Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 23 luglio 2018, n. 34940.
La massima estrapolata:
Gli articoli 266-269, c.p.p. devono essere interpretati nel senso che è pienamente legittima l’intercettazione ambientale delle conversazioni che, pur svolgendosi in parte all’estero, a condizione che le operazioni di registrazione e le attività di verbalizzazione siano svolte in territorio italiano, a seguito di apposizione in Italia di microspie o altri apparecchi per la captazione di conversazioni in autovetture, non essendo necessario il ricorso alla rogatoria internazionale né potendo le stesse subire limitazioni per il trasferimento del veicolo in paesi stranieri
Sentenza 23 luglio 2018, n. 34940
Data udienza 17 maggio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAOLONI Giacomo – Presidente
Dott. CALVANESE Ersilia – rel. Consigliere
Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere
Dott. CORBO Antonio – Consigliere
Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino;
nel procedimento contro:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 06/04/2017 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. VIOLA Alfredo Pompeo, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
udito il difensore, avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino ricorre per l’annullamento della sentenza in epigrafe indicata, con la quale il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino, all’esito di giudizio abbreviato, aveva assolto (OMISSIS) dal reato di peculato perche’ il fatto non sussiste.
All’imputato era stato contestato di essersi appropriato, in qualita’ di addetto agli automezzi del Tribunale di Torino, di un lampeggiante in uso alle auto di servizio, che consegnava ad altra persona per farne un uso momentaneo, la quale dopo l’uso immediatamente lo restituiva (fatto commesso tra il 23 febbraio e il 2 marzo 2015).
Il Giudice riteneva che, sulla base dell’arresto delle Sezioni Unite n. 19054 del 2012, non fosse configurabile il peculato d’uso, non essendo stato apportato alcun danno di tipo economico alla p.a. e alcuna lesione concreta alla funzionalita’ dell’ufficio (il lampeggiante risultava non utilizzato dalla meta’ del 2014 e non era destinato ad alcun altro servizio istituzionale al momento dei fatti).
2. Nel ricorso, si deducono i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p.:
2.1. Violazione di legge, in ordine alla ritenuta insussistenza del fatto.
Il ricorrente, pur consapevole dell’orientamento interpretativo applicato dal giudice nel caso in esame, sollecita un ripensamento dell’esegesi sul reato di peculato d’uso nel particolare caso in cui l’uso del bene pubblico non si esaurisca nel rapporto diretto con l’agente pubblico, ma coinvolga, come nella specie, un terzo estraneo che concorra nella condotta appropriativa temporanea.
Andrebbe considerata in tal caso la lesione del buon andamento e all’imparzialita’ della p.a., concorrendo il pubblico agente alla realizzazione di interessi di terzi nell’utilizzazione sicuramente illecita del bene pubblico: il lampeggiante, pur avendo un esiguo valore economico, si presta ad un uso distorto (al pari della paletta di servizio o di una pistola) che viene a ledere il corretto funzionamento degli uffici pubblici.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ fondato.
2. Le Sezioni Unite hanno da tempo fissato le linee ermeneutiche per stabilire quando il peculato d’uso raggiunga la soglia della rilevanza penale (Sez. U, n. 19054 del 20/12/2012, dep. 2013, Vattani, Rv. 255296).
Hanno cosi’ affermato la necessita’ che la condotta dell’agente pubblico produca una apprezzabile lesione ai beni tutelati dall’articolo 314 c.p., che stante la natura plurioffensiva del reato, sono da identificarsi nel buon andamento dell’attivita’ della pubblica amministrazione (sotto i profili della legalita’, efficienza, probita’ e imparzialita’, in tal senso, cfr. Sez. U, n. 38691 del 25/06/2009, Caruso, Rv. 244190) e nel patrimonio della stessa o di terzi.
Si tratta di una plurioffensivita’ generalmente alternativa, con la conseguenza, in particolare, che l’eventuale mancanza di danno patrimoniale non esclude la sussistenza del reato, in presenza delle lesione dell’altro interesse, protetto dalla norma, del buon andamento della pubblica amministrazione.
Naturalmente la lesione di quest’ultimo bene giuridico assumera’ connotati diversi in considerazione della tipologia di res oggetto dell’abusivo possesso.
3. Fatte queste premesse, va rilevato che la fattispecie in esame ha ad oggetto un lampeggiante di colore blu, ovvero uno strumento generalmente in uso alle forze in servizio di ordine pubblico o anche a coloro che svolgono determinati pubblici servizi (Decreto Legislativo n. 285 del 1995, articolo 177) e che porta il quivis de populo ad identificare il portatore o detentore come soggetto appartenente alle suddette categorie di persone.
Trattasi invero di un oggetto, che, allorche’ usato, esonera dall’osservanza degli obblighi, dei divieti e delle limitazioni relativi alla circolazione stradale e porta a identificare il suo detentore con un soggetto in servizio di ordine pubblico o assimilato; un oggetto, quindi, idoneo ad esteriorizzare ai cittadini le qualita’ personali di chi lo detiene e il potere connesso all’uso dello stesso.
Si ritiene infatti che il possesso di detto dispositivo, laddove contraffatto, integri il reato all’articolo 497 ter c.p., comma 1, n. 1, (Sez. 5, n. 32964 del 29/05/2014, Piva, Rv. 260191, nella specie il lampeggiante, acquistato su internet, era stato collocato sul tetto di un’auto), proprio perche’ il suo uso improprio puo’ trarre in inganno il pubblico e gli stessi addetti alla circolazione stradale.
Quindi l’aver consentito, se pur temporaneamente a terzi estranei alla p.a., di possedere il suddetto dispositivo, la cui funzione come ha spiegato la ora richiamata pronuncia e’ di identificare il soggetto pubblico che lo utilizza e le funzioni ad esso attribuite, costituisce un vulnus al buon andamento della pubblica amministrazione, che non puo’ essere circoscritto, come ha ritenuto la sentenza impugnata, alla impossibilita’ o meno della sua utilizzazione per i servizi di tutela.
4. Ne consegue quindi l’annullamento della sentenza impugnata, affinche’ sia celebrato un nuovo giudizio che si atterra’ ai principi sopra enunciati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Torino, Ufficio del Giudice dell’udienza preliminare.
Leave a Reply