Le tettoie sono sottratte al regime del permesso di costruire

Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 18 novembre 2019, n. 7864.

La massima estrapolata:

Le tettoie, nel senso comune del termine ovvero quali strutture aperte, hanno natura pertinenziale e sono sottratte al regime del permesso di costruire, ove la loro conformazione e le ridotte dimensioni ne rendano evidente e riconoscibile la finalità di mero arredo e di riparo e protezione dell’immobile cui accedono.

Sentenza 18 novembre 2019, n. 7864

Data udienza 15 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8051 del 2008, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Qu. e St. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’avv. St. Co. in Roma, via (…),
contro
il Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pi. Ca. e Ad. Ca., con domicilio eletto presso l’avv. Gi. Ma. Gr. in Roma, corso (…),
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Valle d’Aosta n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente il provvedimento del Comune di -OMISSIS- del 15 dicembre 2006 di diniego di condono presentato ai sensi della legge n. 326 del 2003 e della legge regionale della Valle d’Aosta n. 1 del 2004.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2019, il Cons. Cecilia Altavista e uditi per le parti l’avvocato Fr. Pa., su delega dell’avvocato St. Co., e l’avvocato Pa. Mi., su delega dell’avvocato Pi. Ca.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il signor -OMISSIS-, il 31 marzo 2004, presentava domanda di condono, ai sensi della legge 23 novembre 2003, n. 326, a cui era stata attuazione nella Regione Valle d’Aosta con la legge regionale 5 febbraio 2004 n. 1, per una “baracca in pietra e in legno” di superficie utile di 26 metri quadri, realizzata in difformità dalla concessione edilizia rilasciata il 28 febbraio 1995, posta sul fondo identificato al catasto al foglio (omissis) particella (omissis), pertinenza dell’abitazione identificata al catasto al foglio (omissis) particella (omissis). Nella dichiarazione allegata alla domanda di condono si indicava l’abuso consistente in “leggere difformità dalla concessione edilizia e nella finitura interna dello stesso con materiali da civile abitazione”.
La concessione edilizia era stata rilasciata per una “tettoia uso deposito attrezzi”, consistente in una costruzione chiusa su tutti i quattro lati in muratura a vista, tetto in lose e serramenti in legno di altezza al colmo del tetto di 3,50 metri e superficie complessiva del tetto di 39,90 metri quadri.
Sono state poi rilasciate concessioni in variante n. 89 del 25 settembre 1996 e n. 87 del 29 settembre 1997.
Il 27 settembre 1999 i tecnici comunali avevano rilevato che il ricovero attrezzi era stato realizzato in difformità dai titoli concessori, con altezza del tetto al colmo pari a 3,60 metri e ampliamento volumetrico e di superficie utile.
A seguito di tale sopralluogo veniva avviata una indagine penale.
Dall’ulteriore sopralluogo dell’8 agosto 2000 emergeva anche il mancato rispetto della inclinazione del tetto e all’interno la posa di un lavandino e la predisposizione dell’impianto elettrico.
La domanda di condono è stata respinta con provvedimento del Comune del 15 dicembre 2006, sulla base della legge regionale relativa al condono, che ammette il condono per gli ampliamenti di volume solo per le opere pertinenziali, escludendo, nel caso di specie, la natura pertinenziale dell’opera in relazione anche alle dimensioni non modeste dell’opera di 26 metri quadri e alla presenza degli impianti idrico ed elettrico.
Avverso tale provvedimento è stato proposto ricorso davanti al Tribunale amministrativo regionale della Valle d’Aosta formulando i seguenti motivi:
– eccesso di potere per contraddittorietà fra le ragioni poste a base del diniego e quanto previsto dall’articolo 33 del R.E. comunale, nonché in quanto si tratta di opera pertinenziale realizzata in difformità dalle concessioni edilizie;
-d ifetto di motivazione in ordine alle caratteristiche tipologiche ed edilizie del manufatto;
– violazione dell’articolo 3 della legge regionale 5 febbraio 2004 n. 1, che consente la condonabilità delle strutture pertinenziali degli edifici esistenti, prive di funzionalità autonoma ancorché comportanti ampliamento volumetrico.
Con la sentenza n. 5 del 2008, qui appellata, il ricorso è stato respinto ritenendo legittimo il provvedimento comunale sulla base della legge regionale n. 1 del 2004, che limitava il condono ai soli aumenti di superficie e di volume su pertinenze, esclusa la natura pertinenziale dell’opera totalmente autonoma rispetto ad altro immobile di proprietà del ricorrente.
Con l’atto di appello sono state riproposte le censure di primo grado lamentando la erroneità della decisione del giudice di primo grado, in quanto la natura pertinenziale dell’opera risulterebbe dalla concessione edilizia del 1995, rilasciata per un deposito attrezzi; in ogni caso si deduce che l’opera avrebbe natura pertinenziale rispetto all’abitazione dell’appellante posta nelle immediate vicinanze (al catasto al foglio 17 mappale 324/1); che comunque si tratta di un locale vuoto di 26 metri quadri privo di servizio igienico, anche se con impianto elettrico e idraulico e un lavandino; di natura precaria, essendo stato realizzato sulla base dell’art. 33 del Regolamento edilizio che consente le tettoie chiuse in attesa della realizzazione di strutture comunitari equipollenti.
Il Comune di -OMISSIS- si è costituito in giudizio con atto di forma; nella memoria depositata per l’udienza pubblica ha eccepito la inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi e ne ha contestato la fondatezza, in particolare deducendo che la domanda di condono aveva ad oggetto l’intero manufatto e non solo le modifiche di altezza e della falda del tetto.
Anche l’appellante ha depositato memoria per l’udienza pubblica insistendo nelle proprie argomentazioni difensive.
Entrambe le parti hanno presentato altresì memorie di repliche il 24 settembre 2019; in tale data la difesa del Comune ha depositato in giudizio la sentenza del Tribunale di Aosta del 24 settembre 2003, di condanna dell’odierno appellante per la realizzazione di tale opera, in totale difformità dalla concessione edilizia, sulla base della natura dell’opera realizzata in totale difformità dalla concessione, non essendo un deposito attrezzi ma una autonoma abitazione.
La difesa appellante ha dedotto che la sentenza del Tribunale di Aosta è stata riformata con sentenza della Corte d’Appello di Torino del 30 settembre 2008, ma non è stata depositata la relativa decisione.
All’udienza del 15 ottobre 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Si può prescindere dall’esame della eccezione di inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi in relazione alla evidente infondatezza dello stesso.
La legge regionale della Valle d’Aosta 5 febbraio 2004, n. 1, ha posto limiti ulteriori rispetto alle ipotesi di condono previste dall’art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 23 novembre 2003, n. 326.
Ha infatti escluso in assoluto dalla sanatoria, “le tipologie di illecito di cui all’allegato 1 del D.L. n. 269/2003, convertito dalla L. n. 326/2003, che comportino ampliamento volumetrico di manufatti o nuove costruzioni” (art. 3, comma 3). Ha consentito ampliamenti volumetrici, solo in relazione alle strutture pertinenziali di edifici esistenti. In base al comma 4 dell’art. 3, infatti, “sono suscettibili di sanatoria, con le limitazioni di cui al comma 2, le seguenti opere:
a) strutture pertinenziali agli edifici esistenti, prive di funzionalità autonoma, ancorché comportino ampliamento volumetrico di manufatti;
b) strutture pertinenziali agli edifici residenziali esistenti, prive di funzionalità autonoma, ancorché comportino nuove opere o ampliamento volumetrico di manufatti;
c) ampliamenti per adeguamento igienico-sanitario di edifici esistenti, senza aumento delle unità abitative”.
Da tale disciplina normativa deriva che l’unica possibilità di condono per aumento volumetrico (incontestato nel caso di specie almeno con riferimento alle modifiche di altezza, di superficie e della falda del tetto) fosse costituita dall’essere tale aumento realizzato su un manufatto pertinenziale.
La Giunta regionale, inoltre, con delibera del 4 marzo 2004, n. 602, dava indicazioni circa le “Modalità di applicazione dell’articolo 3 della legge regionale 5 febbraio 2004, n. 1. Norma specifica per la definizione del procedimento amministrativo relativo al rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria. Indicazioni applicate”. In particolare, con riferimento alle disposizioni del comma 4, lettere a) e b), “Definizione di strutture pertinenziali agli edifici esistenti”, forniva le seguenti indicazioni: “ai fini dell’applicazione delle lettere a) e b), per strutture pertinenziali agli edifici esistenti si intendono le strutture pertinenziali prive di funzioni autonome e destinate al servizio esclusivo degli edifici predetti, o di loro parti, le quali non comportino carico urbanistico alcuno, non determinino aggravio sulle opere di urbanizzazione e presentino piccole dimensioni. Per quanto concerne più specificatamente la nozione di pertinenza, essa non consiste in una relazione di congiunzione fisica tra la pertinenza medesima e l’edificio, congiunzione che può esserci o non esserci, bensì in un particolare collegamento funzionale tra la pertinenza medesima e l’edificio. Tale collegamento funzionale non può consistere in una parte aggiunta per necessità per completare la cosa affinché essa soddisfi ai bisogni cui è destinata (in tal caso si tratterebbe infatti di una “parte” dell’edificio e non di una “pertinenza”). Nella pertinenza, il collegamento funzionale consiste in un servizio od ornamento, che vengono realizzati in una cosa già completa ed utile di per sé, per cui trattasi di elemento che attiene non all’essenza della cosa, ma alla sua gestione economica od alla sua forma estetica, tenendo conto tuttavia che sotto il profilo urbanistico, tale ultima natura può essere attribuita solo a manufatti di modesta dimensione.
Sono pertanto specifici contrassegni delle pertinenze: la mancanza di autonomia rispetto alla costruzione considerata; il carattere necessariamente oggettivo della specifica destinazione; il rapporto di durevole subordinazione con la preesistente costruzione; la relazione di strumentalità e complementarietà funzionale; le dimensioni necessariamente contenute della pertinenza. A titolo puramente esemplificativo, e non esaustivo, si elencano, di seguito, alcune strutture che, fermo restando i principi di carattere generale e la sussistenza dei requisiti elencati, la giurisprudenza ha ritenuto poter essere considerate strutture pertinenziali di edifici esistenti: un abbaino; una baracca (funzionale all’abitazione di campagna di chi si dedica ad attività agricola); un cancello; un forno (di piccole dimensioni accedente ad un precedente fabbricato); un garage-ripostiglio; una legnaia-ripostiglio; un locale di sgombero; un muro di cinta; un muretto di recinzione (a servizio di costruzione preesistente); un parapetto; un parcheggio (in generale; non è invece stato considerato come tale un parcheggio asservito ad un esercizio commerciale); una piscina (tale da non alterare in modo significativo l’assetto del territorio e da non esorbitare rispetto alle esigenze di un concreto uso normale del soggetto che risiede nell’edificio stesso); una rampa di accesso ad una concimaia; un ricovero posteggio per auto; una ringhiera; una scala; un serbatoio idrico; tettoie di materiale vario e con diverse destinazioni”.
Il provvedimento di diniego di condono è basato proprio sulla mancanza di tale natura pertinenziale del manufatto oggetto della domanda di condono.
Sia nel ricorso che nell’appello si contesta tale circostanza; in particolare, secondo la ricostruzione difensiva, la natura pertinenziale del manufatto deriverebbe dall’avvenuta realizzazione dell’opera quale “tettoia”, quindi di natura pertinenziale in base al titolo edilizio rilasciato nel 1995.
A tal fine fa riferimento all’art. 33 del regolamento edilizio del Comune che avrebbe consentito, senza che fossero calcolate ai fini del volume e delle distanze, la realizzazione di “tettoie” completamente eseguite in legno anche con pilastri in muratura ad uso deposito, ripostiglio, legnaia, pollaio fino a 40 metri quadri di superficie e altezza di metri 3,50.
Il Collegio non condivide tale ricostruzione.
La concessione edilizia rilasciata il 28 febbraio 1995, prescindendo in questa sede dalla legittimità di tale concessione ai sensi dell’art. 33 del Regolamento edilizio in relazione al tipo di opera concretamente assentita, è stata rilasciata per una “tettoia uso deposito attrezzi”.
Tale concessione non fa alcun riferimento alla natura pertinenziale del manufatto, circostanza che peraltro non avrebbe richiesto il titolo concessorio.
Trattandosi di manufatto realizzato in base ad un autonomo titolo edilizio concessorio, la natura pertinenziale del manufatto non deriva né dalla concessione edilizia né dall’art. 33 del Regolamento edilizio.
Per costante giurisprudenza, infatti, le “tettoie”, nel senso comune del termine ovvero quali strutture aperte, hanno natura pertinenziale e sono sottratte al regime del permesso di costruire, ove la loro conformazione e le ridotte dimensioni ne rendano evidente e riconoscibile la finalità di mero arredo e di riparo e protezione dell’immobile cui accedono (Consiglio di Stato, Sez. V, 13 marzo 2014 n. 1272; Sez. VI, 4 marzo 2019, n. 1480).
Alla natura pertinenziale del manufatto non si riferisce neppure l’art. 33 del Regolamento edilizio; tale disposizione consente, infatti, la realizzazione di tettoie chiuse in legno ad uso di deposito, ripostiglio, legnaia, pollaio e simili, a condizione che le stesse possano inserirsi armonicamente nel tessuto edilizio esistente e nell’ambiente e che il tetto sia ricoperte in lose. Tali tettoie, non sono valutabili ai fini volumetrici e delle distanze; devono avere una altezza massima di m. 3,50 e superficie coperta massima di mq. 40; il tetto deve sporgere dai pilastri di almeno m. 1. Devono peraltro avere natura precaria, in quanto le tettoie realizzate ai sensi dell’art. 33 dovranno essere “eliminate quando saranno realizzate strutture comunitarie equipollenti”.
La ratio della norma è di consentire depositi attrezzi anche chiusi su tutti i lati ma di natura precaria e in legno, fino alla realizzazione di strutture comunitarie equipollenti.
Il riferimento alla “tettoia” contenuto nell’art. 33 del Regolamento edilizio, quindi, non poteva imprimere alcun vincolo pertinenziale all’opera.
In ogni caso, le strutture indicate dall’art. 33, denominate “tettoie” anche se chiuse su tutti e quattro i lati, dovevano essere realizzate completamente in legno, quindi di natura precaria – dovendo essere eliminate al momento della realizzazione di strutture comunitari equipollenti – mentre il progetto assentito riguardava un deposito attrezzi in muratura, che deve ritenersi quindi una nuova costruzione, realizzata, infatti, in forza di un’autonoma concessione edilizia.
Inoltre, nel caso di specie, come rilevato dalla difesa comunale, la domanda di condono non era limitata alle modifiche di altezza e falda del tetto, come sostiene la parte appellante; la stessa domanda di condono, infatti, faceva espresso riferimento per la descrizione della consistenza dell’abuso alla “realizzazione dell’immobile in leggera difformità da quanto previsto dalla concessione edilizia e nella finitura interna dello stesso con materiali da civile abitazione”, secondo quanto espressamente riportato anche nel ricorso di primo grado. Anche il calcolo dell’oblazione effettuato al momento della presentazione della domanda è stato commisurato ai 26 metri quadri di superficie dichiarata nella domanda, che corrisponde alla superficie utile complessiva del manufatto.
Ne deriva che la domanda di condono risulta presentata per la realizzazione dell’opera in totale difformità dal titolo edilizio.
Ciò, del resto, risulta congruente alla circostanza che la domanda di condono è stata presentata il 31 marzo 2004, successivamente quindi sia agli accertamenti operati dai tecnici comunali il 27 settembre 1999 e l’8 agosto 2000 sia alla sentenza del 24 settembre 2003 del Tribunale di Aosta, che ha condannato l’appellante per la realizzazione della tettoia in totale difformità dalla concessione edilizia del 1995; è evidente quindi che l’interesse alla sanatoria riguardava tutto il manufatto così come realizzato.
L’Amministrazione comunale, quindi, ha correttamente valutato la mancanza della natura pertinenziale al momento del rilascio della domanda di condono, in quanto la natura pertinenziale costituiva l’unico presupposto per l’applicazione di tale disciplina eccezionale.
Nel caso di specie, tale valutazione deve ritenersi conforme sia alle disposizioni dettate dalla Regione che alla costante interpretazione giurisprudenziale della nozione di pertinenza urbanistico-edilizia.
Per la giurisprudenza di questo Consiglio, infatti, la nozione civilistica di pertinenza differisce da quella a fini urbanistico/edilizi.
La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto a opere di modesta entità e accessorie rispetto a un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si caratterizzino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, di tal che ne risulti possibile una diversa e autonoma utilizzazione economica. Ai fini edilizi un manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non incide sul “carico urbanistico” mediante la creazione di un “nuovo volume”; manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata una qualsiasi opere, come ad es. una tettoia, che ne alteri la sagoma (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 gennaio 2018, n. 24; 2 febbraio 2017, n. 694; Sez. IV, 4 gennaio 2016, n. 19; Sez. VI, 11 marzo 2014, n. 3952).
“La pertinenza è per sua natura caratterizzata dalle dimensioni ridotte e modeste del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce, per cui non può essere considerata tale, e quindi soggiace a concessione edilizia, la realizzazione di un’opera di rilevanti dimensioni che modifica l’assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal vincolo di servizio o d’ornamento nei riguardi di essa” (Consiglio di Stato Sez. IV, 26 marzo 2013, n. 1709, con specifico riferimento alla nozione di pertinenza indicata dalla legge regionale della Valle d’Aosta n. 1 del 2004 e alla delibera della Giunta regionale sopra citata per l’ammissibilità del condono edilizio in caso di aumento di volume).
Al momento dell’esame della domanda di condono, la natura dell’opera concretamente realizzata, con gli impianti elettrico e idraulico e le finiture con i materiali di una abitazione (dichiarata dallo stesso proprietario nella domanda di condono); le dimensioni e la collocazione della stessa erano tali da escluderne la natura pertinenziale con conseguente inapplicabilità della disciplina eccezionale del condono, ancora più restrittiva di quella statale nella Regione Valle d’Aosta, ai sensi della legge n. 1 del 2004.
La Amministrazione comunale, quindi, ha correttamente fatto applicazione delle disposizioni della legge regionale n. 1 del 2004 che impedivano il rilascio del condono nelle ipotesi di aumento volumetrico per manufatti che non fossero di natura pertinenziale.
L’appello è quindi infondato e deve essere respinto.
Le spese liquidate in euro 3000,00 oltre agli accessori di legge seguono la soccombenza e devono essere poste a carico della parte appellante.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio liquidate in euro 3000,00 (tremila,00) oltre agli accessori di legge in favore del Comune di -OMISSIS-.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Fulvio Rocco – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Giovanni Orsini – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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