Consiglio di Stato, Sentenza|26 luglio 2021| n. 5531.
Le prove raccolte davanti al giudice sfornito di giurisdizione.
Ai sensi dell’art. 11, comma 6, c.p.a. le prove raccolte davanti al giudice sfornito di giurisdizione costituiscono argomenti di prova nel giudizio che si instaura a seguito della translatio iudicii. Anche alla luce del principio di economia processuale, il Collegio può considerare le prove acquisite dal giudice sfornito di giurisdizione con propria libera valutazione, potendo giungere a fondare su di esse il proprio convincimento qualora le stesse si inseriscano in un più ampio contesto valutativo.
Sentenza|26 luglio 2021| n. 5531. Le prove raccolte davanti al giudice sfornito di giurisdizione
Data udienza 17 giugno 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Rete Ferroviaria Italiana S.p.a. – Appalto di lavori – Richieste di compensazioni per i maggiori oneri dovuti – Rincari delle materie – Dichiarazione di parziale irricevibilità dei ricorsi – Art. 26, L. n. 109/1994 – Difetto di prova
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8005 del 2017, proposto da
Ac. Co. Sa, in proprio e quale capogruppo mandataria dell’associazione temporanea costituita con le imprese Gh. S.p.a. e Sa. Im. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Gi., Lu. St. e Gi. Fa. Ma., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Gi. in Roma, via (…);
contro
Re. Fe. It. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Pa. Ca., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio Sezione Terza n. 8211 del 2017, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Re. Fe. It. S.p.a.;
Viste le memorie delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 giugno 2021, tenuta con le modalità previste dagli artt. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, come modificato dall’art. 6, comma 1, lett. e), del d.l. 1 aprile 2021, n. 44, convertito dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, il Cons. Elena Quadri e uditi per le parti gli avvocati St. e Ca. in collegamento da remoto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Le prove raccolte davanti al giudice sfornito di giurisdizione
FATTO
L’appellante ha impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio i dinieghi di RF. – Re. Fe. It. S.p.a. sulle richieste di compensazioni per i maggiori oneri dovuti in considerazione dei rincari delle materie prime registratisi nel corso dell’appalto di lavori del nodo ferroviario 4 di Bologna, nell’ambito della linea ad alta velocità Milano-Napoli.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha in parte dichiarato irricevibili e per il resto (con riferimento alla sola nota RF. del 16 giugno 2009, poiché rispetto a tale nota il ricorso del 2009 risulta tempestivamente notificato) ha respinto i ricorsi con sentenza n. 8211 dell’11 luglio 2017, che è stata appellata per i seguenti motivi di diritto:
I) erroneità della dichiarazione di parziale irricevibilità dei ricorsi;
II) erroneità della dichiarazione di non applicabilità dell’art. 26 della legge n. 109 del 1994 al contratto oggetto del giudizio;
III) erroneità dell’asserito difetto di prova delle quantità dei materiali oggetto di compensazione;
IV) erroneità dell’asserito difetto di prova dei maggiori costi sostenuti.
Si è costituita per resistere all’appello Re. Fe. It. S.p.a.
Successivamente le parti hanno presentato memorie a sostegno delle rispettive conclusioni.
All’udienza del 17 giugno 2021 l’appello è stato trattenuto in decisione.
Le prove raccolte davanti al giudice sfornito di giurisdizione
DIRITTO
Giunge in decisione l’appello proposto da Ac. Co. Sa contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio n. 8211 dell’11 luglio 2017, che ha in parte dichiarato irricevibili e per il resto (con riferimento alla sola nota RF. del 16 giugno 2009, poiché rispetto a tale nota il ricorso del 2009 risulta tempestivamente notificato) ha respinto i ricorsi di Ac. concernenti il rigetto delle istanze di pagamento da parte di RF. – Re. Fe. It. S.p.a. delle compensazioni all’Impresa appaltatrice in relazione all’incremento dei prezzi dei principali materiali da costruzione per la somma di euro 6.481.134,66.
L’appellante ha premesso che nel periodo di riferimento del presente giudizio i principali materiali da costruzione, e in primo luogo il ferro, subirono un incremento di prezzo di tale portata da condurre le associazioni di categoria a richiedere l’introduzione di una normativa di tutela idonea a garantire le imprese costruttrici – in mancanza della revisione prezzi legale prevista in altri ordinamenti – dalle conseguenze derivanti da simili eccezionali incrementi.
Per questo motivo, continua l’appellante, fu introdotta nel 2004 una modifica normativa alla legge sui lavori pubblici n. 109 del 1994 tale da consentire, in simili casi, un adeguato ristoro delle imprese in relazione ai rincari medi verificatisi nel periodo di esecuzione.
Il bando di gara pubblicato sulla G.U.C.E. del 29 dicembre 1998 concerneva una procedura per l’affidamento di un lotto dei lavori del nodo ferroviario 4 di Bologna, nell’ambito della linea ad alta velocità Milano-Napoli, ricompreso fra le progressive di progetto 0+000 e 7+375. I lavori consistevano, principalmente, nell’esecuzione di due lunghe gallerie naturali parallele che, dalla periferia di Bologna, si introducevano sotto l’abitato cittadino e giungevano sotto la stazione di Bologna Centrale (nel punto in cui oggi è presente la stazione dei treni ad alta velocità ). In esito all’aggiudicazione dell’appalto in favore dell’Associazione Temporanea di Imprese costituita tra Ne. En. Cu. (oggi Ac.), Gh. e Sa. Co., si procedeva alla sottoscrizione del relativo contratto in data 12 maggio 2000. Dopo una lunga e complessa fase di cantierizzazione ed autorizzativa, i lavori venivano concretamente avviati circa due anni dopo la stipula del contratto.
Le prove raccolte davanti al giudice sfornito di giurisdizione
L’ATI appaltatrice avviava un’azione davanti al Tribunale civile di Roma per il riconoscimento delle riserve iscritte nel corso dell’appalto, e fra queste della riserva n. 26.
Nel costituirsi in giudizio, RF., che dall’1 gennaio del 2008 era subentrata a TAV nella titolarità del rapporto contrattuale, sollevava un’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario con riguardo alla riserva n. 26, assumendo che la stessa avrebbe dovuto essere trattata dal giudice amministrativo. In relazione a tale eccezione di difetto di giurisdizione, l’ATI appaltatrice procedeva, in via di mera cautela, a presentare davanti al TAR del Lazio un ricorso per il pagamento delle compensazioni oggetto della riserva n. 26.
Nelle more, l’odierna appellante procedeva ad aggiornare la riserva n. 26 alla luce delle ulteriori compensazioni legali maturate in relazione agli anni 2008 e 2009 e la questione veniva sottoposta dal Tribunale civile, unitamente alle altre riserve, all’esame di un collegio di CTU.
I periti nominati dal Tribunale, nelle risultanze finali del proprio elaborato peritale, dopo aver attestato “(…) una sostanziale convergenza tra le parti sui quantitativi unitari utilizzati per il calcolo a meno delle quantità d’acciaio relative a parti d’opera non definitive (…)”, congruivano in via definitiva, come richiesto dal giudice, gli importi richiesti dall’ATI appaltatrice con la riserva n. 26 in complessivi euro 6.481.134,66 (cfr. estratto relazione CTU del 24 gennaio 2012, pp. 19-22, versato in atti). Alla luce di tale risultanze istruttorie la riserva n. 26, con tutte le altre riserve oggetto del giudizio, veniva quindi trattenuta in decisione dal Tribunale.
Le prove raccolte davanti al giudice sfornito di giurisdizione
Con la sentenza n. 7446/2014 dell’1 aprile 2014, il Tribunale civile di Roma, confermando la riferibilità del contratto di appalto di specie alla legge n. 109 del 1994, riteneva che le domande di pagamento contenute nella riserva n. 26 dovessero essere devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 244, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006.
Il 27 giugno 2014 l’ATI appaltatrice procedeva quindi alla riassunzione della domanda davanti al TAR del Lazio, iscrivendo un secondo ricorso e chiedendone la riunione con quello già proposto nel 2009 in seguito all’eccezione di RF. di difetto di giurisdizione.
Con la sentenza appellata il T.A.R. Lazio ha in parte dichiarato irricevibile e per il resto ha respinto i ricorsi di Ac..
Con il primo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della dichiarazione di parziale irricevibilità dei ricorsi. Ac. contesta, in particolare, che i due ricorsi siano irricevibili in ragione dello spirare del termine decadenziale di impugnazione con riferimento a ciascuno dei numerosi atti con i quali RF. ha respinto le richieste di compensazione che la stessa società ha formulato nel corso del rapporto d’appalto. Ed invero, l’istituto della compensazione – introdotto con l’art. 1, comma 550, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, che ha modificato l’art. 26 della legge n. 109 del 1994, introducendovi il comma 4 bis – sarebbe profondamente diverso dalla revisione dei prezzi, atteso che la compensazione, stabilita prima dal citato art. 26 e poi dall’art. 133 del d.lgs. n. 163 del 2006, non richiederebbe l’esercizio di un potere autoritativo da parte della stazione appaltante, ma si applicherebbe per legge; la stessa non richiederebbe neppure l’apposizione della riserva in quanto concernerebbe un diritto che nasce direttamente dalla legge. Tale conclusione sarebbe confermata dalla norma, dal cui tenore letterale conseguirebbe che, se il Ministero delle infrastrutture rileva la sussistenza dei presupposti e l’appaltatore presenta la relativa istanza, la compensazione sarebbe dovuta per legge. Si sarebbe, dunque, in presenza di un diritto soggettivo nascente direttamente dalla legge, ana a quello concernente il pagamento degli interessi moratori nel caso di ritardato pagamento dei corrispettivi, con la conseguenza che l’appaltatore non avrebbe alcun onere di impugnazione dei provvedimenti di diniego.
Le prove raccolte davanti al giudice sfornito di giurisdizione
Con la seconda censura l’appellante lamenta l’erroneità della dichiarazione di non applicabilità dell’art. 26 della legge n. 109 del 1994 al contratto oggetto del giudizio. Per la sentenza, invero, l’assoggettamento dell’appalto in esame e degli altri appalti non aventi contenuto specialistico e tecnico strettamente correlato al settore speciale di riferimento alla normativa generale sui lavori pubblici dovrebbe riguardare solo la fase di gara e non anche quella esecutiva. Tale statuizione, per l’appellante, sarebbe in contrasto con le chiare prescrizioni della legge, atteso che solo il regolamento di attuazione non si applica a tali fattispecie, non la legge. Tale interpretazione sarebbe, altresì, confermata dalla sentenza del Tribunale civile di Roma, che ha chiaramente ritenuto l’art. 26 della legge n. 109 del 1994 applicabile alla fattispecie in questione.
Con il terzo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità dell’asserito difetto di prova delle quantità dei materiali oggetto di compensazione, atteso che non vi sarebbe mai stata contestazione fra le parti in relazione alla prova di tali quantità di materiali, come evidenziato anche nella relazione del collegio peritale incaricato dal Tribunale nell’ambito del giudizio civile.
Con la quarta censura l’appellante, premettendo che dall’esame della normativa applicabile alla fattispecie si ricaverebbe che le compensazioni da liquidare alle imprese di costruzione costituiscono un mero contributo parziale, basato su valori medi ed omogenei che prescindono totalmente dal maggior costo che ciascuna singola impresa ha subito nel corso dell’anno, contesta, in ogni caso, che l’ATI appaltatrice non abbia fornito la prova dei maggiori costi sostenuti, che sarebbero stati, al contrario, documentati e valutati nell’ambito della CTU del giudizio civile poi riassunto; in relazione a tale prova, RF. non avrebbe mai formulato alcuna eccezione, sollevata solo successivamente, nel giudizio davanti al Tar. Tale sopravvenuta ed inaspettata circostanza renderebbe necessaria la produzione, nel presente giudizio di appello, della documentazione probatoria inopinatamente ritenuta insussistente dal TAR del Lazio, della quale l’appellante chiede l’acquisizione, ai sensi dell’art. 104, comma 2, c.p.a., anche perché evidentemente indispensabile ai fini della decisione della causa.
Le prove raccolte davanti al giudice sfornito di giurisdizione
Allega, pertanto, all’appello documenti contabili (ordini, fatture, bonifici) asseritamente attestanti i maggiori costi sostenuti per i vari materiali.
Per l’amministrazione l’appello è infondato, atteso che nel caso oggetto del presente procedimento, non vi era alcuna disposizione convenzionale che prevedesse in chiave negoziale l’applicazione delle compensazioni.
Inoltre, la compensazione – al pari della revisione dei prezzi – sarebbe preordinata alla tutela dell’interesse pubblico e non certo alla tutela dell’appaltatore, per cui sarebbe evidente l’impossibilità di ritenere che la compensazione sia riconducibile ad un diritto soggettivo, mentre non potrebbe che atteggiarsi come interesse legittimo che si espande in diritto soggettivo solo ove la stazione appaltante abbia riconosciuto esistenti i presupposti normativamente richiesti. Sarebbe del tutto evidente che se una siffatta conclusione è valida per gli appalti di servizi e di forniture – per i quali la revisione periodica del prezzo deve essere necessariamente prevista – a fortiori è valida per le compensazioni, il cui riconoscimento in favore dell’appaltatore di lavori è possibile, tra l’altro, solo nei limiti delle disponibilità delle somme appositamente accantonate per imprevisti, senza ulteriori oneri per la finanza pubblica, nel quadro economico di ogni intervento, nonché delle eventuali ulteriori somme a disposizione della stazione appaltante per lo stesso intervento, nei limiti della relativa autorizzazione di spesa.
Le considerazioni appena svolte confermerebbero l’irricevibilità dei ricorsi di primo grado.
Inoltre, per l’amministrazione l’art. 26 della legge n. 109 del 1994 non si applicherebbe all’appalto oggetto del presente procedimento, sia perchè tale appalto è stato affidato da un soggetto operante nei settori speciali, sia perché le domande formulate da Ac. riguardano la fase esecutiva. E con la circolare 4 agosto 2005, n. 871 (recepita dall’art. 171 del d.P.R. n. 207 del 2010), il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti avrebbe chiaramente illustrato le modalità operative del calcolo delle compensazioni, affermando che, previo accertamento delle quantità del singolo materiale cui applicare eventualmente la variazione del prezzo unitario, la stazione appaltante, “su istanza dell’appaltatore successiva all’emanazione del decreto ministeriale annuale, di richiesta di compensazione, ai sensi dell’art. 26, comma 4-bis della legge n. 109/1994, che indichi i materiali da costruzione per i quali si ritiene siano dovute eventuali compensazioni, verifica, tramite il direttore dei lavori, l’eventuale effettiva maggiore onerosità subita dall’appaltatore, provata con adeguata documentazione, dichiarazione di fornitori o subcontraenti o con altri idonei mezzi di prova relativi alle variazioni, per i materiali da costruzione, del prezzo elementare pagato dall’appaltatore rispetto a quello documentato dallo stesso con riferimento al momento dell’offerta, almeno pari alle variazioni percentuali riportate nel predetto decreto”. Occorrerebbe, infine, rammentare che, con il decreto legge 23 ottobre 2008, n. 162 (convertito con modifiche dalla legge 22 dicembre 2008, n. 201) il legislatore ha introdotto una forma di compensazione “speciale”, poiché essa si discosta parzialmente dalla disciplina contenuta nell’art. 133 del d.lgs. n. 163 del 2006, di cui costituisce espressa deroga. Dispone infatti l’art. 1 del richiamato decreto legge n. 162 del 2008 che, in deroga a quanto previsto dall’art. 133, commi 4, 5, 6 e 6 bis, del decreto legislativo n. 163 del 2006 e successive modificazioni, onde fronteggiare gli aumenti repentini dei prezzi di alcuni materiali da costruzione verificatisi nell’anno 2008, il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti rileva – entro il 31 gennaio 2009 – con proprio decreto, le variazioni percentuali, su base semestrale, in aumento o in diminuzione, superiori all’otto per cento, relative all’anno 2008, dei singoli prezzi dei materiali da costruzione maggiormente significativi, in relazione ai quali si procederà all’effettuazione delle compensazioni – in aumento ovvero in diminuzione – entro i limiti di cui ai successivi commi 8, 9 e 10.
Le prove raccolte davanti al giudice sfornito di giurisdizione
La disposizione si preoccupa di illustrare anche come – in concreto – debba eseguirsi il calcolo delle compensazioni, prevedendo – al comma 3 – che il relativo importo sia determinato applicando alle quantità dei singoli materiali impiegati nelle lavorazioni eseguite e contabilizzate dal direttore dei lavori nell’anno 2008, le variazioni in aumento o in diminuzione dei prezzi rilevate dal Ministero attraverso il decreto, con riferimento alla data dell’offerta, eccedenti l’8% se riferite esclusivamente all’anno 2008 e al 10% complessivo se riferite a più anni. Per le variazioni in aumento, l’appaltatore – a pena di decadenza – è tenuto a presentare alla stazione appaltante un’istanza entro il termine di trenta giorni decorrenti dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto mentre, per le variazioni in diminuzione, la procedura è avviata d’ufficio dalla stazione appaltante, entro trenta giorni, sempre decorrenti dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del decreto.
Per l’Amministrazione, l’applicazione delle regole appena richiamate precluderebbe qualsiasi riconoscimento in favore dell’appellante e non potrebbe che determinare la reiezione delle domande. L’appellante, infatti, non avrebbe affatto provato l’asserito maggior costo che assume di aver sopportato. Sebbene Ac. abbia richiesto la condanna di RF. alla corresponsione della somma di Euro 6.481.134,66 per effetto delle compensazioni, non sarebbe dato sapere come tale importo sia stato determinato né sarebbe possibile formulare alcuna deduzione in ordine ai criteri seguiti per calcolarlo.
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L’appello è fondato.
Con riferimento alla prima censura, l’art. 26 della legge n. 109 del 1994 dispone(va) – dal comma 4 bis a 4 sexies, introdotti dal comma 550 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 – che: “4-bis. In deroga a quanto previsto dal comma 3, qualora il prezzo di singoli materiali da costruzione, per effetto di circostanze eccezionali, subisca variazioni in aumento o in diminuzione, superiori al 10 per cento rispetto al prezzo rilevato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nell’anno di presentazione dell’offerta con il decreto di cui al comma 4-quater, si fa luogo a compensazioni, in aumento o in diminuzione, per la percentuale eccedente il 10 per cento e nel limite delle risorse di cui al comma 4-sexies.
4-ter. La compensazione è determinata applicando la percentuale di variazione che eccede il 10 per cento al prezzo dei singoli materiali da costruzione impiegati nelle lavorazioni contabilizzate nell’anno solare precedente al decreto di cui al comma 4-quater nelle quantità accertate dal direttore dei lavori.
4-quater. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, entro il 30 giugno di ogni anno, a partire dal 30 giugno 2005, rileva con proprio decreto le variazioni percentuali annuali dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi.
4-quinquies. Le disposizioni di cui ai commi 4-bis, 4-ter e 4-quater si applicano ai lavori eseguiti e contabilizzati a partire dal 1º gennaio 2004. A tal fine il primo decreto di cui al comma 4- quater rileva anche i prezzi dei materiali da costruzione più significativi rilevati dal Ministero per l’anno 2003. Per i lavori aggiudicati sulla base di offerte anteriori al 1º gennaio 2003 si fa riferimento ai prezzi rilevati dal Ministero per l’anno 2003.
4-sexies. Per le finalità di cui al comma 4-bis si possono utilizzare le somme appositamente accantonate per imprevisti, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, nel quadro economico di ogni intervento, in misura non inferiore all’1 per cento del totale dell’importo dei lavori, fatte salve le somme relative agli impegni contrattuali già assunti, nonché le eventuali ulteriori somme a disposizione della stazione appaltante per lo stesso intervento nei limiti della relativa autorizzazione di spesa. Possono altresì essere utilizzate le somme derivanti da ribassi d’asta, qualora non ne sia prevista una diversa destinazione sulla base delle norme vigenti, nonché le somme disponibili relative ad altri interventi ultimati di competenza dei soggetti aggiudicatori nei limiti della residua spesa autorizzata; l’utilizzo di tali somme deve essere autorizzato dal CIPE, qualora gli interventi siano stati finanziati dal CIPE stesso”.
Le prove raccolte davanti al giudice sfornito di giurisdizione
Riguardo all’interpretazione della succitata disposizione normativa, è stato affermato da questo Consiglio, con considerazioni che il Collegio condivide integralmente, che: “il beneficio patrimoniale di cui l’appellante reclama l’applicazione nei propri confronti è determinato in modo diretto ed automatico dall’art. 26 cit. di cui si invoca l’applicazione, senza che, al riguardo, possano riconoscersi spazi di valutazioni o apprezzamenti discrezionali da parte della stazione appaltante, di talché le posizioni giuridiche soggettive in gioco non solo hanno consistenza di diritto soggettivo, e non di interesse legittimo, ma le stesse sono riconosciute direttamente dal legislatore.
Pertanto, poiché l’applicazione delle relative norme di legge da parte dell’Amministrazione appaltante sfugge al vaglio discrezionale della stessa, non potendo esso riguardare che un profilo meramente dichiarativo e ricognitivo in ordine alla normativa applicabile, ne consegue che l’azione di accertamento di diritto nascente da legge (in specie diritto alla compensazione del prezzo contrattuale), è esercitabile, nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, nell’ordinario termine di prescrizione del diritto, non occorrendo l’instaurazione di un giudizio di annullamento di alcun atto amministrativo nel termine decadenziale di sessanta giorni. Pertanto, si applica alla fattispecie la sola disciplina relativa al termine di prescrizione previsto per far valere i diritti soggettivi” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 2015, n. 3852).
Tale interpretazione si ricava pacificamente dalla mera lettura della norma, risultandone, di conseguenza, una radicale differenza rispetto all’istituto della revisione prezzi, non applicabile ai lavori pubblici, ma solo agli appalti di servizi e di forniture, in cui è previsto uno speciale regime introdotto dall’art. 6, comma 4, della legge 537 del 1993 (poi trasfuso nell’art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006), per il quale: “Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo.
Le prove raccolte davanti al giudice sfornito di giurisdizione
La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all’art. 7, comma 4, lett. c) e comma 5″. Mentre, quindi, l’eventuale concessione della revisione dei prezzi può essere effettuata solo all’esito di un’istruttoria tecnica svolta dalla stessa amministrazione appaltante sulla base dei dati disponibili presso l’Osservatorio dei contratti pubblici mediante l’esercizio di una valutazione discrezionale, la compensazione è riconosciuta direttamente dal legislatore per la metà della percentuale eccedente il 10 per cento alla ricorrenza dei presupposti di legge (variazioni percentuali annuali che eccedano il 10 per cento dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi accertate con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti entro il 30 giugno di ogni anno).
Invero, la situazione giuridica fatta valere nel caso di specie rientra nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e concerne i ricorsi afferenti a pretese aventi la consistenza di diritti soggettivi di contenuto patrimoniale, che non sono soggetti al termine di decadenza, bensì al termine ordinario di prescrizione, atteso che i diritti patrimoniali sorgono direttamente dalla legge e non da un provvedimento autoritativo. Il beneficio patrimoniale di cui l’appellante invoca il riconoscimento è determinato in modo diretto ed automatico dalla norma da applicare, senza che, al riguardo, possano riconoscersi spazi di valutazioni discrezionali da parte della stazione appaltante.
Di recente è stato anche statuito: “Né può affermarsi che il diniego opposto dall’Amministrazione – a fronte di un aumento dei prezzi asseritamente superiore al 10% – di corrispondere il “compenso revisionale” sia espressione di uno specifico potere discrezionale a carattere pubblicistico, in nulla differenziandosi dalla condotta di un qualsiasi committente (anche privato) che rifiuti – ritenendo che l’aumento dei prezzi non si sia verificato – di adempiere l’obbligazione di cui all’art. 1664 del codice civile, che trova la sua genesi nel contratto d’appalto.
Sicché appare evidente sotto ogni profilo che il termine per la proposizione della domanda giudiziale non possa che essere quello prescrizionale” (Cons. giust. amm. Sicilia, 20 maggio 2019, n. 451).
Riguardo alla seconda censura, l’art. 2, comma 4, della legge n. 109 del 1994 dispone(va) che “I soggetti di cui al decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 158, applicano le disposizioni della presente legge per i lavori di cui all’articolo 8, comma 6, del medesimo decreto legislativo e comunque per i lavori riguardanti i rilevati aeroportuali e ferroviari. Agli stessi soggetti non si applicano le disposizioni del regolamento di cui all’articolo 3, comma 2, relative all’esecuzione dei lavori, alla contabilità dei lavori e al collaudo dei lavori. Resta ferma l’applicazione delle disposizioni legislative e regolamentari relative ai collaudi di natura tecnica. Gli appalti di forniture e servizi restano comunque regolati dal solo decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 158”.
Dalla lettura della succitata disposizione normativa risulta evidente che la legge n. 109 del 1994 si applica anche ai lavori riguardanti i rilevati aeroportuali e ferroviari, eccetto le disposizioni del regolamento di cui all’articolo 3, comma 2, relative all’esecuzione dei lavori, alla contabilità dei lavori e al collaudo dei lavori.
Anche tale censura è, quindi, fondata, atteso che la legge n. 109 del 1994 di applica anche alla fase esecutiva. Tale pacifica interpretazione è, del resto, confermata dalla sentenza del Tribunale civile di Roma, che ha chiaramente ritenuto l’art. 26 applicabile alla fattispecie in questione. E non si vede perché non dovrebbe applicarsi alla fase esecutiva proprio un istituto che ammette la successiva rivisitazione del prezzo mediante adeguamenti o compensazioni corrispondenti alle variazioni dei prezzi di mercato in misura superiore alla normale alea contrattuale (fissata dal legislatore in presenza di scostamenti inferiori o superiori al 10%), dunque solo al verificarsi di predeterminate ed eccezionali condizioni, per evitare l’alterazione del sinallagma contrattuale.
Le prove raccolte davanti al giudice sfornito di giurisdizione
Anche la terza e la quarta censura sono fondate.
L’appellante assume che in ordine alle quantità di materiale da sottoporre a compensazione non vi sarebbe stata tra le parti alcuna contestazione e afferma di aver documentato i maggiori costi che assume di aver sostenuto nell’ambito della consulenza tecnica svoltasi in relazione al procedimento dinanzi al giudice ordinario.
Per l’amministrazione, al contrario, il calcolo che si ricava dalla relazione dei periti sarebbe del tutto teorico, privo dei necessari riscontri documentali richiesti dalla richiamata circolare e, in definitiva, inattendibile, nonostante l’apparente completezza, sia perché mancava un vero accertamento in ordine alle quantità poste realmente in opera, sia perché gli asseriti “aumenti” esposti nelle colonne delle varie tabelle non sarebbero affatto documentati, né sarebbe possibile desumere donde i periti abbiano desunto tali dati. L’amministrazione si oppone alla pretesa di Ac. di produrre in sede di appello nuovi documenti che essa assume essere indispensabili ai fini della decisione.
La sentenza impugnata ha accertato l’assoluta mancanza di prova a sostegno delle pretese di Ac., sottolineando che “per avere diritto alla ‘compensazionè, ed in linea con i postulati processuali dell’onere della prova, l’impresa deve dimostrare (con fatture o altri mezzi idonei) di avere ‘effettivamente spesò per i materiali una cifra maggiore rispetto a quella preventivata con l’offerta” ed ha affermato l’infondatezza della domanda “in quanto la ricorrente non ha adempiuto al suo onere di allegazione e prova circa le modalità di quantificazione e circa la concreta determinazione delle somme domandate a titolo di compensazione”. La sentenza impugnata ha evidenziato, altresì, che l’odierna appellante non avrebbe superato le contestazioni proposte da RF. in ordine all’inattendibilità delle risultanze della consulenza tecnica.
Il Collegio non condivide tali considerazioni.
Deve premettersi che, ai sensi dell’art. 11, comma 6, c.p.a. le prove raccolte davanti al giudice sfornito di giurisdizione costituiscono argomenti di prova nel giudizio che si instaura a seguito della translatio iudicii. Anche alla luce del principio di economia processuale, il Collegio può considerare le prove acquisite dal giudice sfornito di giurisdizione con propria libera valutazione, potendo giungere a fondare su di esse il proprio convincimento qualora le stesse si inseriscano in un più ampio contesto valutativo. Ciò vale senz’altro per la relazione prodotta dal consulente tecnico, rispetto alla quale il giudice chiamato a decidere della causa a seguito della translatio iudicii può direttamente valutare l’affidabilità scientifica del Consulente incaricato nonché apprezzare la coerenza e logicità delle valutazioni effettuate dallo stesso, anche alla luce delle controdeduzioni delle parti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 giugno 2013, n. 3218, dove dalla CTU, effettuata nel giudizio civile prima della translatio iudicii, il giudice amministrativo ha tratto argomenti di prova “di carattere indubitabile e non contraddette da una sufficiente dimostrazione [davanti al giudice amministrativo] di segno contrario”. Per il filone giurisprudenziale che ritiene l’argomento di prova come da solo idoneo a fondare il libero convincimento del giudice, cfr. Cass. civ., sez. III, n. 14748/2007; id., sez. III, n. 10268/2002; Id, sez. I, n. 2700/1997; Id, sez. II n. 3822/1995).
Le prove raccolte davanti al giudice sfornito di giurisdizione
Essendo la CTU espletata nel giudizio civile immune da vizi logici e da errori di diritto, si ritiene di poter fondare sulla stessa il convincimento circa il quantum delle somme dovute da RF. (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 2015, n. 3852).
Nel caso di specie, nonostante non possa ravvisarsi una continuità di onere probatorio tra il giudizio civile e quello amministrativo, può certamente ravvisarsi un comportamento di non contestazione delle risultanze della consulenza tecnica resa nel giudizio civile. Ne consegue che i contenuti della CTU, in quanto non contestati, sono da considerare quali elementi di prova attendibili. Inoltre, ai sensi dell’art. 26 della legge n. 109 del 1994, vi è anche un preciso obbligo di accertamento delle quantità dei materiali da parte del direttore dei lavori (cfr. comma 4-ter: “La compensazione è determinata applicando la percentuale di variazione che eccede il 10 per cento al prezzo dei singoli materiali da costruzione impiegati nelle lavorazioni contabilizzate nell’anno solare precedente al decreto di cui al comma 4-quater nelle quantità accertate dal direttore dei lavori”).
Nella fattispecie in questione, dall’esame della relazione del collegio peritale incaricato dal Tribunale nell’ambito del giudizio civile, che ha dettagliatamente calcolato e quantificato l’importo di cui oggi si chiede il pagamento davanti al giudice amministrativo, risulta la sussistenza di una “sostanziale convergenza tra le parti sui quantitativi unitari utilizzati per il calcolo”. Secondo l’analisi del collegio peritale del Tribunale di Roma, l’unica differenza di quantificazione sussistente fra le parti concerne le “quantità di acciaio relative a parti d’opera non definitive (per esempio i binari provvisori a servizio della galleria)”. Peraltro, legittimamente i periti del Tribunale hanno ritenuto pacificamente che anche tali parti d’opera dovessero essere assoggettate alle compensazioni di legge, atteso che non sussiste alcuna differenza nell’acquisto e posa in opera di un binario che costituirà la sede definitiva della ferrovia da un altro che verrà poi smantellato perché costituisce una deviazione provvisoria.
Le prove raccolte davanti al giudice sfornito di giurisdizione
I consulenti hanno considerato per il calcolo della compensazione tutti i quantitativi di materiali posti in opera e anche utilizzati per le opere provvisionali, come risulta anche dalla sentenza del Tribunale civile di Roma n. 7446 del 2014.
Può, dunque, essere accordata la richiesta formulata dalla parte appellante, concernente il pagamento delle maggiori somme dovute a definizione della procedura di compensazione di cui ai commi 4 bis e segg. dell’art. 26 legge n. 109 del 94 s.m.i., nella misura pari ad euro 5.457.938,43 così come risultante dalle fatture prodotte dall’appellante (attestanti i maggiori costi sostenuti per i seguenti materiali: ferro tondo per cemento armato; rete elettrosaldata; profilati laminati a caldo; tubazioni in acciaio senza saldatura; tubazioni in acciaio saldate; acciaio armonico), inferiore, peraltro, a quella risultante dal consulente del giudice ordinario (pari ad euro euro 6.481.134,66), da maggiorarsi degli accessori di legge tenendo conto degli interessi maturati nel periodo considerato.
Alla luce delle suesposte considerazioni l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, va accolto il ricorso di primo grado, come in motivazione.
Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado, come in motivazione.
Condanna Re. Fe. It. S.p.a. alla rifusione delle spese di giudizio nei confronti dell’appellante, che si liquidano in euro 6000, oltre ad oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 giugno 2021, tenuta con le modalità previste dagli artt. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, come modificato dall’art. 6, comma 1, lett. e), del d.l. 1 aprile 2021, n. 44, convertito dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, con l’intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo – Presidente
Valerio Perotti – Consigliere
Federico Di Matteo – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere
Elena Quadri – Consigliere, Estensore
Le prove raccolte davanti al giudice sfornito di giurisdizione
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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