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219)
Nel corso degli anni la dottrina ha fortemente dibattuto in merito all’istituto abrogato de plano, soprattutto riguardo alla natura, negozio giuridico, ai termini, la forma, l’intrasmissibilità e l’indivisibilità.
La dottrina prevalente [49] interpretava la norma nel senso che il coniuge superstite fosse titolare, insieme con i figli legittimi, del diritto di commutazione, ma l’interpretava nel senso che i figli legittimi avessero tale facoltà non solo quando succedessero da soli, ma anche in concorso con il coniuge.
Si riteneva [50], comunque, che quest’ultimo dovesse prestare il consenso nella scelta dei beni da offrire in commutazione (in forza della sua qualità di partecipante alla comunione) la quale poteva realizzarsi con beni ereditari o denaro.
Qualora mancasse tale consenso i figli legittimi avrebbero dovuto chiedere al giudice la determinazione dei beni da commutare.
Il fondamento
Era la preferenza accordata alla famiglia legittima nei confronti della famiglia naturale. Inestensibilità dell’istituto alla successione testamentaria, non potendo trovare la sua fonte nella volontà del testatore.
Natura
Diritto potestativo, in quanto il suo esercizio produceva il mutamento della situazione giuridica dei figli naturali, i quali non erano tenuti ad alcun comportamento (né positivo, né negativo), ma dovevano soltanto soggiacere alle conseguenze giuridiche della dichiarazione di volontà dei figli legittimi.
Il negozio giuridico di commutazione
La facoltà di commutazione si manifestava mediante la volontà di commutare, detta anche dichiarazione di scelta.
Tale atto costituiva un negozio giuridico unilaterale recettizio.
La non opposizione dei figli naturali, costituiva una condizione risolutiva di efficacia del negozio unilaterale.
Oggetto del negozio
La dichiarazione di commutazione doveva stabilire anche i beni con i quali si intendeva attuarla.
Apparivano, infatti, elementi essenziali dell’oggetto del negozio in esame tanto il diritto che s’intendeva ricevere in commutazione, quanto il diritto che si voleva trasferire in sostituzione.
1) Si riteneva preferibile che il figlio naturale potesse ottenere parte in immobili ereditari e parte in denaro.
2) Nel negozio di commutazione non doveva essere precisato l’ammontare della somma o i beni immobili, poiché questa precisazione si riferiva alla fase di esecuzione della commutazione che poteva avvenire solo in base ad una accordo o, in mancanza di questo, in base ad una decisione giudiziale.
Termini
In assenza di una espressa previsione legislativa, si era discusso in dottrina relativamente ai termini entro i quali dovevano essere esercitati il diritto di commutazione e l’eventuale opposizione.
A) per quanto riguarda il termine per l’esercizio del diritto potestativo della commutazione:
1) parte della dottrina [51] – riteneva che non era possibile ottenere dal giudice la fissazione di un termine, trascorso il quale i figli legittimi non potessero più optare per la commutazione.
Il solo mezzo per costringere i figli legittimi ad una decisione era la domanda di divisione;
2) in contrario [52] – si osservava che ragioni di coerenza e giustizia nei confronti del figlio naturale imponessero di limitare nel tempo la sua soggezione al diritto di commutazione.
È pertanto era preferibile sostenere che il figlio naturale potesse chiedere all’autorità giudiziaria la fissazione di un termine per l’esercizio del diritto di commutazione, applicando analogicamente la norma dell’art. 481 c.c.
B) per quanto riguarda il termine per l’esercizio dell’opposizione:
1) parte della dottrina[53] – applicava analogicamente l’art. 1236 in tema di remissione – entro un congruo termine;
2) Altri[54] – sempre per analogia facevano ricorso all’art. 645 c.c., affermando che i figli legittimi avrebbero potuto adire l’autorità giudiziaria per ottenere la fissazione di un termine.
3) Altro autore[55] riteneva che in questo caso potesse applicarsi il termine decennale di prescrizione (art. 2946), analogamente a quanto è previsto per la rinunzia al legato.
Forma
A) per quanto riguardava la dichiarazione di scelta (negozio unilaterale)
1) la dottrina prevalente [56] – affermava che la dichiarazione di scelta dovesse essere fatta per atto pubblico o scrittura privata autenticata solo quando i figli legittimi avessero deciso di dare in commutazione beni immobili ereditari;
2) altra parte della dottrina [57] – riteneva, invece che la forma scritta era necessaria non solo in caso di commutazione con immobili ereditari, ma anche nel caso di assegnazione di una somma di denaro, qualora l’eredità comprendesse beni immobili.
Poiché si trattava di un negozio di natura divisorio si ritieneva applicabile per la forma l’art. 1350, n. 11 e per la trascrizione l’art. 2646.
art. 1350 c.c. atti che devono farsi per iscritto: devono farsi per atto pubblico (2699 e seguenti) o per scrittura privata (2702 e seguenti), sotto pena di nullità:
11) gli atti di divisione di beni imm.li e di altri diritti reali immobiliari (2646);
art. 2646 c.c. trascrizione delle divisioni: si devono trascrivere le divisioni (c.c.713, 1111 e seguenti) che hanno per oggetto beni immobili (c.c.812), come pure i provvedimenti di aggiudicazione degli immobili divisi mediante incanto, i provvedimenti di attribuzione delle quote tra condividenti e i verbali di estrazione a sorte delle quote (Cod. Proc. Civ. 788 e seguenti).
Si devono pure trascrivere la domanda di divisione giudiziale (Cod. Proc. Civ. 784) e l`atto di opposizione indicato dall’art. 1113, per gli effetti ivi enunciati (disp.di att. al c.c. 224).
B) per quanto riguarda la forma dell’opposizione –
– secondo alcuni [58] valgono le regole, essendo una domanda giudiziale, di contenuto e di forma che il codice di procedura civile prescrive per l’atto introduttivo in giudizio.
Secondo altri [59], invece, l’opposizione può essere manifestata in qualunque forma.
Intrasmissibilità del diritto di commutazione – all’acquirente della quota Ereditaria
Poiché la commutazione non ineriva alla quota ereditaria, ma alla qualità di erede, costituiva cioè un attributo personale dei figli legittimi.
Indivisibilità del diritto di commutazione
L’accordo di tutti sia nell’esercizio di scelta sia nel modo della scelta.
I soggetti attivi non potevano, neppure d’accordo, esercitare singolarmente il diritto di limitatamente alla quota loro spettante, perché scopo della commutazione era quello di sciogliere definitivamente la comunione nei confronti dei soggetti passivi.
Inoltre non poteva essere esercitato soltanto nei confronti di alcuni soggetti passivi
1) sia perché dal testo della norma non risulta tale possibilità
2) sia perché altrimenti non si rispetterebbe il principio della parità di trattamento di tutti i figli naturali.
INTANGIBILITA’ DELLA QUOTA
In linea di principio si possono distinguere due forme d’intangibilità:
A) INTANGIBILITA’ QUANTITATIVA – in questo caso il legittimario ha diritto solo a conseguire un valore pari alla quota spettategli.
B) INTANGIBILITA’ QUALITATIVA – in quest’altro caso il legittimario ha diritto di conseguire la quota stessa in natura; ha il diritto, cioè, di conseguire una quota formata, in proporzione alla sua entità, di una parte di ogni cespite ereditario.
Il codice vigente ha seguito il principio dell’intangibilità quantitativa.
Il testatore, cioè, è libero, nella formazione della quota [purché i beni facciano parte del compendio ereditario, secondo una preferibile dottrina[60], a differenza di un’altra [61], che estremizzando il principio dell’intangibilità quantitativa, ammette la possibilità di comporre la quota anche attraverso diritti di credito] del legittimario, di stabilire i beni che intende assegnare come quota del patrimonio – ciò risulta innanzitutto:
1) dall’art. 588 c.c.[62], che consente esplicitamente l’attribuzione di beni determinati in funzione della quota del legittimario, cioè che la quota dell’erede sia formata da beni liberamente scelti dal de cuius (es. tutti beni immobili al primo figlio e tutti beni mobili al secondo figlio);
2) dalle disposizioni sulla divisione: il testatore può anche disporre che la divisione ereditaria:
a) non abbia luogo prima che tutti gli eredi abbiano raggiunto i 18 anni;
b) ovvero prima che sia trascorso dalla sua morte un termine non eccedente il quinquennio, salvo che gravi circostanze giustifichino un intervento giudiziale in senso contrario e ciò vale anche in presenza di eredi legittimari.
3) Inoltre il testatore può stabilire a favore di un legittimario della facoltà di scelta di beni, nei limiti del valore della propria quota, dovendosi solo controllare l’effettiva rispondenza del valore dei beni alle quote stabilite per legge, e può anche operare egli stesso la divisione.
- Eccezioni al principio dell’intangibilità della quota
Vengono altresì indicate oltre a quelle che si andranno ad analizzare nei paragrafi successivi:
1) Art. 540 c.c. [63] – diritto di abitazione ed uso della casa familiare riservato al coniuge
2) Art. 692 c.c. – la sostituzione fedecommissaria può avere ad oggetto anche i beni che costituiscono la legittima
3) Art. 713 c.c. – clausola con la quale il testatore dispone che la divisione non abbia luogo prima che sia trascorso un determinato lasso di tempo.
Per la Corte di Legittimità[64] il principio dell’intangibilità della quota di legittima deve intendersi soltanto in senso quantitativo e non anche in senso qualitativo, potendo il testatore soddisfare le ragioni dei legittimari con beni – di qualunque natura – purché compresi nell’asse ereditario; ne consegue che non viola il disposto degli artt. 536 e 540 c.c. il testatore che abbia lasciato al coniuge l’usufrutto generale sui beni mobili e immobili nonché la prima proprietà di eredità, contanti, depositi bancari e postali, sempre che il valore di detti beni copra la quota riservata al coniuge, atteso che l’attribuzione dell’usufrutto generale non costituisce assegnazione di legato ma istituzione di erede e che l’attribuzione della proprietà prima di alcune categorie di beni vale come istituzioni di erede se essi sono intesi come quota dei beni del testatore.
1 A FORMA DI TUTELA (di tipo quantitativo) a favore dell’intangibilità della legittima
art. 549 c.c. divieto di pesi o condizioni sulla quota dei legittimari: il testatore non può imporre pesi o condizioni sulla quota spettante ai legittimari, salva l’applicazione delle norme contenute nel titolo IV di questo libro (c.c.733 e seguenti).
Il legittimario non dovrà agire in riduzione essendo nulli il peso o la condizione apposti; dovranno cioè considerarsi non apposti, analogamente a quanto prescrive l’art. 634 c.c. in ordine alle condizioni contrarie a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.
Per la S.C.[65] la disposizione contenuta nell’art. 549 c.c. va interpretata nel senso che la quota di legittima non è suscettibile di oneri o condizioni che ne diminuiscano il valore, cioè la sua entità, e nel senso che al detto limite quantitativo si aggiunga un limite qualitativo.
2 A FORMA DI TUTELA (di tipo qualitativo) a favore dell’intangibilità della legittima.
A) CAUTELA SOCINIANA – dal nome del giurista del ‘500 Mario Socino
art. 550 c.c. lascito eccedente la porzione disponibile: quando il testatore dispone di un usufrutto[66] o di una rendita vitalizia (c.c.1872) il cui reddito eccede quello della porzione disponibile (c.c.556), i legittimari (536), ai quali è stata assegnata la nuda proprietà della disponibile o di parte di essa, hanno la scelta o 1) di eseguire tale disposizione o 2) di abbandonare (c.c.1350) la nuda proprietà della porzione disponibile. Nel secondo caso il legatario, conseguendo la disponibile abbandonata, non acquista la qualità di erede (588).
La stessa scelta spetta ai legittimari quando il testatore ha disposto della nuda proprietà di una parte eccedente la disponibile.
Se i legittimari sono più, occorre l’accordo di tutti perché la disposizione testamentaria abbia esecuzione.
Le stesse norme si applicano anche se dell’usufrutto, della rendita o della nuda proprietà è stato disposto con donazione.
A rigore per accertare se vi è stata lesione di legittima, occorrerebbe capitalizzare l’usufrutto; ma poiché la durata dell’usufrutto commisurata com’è alla vita dell’usufruttuario è incerta, l’accertamento risulterebbe anch’esso incerto ed aleatorio.
È per tale incertezza che è stato introdotto l’istituto in esame, il quale lascia il legittimario arbitro di questa valutazione, offrendogli il vantaggio di operare una scelta.
Questo articolo permette dunque al legittimario di optare in ogni caso, o per la proprietà piena della quota di riserva e questo pur se in base al valore della nuda proprietà o dell’usufrutto della porzione disponibile spettategli non risultasse esservi stata lesione.
La Cassazione [67] ha affermato che la finalità della norma di cui all’art. 550 c.c. è la salvaguardia del principio della intangibilità della legittima.
Tale salvaguardia si attua o in via diretta, nel caso in cui il legittimario abbandoni la nuda proprietà o, rispettivamente, l’usufrutto della porzione disponibile o in via indiretta, quando egli preferisca eseguire la disposizione testamentaria, con ciò stesso ritenendo che il valore della legittima intaccata, unito a quello della nuda proprietà della disponibile o all’usufrutto sulla disponibile eguaglia o supera il valore della legittima.
Si tratta quindi di una tutela di tipo non già quantitativo, come per l’azione di riduzione, ma qualitativo, che permette anche di evitare l’aleatorietà della durata della vita dell’usufruttuario.
Il diritto potestativo va esercitato entro 10 anni dall’apertura della successione (con possibilità di esperire l’actio interrogatoria in analogia agli artt. 481 e 650 c.c.), con decisione unanime dei legittimari.
Natura
Si è in presenza di un negozio giuridico unilaterale (collettivo se i legittimari sono più di uno), recettizio, non formale e quindi anche tacito (ad es. volontaria esecuzione della disposizione con immissione nei beni ad opera del legittimario e percezione di frutti e rendite).
È preferibile peraltro ritenere, per il noto principio della simmetria, anche in omaggio alla certezza dei rapporti giuridici, che debba trovare applicazione la normativa sul formalismo e, precisamente, l’art. 1350, n. 5 (rinunzia), c.c. quando la scelta del legittimario abbia ad oggetto beni immobili ai quali egli rinunzia per conseguire la legittima.
ESEMPIO: Tizio ha disposto del suo patrimonio nominando erede universale l’unico figlio Caio e nominando il fratello Sempronio legatario di tutto l’usufrutto. A seguito della dichiarazione di volontà di Caio, che intende utilizzare il rimedio previsto dall’art. 550 c.c., il legatario Sempronio subisce una modificazione oggettiva del legato: da usufrutto universale a piena proprietà della metà (ossia delle porzione disponibile).
La scelta di cui tratta l’art. 550 c.c. (cautela sociniana) non deve identificarsi in una rinuncia all’eredità, ma in una opzione di cui la legge non determina la forma; dunque non sono necessarie le solennità richieste dall’art. 519, potendo la scelta stessa provarsi con testimoni o presunzione, anche se trattasi di usufrutto o nuda proprietà riflettenti beni immobili, e potendo essa avvenire sia espressamente che tacitamente [68].
Infine, per altra pronuncia [69], la norma attribuisce al legittimario, al quale, rispettivamente, sia stata assegnata la nuda proprietà ovvero l’usufrutto della disponibile (o di parte di essa), il potere di incidere unilateralmente sulla successione, senza ricorrere all’azione di riduzione, la quale, impostata sul concetto di lesione quantitativa, non assicura al legittimario la qualità (piena proprietà), oltre che la quantità della legittima — configura, quale diritto potestativo, una scelta (per la legittima in piena proprietà, con abbandono del resto — cioè della nuda proprietà o dell’usufrutto della disponibile —, ovvero per il conseguimento dell’oggetto della disposizione testamentaria) di cui la legge non determina la forma, con la conseguenza che essa, espressa o tacita, può essere provata anche per testimoni o per presunzioni, anche se è in questione l’usufrutto o la nuda proprietà di beni immobili. L’effettuazione di tale scelta è incompatibile con il successivo ricorso all’azione di riduzione per la diversità di presupposti, struttura e finalità delle norme di cui agli artt. 550 e 554 c.c.
B) Legato in sostituzione di legittima (o legato privativo)
art. 551 c.c. legato in sostituzione di legittima: se a un legittimario è lasciato un legato in sostituzione della legittima, egli può rinunziare al legato (c.c.649 e seguenti) e chiedere la legittima.
Se preferisce di conseguire il legato, perde il diritto di chiedere un supplemento, nel caso che il valore del legato sia inferiore a quello della legittima, e non acquista la qualità di erede. Questa disposizione non si applica quando (LEGATO CON IL DIRITTO AL SUPPLEMENTO) il testatore ha espressamente attribuito al legittimario la facoltà di chiedere il supplemento.
Il legato in sostituzione della legittima grava sulla porzione indisponibile. Se però il valore del legato eccede quello della legittima spettante al legittimario, per l’eccedenza il legato grava sulla disponibile.
Il legittimario può anche rifiutare e pretendere invece la liquidazione della quota, ma, se non lo fa, perde il diritto di chiedere un supplemento qualora il valore del legato sia inferiore a quello della legittima.
L’attribuzione di un legato in sostituzione di legittima è un modo concesso al testatore di soddisfare le ragioni del legittimario senza chiamarlo all’eredità, essendo poi commesso all’onorato scegliere tra il conseguimento del legato, con la perdita del diritto a chiedere un supplemento nel caso in cui il suo valore sia inferiore a quello della legittima, o la rinuncia al legato e la richiesta della legittima. Ne deriva che il riservatario, se non rifiuta il legato in sostituzione di legittima, non entra a far parte della comunione ereditaria e conseguentemente, non potendo invocare alcun istituto proprio della divisione dei beni ereditari, rispetto ai quali difetta di legittimazione, ha diritto al legato e così al valore monetario dello stesso — ove ne sia prevista la liquidazione del de cuius — all’apertura della successione e non a quello della relativa domanda giudiziale [70].
Al fine della configurabilità del legato in sostituzione di legittima, occorre che risulti l’intenzione del testatore di soddisfare il legittimario con l’attribuzione di beni determinati senza chiamarlo all’eredità, intenzione che, in mancanza di formule sacramentali, peraltro non richieste, può desumersi anche dal complessivo contenuto dell’atto, in forza di un accertamento che, implicando un apprezzamento dei fatti, è demandato al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se correttamente motivato [71].
Poi, lo stabilire se una disposizione testamentaria a favore di un legittimario integri un legato in sostituzione oppure in conto di legittima costituisce accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato ed immune da violazione dei canoni ermeneutici che devono presiedere all’interpretazione delle disposizioni di ultima volontà[72].
Sempre per la Cassazione [73] nel legato in sostituzione di legittima l’attribuzione patrimoniale oggetto della disposizione testamentaria è caratterizzata dalla intenzione del testatore di soddisfare integralmente mediante la stessa i diritti di legittimario spettanti all’istituito. Tale intenzione — che deve emergere in maniera inequivoca, sia da una espressa proposizione sia dal complesso delle proposizioni in cui si articola la scheda testamentaria è sufficiente a determinare, a norma dell’art. 551 primo e secondo comma c.c., l’alternativa offerta al legittimario di chiedere l’integrazione della legittima o conseguire il legato, senza che si richieda quale elemento essenziale la contestuale menzione di tale alternativa da parte dello stesso testatore, in quanto le conseguenze giuridiche dell’esercizio (o mancato esercizio) del potere di scelta spettante all’istituito sono espressamente previste dall’art. 551 c.c.
Natura
È una disposizione a titolo particolare – sottoposta a condizione risolutiva – potestativa – nel senso che la vocazione testamentaria a titolo di legato rimane priva di efficacia qualora il legatario rinunzi.
In tal modo diverrà un legittimario pretermesso è potrà, agendo in riduzione, conseguire la qualità di erede.
Necessaria, appunto la rinunzia al fine di sospenderne gli effetti, poiché come da dettato della S.C.[74] il legato in sostituzione di legittima, al pari di ogni altro legato, ai sensi dell’art. 649, primo comma, c.c., si acquista ipso iure senza bisogno di accettazione. Peraltro, il comportamento del beneficiario di tale legato suscettibile di evidenziare la volontà, espressa o tacita, di conservare il lascito testamentario, assume, per un verso, valore confermativo della già realizzata acquisizione patrimoniale, e comporta, per l’altro, la immediata perdita ope legis del diritto di chiedere la legittima a norma dell’art. 551 c.c.
Non è applicabile secondo parte della dottrina [75] all’istituto in esame la disciplina prevista dall’art. 549 c.c., poiché non vi è ragione per non consentire al testatore di attribuire al legittimario, in sostituzione di legittima, un bene, graditissimo al legittimario, anche se l’attribuzione è sottoposta a condizione sospensiva. Il legittimario, ovviamente potrà sempre rinunziare al legato e chiedere la legittima.
Altra parte della dottrina [76] sostiene la tesi dell’invalidità, poiché il legatario è pur sempre un legittimario, sia pure non a titolo di erede.
Esempio: lego a mio figlio Caio il fondo Tuscolano, in sostituzione della legittima, a condizione che si lauri in medicina.
La scelta si opera con un negozio unilaterale recettizio, né collettivo, disponendo il legittimario per sé, impugnabile per violenza o dolo, mentre è irrilevante l’errore sull’entità o valore del cespite legato, ma non circa la sua titolarità, ove risultasse di terzi o dello stesso legatario, con conseguente nullità dello stesso.
Applicandosi le regole del legato, l’accettazione impedisce la comunione e rende definitivo un acquisto già verificatosi de iure all’apertura della successione, ed è quindi a forma libera.
Il potere attribuito ex art. 551 c.c. ad un legittimario onorato di un legato in sostituzione di legittima di conseguire la quota dei beni ereditari nella misura stabilita dalla legge attraverso l’esercizio dell’azione di riduzione, anziché di conservare il legato, postula l’assolvimento dell’onere di rinunciare al legato, per cui, attesa la natura di «facoltà» del relativo potere di scelta e della rinunzia (art. 650 c.c.), non è ipotizzabile una autonoma prescrittibilità, avulsa da quella del diritto in cui sono comprese (salva la assoggettabilità a decadenza, come nell’ipotesi prevista dall’art. 650 c.c. di esperimento dell’actio interrogatoria da parte di un terzo).
Ne consegue che, qualora l’azione di riduzione sia stata esercitata dal detto legatario entro il termine decennale di prescrizione, decorrente dalla data di apertura della successione, la rinuncia attuativa del potere di scelta può essere sempre esercitata dal legatario stesso ove non sia intervenuta decadenza e l’assolvimento dell’onere della rinunzia al legato, costituente condizione dell’azione di riduzione (e non presupposto processuale), deve essere accertato con riguardo al momento della decisione e non a quello della proposizione della domanda [77].
La rinunzia
a) Da un lato deve essere a forma scritta in caso di legato immobiliare; anche se per la Cassazione[78] la rinuncia al legato sostitutivo, cui l’art. 551 c.c. subordina la facoltà dell’onorato di chiedere la legittima, non può desumersi di per sé dalla sola dichiarazione di rifiutare le disposizioni testamentarie in quanto lesive dei diritti del legittimario, non potendosi negare a priori a siffatta dichiarazione il significato proprio di una riserva di chiedere soltanto l’integrazione della legittima, ferma restando l’attribuzione del legato, sia esso sostitutivo od in conto della legittima. Analogamente non presuppone necessariamente una formale rinuncia al legato la dichiarazione di accettazione dell’eredità con beneficio di inventario con il contestuale rifiuto delle disposizioni testamentarie lesive della legittima e con espressa riserva di chiedere in sede competente la integrazione, essendo necessario considerare il comportamento complessivo del legatario anteriore e successivo alla dichiarazione ed all’inizio della causa per trarne elementi univoci nel senso di un’effettiva rinuncia.
Il principio per cui la rinunzia richiede forma scritta ad substantiam solo quando abbia come oggetto immediato i diritti reali immobiliari indicati nell’art. 1350 c.c., è estraneo all’ipotesi di rinunzia ad un legato in sostituzione della legittima allorché il contenuto del legato medesimo abbia il carattere meramente obbligatorio di liberazione del legatario da una prestazione dovuta nei confronti del testatore (c.d. remissio mortis causa). Ciò non toglie — peraltro — che la rinuncia, quale negozio unilaterale dismissivo di un diritto (reale o obbligatorio) il cui acquisto si è verificato ipso iure al momento dell’apertura della successione, onde essere ritenuta e rinvenuta come tale, richieda una valida e non equivoca manifestazione dell’intento abdicativo del diritto [79].
b) Dall’altro, riconduce l’istituito nella condizione di erede legittimario pretermesso, che potrà partecipare così alla comunione ereditaria solo dopo aver esperito l’azione di riduzione, di cui la rinunzia è peraltro condizione.
Il legittimario che preferisca rinunziare al legato si viene a trovare nella medesima situazione di quello pretermesso dallo stesso testatore, la cui volontà era diretta a garantirgli il legato e non già la quota dell’eredità: venuta meno la disposizione a titolo particolare, il legittimario non è altro che un erede necessario pretermesso e come tale non partecipa alla comunione ereditaria se non dopo avere esperito e vinto l’azione di riduzione, dato che fino a tale momento restano valide le disposizioni che violano i diritti correlati alle quote di riserva [80].
Pertanto il legittimario, beneficiario di un legato in sostituzione della legittima, avente per oggetto una somma di denaro, ove intenda rinunciare al legato non ha diritto di ritenere, fino al soddisfacimento delle sue ragioni, i beni immobili ereditari dei quali abbia la detenzione, poiché detti beni possono divenire oggetto di comunione da parte dei legittimari soltanto in caso di esercizio, con esito favorevole, da parte degli stessi, dell’azione di riduzione[81].
In quanto facoltà, non si prescrive, salvo decadenza ex art. 650, ma si prescrive però l’azione di riduzione, che pertanto dovrà essere iniziata entro il decennio dall’apertura della successione.
C) Il C.D. Legato con diritto al supplemento – art. 551 co 2 seconda parte
È ben vero che il de cuius può far salvo il diritto al supplemento, ma allora si tratterà non di un legato sostitutivo, ma di un’attribuzione ereditaria a titolo di legittima, con particolare conformazione della quota.
Natura giuridica
È discusso se il beneficiario della disposizione in esame sia vero legatario o non sia piuttosto, nonostante la dizione legislativa, erede testamentario.
È preferibile questa seconda tesi, perché la volontà di non privare il legittimario della facoltà di chiedere il supplemento implica necessariamente la volontà di non privarlo della quota di eredità a lui riservata; la volontà del testatore è in realtà, quella di istituire il legittimario nella quota di legittima.
Il beneficiario, in altri termini, è un erede testamentario, la cui quota è composta dallo stesso testatore (institutio ex re certa) in parte con l’oggetto del legato e in parte con il supplemento.
Per ottenere il supplemento il legatario in esame (in realtà erede) non dovrà agire con l’azione di riduzione, ma con la petizione di eredità[82].
Egli dovrà accettare o rinunziare all’eredità per intero.
D) Il C.D. Legato in conto di legittima –
art. 552 c.c. donazione e legati in conto di legittima: il legittimario che rinunzia all’eredità (519 c.c. e seguenti), quando non si ha rappresentazione (467 c.c.), può sulla disponibile ritenere le donazioni o conseguire i legati a lui fatti (c.c.521-2); ma quando non vi è stata espressa dispensa dall’imputazione (564 c.c.), se per integrare la legittima spettante agli eredi è necessario ridurre le disposizioni testamentarie o le donazioni (554 c.c. e seguenti), restano salve le assegnazioni, fatte dal testatore sulla disponibile, che non sarebbero soggette a riduzione se il legittimario accettasse l`eredità, e si riducono le donazioni e i legati fatti a quest`ultimo.
Il senso della norma è chiaro: la rinunzia del legittimario determina un ampliamento della quota degli altri legittimari, ma nello stesso tempo sottrae dal loro novero un soggetto che avrebbe visto la propria quota di riserva diminuirsi assai, dovendo ad essa imputare le donazioni oltre che i legati ricevuti in conto di legittima.
E questo può essere pericoloso per gli istituiti nella parte disponibile, che potrebbero essere aggrediti in riduzione dai legittimari la cui quota si è accresciuta.
Pertanto la legge dispone che i conteggi al fine di calcolare la quota disponibile siano fatti come se il legittimario non avesse rinunziato, cosicché i legittimari non rinunzianti potranno rivalersi solo sulla parte di disponibile eventualmente lesiva mentre per l’eventuale supero essi rivolgeranno direttamente contro le donazioni e legati ricevuti dal rinunziante
CONCORSO
Figli e coniuge
art. 542 c.c. concorso di coniuge e figli: se chi muore lascia, oltre al coniuge, un solo figlio, legittimo o naturale (c.c. 459, 231, 258) a quest’ultimo è riservato un terzo del patrimonio ed un altro terzo spetta al coniuge.
Quando i figli, legittimi o naturali (eliminazione avvenuta con il decreto legislativo 154/2013 recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), sono più di uno, ad essi è complessivamente riservata la metà del patrimonio e al coniuge spetta un quarto del patrimonio del defunto. La divisione tra tutti i figli, legittimi e naturali (eliminazione avvenuta con il decreto legislativo 154/2013 recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), è effettuata in parti uguali.
Si applica il terzo comma dell`art. 537.
Ascendenti e coniuge
art. 544 c.c. concorso di ascendenti legittimi e coniuge: quando chi muore non lascia né figli legittimi né figli naturali (eliminazione avvenuta con il decreto legislativo 154/2013 recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), ma ascendenti legittimi e il coniuge (c.c.459), a quest’ultimo è riservata ½ del patrimonio, ed agli ascendenti ¼.
In caso di pluralità di ascendenti, la quota di riserva ad essi attribuita ai sensi del precedente comma è ripartita tra i medesimi secondo i criteri previsti dall`art. 569.
L’AZIONE DI RIDUZIONE
Strumento processuale determinante la possibilità di richiedere, da parte del legittimario pretermesso o leso nella sua quota, la reintegra nella qualità di erede o nella giusta quota a lui spettante.
La dottrina e la giurisprudenza di legittimità prevalenti ritengono che l’azione di riduzione viene esattamente configurata come individuale, giacché ogni legittimario può agire per la sola sua quota di legittima non cedibile e personale, non reale.
Per la S.C.[84] l’azione di riduzione delle donazioni (o delle disposizioni testamentarie) lesive della quota di riserva è azione personale che non dà luogo a litisconsorzio necessario e richiede soltanto la presenza in causa del legittimario e della persona che ha beneficiato dell’atto di liberalità, interessata ad opporsi alla dichiarazione di inefficacia relativa dell’atto stesso.
Né, qualora sia dedotta in via strumentale la simulazione di un atto di compravendita del bene ereditario, è necessario proporre la detta azione, oltre che nei confronti del compratore del bene in questione, anche nei riguardi degli altri eredi (del venditore), attesa l’efficacia incidentale dell’accertamento della simulazione.
Sulla natura di azione personale si è pronunciata anche recente Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 25 gennaio 2017, n. 1884
secondo la quale, appunto, l’azione di riduzione delle disposizioni lesive della quota di legittima ha natura personale, sicché nell’ipotesi in cui il relativo obbligo di restituzione debba essere posto a carico di più persone, su un medesimo bene ad esse donato o attribuito per quote ideali, la riduzione deve operarsi, nei confronti dei vari beneficiari, in misura proporzionale all’entità delle rispettive attribuzioni; pertanto, ciascuno di essi è tenuto a rispondere soltanto nei limiti ed in proporzione del valore di cui si riduce l’attribuzione o la quota a suo tempo conseguita: non è quindi configurabile un obbligo solidale dei soggetti tenuti alla riduzione. Qui occorre chiarire che non è applicabile il principio di cui all’art. 754 c.c. sulla ripartizione dei debiti del de cuius pro quota, posto che l’obbligo personale di restituzione a loro carico non integra un debito ereditario ma, come si detto, è l’effetto delle disposizioni testamentarie lesive della legittima in loro favore effettuate dal testatore; diversamente deve ritenersi invece per quanto concerne la posizione di coloro che nel corso del giudizio sono subentrati all’erede, quali eredi del medesimo: peraltro, sarà il giudice di rinvio a dovere verificare se i predetti coeredi abbiano fatto presente tale loro qualità, integrando siffatta dichiarazione gli estremi di una eccezione propria.
È pacifico che si tratta di azione di accertamento costitutivo, perché in giudizio si accerta l’esistenza della lesione di legittima e la sussistenza delle altre condizioni dell’azione, e dall’accertamento consegue automaticamente la modificazione giuridica del contenuto del diritto del legittimario, ossia l’integrazione della quota a lui riservata.
E’ opportuno precisare nuovamente che l’azione di riduzione è azione personale di accertamento costitutivo che determina la sopravvenuta inefficacia delle disposizioni lesive nei confronti del legittimario: per la parte che corrisponde alla lesione di legittima, i beni si considerano come mai usciti dal patrimonio del de cuius.
L’accertamento della lesione della riserva (e la conseguente riduzione), infatti, ha come effetto di far rientrare nella comunione ereditaria il riservatario che ne è stato escluso; l’azione di riduzione, pertanto, differisce dall’azione di divisione perché non tende allo scioglimento della comunione ma unicamente al soddisfacimento dei diritti dei legittimari che si ritengono lesi dalle disposizioni testamentarie, indipendentemente dalla divisione dell’asse [85].
Difatti, per una pronuncia di merito [86], è inammissibile la domanda di divisione ereditaria formulata dall’erede pretermesso che non abbia preventivamente proposto la domanda di riduzione ai fini dell’accertamento della propria qualità di erede ed il conseguente riconoscimento della quota riservata ex art. 537 c.c.
Ed infatti la proposizione della domanda di divisione non sottointende implicitamente quella di riduzione giacché presuppone che i beni eventualmente sottratti alla comunione ereditaria – in virtù di una disposizione testamentaria che abbia violato la riserva – siano già stati recuperati e quindi sia già risolta la questione relativa ai diritti dei legittimari.
Infine, è opportuno precisare che gli atti di liberalità soggetti a riduzione non sono nulli o annullabili, ma validi anche se suscettibili di essere resi inoperanti, in tutto o in parte, e cioè nei limiti in cui ciò sia reso necessario per l’integrazione della quota di riserva, attraverso l’esercizio del diritto potestativo dell’erede legittimario di chiederne la riduzione [87].
Pertanto, la riduzione della disposizione testamentaria conseguente all’accoglimento della domanda del legittimario che si ritenga leso nella sua quota di riserva, non derivando da un vizio di nullità dell’atto dispositivo, rende tale atto soltanto inefficace ex nunc nei confronti del legittimario vittorioso, sicché, fino a quando non sia intervenuta la pronuncia di accoglimento della domanda di riduzione, le disposizioni testamentarie (come anche le donazioni) lesive della quota di legittima conservano ed esplicano la loro efficacia.
Ne consegue che la controversia relativa all’azione di riduzione non si pone in rapporto di pregiudizialità necessaria con la domanda di liquidazione della quota di capitale sociale oggetto di disposizione testamentaria suscettibile di riduzione in caso di accoglimento della domanda proposta dal legittimario che si ritenga leso, non potendosi comunque verificare il contrasto di giudicati [88].
3 A FORMA DI TUTELA (di tipo quantitativo) a favore dell’intangibilità della legittima.
l’azione di riduzione tutela il singolo legittimario
A) che non abbia ricevuto nulla (pretermesso)
B) che abbia ricevuti per testamento o che si trovi a succedere per successione legittima in una quota di beni inferiore a quella a lui spettante per legge.
La lesione, infatti, può essere cagionata dal de cuis sia con atto mortis causa (disposizione testamentaria a titolo di eredità o legato), sia con atto inter vivos (donazione e liberalità).
ORDINE IN CUI si deve procedere alla riduzione delle fattispecie lesive della legittima –
1) riduzione delle quote ab intestato – poi si passa alla
2) riduzione delle disposizioni testamentarie – e infine –
3) riduzione delle donazioni
A) Legittimazione attiva
art. 557 c.c. soggetti che possono chiedere la riduzione: la riduzione delle donazioni (c.c.809) e delle disposizioni lesive della porzione di legittima non può essere domandata che dai legittimari e dai loro eredi o aventi causa (il legatario – l’acquirente a titolo gratuito – titolo oneroso) (c.c.537 e seguenti).
Essi non possono rinunziare a questo diritto, finché vive il donante né con dichiarazione espressa, né prestando il loro assenso alla donazione (c.c. 458).
I donatari e i legatari non possono chiedere la riduzione, né approfittarne. Non possono chiederla né approfittarne nemmeno i creditori del defunto, se il legittimario avente diritto alla riduzione ha accettato con il beneficio d’inventario (c.c.484 e seguenti).
Per essere chiari l’azione di riduzione è azione personale spettante soltanto al legittimario leso e, come tale, non è né cedibile, né alienabile [89].
Non esiste solidarietà attiva tra i legittimari, poiché ciascuno di essi ha un diritto autonomo all’esercizio dell’azione di riduzione e può validamente rinunciarvi.
Da ciò consegue che, nel caso di pluralità di legittimari, ciascuno ha diritto ad una frazione della quota di riserva e non già all’intera quota, o, comunque, ad una frazione più ampia di quella che gli spetterebbe se tutti gli altri facessero valere il loro diritto e, quindi, ciascun legittimario può ottenere soltanto la parte a lui spettante della quota di riserva e non pure quella di coloro che sono rimasti inattivi o che hanno rinunciato all’azione di riduzione [90].
A cio’ aggiungasi che il diritto alla reintegrazione della quota, vantato da ciascun legittimario, e’ autonomo nei confronti dell’analogo diritto degli altri legittimari, non essendo espressione di un’azione collettiva spettante complessivamente al gruppo dei legittimari (Cass., Sez. 2, 11 luglio 1969, n. 2546; Cass., Sez. 2, 13 dicembre 2005, n. 27414; Cass., Sez. 2, 20 dicembre 2011, n. 27770); sicche’ il giudicato sull’azione di riduzione promossa vittoriosamente da uno di essi – se non puo’ avere l’effetto di operare direttamente la reintegrazione spettante ad altro legittimario che abbia preferito, pur essendo presente nel processo di divisione contemporaneamente promosso, rimanere per questa parte inattivo (Cass., Sez. 2, 28 novembre 1978, n. 5611) – neppure preclude a quest’ultimo di agire separatamente, nell’ordinario termine di prescrizione, con l’azione di reintegrazione della sua quota di riserva.
B) La rinunzia
L’azione è irrinunciabile, durante la vita del de cuis,
1) sia per l’inattualità del diritto (avendo in quel momento il legittimario solo un’aspettativa di fatto non tutelata),
2) sia perché la rinunzia all’azione comporta una rinunzia in tutto o in parte alla quota di legittima e quindi, se fatta prima dell’apertura della successione, sarebbe un patto successorio.
Successivamente alla morte del de cuius è atto revocabile, a forma libera.
In merito secondo la S.C.[91], il diritto, patrimoniale (e perciò disponibile) e potestativo, del legittimario di agire per la riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della sua quota di riserva, dopo l’apertura della successione, è rinunciabile anche tacitamente, sempre che detta rinuncia sia inequivocabile, occorrendo a tal fine un comportamento concludente del soggetto interessato che sia incompatibile con la volontà di far valere il diritto alla reintegrazione.
Inoltre[92] lo stabilire se determinati coeredi abbiano rinunciato alla loro quota di legittimari avendo riguardo soltanto ai beni elencati nel testamento o anche ai beni dal de cuius donati mediante una vendita simulata costituisce una quaestio voluntatis che spetta risolvere al giudice del merito, la cui decisione è incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivata.
L’effetto della rinunzia determina che la quota spettante al legittimario rinunciante si accresce a favore degli altri legittimari accettanti: conseguentemente, nel caso di accettazione dell’eredità da parte di uno solo dei figli del de cuius, la quota di riserva spettante all’accettante va determinata, ai fini della riduzione delle donazioni lesive della legittima, sull’intera porzione legittima riservata complessivamente ai figli del de cuius e non già sulla parte individuale che sarebbe toccata all’accettante se egli avesse diviso con i fratelli la porzione suddetta[93].
C) Prescrizione
10 anni dall’apertura della successione per l’erede leso nella quota
10 anni nel caso in cui la lesione derivi da donazioni, infatti, è indubbio che tale termine decorre dalla data di apertura della successione
Il dies a quo coincide col giorno dell’apertura della successione ma può, come è stato osservato[94], anche essere posteriore, qualora i presupposti alla legittima (es. dichiarazione di filiazione naturale) vengono in essere dopo la morte dell’ereditando.
10 anni dall’accettazione dell’eredità da parte del chiamato in base a disposizioni testamentarie lesive della legittima, in caso di erede pretermesso.
Su tale ultimo punto le sezioni unite[95], intervenute in merito ad una disputa feroce nell’ambito della stessa Corte, hanno affermato che il termine decennale di prescrizione dell’azione di riduzione decorre dalla data di accettazione dell’eredità da parte del chiamato in base a disposizioni testamentarie lesive della legittima.
Mentre in precedenza le varie sezioni[96] a più riprese avevano affermato che l’azione di riduzione, di natura personale, si prescrivesse nell’ordinario termine di dieci anni decorrente dall’apertura della successione senza che possa aver rilievo, a tal fine, l’individuazione del momento in cui il legittimario ha scoperto la lesione della propria quota di riserva.
Secondo un primo orientamento il termine di prescrizione dell’azione di riduzione decorreva dalla data di apertura della successione (sentenza 7 maggio 1987 n. 4230, per la quale non ha rilievo l’individuazione del momento in cui il legittimario ha scoperto la lesione della propria quota di riserva; sentenza 25 novembre 1997 n. 11809, per la quale non rilevano né l’eventuale ignoranza dell’esistenza di un testamento, né la circostanza che eventualmente il testamento olografo non sia in possesso del legittimario).
Secondo una più recente decisione (sent. 15 giugno 1999 n. 5920, la quale si ricollega alla sentenza 17 gennaio 1970 n. 99), invece, il termine di prescrizione dell’azione di riduzione iniziava a decorrere dalla pubblicazione del testamento. Soltanto da tale momento, che determina una presunzione iuris tantum di conoscenza delle disposizioni lesive, i legittimari sono in condizione di far valere il loro diritto e richiedere la riduzione delle disposizioni lesive della propria quota di riserva, atteso che da tale data, salvo prova contraria, sono a conoscenza della lesione. In base al combinato disposto degli artt. 620 e 623 c. c., in relazione all’art. 2935 c. c., secondo cui la prescrizione comincia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, la riduzione delle disposizioni contenute in un testamento non può essere chiesta se le stesse non sono ancora a conoscenza di coloro che da quelle disposizioni hanno visto leso il proprio diritto di legittimari e a nulla rileva che il testamento sia esecutivo.
Tale decisione ha, poi, aggiunto che, anche se il testamento pubblico è eseguibile subito, e sin dall’apertura della successione (art. 61 legge notarile e a contrariis ex art. 623) comma 4, c. c. ), la comunicazione agli eredi ed ai legatari prevista dall’art. 623 c. c. deve essere fatta a cura del notaio che il testamento ha ricevuto e solo dall’avvenuta pubblicazione può discendere una presunzione iuris tantum di conoscenza delle disposizioni in esso contenute.
Il collegio, invece ha ritenuto che nessuno degli orientamenti esposti meritasse completa adesione.
In proposito sembrava opportuno premettere due osservazioni.
In primo luogo, nessuna norma prevede che il termine (incontestabilmente quello decennale di cui all’art. 2946 c. c. ) per esperire l’azione di riduzione decorra dalla data di apertura della successione.
In secondo luogo, un problema di individuazione del termine di decorrenza della prescrizione dell’azione di riduzione può porsi solo con riferimento alla lesione di legittima ricollegabile a disposizioni testamentarie.
Nel caso in cui la lesione derivi da donazioni, infatti, è indubbio che tale termine decorre dalla data di apertura della successione, non essendo sufficiente il relictum a garantire al legittimario il soddisfacimento della quota di riserva.
Diversa è la situazione che si presenta, invece, con riferimento alla ipotesi in cui la (potenziale) lesione della legittima sia ricollegabile a disposizioni testamentarie.
In tal caso, infatti, il legittimario, fino a quando il chiamato in base al testamento non accetta l’eredità, rendendo attuale quella lesione di legittima che per effetto delle disposizioni testamentarie era solo potenziale, non sarebbe legittimato (per difetto di interesse) ad esperire l’azione di riduzione.
Appare allora evidente che se manca la situazione o di danno (accettazione dell’eredità da parte del chiamato in base al testamento) alla quale l’azione di riduzione consente di porre rimedio, non può decorrere il termine di prescrizione di tale azione.
Per potere eliminare la situazione di incertezza il legittimario potrà esperire nei confronti del chiamato all’eredità per testamento l’actio interrogatoria ex art. 481 c. c. .
Alla luce di tali considerazioni, appare evidente che non si può condividere l’orientamento di cui sono espressione le sentenze 7 maggio 1987 n. 4230 e 25 novembre 1997 n. 11809, in sostanziale applicazione del principio costantemente affermato da questa S.C. secondo il quale, ai fini della decorrenza della prescrizione, non rilevano gli impedimenti di mero fatto all’esercizio del diritto.
Con la sola apertura della successione, infatti, non si è ancora realizzata la lesione di legittima e quindi mancano le condizioni di diritto perché possa iniziare a decorrere il termine per l’esperimento del rimedio predisposto dal legislatore per porre riparo a tale lesione.
L’orientamento in questione può essere ritenuto valido, alla luce del principio in precedenza richiamato in tema di interpretazione dell’art. 2935 c. c., nel senso che, successivamente all’accettazione dell’eredità da parte del chiamato in base a testamento, non costituisce ostacolo alla decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di riduzione la mancata conoscenza da parte del legittimario leso di tale accettazione dell’eredità.
Non può condividersi neppure l’orientamento espresso dalla sentenza 15 giugno 1999 n. 5920, a prescindere dalla considerazione che la decorrenza della prescrizione viene ricollegata ad una conoscenza delle disposizioni lesive della legittima desumibile in base ad una presunzione iuris tantum di cui non vi è traccia nella legge e che comunque manca di fondamento logico.
Per quanto riguarda il testamento pubblico, infatti, la comunicazione agli eredi e legatari da parte del notaio che l’ha ricevuto, prevista dall’art. 623 c. c., potrebbe in astratto valere come presunzione di conoscenza (salvo individuare le concrete conseguenze sul piano giuridico) per i destinatari di tale comunicazione, ma non per il legittimario leso in base a tale testamento.
Per quanto riguarda specificamente il testamento olografo, ricollegando l’inizio della prescrizione dell’azione di riduzione alla pubblicazione, dello stesso, a prescindere dal fatto che anche in tal caso non viene chiarito quale sarebbe il fondamento logico di una presunzione di conoscenza da parte dei legittimari, non si tiene conto che: a) tale pubblicazione può anche mancare (cfr. la sentenza di questa S.C. 24 febbraio 2004 n. 3636); b) tale pubblicazione deve essere richiesta da chi è nel possesso del testamento, che potrebbe essere – ed anzi spesso è -persona diversa dal chiamato all’eredità in base ad esso e quindi da essa non è desumibile una accettazione dell’eredità da parte del chiamato; c) alla richiesta di pubblicazione del testamento olografo, anche ove dovesse provenire dal chiamato in base ad esso, non è necessariamente ricollegabile una accettazione dell’eredità, potendo essere fatta esclusivamente in adempimento dell’obbligo di cui all’art. 620, primo comma, c. c. .
Alla pubblicazione del testamento può essere ricollegata, ai sensi dell’art. 475 c. c., l’accettazione dell’eredità (e, correlativamente, la decorrenza del termine di prescrizione per l’esperimento dell’azione di riduzione) solo ove il chiamato assuma espressamente nel relativo verbale la qualità di eredi.
Va, poi, aggiunto che la pubblicazione serve a dare legale esecuzione al testamento olografo, ma nulla esclude che il chiamato in base ad esso abbia compiuto in precedenza atti idonei a comportare l’accettazione dell’eredità e quindi la decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di riduzione.
Alla luce di tali considerazioni il ricorso principale, con il quale si censura la sentenza impugnata per aver fatto decorrere il termine per la prescrizione dell’azione di riduzione dalla data di pubblicazione del testamento olografo, va cassata, con rinvio, per un nuovo esame, alla Corte di Appello di Napoli, anche per le spese del giudizio di legittimità, che si atterrà al seguente principio di diritto:
“Il termine di prescrizione dell’azione di riduzione decorre dalla data di accettazione dell’eredità da parte del chiamato in base a disposizioni testamentarie lesive della legittima”.
La prescrizione, tuttavia, resta interrotta quando il legittimario abbia posto in essere atti diretti in modo univoco a far valere la sua pretesa, come quando abbia chiesto, nel predetto termine decennale, la tutela giurisdizionale del proprio diritto con la proposizione della domanda di riduzione, a nulla rilevando che tale domanda sia stata dichiarata inammissibile per ragioni di rito (nella specie perché proposta tardivamente nel corso del giudizio divisorio, senza che su di essa fosse stato accettato il contraddittorio).
Difatti l’atto di costituzione in mora è idoneo ad interrompere la prescrizione esclusivamente di diritti obbligatori e non è applicabile al diritto del legittimario di esperire l’azione di riduzione delle disposizioni lesive della sua quota, poiché pur trattandosi di diritto di natura personale, ad esso non corrisponde un obbligo di prestazione della controparte anteriore all’iniziativa del legittimario[97].
È bene poi chiarire, come egregiamente dettato dalla S.C.[98], che l’azione del legittimario di riduzione delle donazioni ex art. 555 c.c., è caducabile soltanto per effetto della prescrizione ex art. 480 c.c., non può essere paralizzata dall’eccezione di usucapione ventennale [99] (art. 1158 c.c.) del convenuto, in quanto la pretesa fatta valere dal legittimario pretermesso si configura come azione di natura personale, diretta non a rivendicare lo specifico bene posseduto dal beneficiario dell’atto di liberalità, ma a far valere sul valore di detto bene le proprie ragioni successorie, sicché l’eccezione del donatario non avrebbe altra funzione se non quella di ribadire l’esistenza di quel dominio, presupposto della domanda di riduzione.
Infine, anche come da ultimo arresto della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 5 gennaio 2017, n.138
qualora l’erede agisca come legittimario a tutela della quota di riserva, proponendo domanda di riduzione di atti di trasferimento a titolo oneroso, previo accertamento della simulazione degli stessi in quanto dissimulanti donazione, il termine decennale di prescrizione dell’azione di simulazione decorre dal momento dell’apertura della successione, perché soltanto in tale momento si concretizza l’ipotizzata la lesione della quota di riserva del legittimario (ex plurimis e da ultimo, Cass., sez. 2, sent. n. 3932 del 2016).
D) Legittimazione passiva
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Per la Cassazione [100] in tema di tutela dei diritti dei legittimari, nel giudizio conseguente all’esercizio dell’azione di riduzione, legittimato passivo è il solo titolare della posizione giuridica che l’attore contesta al fine di ottenere la reintegrazione della sua quota di legittimario.
Ne consegue che, rimanendo ogni altro soggetto, benché coerede, estraneo a tale azione, non è configurabile un’ipotesi di litisconsorzio necessario; né, qualora l’azione di riduzione venga proposta con giudizi diversi contro i singoli coeredi, è ipotizzabile litispendenza, continenza o connessione tra le cause.
Secondo la Corte Fiorentina[101] la disciplina normativa per la ricostruzione dell’asse ereditario del de cuius, necessaria al fine di pervenire alla determinazione del quantum della quota di legittima, è dettata dagli artt. 553 e ss. c.c. e prevede una progressiva riduzione delle donazioni effettuate in vita dal de cuius ai legittimari di cui all’art. 536 c.c., secondo l’ordine stabilito dall’art. 559 c.c.
All’uopo deve rilevarsi che nella determinazione della procedura di calcolo la legge sostanziale non opera alcuna distinzione tra i legittimari, per cui in alcun caso può farsi luogo ad una interpretazione del quadro normativo nel senso di escludere le donazioni effettuate ai legittimari antecedentemente all’acquisto di tale qualità da parte del coniuge di seconde nozze, come nella specie preteso da parte appellante.
In tal senso non può essere condivisa l’argomentazione secondo la quale la disciplina successoria dovrebbe essere oggetto di una evoluzione interpretativa in seguito alla introduzione della legge sul divorzio, in modo tale da escludere la legittima aspettativa successoria del coniuge in seconde nozze in relazione a beni che già non facevano parte del patrimonio del de cuius al momento del matrimonio per essersene il medesimo spogliato in precedenza.
Deve, pertanto, concludersi per la sostanziale irrilevanza, ai fini della formazione dell’asse ereditario e della imputazione fittizia delle donazioni effettuate in vita dal de cuius ai legittimari, del momento nel quale gli stessi hanno acquistato la relativa qualifica.
E) In caso di successione testamentaria
art. 554 c.c. riduzione delle disposizioni testamentarie: le disposizioni testamentarie eccedenti la quota di cui il defunto poteva disporre sono soggette a riduzione (c.c.557 e seguenti) nei limiti della quota medesima (c.c.2652
art. 555 c.c. riduzione delle donazioni: le donazioni (c.c.809, 1923), il cui valore eccede la quota della quale il defunto poteva disporre (172), sono soggette a riduzione fino alla quota medesima (disp. di att. al c.c. 135).
Le donazioni non si riducono se non dopo esaurito il valore dei beni di cui è stato disposto per testamento.
Come già più volte rimarcato gli atti di liberalità soggetti a riduzione non sono inficiati da nullità — intesa, questa, in senso tecnico, come mancanza di requisiti essenziali di sostanza o di forma — ma sono invece validi, anche se suscettibili di essere resi inoperanti, in tutto o in parte, e cioè nei limiti in cui ciò sia necessario per l’integrazione della quota di riserva, attraverso l’esercizio del diritto potestativo dell’erede legittimo di chiederne la riduzione, salvo che questi abbia manifestato in modo non equivoco la volontà di non avvalersi di tale diritto.
Da ciò consegue che la rinunzia all’azione di riduzione non può configurarsi come un trasferimento di beni già acquisiti, al patrimonio del legittimario, ma produce invece l’effetto di impedire al medesimo, in conseguenza della preclusione della detta azione, di acquistare in tutto o in parte i beni formanti oggetto dell’atto di liberalità, e di rendere così definite ed intangibili le situazioni giuridiche precostituite in forza di tali atti[102].
Inoltre, le liberalità risultanti da atti diversi da quelli previsti nell’art. 769 c.c. (nella specie, negotium mixtum cum donatione [103]) sono soggette al regime delle donazioni limitatamente alla disciplina della revocazione (artt. 800 e ss. c.c.) ed a quella della riduzione per reintegrare la quota dei legittimari (artt. 555 e ss. c.c.), mentre, per ciò che attiene al regime formale, si sottraggono al requisito dell’atto pubblico, rimanendo soggette alla forma prescritta per l’atto da cui le liberalità risultano[104].
Ai fini di cui agli artt. 555, 556, 564 secondo comma e 746 c.c., nel caso in cui l’ascendente provveda con proprio denaro al pagamento del prezzo di un immobile acquistato dal discendente, costituendo la vendita mero strumento formale di trasferimento della proprietà del bene per l’attuazione di un complesso procedimento di arricchimento del destinatario del detto trasferimento, si ha donazione indiretta non già del denaro ma dell’immobile, poiché, secondo la volontà del disponente, alla quale aderisce il donatario, di quest’ultimo bene viene arricchito il patrimonio del beneficiario, nel quale, invece, non è mai entrato il denaro utilizzato per l’acquisto [105].
E in tale ambito rientra, naturalmente, anche la donazione remuneratoria — che è vera e propria donazione (art. 770 comma primo c.c.) perché di questa condivide i requisiti di sostanza e di forma — è soggetta alla disciplina della riduzione nel caso di lesione di legittima [106].
sotto un profilo processuale, poi, secondo ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 2 dicembre 2015, n. 24521
gli artt. 554 e 555 c.c. non prevedono e regolano due distinte azioni, bensì un’unica azione, e cioè l’azione di riduzione, concessa ai legittimari, a tutela dei diritti che la legge ad essi riserva, qualora siano lesi da disposizioni testamentarie (artt. 554 c.c.) ovvero da donazioni (art. 555 c.c.), prevedendosi per entrambe che sono soggette a riduzione” (Cass. sez. 2, Sentenza n. 11873 del 1993, in motivazione).
L’unicità dell’azione trova conferma nella unitaria disciplina dettata, ai fini della trascrizione, dall’art. 2652 n. 8 cod. civ., per le domande di riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie per lesione di legittima; e trova altresì conferma nel fatto che con l’azione di riduzione non si impugna un atto in quanto nullo o annullabile, ma si chiede semplicemente la riduzione dello stesso, ossia che esso sia privato di efficacia giuridica nella misura sufficiente a reintegrare il diritto del legittimario.
Risulta pertanto conforme a diritto la valutazione della Corte territoriale secondo cui l’originaria domanda di riduzione delle donazioni deve intendersi estesa alla disposizione testamentaria sopravvenuta in corso di causa; non senza considerare che trattasi di profilo attinente alla interpretazione della domanda che – in quanto giustificato da motivazione esente da vizi logici e giuridici – è insindacabile in sede di legittimità
Sul punto è stato affermato il seguente principio di diritto:
“Quando l’attore, quale erede legittimo e legittimario, ha proposto domanda di riduzione di atti di donazione lesivi della quota di riserva a lui spettante ai sensi degli artt. 536 e segg. cod. civ., legittimamente il giudice di merito, a seguito della interpretazione della domanda giudiziale, può ritenere che tale domanda si estenda anche alla riduzione delle disposizioni contenute nel testamento del de cuius che sia stato prodotto in corso di causa e di cui l’attore legittimario non conosceva l’esistenza, quando dal tenore della sua pretesa risulti che l’attore intenda comunque conseguire la quota di legittima spettantegli ex lege”.
Ancora per ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 4 dicembre 2015, n. 24755
Quando la riduzione riguarda le disposizioni a titolo universale con le quali sono stati nominati eredi testamentari, il legittimario pretermesso, ottenendo la reintegrazione della quota di legittima, acquista la qualità di erede pro-quota, che lo rende partecipe della comunione ereditaria nella misura della frazione prevista dagli artt. 537 e segg. cod. civ. Ne deriva che il giudice, nell’accogliere la domanda di riduzione, deve dichiarare, non quale sia il valore economico della quota di eredità spettante al legittimario, ma quali siano i beni ereditari e quale sia la quota di partecipazione del legittimario alla proprietà degli stessi.
Inoltre nella medesima sentenza sono stati posti i segunti ed ulteriori principi:
– “La divisione disposta con testamento, nella quale il testatore non abbia contemplato le posizioni di alcuno dei legittimari è nulla, ai sensi dell’art. 735 cod. civ., e tale nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse ed è rilevabile d’ufficio dal giudice”;
– “Al legittimario che ottiene la reintegrazione della quota di riserva mediante l’attribuzione di beni in natura spetta la corresponsione, da parte dell’erede testamentario, dei frutti dei beni ereditari con decorrenza dal momento dell’apertura della successione e nella misura corrispondente alla quota astratta di eredità spettante al legittimario su tali beni”;
– “Nel reintegrare la quota di legittima in natura, mediante il riconoscimento della partecipazione del legittimario alla comunione ereditaria nei limiti della frazione prevista dalla legge, il giudice deve disporre la trascrizione, nei pubblici registri immobiliari, della quota di comproprietà sui beni ereditari, adeguatamente individuati, spettante al legittimario e – correlativamente – delle quote di comproprietà spettanti agli eredi testamentari”.
art. 560 c.c. riduzione del legato o della donazione d’immobili: quando oggetto del legato o della donazione da ridurre è un immobile (c.c.812), la riduzione si fa separando dall’immobile medesimo la parte occorrente per integrare la quota riservata, se ciò può avvenire comodamente (c.c.720).
Se la separazione non può farsi comodamente e il legatario o il donatario ha nell’immobile un’eccedenza maggiore del quarto della porzione disponibile, l’immobile si deve lasciare per intero nell’eredità, salvo il diritto di conseguire il valore della porzione disponibile.
Se l’eccedenza non supera il quarto, il legatario o il donatario può ritenere tutto l’immobile, compensando in danaro i legittimari.
Il legatario o il donatario che è legittimario può ritenere tutto l’immobile, purché il valore di esso non superi l’importo della porzione disponibile e della quota che gli spetta come legittimario.
Affinché il legatario di immobile, soggetto ad azione di riduzione per la reintegrazione dei diritti dei legittimari, possa, ai sensi dell’art. 560 secondo comma c.c., ritenere tutto l’immobile e compensare in denaro i legittimari, non è sufficiente il requisito della non comoda divisibilità del bene, ma occorre anche che il legatario stesso non abbia nell’immobile un’eccedenza superiore al quarto della disponibile[107].
Per altra sentenza [108] nel giudizio promosso dall’erede riservatario per la riduzione del legato o della donazione di immobile, a norma dell’art. 560 c.c., la restituzione dell’intero immobile può essere imposta al convenuto (sempreché esso non sia anche legittimario ed il valore del bene non superi l’importo della disponibile e della quota che gli spetta come legittimario), alla duplice condizione che non sia possibile separare senza pregiudizio una porzione di detto immobile, e che il medesimo convenuto abbia su di esso un’eccedenza superiore al quarto della disponibile.
Nell’ipotesi che gli immobili donati contemporaneamente siano più d’uno, la legge non detta alcun particolare criterio di scelta ai fini della separazione della porzione occorrente ad integrare la legittima, per cui deve ritenersi che, al riguardo il giudice abbia il potere-dovere di tener conto di ogni circostanza del caso, con l’unico limite della comoda divisibilità[109].
Pertanto egli può, nel suo sovrano apprezzamento, basare la decisione anche su motivi di opportunità ricollegabili alle esigenze di una parte, purché ciò non apporti danno all’altra.
Infine, nell’ipotesi di donazione indiretta di un immobile, realizzata mediante l’acquisto del bene con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, la compravendita costituisce lo strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario, che ha quindi ad oggetto il bene e non già il denaro.
Tuttavia, alla riduzione di siffatta liberalità indiretta non si applica il principio della quota legittima in natura (connaturata all’azione nell’ipotesi di donazione ordinaria di immobile ex art. 560 c.c.), poiché l’azione non mette in discussione la titolarità dei beni donati e l’acquisizione riguarda il loro controvalore, mediante il metodo dell’imputazione; pertanto mancando il meccanismo di recupero reale della titolarità del bene, il valore dell’investimento finanziato con la donazione indiretta dev’essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito, con la conseguenza che, nell’ipotesi di fallimento del beneficiario, la domanda è sottoposta al rito concorsuale dell’accertamento del passivo ex artt. 52 e 93 della legge fall.[110]
Secondo ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 4 dicembre 2015, n. 24755
La reintegrazione della quota di legittima, conseguente l’esercizio dell’azione di riduzione, va effettuata con beni in natura, salvi i casi eccezionalmente previsti dall’art. 560 secondo e terzo comma cod. proc. civ. per la riduzione dei legati e delle donazioni
F) In caso di successione legittima
art. 553 c.c. riduzione delle porzioni degli eredi legittimi in concorso con legittimari: quando sui beni lasciati dal defunto si apre in tutto o in parte la successione legittima (c.c.457), nel concorso di legittimari con altri successibili, le porzioni che spetterebbero a questi ultimi si riducono proporzionalmente nei limiti in cui è necessario per integrare la quota riservata (c.c.537 e seguenti) ai legittimari, i quali però devono imputare a questa, ai sensi dell’art. 564, quanto hanno ricevuto dal defunto in virtù di donazioni o di legati.
Questa norma è stata considerata da un autore[111] praticamente inutile, perché il legislatore avrebbe già provveduto, nella disciplina della successione ab intestato, a regolare i singoli casi di concorso fra eredi legittimi non legittimari ed eredi legittimi legittimari, attribuendo a quest’ultimi quanto meno la quota di riserva.
Ma lo norma viene, dalla dottrina prevalente[112], ritenuta giustamente indispensabile proprio nei predetti casi e, precisamente nelle ipotesi previste dagli art. 571 c.c. (concorso genitori con fratelli e sorelle) e 582 c.c.
In caso di successione testamentaria parziale
Si procederà innanzitutto al ridimensionamento della quota dei successori non legittimari (con riduzione dei beni o diminuzione della quota a seconda dell’interpretazione che s’intende dare all’art 533) per poi passare, se ciò non fosse sufficiente, a ridurre le disposizioni testamentarie ed indi le donazioni.
G) Le modalità
Le disposizioni testamentarie eccedenti la quota di cui il defunto poteva disporre sono soggette a riduzione nei limiti della quota medesima.
La riduzione delle disposizioni testamentarie avviene proporzionalmente senza distinguere tra eredi e legatari, salvo che il testatore abbia indicato un ordine con cui procedere dichiarando che una disposizione deve avere effetto a preferenza delle altre.
art. 558 c.c. modo di ridurre le disposizioni testamentarie: la riduzione delle disposizioni testamentarie avviene proporzionalmente, senza distinguere tra eredi e legatari.
Se il testatore ha dichiarato che una sua disposizione deve avere effetto a preferenza delle altre, questa disposizione non si riduce, se non in quanto il valore delle altre non sia sufficiente a integrare la quota riservata ai legittimari.
art. 559 c.c. modo di ridurre le donazioni: le donazioni (c.c.809) si riducono cominciando dall’ultima e risalendo via via alle anteriori.
ll legittimario che intende proporre l’azione di riduzione ha l’onere di allegare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se sia, o meno, avvenuta, ed in quale misura, la lesione della sua quota di riserva, potendo solo in tal modo il giudice procedere alla sua reintegrazione; in particolare, in relazione al principio sancito dagli artt. 555 e 559 c.c., egli ha l’onere di indicare, oltre al valore, l’ordine cronologico in cui sono stati posti in essere i vari atti di disposizione, non potendo l’azione di riduzione essere sperimentata rispetto alle donazioni se non dopo esaurito il valore dei beni di cui è stato disposto per testamento e cominciando, comunque, dall’ultima e risalendo via via alle anteriori[113].
Nuovamente la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 31 luglio 2020, n. 16535
ha riaffermato il principio secondo cui il legittimario che propone l’azione di riduzione ha l’onere di indicare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della sua quota di riserva, non puo’ essere applicato qualora il de cuius abbia integralmente esaurito in vita il suo patrimonio con donazioni. In questo caso, infatti, il legittimario non ha altra via per reintegrare la quota riservata se non quella di agire in riduzione contro i donatari, essendo quindi la compiuta denuncia della lesione gia’ implicita nella deduzione della manifesta insufficienza del relicum
Al fine di stabilire se l’atto di disposizione patrimoniale compiuto in vita dal de cuius sia lesivo della quota riservata ai legittimari, ad esempio, la donazione con riserva di usufrutto deve essere calcolata come donazione in piena proprietà, riferendone il valore al tempo dell’apertura della successione. Non si deve, pertanto, tener conto, al fine suddetto, della rinuncia all’usufrutto[114] fatta dal donante a favore del donatario nudo proprietario[115].
Principio, quest’ultimo, ripreso anche da ultima pronuncia della S.C.
Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 19 luglio 2016, n.14747
Se la donazione, poi, è nulla[116] il legittimario agirà con l’azione di nullità, che avvantaggia tutti gli eredi facendo rientrare il bene donato nell’asse ereditario, laddove l’azione di riduzione mira soltanto a far dichiarare l’inefficacia delle donazioni nei confronti del legittimario, onde solo costui potrà procedere reintegrare la propria quota, mentre la donazione sarà efficace nei confronti di qualsivoglia altro soggetto, pur cointeressato.
Sulle modalità è intervenuta con ultima sentenza la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 10 marzo 2016, n. 4721
andando a specificare nnuovamente i presupposti e le attività da farsi, ovvero,ai sensi del combinato disposto degli artt. 554,555,558 e 559 cod. civ., ai fini della reintegrazione della quota di legittima lesa, devono anzitutto essere ridotte le disposizioni testamentarie (art. 554 cod. civ.); tale riduzione colpisce proporzionalmente tutte le disposizioni testamentarie, sia a titolo universale che a titolo particolare, nei limiti di quanto è necessario per soddisfare il diritto del legittimario (art. 558 comma 1 cod. civ.). Il testatore non può impedire la riduzione delle disposizioni testamentarie, ma può soltanto disporre che una disposizione (c.d. ‘disposizione privilegiata’) sia ridotta dopo che siano state ridotte le altre e ciò non sia stato sufficiente a reintegrare la quota di legittima lesa (art. 558 comma 2 cod. civ.). In ogni caso, non è possibile procedere alla riduzione delle donazioni poste in essere dal de cuius se non dopo aver operato la riduzione di tutte le disposizioni testamentarie – anche di quelle privilegiate – e aver constatato che tale riduzione non è sufficiente a reintegrare la quota di riserva spettante al legittimario (art. 555 comma 2 cod. civ.); solo in tal caso, può procedersi alla riduzione delle donazioni, sia dirette che indirette, la quale è soggetta al criterio cronologico, nel senso che va prima ridotta l’ultima donazione e, solo ove tale riduzione si riveli insufficiente per reintegrare la quota di legittima, può risalirsi via via a quelle anteriori, secondo l’ordine cronologico, fino a soddisfare il diritto del legittimario (art. 559 cod. civ.).
L’ordine secondo cui deve operarsi la riduzione delle disposizioni lesive di legittima è tassativo e inderogabile (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 3500 del 22/10/1975, Rv. 377674).
A conclusione la Cassazione ha affermato il seguente principio:
Ai fini della reintegrazione della quota di legittima lesa, il giudice di merito non può procedere alla riduzioni delle donazioni, senza aver prima ridotto tutte le disposizioni testamentarie e aver verificato che la riduzione di esse non è sufficiente a soddisfare il diritto del legittimario.
H) LE CONDIZIONI NECESSARIE
art. 564 c.c. condizioni per l’esercizio dell’azione di riduzione: il legittimario che non ha accettato l’eredità col beneficio d’inventario (c.c.484 e seguenti) non può chiedere la riduzione delle donazioni e dei legati, salvo che le donazioni e i legati siano stati fatti a persone chiamate come coeredi, ancorché abbiano rinunziato all’eredità. Questa disposizione non si applica all’erede che ha accettato col beneficio d’inventario e che ne è decaduto (c.c.439 e seguenti).
È stato specificato che la condizione fondamentale per chiedere la riduzione delle donazioni o delle disposizioni lesive della porzione di legittima è soltanto quella di essere tra le persone indicate dall’art. 557 c.c., e cioè di rivestire la qualità di legittimario, mentre la condizione stabilita dall’art. 564, comma primo, c.c., della preventiva accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, vale soltanto per il legittimario che abbia in pari tempo la qualità di erede. Diversamente argomentando, infatti, il legittimario totalmente pretermesso dal testamento non sarebbe in grado di esercitare l’azione di riduzione, non potendo in alcun modo accettare una eredità alla quale non è stato chiamato[117].
In ogni caso il legittimario, che domanda la riduzione di donazioni o di disposizioni testamentarie, deve imputare (c.c.737 e segg.) alla sua porzione legittima le donazioni e i legati a lui fatti, salvo che ne sia stato espressamente dispensato (c.c. 553; disp. di att. al c.c. 1352).
Il legittimario che succede per rappresentazione (c.c.467 e seguenti) deve anche imputare le donazioni e i legati fatti, senza espressa dispensa, al suo ascendente (c.c.740; disp. di att. al c.c. 1352).
La dispensa non ha effetto a danno dei donatari anteriori.
Ogni cosa, che, secondo le regole contenute nel capo II del titolo IV di questo libro, è esente da collazione, è pure esente da imputazione.
1) ACCETTAZIONE BENEFICIATA
Il legittimario che non ha accettato l’eredità con beneficio d’inventario non può chiedere, la riduzione delle donazioni e dei legati.
Questa regola non si applica all’erede pretermesso.
La condizione è basata sulla necessità che i terzi estranei all’eredità siano garantiti in ordine all’effettiva entità del patrimonio.
Per questo l’accettazione beneficiata non è richiesta quando i legatari e donatari siano anche coeredi , in quanto successori a titolo universale, i quali costituiscono, come si suol dire la persona del de cuius, e dunque non terzi, conoscano esattamente l’entità del patrimonio senza bisogno di procedere all’inventario.
Ma la norma è apparsa in realtà sproporzionata, perché sarebbe stata sufficiente la sola redazione dell’inventario.
Peraltro tale ratio è del tutto contraddetta dal fatto che è sufficiente l’accettazione beneficiata pur se poi si decada dal beneficio: tale decadenza infatti potrebbe dipendere proprio dall’omessa o infedele formazione dell’inventario.
Per la S.C.[118] a norma dell’art. 564 c.c., il legittimario che abbia la qualità di erede non può esperire l’azione di riduzione delle donazioni e dei legati lesivi della sua quota di legittima ove non abbia accettato l’eredità con beneficio d’inventario, non potendo tale condizione valere, invece, per il legittimario totalmente pretermesso, il quale può acquistare i suoi diritti solo dopo l’esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento. La pretermissione del legittimario può verificarsi anche nella successione ab intestato, qualora il de cuius si sia spogliato in vita del suo patrimonio con atti di donazione.
2) IMPUTAZIONE EX SE
Salvo dispensa che è un atto unilaterale, trattandosi di una dichiarazione del donante o del de cuius, che può essere calata
1) in una autonoma clausola del contratto di donazione o del testamento
2) ovvero contenuta in un atto a sé stante successivo, testamentario ovvero pubblico.
Il legittimario non deve imputare solo le donazioni e i legati, ma tutto ciò che abbia ricevuto per successione, vale a dire anche i beni che abbia conseguito in qualità di erede.
E’ un ONERE a carico del legittimario che domanda la riduzione di donazioni (e di disposizioni testamentarie).
Egli deve (con un calcolo puramente contabile) imputare preventivamente alla sua porzione legittima le donazioni (e i legati) a cui fatti; logicamente ciò significa che il legittimario che abbia ricevuto donazioni o legati dal de cuius di valore pari o superiore alla legittima, esperisce inutilmente l’azione di riduzione.
Se invece la donazione è di valore inferiore alla sua legittima, oppure abbia ricevuto una donazione con dispensa dall’imputazione ex se (sempre inferiore al valore invalicabile della disponibile) potrà chiedere l’integrazione di legittima e conservare i beni ricevuti in donazione.
La dispensa dall’imputazione effettivamente sposta il bene sulla disponibile.
La dispensa dalla collazione, invece, non lo sposta, per cui il donatario con dispensa da collazione (ma non da imputazione) può conservare il bene donato nei limiti della disponibile, tuttavia, se esiste concorso con altri disponibilisti (anche donatari anteriori) che non permetta al beneficio della dispensa di operare, egli dovrà imputare i beni donati prima alla sua legittima e poi, se c’è capienza, sulla disponibile.
Per la S.C.[119] la collazione per imputazione dell’immobile donato in nuda proprietà con riserva di usufrutto va effettuata con riferimento al valore corrispondente alla piena proprietà come acquisita dal donatario all’epoca di apertura della successione, sia perché solo in tale momento si può stabilire il valore dell’intera massa da dividere ed attuare lo scopo della collazione di ricomposizione in modo reale dell’asse ereditario, sia perché l’acquisizione della piena proprietà del bene in capo al donatario alla morte del donante (ovvero al tempo di apertura della successione, come individuato dall’art. 456 c.c.) è, comunque, effetto riconducibile al suddetto atto di donazione. In caso contrario, il donatario si avvantaggerebbe ingiustificatamente del mancato conferimento alla massa di un importo corrispondente alla differenza tra il valore equivalente alla nuda proprietà e quello equivalente alla piena proprietà del bene stesso.
Ancora per la Cassazione[120] in tema di successioni, ai sensi dell’art. 564, secondo c., la dispensa dall’imputazione ex se deve essere espressa e, quindi, occorre che la volontà di dispensare dall’imputazione sia deducibile con certezza dal contesto della disposizione, senza la possibilità di equivoci sul significato sia logico che letterale dell’espressione usata, restando conseguentemente esclusa l’utilizzabilità di elementi extracontrattuali e la desumibilità di una volontà in tal senso per implicito dalle disposizioni del donante. Discende che non può ravvisarsi una dispensa dalla imputazione alla legittima nella dichiarazione del donante che la donazione viene da lui fatta sulla disponibilie.
I) Questioni processuali
Preliminarmente è gioco forza ricordare che il legittimario pretermesso o leso nella legittima quando propone l’azione di riduzione ha l’onere di indicare entro quali limiti è stata lesa la sua quota di riserva, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria nonché il valore della quota di legittima violata dal testatore.
A tal fine, ha l’onere di allegare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della sua quota di riserva oltre che proporre, sia pure senza l’uso di formule sacramentali, espressa istanza di conseguire la legittima, previa determinazione della medesima mediante il calcolo della disponibilità e la susseguente riduzione delle donazioni compiute in vita dal de cuius [121].
In ordine all’onere probatorio gravante sui legittimari ai fini della ricostruzione fittizia dell’asse, ed in particolare in ordine all’inesistenza di altri beni e di donazioni effettuate in vita dalla defunta, se è vero che tale onere investe anche i fatti negativi in quanto costituenti il fondamento del diritto vantato, è anche vero siffatta prova, per la quale non ricorrono limitazioni, ben può essere ravvisata dal giudice in presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti [122].
È importante anche precisare che l’eventuale accoglimento della domanda di riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni lesive della quota dei legittimari, con la restituzione al legittimario di beni fruttiferi, non comporta l’automatica attribuzione dei frutti di detti beni, occorrendo all’uopo un’espressa e rituale domanda, giacché la relazione di accessorietà che intercorre fra le due domande lascia sussistere la loro autonomia sul piano sostanziale e processuale[123].
Inoltre, come anche chiarito dalla S.C.
Corte di Cassazione, sezione sesta (seconda) civile, Ordinanza 21 febbraio 2020, n. 4709.
in caso di vittorioso esperimento dell’azione di riduzione per lesione di legittima, indipendentemente dalla circostanza che essa sia indirizzata verso disposizioni testamentarie o donazioni, i frutti dei beni da restituire vanno riconosciuti al legittimario leso con decorrenza dalla domanda giudiziale e non dall’apertura della successione, presupponendo detta azione – avente carattere personale ed efficacia costitutiva – il suo concreto e favorevole esercizio, affinchè le disposizioni lesive perdano efficacia e poiché è solo da tale momento che la presunzione di buona fede cessa di caratterizzare il possesso del beneficiario sui beni ricevuti.
Poi, nella controversia promossa da più eredi legittimari per ottenere la riduzione di disposizioni lesive della loro quota di riserva, la impugnazione incidentale dell’uno, in adesione alle ragioni fatte valere dall’altro con impugnazione principale, non si sottrae al termine ordinario, in considerazione della scindibilità delle relative controversie, per effetto del carattere personale della azione di riduzione (indipendentemente dalla circostanza che il legittimario succeda in via diretta o per rappresentazione), nonché in considerazione della non invocabilità delle disposizioni dello art. 334 c.p.c., sull’impugnazione incidentale tardiva, le quali riguardano l’impugnazione rivolta contro la parte che ha proposto l’impugnazione principale [124].
Inoltre stante l’autonomia del diritto del legittimario di esercitare l’azione personale di reintegrazione della quota di riserva, non è configurabile un litisconsorzio necessario fra tutti i legittimari in relazione alla stessa successione ereditaria, ma è richiesta soltanto la presenza in causa del legittimario e della persona che ha beneficiato dell’atto di liberalità o della disposizione testamentaria lesiva della legittima[125].
Ai fini prettamente processuali non di rado può accadere che l’erede pretermesso onde evitare un aggravio, qualora ricorrano i giusti presupposti di fumus e periculum, della sua lesione può, eventualmente, chiedere un sequestro preventivo al fine di cristallizzare l’asse ereditario ed, infatti, ai sensi dell’art. 670 n. 1 cod. proc. civ. possono formare oggetto di sequestro giudiziario non solo i beni ordinari per i quali sia stata esercitata un’azione di rivendica, di reintegrazione, o di manutenzione, ma anche quelli che abbiano dato luogo ad una controversia dalla cui decisione può scaturire una statuizione di condanna alla restituzione o al rilascio, eventualmente in accoglimento di un’azione personale, di cosa a qualsiasi titolo pervenuta nella disponibilità di altri, come nel caso di azione di riduzione di donazioni da parte del legittimario leso[126].
L’erede legittimario che chieda la dichiarazione di simulazione [127] di una vendita fatta dal de cuius assume la qualità di terzo rispetto ai contraenti – con conseguente ammissibilità della prova testimoniale o presuntiva senza limiti o restrizioni – quando agisca a tutela del diritto, riconosciutogli dalla legge, all’intangibilità della quota di riserva e proponga in concreto, sulla premessa che l’atto simulato comporti una diminuzione della sua quota di legittima, una domanda di riduzione, nullità o inefficacia dell’atto medesimo[128].
Principio già riportato in altra precedente pronuncia[129] secondo la quale, appunto, il legittimario pretermesso dall’eredità, che impugna, a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di legittima, la compravendita immobiliare compiuta dal de cuius in quanto dissimulante una donazione, agisce in qualità di terzo, sicché, nei suoi confronti, non può attribuirsi valore vincolante alla dichiarazione relativa al versamento del prezzo, pur contenuta nel rogito notarile, potendo, invece, trarsi elementi di valutazione circa il carattere fittizio del contratto dalla circostanza che il compratore, su cui grava l’onere di provare il pagamento del prezzo, non abbia fornito la relativa dimostrazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, in applicazione dell’anzidetto principio, aveva escluso che potesse assumere valore dirimente, al fine di escludere la dissimulazione della donazione, l’attestazione, contenuta nell’atto pubblico di compravendita immobiliare, del pagamento del prezzo tramite assegno, consegnato salvo buon fine).
Anche ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 9 giugno 2014, n. 12955
ha ripreso a pieno il principio più volte menzionato.
L’azione di simulazione che sia esercitata dal legittimario in relazione di strumentalità con quella, dallo stesso contestualmente proposta, di reintegrazione della quota di riserva, in quanto diretta ad ottenere, nella prospettiva di una declaratoria di inefficacia degli atti impugnati di simulazione, la ricostruzione dell’asse che comporti una rideterminazione per lui più favorevole dei diritti riservati, è soggetta allo stesso termine prescrizionale decennale, che decorre per entrambe le dette azioni non dalla data di stipulazione dell’atto che si assume simulato, bensì dalla data di apertura della successione, atteso che solo da tale momento, che coincide con quello di acquisto della qualità di erede, l’atto compiuto dal de cuius assume l’idoneità a ledere i diritti del legittimario e ne rende concreto ed attuale l’interesse ad agire in giudizio[130].
Come già scritto con ultimo intervento la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 5 gennaio 2017, n.138
ha riaffermato il medesimo principio: qualora l’erede agisca come legittimario a tutela della quota di riserva, proponendo domanda di riduzione di atti di trasferimento a titolo oneroso, previo accertamento della simulazione degli stessi in quanto dissimulanti donazione, il termine decennale di prescrizione dell’azione di simulazione decorre dal momento dell’apertura della successione, perché soltanto in tale momento si concretizza l’ipotizzata la lesione della quota di riserva del legittimario (ex plurimis e da ultimo, Cass., sez. 2, sent. n. 3932 del 2016).
Sul punto la Cassazione con altra pronuncia
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 10 novembre 2015, n. 22907
ha riaffermato che il legittimario totalmente pretermesso (nella specie, in caso di successione ab intestato, per aver il de cuius disposto in vita dell’intero suo patrimonio), il quale proponga domanda di simulazione relativa di una compravendita, preordinata all’eventuale successivo esercizio dell’azione di riduzione, agisce in qualità di terzo e non nella veste di erede, qualità – necessaria ai fini della preventiva accettazione dell’eredità con beneficio di inventario di cui all’art. 564 c.c., comma 1 – che egli acquista solo in conseguenza del positivo esercizio della medesima azione di riduzione (Sez. 2, Sentenza n. 16635 del 03/07/2013, Rv. 627105; Sez. 2, Sentenza n. 12496 del 29/05/2007, Rv. 597504). Infatti, il legittimario totalmente pretermesso non è chiamato alla successione per il solo fatto della morte del de cuius, potendo acquistare i suoi diritti solo dopo l’esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento, ovvero dopo il riconoscimento dei suoi diritti da parte dell’istituito. Ne consegue che la condizione della preventiva accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, stabilita dall’art. 564, comma 1, per l’esercizio dell’azione di riduzione, vale soltanto per il legittimario che abbia in pari tempo la qualità di erede (per disposizione testamentaria o per delazione ab intestato), ma non anche per il legittimario totalmente pretermesso dal testatore (Sez. 2, Sentenza n. 28632 del 23/12/2011, Rv. 620793; Sez. 2, Sentenza n. 13804 del 15/06/2006, Rv. 589908; Sez. 2, Sentenza n. 19527 del 07/10/2005, Rv. 583417; Sez. 2, Sentenza n. 12632 del 09/12/1995, Rv. 494995; Sez. 2, Sentenza n. 11873 del 01/12/1993, Rv. 484559).
Nella specie, essendo state le attrici totalmente pretermesse per avere il de cuis alienato in vita l’unico bene costituente il suo patrimonio, le stesse hanno agito in qualità di terze e l’azione di riduzione da esse esercitata non è soggetta alla condizione della previa accettazione col beneficio d’inventario, non esigibile in mancanza di chiamata all’eredità. Ne deriva l’infondatezza della doglianza relativa alla mancata declaratoria di inammissibilità dell’azione di riduzione ai sensi dell’art. 564 c.c., comma 2.
Per altra recente pronuncia
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 29 novembre 2013, n. 26858
nel giudizio di riduzione l’attore nel dar prova del suo diritto, ha l’onere di sottrarre il valore delle liberalità ricevute; ne consegue che, intervenuto il giudicato che accerta (in tesi) la liberalità non dichiarata da chi agisce in riduzione, lo stesso giudicato esterno (intervenuto tra le stesse parti) sarebbe opponibile nel giudizio di riduzione, posto che l’esistenza del giudicato esterno è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, anche in sede di legittimità.
Si continua a leggere in sentenza che l’eccezione per la quale l’attore che agisce in riduzione ha ricevuto donazioni in vita da imputare alla legittima costituisce eccezione in senso lato e come tale il suo rilievo di ufficio non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati “ex actis”, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe vanificato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto (cfr. Cass. S.U. 7/5/2013 n. 10531 Ord.).
Ai fini della differenza con l’azione di petizione, colui che agisce in giudizio per il riconoscimento del diritto a conseguire la quota di riserva, esperisce un’azione di riduzione, di natura personale e quindi soggetta al termine ordinario di prescrizione, decorrente dal momento dell’apertura della successione, e non una petitio hereditatis[131], poiché il legittimario pretermesso non è chiamato alla successione per il solo fatto della morte del de cuius, potendo acquistare i suoi diritti solo dopo l’esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento, ovvero dopo il riconoscimento dei suoi diritti da parte dell’istituito [132].
Secondo ultimo adagio della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione sesta (seconda) civile, Ordinanza 21 febbraio 2020, n. 4694.
l’azione di riduzione proposta contro un soggetto che è legittimario al pari del legittimario attore implica che il convenuto abbia ricevuto una donazione o debba beneficiare di una disposizione testamentaria per la quale venga ad ottenere, oltre la rispettiva legittima, che è anche a suo favore intangibile, qualcosa di più, che contribuisce a privare, in tutto o in parte, della legittima il legittimario attore. In tal caso, il convenuto con l’azione di riduzione non deve proporre alcuna domanda o eccezione per contenere la riduzione nei limiti di quanto eventualmente sopravanzi a ciò che gli compete come legittimario, conseguendo tale risultato dall’applicazione delle norme di legge, senza che rilevi minimamente che la riduzione, così operata, non sia sufficiente a reintegrare la legittima dell’attore.
Infine,
Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 31 luglio 2020, n. 16535
“Se e’ vero che i successori mortis causa a titolo universale, quali continuatori della personalita’ del defunto, subentrano nella condizione giuridica di questo e, pertanto, in materia di simulazione, non possono essere compresi nella categoria dei terzi, in tale categoria puo’ farsi rientrare il legittimario che agisca per il recupero o la reintegrazione della quota di legittima lesa dall’atto simulato. In tal caso, infatti, il legittimario si pone come terzo rispetto allo atto impugnato di simulazione, compiuto dal de cuius nel proprio patrimonio, giacche’, per la realizzazione del suo diritto a conseguire la porzione di eredita attribuitagli ex lege, egli si oppone alla volonta’ negoziale manifestata dal suo dante causa, come un qualsiasi altro terzo”.
“Quando la successione legittima si apre su un relictum insufficiente a soddisfare i diritti dei legittimari alla quota di riserva, avendo in vita il de cuius fatto donazioni che eccedono la disponibile, la riduzione delle donazioni pronunciata su istanza del legittimario ha funzione integrativa del contenuto economico della quota ereditaria di cui il legittimario e’ gia’ investito ex lege, determinando il concorso della successione legittima con la successione necessaria. Pertanto, in materia di simulazione di atti compiuti da de cuius, il riferimento alla quota di successione intestata, operato dal legittimario nel chiedere l’accertamento della simulazione, non significa cha la parte abbia fatto valere i suoi diritti di erede piuttosto che quelli di legittimario, qualora dall’esame complessivo della domanda risulti che l’accertamento sia stato comunque richiesto per il recupero o la reintegrazione della quota di legittima lesa”.
IL CALCOLO DELLA LEGITTIMA
art. 556 c.c. determinazione della porzione disponibile: per determinare l’ammontare della quota di cui il defunto poteva disporre si forma una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della morte, detraendone i debiti. Si riuniscono quindi fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, secondo il loro valore determinato in base alle regole dettate negli artt. 747 e 750 e sull’asse così formato si calcola la quota di cui il defunto poteva disporre (c.c.537 e seguenti, 737; disp. di att. al c.c. 135-2).
Come già scritto il legittimario che propone azione di riduzione ha l’onere di indicare entro quali limiti è stata lesa la legittima, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria, nonché il valore della quota di legittima violata dal testatore[133].
Al fine di determinare la porzione disponibile, e di quella riservata ai legittimari, si forma una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della morte detraendone i debiti.
Si riuniscono quindi fittiziamente i beni di cui sia stato disposizione a titolo di donazione e quindi sull’asse così formato si calcola la quota di cui il defunto poteva disporne.
La quota disponibile e, quindi, la riserva si calcolano detraendo dal valore del patrimonio relitto i debiti, ma aggiungendovi le donazioni elargite dal testatore in vita (relictum più donatum), secondo le regole sulla collazione.
Questa operazione, cui si dà il nome di riunione fittizia, ha la funzione di accertare se l’ereditando, donando in vita i propri beni, abbia pregiudicato diritti dei c.d. legittimari.
Per la S.C. [134] per accertare la lesione di legittima è necessario determinare il valore della massa ereditaria e, quello, quindi, della quota disponibile e della quota di legittima, che della massa ereditaria costituiscono una frazione, procedendo, anzitutto, alla formazione della massa dei beni relitti ed alla determinazione del loro valore al momento dell’apertura della successione, alla detrazione dal relictum dei debiti da valutare con riferimento alla stessa data, alla riunione fittizia (cioè, con operazione meramente contabile) tra attivo netto e donatum, costituito dai beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, da stimare secondo il loro valore al momento dell’apertura della successione (artt. 747 e 750 c.c., rispettivamente relativi ai beni immobili ed ai beni mobili) e con riferimento al valore nominale, quanto alle donazioni in denaro (art. 751 c.c.), calcolando, poi, la quota disponibile e la quota indisponibile sulla massa risultante dalla somma del valore del relictum al netto e del valore del donatum ed imputando, infine, le liberalità fatte al legittimario con conseguente diminuzione, in concreto, della quota ad esso spettante (art. 564 c.c.).
Poi, ai fini della determinazione della quota di legittima e della quota disponibile deve aversi riguardo, ai sensi degli artt. 556 e 564 c.c., esclusivamente al valore dell’asse ereditario al tempo dell’apertura della successione, differentemente dalla stima dei beni per la formazione delle quote per la divisione ereditaria, che a norma dell’art. 726 c.c. deve farsi con riferimento al loro stato e valore venale al tempo della divisione anche quando si provveda alla reintegrazione della legittima [135].
Per ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 17 marzo 2016, n. 5320
la lesione di legittima va verificata alla stregua dei valori dei beni all’apertura della successione. Qualora vi siano conguagli da attribuire, per riequilibrare l’assegnazione ad altro erede di beni che in parte dovevano essere destinati al coerede avente diritto ai conguagli, questi ultimi devono essere commisurati al valore, al momento della divisione, del bene (o dei beni) che avrebbe dovuto essere assegnato in natura al non assegnatario, tenendo conto del mutato valore (nella specie: porzione delle quote di comproprietà degli immobili che componevano l’asse).
Questo principio – secondo la sentenza in commento – non significa che la parte assegnataria del bene compreso nell’asse può lucrare l’eventuale maggior valore che esso abbia maturato rispetto alla svalutazione monetaria nel lasso di tempo tra la morte del de cuius e l’ultimazione giudiziaria delle operazioni divisionali, fenomeno che si è verificato dal dopoguerra fino alla crisi deflazionistica dell’ultimo quinquennio.
Significa che distinte sono le operazioni da effettuare.
La lesione di legittima va verificata alla stregua dei valori dei beni all’apertura della successione.
Qualora vi siano conguagli da attribuire, per riequilibrare l’assegnazione ad altro erede di beni che in parte dovevano essere destinati al coerede avente diritto ai conguagli, questi ultimi devono essere commisurati al valore, al momento della divisione, del bene (o dei beni) che avrebbe dovuto essere assegnato in natura al non assegnatario, tenendo conto del mutato valore (nella specie: porzione delle quote di comproprietà degli immobili che componevano l’asse).
Principio ripreso anche da ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 25 gennaio 2017, n. 1884
secondo la quale, nel procedimento per la reintegrazione della quota di eredità riservata al legittimario, si deve avere riguardo al momento di apertura della successione per calcolare il valore dell’asse ereditario – mediante la cosiddetta riunione fittizia – stabilire l’esistenza e l’entità della lesione della legittima, nonché determinare il valore dell’integrazione spettante al legittimario leso. Peraltro, qualora tale integrazione venga effettuata mediante conguaglio in denaro, nonostante l’esistenza, nell’asse, beni in natura, trattandosi di credito di valore e non già di valuta essa deve essere adeguata al mutato valore – al momento della decisione giudiziale – del bene a cui il legittimario avrebbe diritto, affinché ne costituisca l’esatto equivalente, dovendo pertanto procedersi alla relativa rivalutazione, sulla base della variazione degli indici ISTAT sul costo della vita, nonché, trattandosi di beni fruttiferi, alla corresponsione dei “frutti” dal legittimario medesimo non percepiti (nel caso, interessi compensativi sulla somma rivalutata), da disporsi a far data dalla domanda.
1) FORMAZIONE DELLA MASA DEI BENI EREDITARIA –
ex artt. 747/8/9 e art. 750 c.c.
art. 747 c.c. collazione per imputazione: la collazione per imputazione si fa avuto riguardo al valore dell’immobile al tempo dell’aperta successione.
art. 748 c.c. miglioramenti, spese e deterioramenti: in tutti i casi, si deve dedurre a favore del donatario il valore delle migliorie apportate al fondo nei limiti del loro valore al tempo dell’aperta successione (456, 1150 c.c.).
Devono anche computarsi a favore del donatario le spese straordinarie da lui sostenute per la conservazione della cosa, non cagionate da sua colpa.
Il donatario dal suo canto è obbligato per i deterioramenti che, per sua colpa, hanno diminuito il valore dell’immobile.
Il coerede che conferisce un immobile in natura può ritenerne il possesso sino all’effettivo rimborso delle somme che gli sono dovute per spese e miglioramenti (1152 c.c.).
art. 749 c.c. miglioramenti e deterioramenti dell’immobile alienato: nel caso in cui l’immobile è stato alienato dal donatario, i miglioramenti e i deterioramenti fatti dall’acquirente devono essere computati a norma dell’articolo precedente.
art. 750 c.c. collazione di mobili: la collazione dei mobili si fa soltanto per imputazione, sulla base del valore che essi avevano al tempo dell’aperta successione (456, att. 1353).
Se si tratta di cose delle quali non si può far uso senza consumarle, e il donatario le ha già consumate, si determina il valore che avrebbero avuto secondo il prezzo corrente (1474) al tempo dell’aperta successione.
Se si tratta di cose che con l’uso si deteriorano, il loro valore al tempo dell’aperta successione è stabilito con riguardo allo stato in cui si trovano.
La determinazione del valore dei titoli dello Stato, degli altri titoli di credito quotati in borsa e delle derrate e delle merci il cui prezzo corrente è stabilito dalle mercuriali, si fa in base ai listini di borsa e alle mercuriali del tempo dell’aperta successione.
art. 751 c.c. collazione del danaro: la collazione del danaro donato (1923 c.c.) si fa prendendo una minore quantità del danaro che si trova nell’eredità, secondo il valore legale della specie donata o di quella ad essa legalmente sostituita all’epoca dell’aperta successione (1277 e seguenti c.c.).
Quando tale danaro non basta e il donatario non vuole conferire altro danaro o titoli dello Stato, sono prelevati mobili o immobili ereditari, in proporzione delle rispettive quote.
2) DETRAZIONE DEI DEBITI –
Operazione matematica
DONAZIONI + | RELICTUM | – DEBITI |
I debiti non sono soltanto quelli contratti dal defunto, ma anche quelli sorti in occasione della morte[136]:
1 – spese funerarie;
2 – spese di sepoltura;
3 – spese per la pubblicazione di testamento;
4 – spese per l’apposizione di sigilli;
5 – spese per la redazione dell’inventario;
6 – la formazione delle quote.
La determinazione della quota di legittima va fatta con riguardo al valore della massa risultante dalla riunione fittizia, con detrazione dei debiti ereditari, senza che possa tenersi conto degli oneri e delle obbligazioni non preesistenti e che vengono a costituirsi per volontà del testatore con espressa imposizione a carico dell’istituito nella disponibile [137].
Non si detraggono
1) le obbligazioni naturali,
2) in particolare i debiti prescritti, non essendo questi dei veri e propri obblighi in senso civile.
3) I legati non si detraggono, quest’ultimi fanno parte della massa ereditaria e perciò non devono detrarsi.
4) I debiti sottoposti a condizione sospensiva
Se non vi è relictum la detrazione sarà effettuata sui beni donati –
3) RIUNIONE FITTIZIA DELLE DONAZIONI
Donazioni
Come per la collazione, cui l’art. 556 c.c. rinvia, ogni tipo di donazione va computato (dirette ed indirette – modali – remuneratorie – obnuziali o manuali) a chiunque effettuate, né potrebbe il de cuius esonerare talune di esse dal computo.
Sono applicabili alla riunione fittizia anche gli artt. 741 – 744 c.c. che riguardano i beni da conferire o da non conferire in concreto, inoltre gli istituti previsti per la collazione –
A) società di comodo –
B) intestazione mobiliare –
art. 741 c.c. collazione di assegnazioni varie: è soggetto a collazione ciò che il defunto ha speso a favore dei suoi discendenti per assegnazioni fatte a causa di matrimonio, per avviarli all’esercizio di un’attività produttiva o professionale, per soddisfare premi relativi a contratti di assicurazione sulla vita a loro favore o per pagare i loro debiti.
art. 742 c.c. spese non soggette a collazione: non sono soggette a collazione le spese di mantenimento e di educazione e quelle sostenute per malattia, ne quelle ordinarie fatte per abbigliamento o per nozze.
Le spese per il corredo nuziale e quelle per l’istruzione artistica o professionale sono soggette a collazione solo per quanto eccedono notevolmente la misura ordinaria, tenuto conto delle condizioni economiche del defunto (809 c.c.).
Non sono soggette a collazione le liberalità previste dal secondo comma dell’Art. 770. c.c.
art. 743 c.c. società contratta con l’erede: non è dovuta collazione di ciò che si è conseguito per effetto di società contratta senza frode tra il defunto e alcuno dei suoi eredi, se le condizioni sono state regolate con atto di data certa (2704 c.c.).
art. 744 c.c. perimento della cosa donata: non è soggetta a collazione la cosa perita per causa non imputabile al donatario (1256 c.c.).
Esonero in favore del legittimario dall’imputazione ex se
questo esonero incide solo nel senso di far considerare quella data donazione come fatta sulla quota disponibile e dunque da non aggiungersi a quanto ricevuto mortis causa al fine di stabilire se vi sia o non vi sia stata lesione della quota di riserva.
Esempi
S’ipotizzi che il de cuius abbia 2 figli ed abbia fatto solo al primogenito donazioni per 200. |
Alla morte lascia per testamento 1000 così ripartito:
300 a ciascun figlio e 400 alla Casa di riposo; i debiti ereditari ammontano a 200
Disposizione lesiva della legittima
Per vedere se la disposizione in favore della Casa di riposo è stata mantenuta nei limiti della disponibile si procede come detto, detraendo dal relictum (1000) i debiti (200) = 800 + 200 che è la donazione fatta e si otterrà 1000; poiché ai figli spettano i 2/3 e cioè 666 (a ciascuno 333) e pertanto la disposizione è lesiva x 33.
Donazione con esonero = Disposizione lesiva
Se la donazione al primo figlio era stata fatta con esonero da imputazione effettivamente la lesione sussiste perché la disponibile di cui il de cuius poteva disporre con il testamento era stata decurtata di un valore pari alla donazione.
Donazione con imputazione
Se invece l’esonero non vi era stato, la donazione era stata fatta in conto di legittima ed allora la lesione non c’è:
essendo la quota di 333 ed avendo il figlio ricevuto in donazione è sufficiente che riceva 133, mentre ha ricevuto 300, si deve quindi di reintegrare la quota del solo figlio non donatario, che avendo diritto a 333 ed avendo ricevuto solo 300, dovrà avere altre 33, secondo le regole dell’azione di riduzione.
L’AZIONE DI RESTITUZIONE
Successivamente alla azione di riduzione il legittimario agirà verso i beneficiati per la restituzione dei beni oggetto della disposizione ormai ridotta.
Quanto alle distinzioni tra azione di riduzione e azione di restituzione giova precisare che l’effetto costitutivo dell’azione di riduzione si esaurisce nel rendere inefficaci le disposizioni lesive nei confronti dei legittimari che l’abbiano chiesta, e nella misura occorrente per reintegrare la quota agli stessi riservata. Successivamente il legittimario, nella sua qualità di erede, agirà contro i beneficiari delle disposizioni lesive (o i terzi acquirenti) per ottenere la condanna giudiziale alla restituzione dei beni oggetto della sentenza di riduzione; l’azione di restituzione, che ha carattere personale, non costituisce la fase esecutiva dell’azione di riduzione; essa è una conseguenza della sentenza di riduzione solo nel senso che è una conseguenza dell’inefficacia del titolo di acquisto dell’onorato o del donatario, derivante dall’accertamento delle condizioni di esistenza del diritto del legittimario alla riduzione.
L’azione di restituzione può anche essere proposta unitamente all’azione di riduzione, come domanda accessoria di quest’ultima e per il caso di accoglimento della stessa.
La S.C.[138], in una nota sentenza, ha esplicato un principio fiume secondo cui è indubbiamente azione personale quella di riduzione ad integrandam legitimam che il legittimario esercita contro il donatario, poiché essa tende a produrre solo la risoluzione, totale o parziale, del negozio relativo all’acquisto del bene donato (in ciò che ecceda la parte disponibile), e non è diversa da ogni altra azione di risoluzione del contratto, non contestandosi l’esistenza del titolo di proprietà del donatario. Pur avendo natura personale, l’azione di riduzione, peraltro, possiede anche un’efficacia reale, conseguente all’accoglimento dell’azione stessa ed al passaggio in giudicato della sentenza che abbia pronunziato la riduzione della donazione.
Invero, per effetto della risoluzione della donazione, così prodottasi, cadono i diritti dei terzi (tranne il caso previsto dall’art. 2652, n. 8, cpv., c.c.) dalla donazione stessa derivanti, cioè i diritti reali (ipoteche, servitù ed altri pesi) costituiti dal donatario a favore di altri sul bene immobile donato (art. 561, primo comma, c.c.), e ciò avviene in applicazione del principio resoluto iure dantis resolvitur et ius accipientis.
Tuttavia, al rigore di tale principio, l’art. 563, primo comma, c.c., al fine di tutelare per quanto possibile l’acquisto che di quel bene abbia fatto il terzo, ha apportato un’eccezione stabilendo che il legittimario deve prima escutere i beni del donatario per ottenere il soddisfacimento del proprio diritto all’integrazione della legittima, con conseguente intangibilità dell’acquisto del terzo in caso di esito positivo dell’escussione dei beni del donatario. Solo in caso di esito negativo di tale escussione il legittimario ha diritto di rivolgersi contro il terzo chiedendogli la restituzione del bene immobile. Questa, peraltro, è l’unica azione che gli compete, come risulta espressamente dall’art. 563, primo comma, c.c., ed in giuridica coerenza con la stessa natura reale dell’azione di restituzione, che non è che la conseguenza dell’avvenuto ritorno ex tunc della proprietà di quel bene, per effetto della risoluzione della donazione, nel patrimonio del donante, cioè del de cuius, e quindi dell’erede legittimario.
Se è vero infatti che per sottrarsi all’obbligo di restituire in natura la cosa il terzo acquirente può pagare l’egual valore in denaro al legittimario (art. 563, primo comma, c.c.), è questa una sua mera facoltà che non può giammai tramutarsi in un obbligo, la sua obbligazione di restituzione configurandosi come «facoltativa» o con facultas solutionis alternativa ex lege (una res in obligatione, duae autem in facultate solutionis) e non come un’obbligazione alternativa (con la conseguenza, propria dell’obbligazione facoltativa, dell’estinzione della stessa qualora divenga impossibile senza colpa del debitore l’unica prestazione costituente l’oggetto dell’obbligazione stessa).
Tale natura dell’obbligazione del terzo acquirente non rimane alterata (né il suo oggetto si trasforma in quello di una prestazione pecuniaria per ciò solo che al legittimario, a sensi dell’art. 560, secondo comma, ultima parte, c.c., sia stato attribuito (in accoglimento dell’azione di riduzione della donazione) il diritto al pagamento di una somma di denaro verso il donatario, per integrazione della quota legittima lesa. Quand’anche tale ipotesi si verifichi, peraltro, il legittimario può sempre, in caso di mancato pagamento e di accertata insolvenza del donatario, previa escussione dei suoi beni, rivolgersi contro il terzo acquirente, con l’azione di restituzione del bene, e ciò può fare sempre in applicazione dell’art. 563, primo comma, c.c. che quell’azione gli concede (indipendentemente dall’integrabilità della quota legittima in natura o in denaro) come mera conseguenza dell’efficacia reale della risoluzione della donazione.
Caso in cui vi sia stata una disposizione universale, il legittimario preterito otterrà, con la riduzione, solo una quota astratta di eredità, ma non beni concreti che gli saranno assegnati solo con la divisione.
Se, poi i beni da restituire non appartengono al beneficiario
1) o perché siano stati acquistati da un terzo
2) o per altra causa imputabile allo stesso beneficiario, il legittimario esperirà l’azione di restituzione per equivalente, ossia chiederà il tantundem.
Per la Cassazione[139], nell’ipotesi in cui non sia possibile la materiale acquisizione del bene necessario alla reintegrazione della quota del legittimario, è con riferimento alla data dell’apertura della successione, secondo l’orientamento costante della medesima Corte [140] che va determinato il valore di tale bene ai fini del soddisfacimento per equivalente del diritto del legittimario, e il credito di quest’ultimo cristallizzato in termini monetari, va poi rivalutato, nell’ipotesi in cui la liquidazione intervenga dopo un’apprezzabile lasso di tempo, al fine di conservare la corrispondenza del tantundem pecuniario al valore economico reale del bene non acquisito al patrimonio del creditore.
Ad esempio per una sentenza di merito [141] la reintegrazione della quota di legittima effettuata mediante corresponsione di una somma di danaro, impone la rivalutazione della somma predetta con decorrenza dall’apertura della successione, poiché il credito del legittimario non è di valuta ma di valore.
In circostanze siffatte deve, pertanto, procedersi all’aestimatio rei con riferimento all’epoca dell’apertura della successione e, quindi, alla rivalutazione del quantum pecuniario al momento della decisione giudiziale, affinché il danaro costituisca l’esatto equivalente del valore della quota dei beni in natura che sarebbe spettata all’erede leso.
La rivalutazione monetaria finalizzata a tale risultato può essere correttamente effettuata sulla base delle variazioni degli indici Istat sul costo della vita registrate nel periodo compreso tra la data dell’apertura della successione e la data della pronunzia giudiziale. Sulla somma in tal modo rivalutata non possono, invece, essere riconosciuti gli interessi compensativi qualora la parte non abbia formulato una espressa domanda in tal senso, poiché gli interessi, avendo un fondamento autonomo ed integrando obbligazioni distinte rispetto a quelle principali, attinenti alle somme alle quali si aggiungono, possono essere riconosciuti solo su espressa domanda degli aventi diritto.
Se invece i convenuti hanno alienato i beni, il legittimario potrà avvalersi se non è applicabile l’art 111 c.p.c. della sentenza già resa in ordine all’inefficacia relativa dell’atto lesivo, per agire con l’azione di restituzione nei confronti degli acquirenti, anche dei legatari o eredi, applicandosi per analogia l’art. 563 c.c. [142]
art. 563 c.c. azione contro gli aventi causa dai donatari soggetti a riduzione: se i donatari contro i quali è stata pronunziata la riduzione hanno alienato a terzi gli immobili donati, e non sono trascorsi venti anni dalla donazione il legittimario, premessa l’escussione dei beni del donatario, può chiedere ai successivi acquirenti, nel modo e nell’ordine in cui si potrebbe chiederla ai donatari medesimi, la restituzione degli immobili (2652, n. 8).
L’azione per ottenere la restituzione deve proporsi secondo l’ordine di data delle alienazioni, cominciando dall’ultima. Contro i terzi acquirenti può anche essere richiesta, entro il termine di cui al primo comma, la restituzione dei beni mobili, oggetto della donazione, salvi gli effetti del possesso di buona fede (c.c.1153 e s.s.).
Il terzo acquirente può liberarsi dall’obbligo di restituire in natura le cose donate pagando l’equivalente in danaro.
Salvo il disposto del n.8) dell’art. 2652, il decorso del termine di cui al primo comma e di quello di cui all’art. 561, primo comma, è sospeso nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta del donante che abbiano notificato e trascritto, nei confronti del donatario, un atto pregiudiziale di opposizione alla donazione.
Il diritto dell’opponente è personale e rinunziabile.
L’opposizione perde effetto se non è rinnovata prima che siano trascorsi venti anni dalla sua trascrizione.
art. 561 c.c. restituzione degli immobili: gli immobili restituiti in conseguenza della riduzione sono liberi da ogni peso o ipoteca di cui il legatario o il donatario può averli gravati, salvo il disposto del n. 8 dell’art. 2652. i pesi e le ipoteche restano efficaci se la riduzione è domandata dopo venti anni dalla trascrizione della donazione, salvo in questo caso l’obbligo del donatario di compensare in denaro i legittimari in ragione del conseguente minor valore dei beni, purché la domanda sia stata proposta entro dieci anni dall’apertura della successione. Le stesse disposizioni si applicano per i mobili iscritti in pubblici registri.
I frutti (820) sono dovuti a decorrere dal giorno della domanda giudiziale (c.c.1148.)
- Natura
L’azione di restituzione contro i terzi acquirenti ha, secondo la dottrina prevalente, carattere reale.
- Restituzione dei frutti
Il coerede che ha posseduto da solo un bene ereditario, che poi deve restituire ad altro coerede per il venir meno di una disposizione testamentaria, è tenuto alla restituzione dei frutti del bene medesimo a decorrere dalla data della domanda giudiziale [143].
Apertasi una successione, il coerede discendente che possiede un bene in virtù di un atto a titolo gratuito o di una disposizione testamentaria, non è, per la parte eccedente la quota di sua spettanza, possessore di mala fede, in quanto possiede in virtù di un titolo idoneo a trasferire il dominio e valido fino a quando non venga esercitata l’azione di riduzione, il cui accoglimento determina l’invalidità della donazione o della disposizione testamentaria, per la parte eccedente, con effetto dalla data della domanda giudiziale. Esperita con esito favorevole l’azione di riduzione, l’obbligo di restituire i frutti, ove questi non siano rappresentati più dall’origine da una somma di danaro, costituisce un debito di valore e non di valuta [144].
Al legittimario cui venga restituito un immobile per reintegrare la quota di legittima spetta, a norma dell’art. 561 c.c., anche il diritto ai frutti quali accessori del bene, in relazione al suo mancato godimento, mentre, nell’ipotesi in cui il bene non possa essere restituito e la reintegrazione della quota di riserva avvenga per equivalente monetario, con l’ulteriore riconoscimento degli interessi legali sulla somma a tal fine determinata, nulla è dovuto per i frutti, posto che gli interessi legali attribuiti rispondono alla medesima finalità di risarcire il danno derivante dal mancato godimento del bene (lucro cessante) e pertanto il cumulo tra frutti e interessi comporterebbe la duplicazione del riconoscimento di una medesima voce di danno[145].
A) ECCEZIONI ALLA RESTITUZIONE
1) La trascrizione ex art 2652 n 8 c.c.:
art. 2652 c.c. domande riguardanti atti soggetti a trascrizione: effetti delle relative trascrizioni rispetto ai terzi: Si devono trascrivere, qualora si riferiscano ai diritti menzionati nell`art. 2643, le domande giudiziali (Cod. Proc. Civ. 163) indicate dai numeri seguenti, agli effetti per ciascuna di esse previsti (disp.di att. al c.c. 225 e seguenti):
8) le domande di riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie per lesione di legittima (c.c.554 e seguenti).
Se la trascrizione è eseguita dopo dieci anni dall’apertura della successione, la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i terzi che hanno acquistato a titolo oneroso diritti in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda
2) Pagamento per equivalente
Si tratta secondo taluni di un potere di riscatto o, più propriamente, di un potere che s’inquadra nell’ambito delle obbligazioni con facoltà alternativa.
Tale potere va però negato in caso di acquisto in mala fede del bene mobile dopo l’apertura della successione e di trascrizione dell’acquisto successiva alla trascrizione dell’azione di riduzione, in caso di beni immobili e di mobili registrati, perché osta la negligenza del terzo acquirente, il quale era stato avvertito della trascrizione della domanda giudiziale circa l’esistenza di una lite.
B) L. 80 – 2005 – SULLA COMPETITIVITÀ – TUTELA IL TERZO ACQUIRENTE DA UN BENE DI PROVENIENZA DONATIVA
Al fine di agevolare la circolazione dei beni immobili già oggetto d atti di disposizione a titolo gratuito, nonché di ribadire la corretta interpretazione della normativa in materia di esecuzione forzata:
al codice civile sono state apportate le seguenti modificazioni:
1) all’articolo 561, primo comma, il secondo periodo è stato così sostituito:
I pesi e le ipoteche restano efficaci se la riduzione è domandata dopo venti anni dalla trascrizione della donazione, salvo in questo caso l’obbligo del donatario di compensare in denaro i legittimari in ragione del conseguente minor valore dei beni, purchè la domanda sia stata proposta entro dieci anni dall’apertura della successione. Le stesse disposizioni si applicano per i mobili iscritti in pubblici registri.
2) all’articolo 563, primo comma, dopo le parole: Se i donatari contro i quali e’ stata pronunziata la riduzione hanno alienato a terzi gli immobili donati sono inserite le seguenti: e non sono trascorsi venti anni dalla donazione
3) all’articolo 563, secondo comma, dopo le parole: Contro i terzi acquirenti puo’ anche essere richiesta sono inserite le seguenti: , entro il termine di cui al primo comma, ;
4) all’articolo 563 è stato aggiunto, infine, il seguente comma:
Salvo il disposto del numero 8) dell’articolo 2652, il decorso del termine di cui al primo comma e di quello di cui all’articolo 561, primo comma, èsospeso nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta del donante che abbiano notificato e trascritto, nei confronti del donatario, un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione. Il diritto dell’opponente e’ personale e rinunziabile. L’opposizione perde effetto se non e’ rinnovata prima che siano trascorsi venti anni dalla sua trascrizione. ;
1) RATIO LEGIS:
La tutela del terzo acquirente di un bene di provenienza donativa prevalesulla tutela dei diritti dei legittimari quando si verifichi completamente la SEQUELA DONAZIONE – VENTENNIO dalla data della donazione (beni mobili) o dalla data della trascrizione (beni immobili): decorsi venti anni il terzo acquirente (o titolare del peso o dell’ipoteca) è in ogni caso al sicuro da ogni pretesa dei legittimari (salvo l’istituto dell’opposizione, la cui introduzione secondo vari Autori ha inquinato la citata RATIO e ostacolato la veloce circolazione dei beni).
Bisogna distinguere due scenari: Legittimario silente o inerte per 20 anni:
A) senza l’atto di opposizione decorsi i 20 anni dalla trascrizione della donazione di beni immobili
1) il terzo avente causa dal donatario, (che prima della Legge 80/2005 era sotto la spada di Damocle dell’azione di restituzione previa azione di riduzione) non può essere perseguito con l’azione di restituzione
2) ed inoltre non si ha l’effetto cd. PURGATIVO di pesi (usufrutto) o ipoteche costituiti dal donatario (o suoi aventi causa) sul bene donato.
Pertanto al legittimario leso resta soltanto l’esperimento dell’azione di RIDUZIONE nei 10 anni dalla morte del defunto per recuperare dal solo donatario l’integrazione di legittima (e l’azione di restituzione per l’acquisizione materiale della sua legittima nei confronti del donatario).
B) con l’atto di opposizione (eventualmente rinnovato nei 20 anni) si PARALIZZA il decorso del ventennio e si ostacola la messa in sicurezza della donazione lesiva del legittimario:
Il legittimario con l’opposizione alla donazione mira a conservare intatto il diritto ad agire nei confronti del terzo avente causa dal donatario con l’azione di restituzione previa ovviamente l’azione di riduzione contro i legittimati passivi di tale azione.
2) OPPOSIZIONE
E’ l’atto stragiudiziale che può essere proposto solo dal coniuge del donante o dai suoi parenti in linea retta.
Oggetto dell’opposizione sono senz’altro
1) le donazioni dirette mentre notevoli problemi si determinano in ordine alle donazioni indirette e alle donazioni simulate.
2) Donazioni indirette:
sicuramente rientrano nell’ambito delle donazioni soggette a riduzione (legittimario leso contro legittimario favorito dalla donazione indiretta: contratto a favore del terzo, pagamento del prezzo ex 1180 c.c. fatto dai genitori, pagamento con denaro ricevuto dai genitori, ere).
E’ controverso se i terzi aventi causa dal legittimario favorito possano essere soggetti all’azione di restituzione (previa escussione del patrimonio del donatariolegittimario favorito).
a) Secondo una parte della dottrina[146] la risposta è negativa ex art. 1415 c.c., che tutela il terzo di buona fede;
b) Secondo altro autore[147] la risposta è positiva.
Ovviamente il terzo di mala fede è sicuramente soggetto all’azione di restituzione.
Altro problema è se le donazioni indirette possono essere soggette ad opposizione dei legittimari potenzialmente lesi.
In senso positivo Mengoni stante l’equiparazione dell’art. 809 cc. tra donazioni dirette ed indirette.
3) Donazioni simulate: con riferimento alle sole donazioni dissimulate(attraverso simulazione relativa) a mezzo di atti onerosi (vendita o altri atti traslativi).
Alcun rilievo hanno le ipotesi di simulazione assoluta, perché i relativi negozi sono NULLI e quindi, esperita l’azione di simulazione, i beni rientrano nel patrimonio del disponente.
Ebbene, per le donazioni dissimulate esse si ritengono soggette, a seguito della novella 80/2005 ad opposizione, ovviamente previo l’esito vittorioso dell’azione di simulazione relativa (va notato che prima di detta Novella non era ammissibile l’azione di simulazione relativa dell’atto oneroso finalizzata alla futura azione di riduzione, in quanto in vita del donante non era ammessa alcuna attività preparatoria dell’azione di riduzione).
A seguito dell’introduzione dell’istituto dell’opposizione, tale azione di simulazione relativa si ritiene ammissibile come PROPEDEUTICA all’opposizione contro il negozio dissimulato di donazione.
Quanto, poi, alla posizione del terzo avente causa dal legittimario-beneficiario, egli, in caso di DONAZIONE DISSIMULATAquale titolo del suo dante causa, sarebbe soggetto all’azione di restituzione
1) solo se in mala fede (così per alcuni autori [148]).
2) In senso contrario altro autore[149] e parte della giurisprudenza.
Lo scenario che ora pare ipotizzarsi è il seguente
A) durante la vita del donante (dissimulato dietro apparente venditore) e prima del decorso del ventennio, il legittimato a proporre opposizione in tanto potrà trascriverla in quanto preventivamente trascriva (secondo un autore [150]) una domanda giudiziale di accertamento della simulazione dell’atto formalmente oneroso (in mancanza di quest’ultima trascrizione, non pare infatti possibile trascrivere un atto di opposizione verso un atto che formalmente non sia una donazione); con la conseguenza che:
1) se il terzo avente causa trascrive il proprio acquisto dopo la trascrizione della domanda di simulazione contro l’acquisto effettuato dal proprio dante causa (e sempre che l’opposizione sia trascritta nel ventennio), egli non può beneficiare del decorso del ventennio e quindi resta esposto ad un possibile esperimento dell’azione di restituzione;
2) se l’avente causa trascrive il proprio acquisto prima della trascrizione della domanda di simulazione (e sempre che l’opposizione sia trascritta nel ventennio), egli resta esposto ad un possibile esperimento dell’azione di restituzione solo se il legittimario dimostrerà lo stato di mala fede in cui si trovava l’attuale titolare dei beni donati all’atto del loro acquisto da parte sua;
B) se il donante /venditore è in vita e decorre un ventennio prima che venga tra scritta la domanda di simulazione (e conseguentemente prima che venga trascritta la opposizione ), l’avente causa dal beneficiario della disposizione lesiva non può più (dopo la morte del donante) essere convenuto con l’azione di restituzione (e ciò indipendentemente dalla priorità o meno della sua trascrizione rispetto alla trascrizione della simulazione e pure indipendentemente dalla sua buona o mala fede);
C) dopo la morte del donante /venditore, qualora durante la sua vita non siano state esperite l’azione di simulazione e la conseguente trascrizione dell’atto di opposizione :
1) il legittimario potrà agire in restituzione (previo esperimento delle azioni di simulazione/riduzione) solo ove non sia decorso il ventennio e il terzo avente causa non abbia trascritto il proprio acquisto anteriormente alla trascrizione della domanda di simulazione.
2) il legittimario potrà agire in restituzione (previo esperimento delle azioni di simulazione/riduzione) solo ove non sia decorso il ventenni o e sia dimostrata la mala fede del terzo avente causa che abbia trascritto il proprio acquisto anteriormente alla trascrizione della domanda di simulazione;
3) se il ventennio invece sia spirato, il legittimario bensì conserva l’esperibilità delle azioni di simulazione/riduzione, per sentire affermare la lesione della sua legittima, ma perde la possibilità di convenire con l’azione di restituzione l’avente causa dal beneficiario della disposizione lesiva (e ciò, anche qui, indipendentemente dalla priorità o meno della sua trascrizione rispetto alla trascrizione della simulazione e pure indipendentemente dalla sua buona o mala fede).
I legittimati all’opposizione sono anche i cd. legittimati sopravvenuti (coniuge di seconde o terze nozze o figli sopravvenuti).
C) IRRECUPERABILITÀ DEL BENE
ex art. 562 c.c. se il bene donato è perito per causa imputabile al donatario e ai suoi aventi causa o se la restituzione non può essere richiesta contro l’acquirente, il legittimario ha una ragione di credito per l’equivalente nei confronti del donatario.
valore della donazione che non si può recuperare dal donatario si detrae dalla massa ereditaria.
art. 562 c.c. insolvenza del donatario soggetto a riduzione: se la cosa donata è perita per causa imputabile al donatario o ai suoi aventi causa o se la restituzione della cosa donata non può essere richiesta contro l’acquirente, e il donatario è in tutto o in parte insolvente (c.c.2652), il valore della donazione che non si può recuperare dal donatario si detrae dalla massa ereditaria, ma restano impregiudicate le ragioni di credito del legittimario e dei donatari antecedenti contro il donatario insolvente.
Esempio:
3 donazioni del de cuis da 20 1a – 10 2a – 10 3a | Testamento: 20 all’unico figlio |
La quota di riserva è pertanto + 30 [20 (relictum) – 0 (debiti) + 40 (donazioni): 2 (quota legittima dell’unico figlio)]Vi è dunque lesione di 10. Il legittimario allora attacca l’ultima donazione di 10 3a : se l’azione va a buon fine nulla quaestio. Se invece c’è insolvenza e la donazione dovesse essere saltata: |
A) il legittimario potrebbe aggredire la precedente donazione di 10 2a per l’intero mentre se il rischio dell’insolvenza fosse posto dalla legge a carico del legittimario, il precedente donatario dovrebbe essere fatto salvo, invece da questa soluzione il precedente donatario rischia per intero. |
B) in base alla soluzione di cui all’art. 562, si procede invece a detrarre il valore del bene non recuperato dall’asse [20 (relictum) – 0 (debiti) + 40 (donazioni) – 10 3a (donazione non recuperata) : 2] per cui la quota di riserva sarà di 25 e non 30, con la conseguenza che il legittimario potrà rivolgersi per 5 (e non già per 10) al donatario precedente, il quale salverà una parte della propria donazione.Poiché in tal modo la perdita è divisa tra legittimario e donatario precedente, entrambi mantengono impregiudicate le proprie ragioni di credito nei confronti del donatario insolvente. |
Note
[1] Tribunale Bari, Sezione 1 civile, Sentenza 10 maggio 2010, n. 1600. Rilevato quanto innanzi, è del tutto destituita di fondamento l’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie asseritamente lesive della quota di legittima nella specie proposta dall’attrice che, nella sua qualità di sorella del testatore, non può vantare alcun diritto come legittimaria. Le considerazioni svolte, la non opinabilità delle questioni trattate, in quanto portato di una conoscenza minima che dovrebbe costituire patrimonio comune di tutti gli operatori del diritto, e la sussistenza se non del dolo dell’attrice, nella introduzione della domanda nella piena consapevolezza della sua infondatezza ed a fini solo speculativi, quanto meno della colpa grave, giustificano la richiesta condanna ex art. 96 c.p.c. al risarcimento del danno patrimoniale, da identificarsi con le spese processuali supportate dai convenuti per la difesa tecnica, e non patrimoniale, in ipotesi siffatte ritenuto sussistente in re ipsa, in quanto le descritte condotte processuali sono indubbiamente ritenute produttive di danni di natura psicologica (e quindi di una vera e propria lesione alla integrità psico-fisica) nella specie liquidati in via equitativa.
[2] Corte di Cassazione, sentenza del 23-10-54, n. 4037
[3] Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza del 9 giugno 2006 n. 13429
[4] Corte di Cassazione, sentenza del 1373 del 20-1-2009
[5] Corte di Cassazione, sentenza del 21616 del 15-11-2004
[6] Vedi par.fo 7) L’AZIONE DI RESTITUZIONE, pag. 80
[7] Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.
LIBRO SECONDO. Delle successioni – TITOLO QUARTO. Della divisione – Capo V-bis.del patto di famiglia
E’ patto di famiglia il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti. (1)
—–
(1) Il presente articolo è stato inserito, insieme al capo cui appartiene, dall’art. 2 L. 14.02.2006, n. 55, con decorrenza dal 16.03.2006.
[8] Vedi par.fo 6) L’AZIONE DI RIDUZIONE, pag. 46
[9] Corte di Cassazione, sentenza 10755/1996
[10] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 8 giugno 2012, n. 9360. In precedenza Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 13 gennaio 2010, n. 368. In materia di successione ereditaria, l’erede legittimario che sia stato pretermesso acquista la qualità di erede soltanto dopo il positivo esercizio dell’azione di riduzione; ne consegue che, prima di questo momento, egli non può chiedere la divisione ereditaria né la collazione dei beni, poiché entrambi questi diritti presuppongono l’assunzione della qualità di erede e l’attribuzione congiunta di un asse ereditario.
[11] Corte di Cassazione, sentenza del 3-12-96, n. 10775
[12] Vedi par.fo 2) LE VARIE CATEGORIE DI LEGITTIMARI, punto G) Il diritto di commutazione pag. 25
[13] Corte Costituzionale, Sentenza 18 dicembre 2009, n. 335
[14] Per una maggiore consultazione sull’usufrutto in generale aprire il seguente collegamento on-line L’usufrutto, l’uso e l’abitazione
[15] Vedi par.fo 3) INTANGIBILITA’ DELLA QUOTA, pag. 32
[16] Per una maggiore consultazione sulla comunione legale in generale aprire il seguente collegamento on-line La comunione legale tra i coniugi e lo scioglimento
[17] Corte di Cassazione, sentenza del 27-2-98, n. 2159
[18] Corte di Cassazione 17 aprile 1981, n. 2335
[19] Capozzi
[20] Corte di Cassazione, sentenza del 6-4-2000, n. 4329
[21] Per la consultazione integrale della sentenza aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 27 febbraio 2013 n. 4847
[22] Tribunale di Bologna civile, sentenza 18 marzo 2002, n. 953
[23] Corte di Cassazione, sentenza del 23-5-2000, n. 6691
[24] Vicari
[25] Capozzi – Ferri
[26] Corte di Cassazione 10 marzo 1987, n. 2474
[27] Corte di Cassazione, sentenza del 10-3-87, n. 2474
[28] per tutti Ferri
[29] Perego – Mengoni – Gabrielli – Rescigno – Capozzi
[30] per tutti Gazzoni
[31] Pugliatti – Ferri – Nicolò – Messineo – Boero – Mariconda – Gabrielli
[32] Pugliatti
[33] Messineo
[34] Ferri
[35] Gabrielli
[36] Nicolò – Capozzi
[37] Mengoni – Gabrielli
[38] Corte di Cassazione, sentenza 10014 del 24-6-2003
[39] Cicu – Mengoni – Messineo – Carraro
[40] Gabrielli – Cattaneo – Rescigno – Capozzi
[41] Corte di Cassazione, Sezione I civile, sentenza 28 maggio 2010, n. 13108
[42] Azzariti
[43] Bianca
[44] Santoro – Passarelli – Calderone – Mengoni
[45] Corte di Cassazione, sentenza del 22-6-68, n. 2086
[46] Corte di Cassazione, sentenza del 24-1-86, n. 467
[47] Corte di Cassazione, sentenza del 22-1-92, n. 711
[48] Vedi par.fo 1) PRINCIPI GENERALI E LA QUOTA DI RISERVA, pag. 6
[49] Mengoni – Ferri – Cattaneo – Palazzo
[50] Palazzo
[51] Mengoni
[52] Cantelmo
[53] Carraro
[54] Cattaneo
[55] Capozzi
[56] Mengoni – Ferri
[57] Mengoni
[58] per tutti Mengoni – Capozzi
[59] Cattaneo
[60] Pino – Mengoni – Ferri
[61] Azzariti
[62] art. 588 c.c. Le disposizioni testamentarie, qualunque sia l’espressione o la denominazione usata dal testatore, sono a titolo universale e attribuiscono la qualità di erede, se comprendono l’universalità o una quota dei beni del testatore. Le altre disposizioni sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario.
L’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio.
[63] Vedi par.fo 2) LE VARIE CATEGORIE DEI LEGITTIMARI, lettera A) Coniuge, pag. 8
[64] Corte di Cassazione, sentenza del II, sent. 13310 del 12-9-2002
[65] Corte di Cassazione, sentenza del 12-9-70, n. 1403
[66] Per una maggiore consultazione sull’usufrutto in generale aprire il seguente collegamento on-line L’usufrutto, l’uso e l’abitazione
[67] Corte di Cassazione, sentenza del 29-12-70, n. 2782
[68] Corte di Cassazione, sentenza del 7-10-60, n. 2599
[69] Corte di Cassazione, sentenza del 18-1-95, n. 511
[70] Corte di Cassazione, sentenza del 5-4-90, n. 2809
[71] Corte di Cassazione, sentenza 16083 del 29-7-2005
[72] Corte di Cassazione, sentenza del 12-2-2000, n. 1573
[73] Corte di Cassazione, sentenza del 26-1-90, n. 459
[74] Corte di Cassazione, sentenza del 27-5-96, n. 4883
[75] Tamburino – Capozzi – Cantelmo – Ieva
[76] Mengoni
[77] Corte di Cassazione, sentenza del 26-1-90, n. 459.
[78] Corte di Cassazione, sentenza del 14-4-92, n. 4527
[79] Corte di Cassazione, sentenza del 15-5-97, n. 4287
[80] Corte di Cassazione, sentenza del 3-7-75, n. 2586
[81] Corte di Cassazione, sentenza del 3-8-72, n. 2604
[82] Per la consultazione dell’istituto della petizione ereditaria il seguente collegamento on-line L’azione di petizione ereditaria
[83] Vedi par.fo 1) PRINCIPI GENERALI E LA QUOTA DI RISERVA, pag. 5
[84] Corte di Cassazione, sentenza del 21-3-83, n. 1979
[85] Tribunale Roma, Sezione 8 civile, sentenza 4 luglio 2011, n. 14404
[86] Tribunale Chieti, civile, sentenza 5 maggio 2009, n. 345
[87] Corte di Cassazione, sentenza del 19-6-81, n. 4024
[88] Corte di Cassazione, ord. 9424 del 11-6-2003
[89] Corte di Cassazione, sentenza del 26-1-70, n. 160
[90] Corte di Cassazione, sentenza del 22-10-75, n. 3500
[91] Corte di Cassazione, sentenza 1373 del 20-1-2009. Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in relazione a donazioni compiute da una madre in favore del proprio figlio, aveva ritenuto che il padre, passato a nuove nozze dopo la morte della prima moglie, avesse rinunciato tacitamente al proprio diritto di agire in riduzione di tali donazioni per il solo fatto di non aver agito in vita in tal senso, mentre l’azione di riduzione era stata poi promossa dalla seconda moglie, dopo la morte del medesimo
[92] Corte di Cassazione, sentenza del 2-2-80, n. 730
[93] Corte di Cassazione, sentenza del 26-10-76, n. 3888
[94] Mengoni
[95] Corte di Cassazione, Sez. Un., sent. 20644 del 25-10-2004
[96] Per tutte Corte di Cassazione, sentenza del 7-5-87, n. 4230
[97] Corte di Cassazione, sentenza del 25-11-97, n. 11809
[98] Corte di Cassazione, sentenza del 19-10-93, n. 10333
[99] Per una maggiore consultazione sull’usucapione in generale aprire il seguente collegamento on-line Il possesso, l’usucapione e le azioni a tutela del possesso
[100] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 20 dicembre 2011, n. 27770
[101] Corte d’Appello Firenze, Sezione 1 civile, sentenza 8 febbraio 2011, n. 176
[102] Corte di Cassazione, sentenza del 23-3-62
[103] Per una maggiore consultazione della donazione mista in generale aprire il seguente collegamento on-line La donazione mista negozio indiretto
[104] Corte di Cassazione, sentenza del 28-11-88, n. 6416
[105] Corte di Cassazione, sentenza del 31-1-89, n. 596
[106] Corte di Cassazione, sentenza del 1-12-93, n. 11873
[107] Corte di Cassazione, sentenza del 13-2-76, n. 468
[108] Corte di Cassazione, sentenza del 20-1-86, n. 360
[109] Corte di Cassazione, sentenza del 4-10-60, n. 2551
[110] Corte di Cassazione, sentenza 11496 del 12-5-2010
[111] Barbero
[112] Pino – Ferri – Capozzi
[113] Corte di Cassazione, sentenza del 29-10-75, n. 3661
[114] Per una maggiore consultazione sull’usufrutto in generale aprire il seguente collegamento on-line L’usufrutto
[115] Corte di Cassazione, sentenza del 20-12-73, n. 3452
[116] Per una maggiore consultazione sulla invalidità della donazione in generale aprire il seguente collegamento on-line La revoca e l’invalidità delle donazioni
[117] Corte di Cassazione, sentenza del 5-10-74, n. 2621
[118] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 23 dicembre 2011, n. 28632.
[119] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 16 dicembre 2010, n. 25473
[120] Corte di Cassazione, sentenza del 6-6-83, n. 3852
[121] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 30 giugno 2011, n. 14473
[122] Corte di Cassazione, sentenza del 7-5-1971, n. 1297. Tribunale Roma, Sezione 8 civile, sentenza 4 luglio 2011, n. 14404
[123] Corte di Cassazione, sentenza del 26-2-93, n. 2453
[124] Corte di Cassazione, sentenza del 7-4-90, n. 2923
[125] Corte di Cassazione, sentenza del 27-9-96, n. 8529
[126] Corte di Cassazione, sentenza del 19-10-93, n. 10333
[127] Per una maggiore consultazione della simulazione in generale aprire il seguente collegamento on-line La simulazione
[128] Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, sentenza 4 aprile 2013, n. 8215. Tribunale di Nola, Dr.ssa Caterina Costabile sentenza del 12 luglio 2010. L‘erede legittimario che chieda la dichiarazione di simulazione di una vendita fatta dal de cuius celante in realtà una donazione, assume la qualità di terzo rispetto ai contraenti – con conseguente ammissibilità senza limiti o restrizioni di sorta della prova testimoniale o presuntiva – quando agisca a tutela del diritto proprio, che egli ha per legge, alla intangibilità della riserva contro l’atto simulato e proponga in concreto, sulla premessa che l’atto simulato comporti una diminuzione della sua quota di legittima, una domanda di riduzione, di nullità o di inefficacia della donazione dissimulata: in tutti questi casi – sia, cioè, che la domanda di simulazione sia preordinata alla domanda di riduzione, sia nei casi in cui il negozio sia impugnato di simulazione assoluta oppure, dedotta la simulazione relativa, sia insieme dedotta la nullità del negozio dissimulato – la lesione della quota di riserva assurge a causa petendi, accanto al fatto della simulazione, e condiziona l’esercizio del diritto alla reintegra” … “ ai fini della prova della simulazione di una vendita posta in essere dal de cuius per dissimulare una donazione, l’erede legittimo può ritenersi terzo rispetto agli atti impugnati, con conseguente ammissibilità senza limiti della prova della simulazione, soltanto quando, contestualmente alla azione volta alla dichiarazione di simulazione, proponga anche una espressa domanda di riduzione e di reintegra della quota di riserva.”
“Nella fattispecie in esame, non avendo l’attore-erede proposto tali domande, risultava soggetto alle limitazioni probatorie previste dall’art. 1417 c.c. con conseguente inammissibilità della prova testimoniale dal medesimo articolata.”
[129] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 25 giugno 2010, n. 15346
[130] Corte di Cassazione, sentenza del 25-1-92, n. 817
[131] Per la consultazione dell’istituto della petizione ereditaria il seguente collegamento on-line L’azione di petizione ereditaria
[132] Corte di Cassazione, sentenza del 22-10-88, n. 5731
[133] Corte di Cassazione, sentenza 13310 del 12-9-2002
[134] Corte di Cassazione, sentenza del 1-12-93, n. 11873
[135] Corte di Cassazione, sentenza del 20-3-91, n. 2975
[136] I debiti costituenti il passivo ereditario — il cui valore va detratto da quello dei beni costituenti la massa, al fine di determinare quanta parte dell’attivo patrimoniale del de cuius sia necessaria per formare la legittima — sono non soltanto i debiti propri del defunto, ma anche quelli sorti in occasione della sua morte e che sono conseguenza necessaria dell’apertura della successione, quali il pagamento dell’imposta di successione e le spese funerarie e di sepoltura, per l’apposizione dei sigilli, la compilazione dell’inventario e la formazione delle quote. Corte di Cassazione, sentenza del 23-7-66, n. 2023
[137] Corte di Cassazione, sentenza del 7-2-69, n. 417
[138] Corte di Cassazione, sentenza del 12-9-70, n. 1392
[139] Corte di Cassazione, sentenza del 5-6-00, n.7478
[140] vedi Corte di Cassazione, sentenza del 23.1.1991 n. 649; Corte di Cassazione, sentenza del 20.3.1991 n. 2975; Corte di Cassazione, sentenza del 1.12.1993 n. 11873
[141] Tribunale Campobasso, civile, sentenza 7 maggio 2013, n. 214
[142] Vedi par.fo 1) PRINCIPI GENERALI E LA QUOTA DI RISERVA, pag. 4
[143] Corte di Cassazione, sentenza del 7-5-65, n. 843
[144] Corte di Cassazione, sentenza del 28-6-67, n. 1607
[145] Corte di Cassazione, sentenza del 5-6-2000, n. 7478
[146] Caccavale-Magliulo e altri autori
[147] Mengoni
[148] Busani-MagliuloCaccavale
[149] Mengoni
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