Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 3 febbraio 2020, n. 4534
Massima estrapolata:
Dopo la legge di modifica del mandato d’arresto europeo, entrata in vigore il 2 novembre 2019, il giudice non è più obbligato a rifiutare la consegna del cittadino europeo , ma può valutare la possibilità del “rimpatrio”, in base alla consistenza del radicamento in Italia. Mentre non ha peso la pericolosità sociale.
Sentenza 3 febbraio 2020, n. 4534
Data udienza 30 gennaio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. COSTANZO Angelo – Presidente
Dott. VILLONI Orlando – Consigliere
Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere
Dott. APRILE Ercole – Consigliere
Dott. AMOROSO Riccardo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 05/12/2019 della Corte di Appello di Torino;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. AMOROSO Riccardo;
sentite le conclusioni del Procuratore Generale Dott. ORSI Luigi che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte di appello di Torino ha
disposto la consegna di (OMISSIS) alle competenti Autorita’ rumene, in relazione al M.A.E. emesso dalla Corte di appello di Brasov (Romania) a seguito della sentenza irrevocabile emessa in data 12 giugno 2019, per plurimi reati di truffa commessi nel territorio rumeno tra il maggio ed il luglio 2012 per i quali e’ stato condannato alla pena di anni tre di reclusione.
2. Avverso la su indicata pronuncia della Corte d’appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del (OMISSIS), deducendo i motivi di doglianza il cui contenuto viene qui di seguito illustrato.
2.1. Vizio della motivazione in relazione alla disposta consegna sebbene non risulti provato che la sentenza irrevocabile oggetto del M.A.E. sia stata pronunciata a seguito di un processo equo. In particolare, lo Stato richiedente non avrebbe fornito la prova della regolare citazione in giudizio dell’imputato, il quale non sarebbe stato informato della data e del luogo fissati per il processo, celebrato pertanto in sua assenza, avendo la Corte di appello di Torino affermato in modo del tutto indimostrato che il predetto si sarebbe sottratto volontariamente al processo dando atto che nei suoi confronti sarebbero stati esperiti gli atti di rintracciamento previsti dalla procedura rumena.
2.2. Sotto altro profilo si e’ dedotto che la Corte d’appello ha omesso di valutare i rilievi difensivi e gli elementi prospettati in favore del ricorrente riguardo alla circostanza della sua effettiva e stabile presenza in Italia, dove vive e lavora dal mese di ottobre del 2017, in localita’ (OMISSIS), con la disponibilita’ in comodato di un alloggio da lui stesso ristrutturato secondo quanto emerso dalla documentazione in atti versata (sono state allegate le buste paga dal mese di novembre del 2017).
Al riguardo si censura che e’ errata l’applicazione della L. n. 69 del 2005, articolo 18-bis, entrato in vigore in data 2/11/2019, che ha introdotto motivi di rifiuto facoltativo della consegna, con riferimento anche al caso del cittadino Europeo residente stabilmente nel territorio italiano, essendo stata l’udienza del 15/10/19 rinviata per ragioni dovute al ritardo con cui la Romania ha trasmesso la documentazione richiesta, e pertanto ove l’udienza si fosse svolta in quel giorno, la normativa applicabile sarebbe stata quella del previgente articolo 18 che imponeva come obbligatorio il rifiuto di consegna.
Si censurano, inoltre, le valutazioni espresse dalla Corte di appello in merito alla pericolosita’ sociale del ricorrente, atteso che per tutte le condanne riportate in Italia gli e’ sempre stata concessa la sospensione condizionale della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso e’ infondato.
Si deve innanzitutto premettere che la L. n. 69 del 2005, articolo 18, comma 1, lettera g), e articolo 19, comma 1, lettera a), sono disposizioni chiaramente dirette ad evitare, rispettivamente, la consegna allo Stato richiedente del destinatario del mandato di arresto Europeo (laddove risulti che il mandato sia stato emesso per dare esecuzione ad una sentenza irrevocabile adottata all’esito di un processo non equo), ovvero a condizionare la consegna all’acquisizione di assicurazione circa la possibilita’ che il soggetto richiesto, dopo la consegna, possa domandare un nuovo processo nello Stato membro di emissione del mandato di arresto Europeo.
Si tratta, quindi, di disposizioni della cui inosservanza evidentemente il ricorrente non puo’ avere interesse a dolersi, ove manifesti il contrario interesse a che la pena comminata all’estero venga eseguita in Italia, cosi’ implicitamente accettando gli effetti di quella decisione.
Inoltre, va osservato che, secondo l’ordinamento dello Stato di Romania segnatamente l’articolo 466 c.p.p. rumeno, L. 1 luglio 2010, n. 135 entrata in vigore il 7 febbraio 2014 – nel caso di persona consegnata sulla base di mandato di arresto Europeo e’ consentito alla stessa di esercitare il diritto a un nuovo processo, facendo decorrere il termine per la relativa richiesta dal momento in cui questa, ricevera’ in Romania, dopo la consegna, la notifica della sentenza di condanna (Sez. 6, 01/06/2016, Barbu, Rv. 267296).
2. E’ fondato, invece, il motivo dedotto con riferimento alla questione dello stabile radicamento in Italia, nei limiti di seguito indicati.
Come gia’ piu’ volte affermato dalla giurisprudenza di legittimita’, in tema di mandato di arresto Europeo, la nozione di “residenza” che viene in considerazione per l’applicazione dei diversi regimi di consegna previsti dalla L. n. 69 del 2005, presuppone l’esistenza di un radicamento reale e non estemporaneo dello straniero nello Stato, tra i cui indici concorrenti vanno indicati la legalita’ della sua presenza in Italia, l’apprezzabile continuita’ temporale e stabilita’ della stessa, la distanza temporale tra quest’ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all’estero, la fissazione in Italia della sede principale, anche se non esclusiva, e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, il pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali.
Tali presupposti sono stati oggetto di una valutazione superficiale da parte della Corte di appello, che ha ritenuto di poter escludere la ricorrenza di un valido motivo per rifiutare la consegna sulla base della nuova normativa di legge in vigore dal 2 novembre 2019 che ha attribuito carattere non piu’ obbligatorio ma solo facoltativo al motivo di rifiuto relativo al caso che la persona da consegnare per l’esecuzione di una pena detentiva risulti essere un cittadino Europeo dimorante in modo stabile in Italia.
La L. 4 ottobre 2019, n. 117 – Delega al Governo per il recepimento delle direttive Europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione Europea – Legge di delegazione Europea 2018 (19G00123) – pubblicata sulla GU n. 245 del 18/10/2019, entrata in vigore dal 02/11/2019, ha sostituito l’originario testo della L. n. 69 del 2005, articolo 18, introducendo anche il nuovo articolo 18-bis, prevedendo una distinzione dei motivi di rifiuto obbligatorio, regolati dall’articolo 18, da quelli di rifiuto facoltativo, indicati nell’articolo 18-bis.
Nell’elenco dei motivi di rifiuto facoltativo della consegna e’ stato incluso in particolare anche il caso di cui alla lettera c) del citato articolo 18-bis, prima considerato nel novero dei motivi di rifiuto obbligatorio, relativo all’esecuzione di una pena detentiva nei confronti del cittadino italiano o del cittadino di altro Stato membro dell’Unione Europea che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, a condizione che la Corte di appello disponga che la pena sia eseguita in Italia conformemente al diritto nazionale.
Innanzitutto, si deve ritenere che essendo stata la decisione della Corte di appello adottata in data successiva all’entrata in vigore della citata normativa di legge, non vi puo’ essere dubbio sulla applicazione dell’articolo 18-bis alla procedura in esame, trattandosi di normativa processuale come tale immediatamente applicabile alle procedure in corso, perche’ soggetta al principio del tempus regit actum.
Cionondimeno, la valutazione che la Corte di appello ha operato nel caso in esame per escludere la sussistenza di una valida ragione di rifiuto, e’ stata svolta con riferimento non gia’ alla verifica del requisito della stabilita’ del radicamento del ricorrente con il territorio nazionale, ma unicamente con riguardo al diverso profilo della pericolosita’ sociale della persona da consegnare, desunta dai suoi numerosi precedenti penali per reati contro il patrimonio.
Si tratta di una argomentazione evidentemente errata perche’ confligge con la finalita’ delle deroghe all’obbligo di dare esecuzione alla richiesta di consegna previste dalla citata normativa in tema di mandato di arresto Europeo, in particolare dall’articolo 18-bis, lettera c), legge cit., e che consente alla Corte di appello di opporre il rifiuto alla consegna quando ricorra un interesse concreto e meritevole di tutela a che la pena trovi esecuzione nel territorio dello Stato richiesto, che prescinde, tuttavia, dalla valutazione del grado di pericolosita’ della persona condannata, ma attiene, piuttosto, alla salvaguardia della finalita’ rieducativa della pena, che potrebbe essere compromessa ove la persona fosse costretta a subire una detenzione carceraria in luoghi distanti dal proprio contesto sociale, affettivo e familiare, in relazione anche all’importanza che riveste per il detenuto la possibilita’ di avere incontri con i propri familiari e conoscenti, in relazione alle maggiori opportunita’ di recupero e risocializzazione che l’espiazione della pena puo’ avere se eseguita nel luogo in cui il condannato risulti effettivamente inserito, ove evidentemente non si tratti di un contesto sociale basato sulla clandestinita’ e l’illegalita’.
Si comprende, percio’, che il parametro di riferimento cui deve ispirarsi la valutazione discrezionale dell’A.G. dello Stato richiesto, circa l’opportunita’ di esercitare o meno la facolta’ di opporre il rifiuto alla consegna ai sensi del nuovo articolo 18-bis, lettera c), non possa essere quello della pericolosita’ sociale del condannato, quanto quello della salvaguardia della finalita’ rieducativa della pena, rispetto alla quale, cio’ che rileva ai fini di assecondare o meno la richiesta della persona di espiare la pena in Italia, e’ la verifica di un suo radicamento sul territorio nazionale che risulti meritevole di apprezzamento, alla stregua delle circostanze che e’ onere della difesa allegare.
La disposizione di cui alla L. n. 69 del 2005, articolo 18, comma 1, lettera r), secondo l’interpretazione che ne aveva dato la sentenza additiva della Corte costituzionale n. 227/2010, prevedeva che la richiesta di consegna contenuta in un mandato di arresto esecutivo dovesse essere rifiutata laddove la stessa riguardasse un cittadino italiano, o un cittadino di altro Paese membro dell’UE residente, ovvero anche solo dimorante in Italia, al fine di poter dare esecuzione alla pena in Italia conformemente al diritto interno del nostro Paese.
Nella anzidetta sentenza e’ stato anche chiarito come, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia di Lussemburgo, il rifiuto di consegna oggetto dell’articolo 4, punto 6, della decisione quadro n. 584 del 2002 relativa al MAE alla quale e’ stata data attuazione nel nostro ordinamento con la L. 22 aprile 2005, n. 69, al pari di quello previsto dall’articolo 5, punto 3, della stessa, mira a permettere di accordare una particolare importanza alla possibilita’ di accrescere le opportunita’ di reinserimento sociale della persona ricercata, una volta scontata la pena cui essa e’ stata condannata, e con questo preciso intento lo Stato membro e’ legittimato a limitare il rifiuto alle “persone che abbiano dimostrato un sicuro grado di inserimento nella societa’ di detto Stato membro”.
Il rifiuto della consegna che e’ ora previsto come facoltativo per effetto della recente modifica della legge di attuazione del MAE, resta pur sempre soggetto ad una verifica sostanziale, e non formale, dell’esistenza, per il cittadino di un altro Stato membro dell’UE, dei requisiti di collegamento con il territorio del nostro Paese, attraverso l’accertamento di uno o piu’ indici concretamente sintomatici di un reale e non estemporaneo radicamento dell’interessato con lo Stato italiano, nel quale ha inteso stabilire la sede principale dei propri interessi affettivi ed economici, in maniera tale da assimilarne la posizione a quella del cittadino italiano.
Tuttavia, rimanendo ancorato ai medesimi presupposti legali previsti a fondamento dei diversi motivi di rifiuto dalla L. n. 69 del 2005, il potere discrezionale rimesso alla Corte di appello sulla ricorrenza delle condizioni per opporre o non opporre lo specifico motivo di rifiuto di consegna previsto dalla L. n. 69 del 2005, articolo 18-bis, lettera c) non puo’ che essere esercitato alla stregua della verifica e della valutazione della meritevolezza di tutela dell’interesse del condannato ad espiare la pena nel territorio dello Stato italiano, non potendosi ovviamente configurare a suo favore, ed a maggiore ragione per effetto del carattere non piu’ obbligatorio del rifiuto, un diritto di scelta ai fini dell’esecuzione della pena detentiva che gli e’ stata comminata dall’A.G. dello Stato di emissione del MAE.
Non vi sono, infatti, ragioni di ordine pubblico interno per ritenere che nel contesto dell’Unione Europea la pena inflitta dall’autorita’ giudiziaria dello Stato membro debba essere inderogabilmente eseguita in Italia, ove il condannato lo richieda, potendo avere interessi o affetti piu’ radicati nell’ambito territoriale dello Stato di emissione, cosi’ da rendere del tutto ingiustificato il rifiuto di consegna da parte dello Stato di esecuzione.
Nel caso di specie appare evidente che neppure il ricorrente abbia chiarito le ragioni della sua richiesta di eseguire la pena detentiva nel territorio dello Stato italiano, non avendo in alcun modo spiegato quale sia la sua situazione familiare, non essendo stata addotta, ne’ documentata, l’esistenza di legami familiari nel nostro territorio, che avrebbe fornito un indice piu’ significativo della stabilita’ del suo insediamento in Italia, al fine di orientare la valutazione della opportunita’ o meno di assecondare il suo interesse a dare esecuzione alla pena in Italia.
La Corte di appello di Torino ha quindi errato, innanzitutto, nel ritenere che il riferimento alla sola attivita’ lavorativa ed alla disponibilita’ di un alloggio, peraltro in comodato gratuito, per un periodo temporale ristretto a circa due anni, possa costituire un sufficiente parametro di valutazione ai fini della verifica della sussistenza del presupposto normativo previsto dall’articolo 18-bis, lettera c) della legge citata, e quindi per giustificare l’esercizio del potere discrezionale di opporre un legittimo rifiuto alla consegna.
Ma, soprattutto, ha errato nel ritenere di esercitare il potere discrezionale di non opporre il rifiuto di consegna sulla base di valutazioni attinenti a profili del tutto estranei ai criteri normativi sottesi allo specifico motivo di rifiuto previsto dalla L. n. 69 del 2005, articolo 18-bis, come quello della pericolosita’ sociale della persona da consegnare.
Deve essere, quindi, affermato il principio di diritto che, quando la persona richiesta sia cittadino di altro Paese membro dell’Unione Europea ed abbia invocato la sussistenza del motivo di rifiuto di consegna previsto dalla L. 22 aprile 2005, n. 69, articolo 18-bis, comma 1, lettera C), allegando documenti inidonei a provare il suo stabile “radicamento” in Italia, la Corte d’appello, e’ tenuta a verificare se detto radicamento abbia una consistenza tale da giustificare la decisione da parte dello Stato di rifiutare la consegna allo Stato emittente, in deroga agli obblighi di collaborazione e cooperazione giudiziaria esistenti nell’ambito dell’Unione Europea.
S’impone, dunque, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Torino perche’ verifichi, con nuovo giudizio, se il radicamento nel territorio italiano addotto dal ricorrente abbia consistenza e intensita’ tali da giustificare la configurabilita’ del motivo di rifiuto della consegna di cui alla L. 22 aprile 2005, n. 69, articolo 18-bis, comma 1, lettera c), attenendosi al principio di diritto sopra affermato.
La Cancelleria curera’ l’espletamento degli incombenti di cui alla L. n. 69 del 2005, articolo 22, comma 5.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Torino.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, articolo 22, comma 5.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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